Una dottoressa per lo sceicco (eLit): eLit
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Info su questo ebook
Mantenere il riserbo sulla propria identità è vitale per Kamid Rahman al'Kawali. Se si diffondesse la voce che quel semplice dottore è in realtà l'erede al trono, tutti i suoi piani per salvare il paese sarebbero compromessi; così come il rapporto con Jenny, la sua splendida collega. E mentre il giorno dell'incoronazione si avvicina, Kam non immagina una regina più perfetta.
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Meredith Webber
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Anteprima del libro
Una dottoressa per lo sceicco (eLit) - Meredith Webber
successivo.
1
Jen sollevò tra le braccia la piccola Rosana, appoggiandosi al fianco il corpo leggero della bambina.
Si augurò che l'autista della macchina in arrivo frenasse in tempo, prima di riempire di sabbia le tende del campo profughi e il suo ospedale di fortuna.
Il veicolo si fermò a una distanza ragionevole, ma un perfido soffio di vento investì la nuvola di pulviscolo rosso prodotto dalle ruote, scagliandola giusto nella sua direzione. Jen arretrò, posando una mano aperta sul volto della piccola per impedirle di respirare la polvere, mentre lanciava un'occhiata risentita all'uomo che proprio in quel momento stava lasciando il posto di guida.
Guai in vista, pensò tra sé.
Le visite inaspettate non portavano mai nulla di buono, ormai l'aveva imparato. In quella zona della Penisola Arabica, molti dei piccoli stati che la componevano avevano adottato sistemi di vita moderni: città dotate di ogni comfort, inclusi ospedali in grado di fornire le migliori cure. Ma qui, nello Zaheer, lo sceicco al potere aveva rifiutato ogni forma di progresso e continuava a contrastarlo mediante l'invio di inflessibili funzionari, pronti a intralciare l'operato delle organizzazioni umanitarie internazionali, nel timore che lo stile di vita degli occidentali influisse sulle secolari tradizioni del suo popolo al punto di modificarle.
L'uomo appena sceso dall'auto, in jeans stropicciati e maglietta, non era di certo uno di quei tipi in turbante e tunica svolazzante che spesso giungevano al campo per ispezionare, sospettosi, le tende dei profughi, immaginando chissà quali complotti dietro l'organizzazione umanitaria per cui Jen lavorava.
Lo scrutò, inquieta e sospettosa a sua volta. Chi era? Forse un viaggiatore temerario perdutosi nel deserto?
Non mi fido, pensò d'istinto. Ma poi, oltre lo spesso strato di polvere che ricopriva l'auto, intuì una scritta, forse il logo ufficiale di un'altra organizzazione simile alla propria. Jen non aveva nessuna voglia di affrontare ancora le noiose pratiche burocratiche previste in quel tipo di incontri ma, per i rifugiati che continuavano a giungere al campo ogni giorno più numerosi, ogni genere di aiuto era fondamentale.
Alla fine Jen decise di rimanere dov'era, aspettando lo sconosciuto senza sorridere.
Lo guardò avanzare verso di lei. Capelli nerissimi, pelle olivastra. Non avrà per caso anche gli occhi verdi?, si chiese incuriosita, immaginando il complemento perfetto per quella figura alta, forte e armoniosa.
Incredibile!
Lo sconosciuto aveva davvero gli occhi di un verde chiaro, trasparente, stupendo. Per un attimo si perse in quello sguardo ammaliante, ma cercò subito di ricomporsi.
Erano secoli che Jen non provava certe emozioni, da quando David...
«Dottor Stapleton?»
Voce profonda, bassa e seducente. Mal di gola o arma di seduzione coltivata con cura? Che sciocca!, si rimproverò. Come le saltava in mente un'idea simile? «Sono io» gli rispose annuendo.
«Kam Rahman.» Lo sconosciuto le tese la mano con un sorriso. «Sono qui per conto di Aid for All. Conosciamo le difficoltà che incontra ogni giorno per curare i malati di questo campo e proseguire il programma di prevenzione della tubercolosi. Mi hanno mandato per installare un ambulatorio e indagare a fondo le esigenze dei profughi.»
«Lei è un dottore?» Domanda forse superflua, mentre lo sguardo di Jen indugiava sui jeans e sulla maglietta consunta che il vento faceva aderire ai muscoli scolpiti dell'uomo.
«Ho studiato a Londra» annuì lui. «Però sono cresciuto in questa zona, dove mio padre aveva un incarico goverativo. Parlo il dialetto locale, per questo l'organizzazione ha preferito mandarmi qui invece che in America del Sud, dove la conoscenza di una lingua araba non mi sarebbe stata di alcuna utilità.» Un altro sorriso, ancora più seducente.
Jen arretrò, provando un vago senso di pericolo. Passò la bambina sull'altro braccio, in modo che si trovasse tra lei e lo straniero, che non sembrava aver notato la manovra né il rifiuto di Jen della sua mano tesa, attento com'era a guardarsi intorno e a scrutare le tende dell'accampamento, situato alla fine della pista di sabbia rossa.
«Lei è il benvenuto» disse Jen infine, mentendo. In realtà, a parte la possibilità di un aiuto insperato, la presenza di quell'uomo così forte e dall'aria decisa, la disturbava non poco. Un fisico da urlo, zigomi alti e uno sguardo al quale sicuramente non sfuggiva nulla. Insomma, un preoccupante concentrato di sex appeal.
Ma che mi sta succedendo?, rifletté lei a disagio. Da anni non considerava un uomo in quanto tale, sexy o meno. Però l'atteggiamento del dottor Rahman, così particolare, l'aveva costretta a riflettere.
«Allora, non vuoi mostrarmi il campo?» le disse lui, passando a darle del tu e girandosi a osservare l'ampiezza dell'accampamento.
Ecco cos'era a renderlo speciale. L'autorevolezza, senza dubbio: nei modi e nella voce. Con una certa fatica, Jen distolse lo sguardo dalle sue magnifiche spalle, cercando di respingere la piega del tutto inopportuna che stavano prendendo i suoi pensieri. «Dunque sei un dottore e lavori per Aid for All.»
«Più o meno» le rispose lui. Con un sorriso appena accennato, raggiunse la macchina e passò una mano sullo sportello per ripulirlo dalla polvere. La scritta del logo apparve con chiarezza. Jen la riconobbe subito: era quella di un'associazione minore, consociata ad Aid for All.
«Sono un dottore, cara collega, proprio come te» replicò Kam, accennando a un altro veicolo altrettanto impolverato parcheggiato lì vicino. «Non ho con me il diploma di laurea perché non è facile tenerlo appeso dentro una tenda, ma posso mostrarti il mio documento d'identità.»
Frugò nella tasca e ne estrasse un badge identico a quello che Jen portava al collo. «Ecco, adesso siamo pari» dichiarò, passandosi il laccio oltre la testa.
Kam con la cappa, notò Jen. Il badge sembrava autentico. Ma allora perché era così a disagio accanto a quest'uomo? Per quel suo fascino incredibile?
Basta. Meglio pensare a cose più serie. La gente del campo, fuggita dall'incalzare di una crudele guerra tribale, aveva bisogno di tutto.
«Facciamo un giro» gli propose a quel punto. La piccola Rosana si agitò tra le sue braccia, le gambe gracili e l'addome gonfio per la scarsa nutrizione, fissando Jen con gli immensi occhi neri nel viso minuto. «Non c'è molto nell'infermeria, solo l'essenziale. Se hai intenzione di creare un vero ambulatorio, sarà meglio piantare un'altra tenda per evitare di intralciarsi a vicenda. L'hai portata, vero?»
Kam scosse il capo in silenzio, accigliato. «Ma le tende per i rifugiati e per coloro che li assistono sono fornite dal Governo, no? Non è così?»
«Può darsi» mormorò lei. «Sembra che il vecchio sceicco sia stato malato a lungo e il paese non è più guidato correttamente. Aid for All ha dovuto insistere molto per ottenere il permesso di procedere ai test per la tubercolosi, e dopo non ha voluto chiedere di più. La tenda dell'infermeria prima era occupata da una famiglia che l'ha lasciata per cederla a noi.»
Kamid Rahaman al'Kawali, erede dello sceicco locale insieme al fratello Arun, scosse il capo con disappunto.
Viaggiando in incognito nel proprio paese, scopriva che le cose, in questo precario agglomerato di tende ai margini del deserto, erano peggiori di quanto lui e Arun avessero immaginato. Adesso, il minimo che poteva fare era occuparsi di quanto stava accadendo nello Zaheer e prendersi almeno una parte di responsabilità.
Kamid e Arun erano gemelli, entrambi medici, Si erano dedicati con passione all'impegno negli ospedali, convinti che curare la gente fosse più importante che tenere dietro alle dispute tra i funzionari del Governo.
All'inizio avevano cercato di produrre dei cambiamenti positivi per il loro paese, ma i loro tentativi erano spesso falliti, lasciandoli delusi e frustrati, perché il padre, benché anziano e malato, non si decideva a cedere loro il comando. Così i due fratelli avevano girato il mondo, seguendo corsi di aggiornamento e conferenze, e correndo al capezzale del padre solo all'ultimo momento.
Quell'uomo irascibile, che aveva reso triste la loro infanzia, si era tenacemente rifiutato di tenere il paese al passo con i tempi.
Intanto la vecchia capitale si era sviluppata, trasformandosi in una città moderna, piena di alberghi di lusso per i ricchissimi industriali stranieri, le cui fortune erano fondate sul petrolio estratto dalle aride sabbie del deserto.
Lo sceicco, colmo di disprezzo per le forme di governo democratiche, si era chiuso nel suo lontano, fastoso palazzo d'inverno, lasciando ai suoi fratelli e ai nipoti la facoltà di dirigere il paese a loro piacimento, senza mai perdere di vista gli interessi economici della famiglia. La capitale era diventata così ancora più prospera e più attraente per gli stranieri, mentre il resto della popolazione languiva nella miseria e in precarie condizioni di salute.
L'organizzazione degli aiuti aveva predisposto il controllo della diffusione della tubercolosi in quel campo di rifugiati appena oltre i confini dello Stato. Nel frattempo, paradossalmente, nelle prestigiose cliniche della capitale famosi chirurghi reclutati in tutto il mondo eseguivano interventi costosissimi per spianare rughe ed eliminare difetti estetici in donne e uomini afflitti da problemi di immagine, dovuti principalmente all'eccesso di alcol e cibo.
Aiuti dall'estero, pensò contrariato il figlio dello sceicco. Com'era stato possibile arrivare a tanto, se l'orgogliosa tradizione della sua gente imponeva di badare a se stessi? Cosa che valeva anche per i rifugiati del campo, provenienti da oltre il confine, forse discendenti di quelle tribù che avevano percorso il deserto per secoli.
Guardò la donna: un foulard scuro sui capelli biondi, la morbida pelle del viso appena abbronzato punteggiata da lentiggini, occhi castani dagli intensi riflessi dorati. Labbra rosate, senza trucco, contratte per la tensione e già screpolate.
Nessuno le aveva detto che l'aria del deserto asciuga la pelle senza pietà?
Kam si riscosse: non era quello il momento di soffermarsi a notare una bella ragazza. C'erano troppe cose da capire e molti errori del passato a cui porre rimedio.
«Non potevo portare delle tende» dichiarò asciutto.
«Ah, è così?» replicò Jen. «Eppure ho inviato richieste di aiuto per mesi, nella capitale...» Tacque, non volendo iniziare la solita tiritera contro l'inefficienza del Governo. «Ma ogni aiuto è ben accetto» si affrettò a rimediare con un timido sorriso. «Temo di non averti ringraziato abbastanza. Però nuove tende sarebbero davvero importanti.»
Kam ricambiò il sorriso. «Le avremo senza difficoltà» le promise, fissando affascinato le lentiggini di Jen. Lasciò scorrere lo sguardo sulla sua figura, sorpreso dell'improvviso interesse che quella ragazza era riuscita a suscitare in lui. «Ho molte conoscenze. Dimentichi che sono nato qui» aggiunse.
Chissà che cosa avrà da guardare, pensava Jen, ben consapevole di non apparire in ordine. I jeans, la camicia a maniche lunghe e l'ampia tunica grigia che la ricopriva quasi interamente erano cosparsi dalla micidiale sabbia rossa del deserto, come i sandali e i capelli, che sotto il foulard ormai non apparivano più biondi ma di uno