Gli occhi dell'oceano
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Anteprima del libro
Gli occhi dell'oceano - Cristiano Pedrini
dell’oceano
CAPITOLO PRIMO
Il nuovo assunto
Le stelle… Quante ne erano venute a fargli compagnia in quella fredda notte. Julien aveva perso la nozione del tempo. Credeva di essere disteso sul fondo di quel gommone che ondeggiava pigramente da giorni su quell’oceano piatto. Il silenzio era rotto solo dal persistente segnale del localizzatore gps che si ripeteva all’infinito e che, a ogni attimo, gli rimbombava nella testa distraendolo dai recenti ricordi delle azioni che avevano fatto naufragare la sua bellissima barca, rendendolo l’unico superstite di quella realtà che fino a poco prima era stato un corollario di soddisfazioni e onori.
Aveva la sgradevole sensazione che da quel momento in poi tutto sarebbe cambiato. Non era solo la Blue spirit
ad essere scomparsa per sempre. Con lei era svanito il suo intero mondo, che si rispecchiava in quella compagna con la quale aveva percorso migliaia di miglia marine, rimanendo innumerevoli volte accanto al timone di quello slanciato scafo dipinto di blu, ammirando i tramonti che lentamente scomparivano sulle acque che insieme solcavano da tre anni. Lui e quello sloop erano stati protagonisti di innumerevoli vittorie, fino a quel momento…
Julien chiuse gli occhi cercando di vincere sia la stanchezza che la tensione la quale, ormai affievolita, stava prendendosi il suo spazio. Il bip del segnalatore iniziava a sfumare nella sua mente.
Si rannicchiò in un angolo stringendosi contro il bordo del gommone. Percepiva il movimento delle acque sotto di sé, ricordandogli che l’oceano era sempre lì a cullarlo nonostante avesse mancato di rispetto a una delle sue creature. Sapeva che di lì a poco i soccorsi sarebbero giunti per riportarlo a casa, mostrandolo come il trofeo della disfatta. Per alcuni attimi desiderò che il fondo del tender si aprisse lasciandolo precipitare negli abissi, raggiungendo la sua amata Blue spirit.
Quei ricordi svanirono con la stessa rapidità con cui erano sopraggiunti mostrando a Julien i contorni della persona che continuava a parlare anche se lui, immerso in quei pensieri, non l’aveva neppure ascoltata.
«Se non c’è altro potrà prendere servizio già domani» concluse l’uomo chiudendo la cartelletta che conteneva la domanda di assunzione del ragazzo che aveva di fronte. Per tutto il tempo del colloquio gli era parso alquanto a disagio su quella poltrona, come se fosse seduto su un braciere ardente. Se avesse potuto seguire il suo istinto lo avrebbe liquidato velocemente con un secco le faremo sapere, ma al momento non abbiamo nessun lavoro da offrirle,
ma non lo poteva fare. Non dopo l’incontro con la direttrice della fondazione che pochi giorni prima, consegnandogli quella domanda di impiego, gli aveva caldeggiato di assumere quella persona; una richiesta tanto insolita che l’aveva costretto a chiederne conferma una seconda volta.
«Signora Duval vuole che lo assuma davvero?» chiese Horace scorgendo il breve curriculum che aveva sotto gli occhi. Dopo aver letto quelle scarne informazioni la sua attenzione si era spostata sulla fotografia in alto alla destra del foglio. Era soprattutto l’espressione del suo volto a impensierirlo: una maschera severa che né gli occhi di un profondo color azzurro al confine del grigio, né le labbra piene che sovrastavano una fossetta appena visibile riuscivano ad addolcire.
Di curriculum, come responsabile del personale della Contea di Knox, ne aveva visti a decine, ma quello indubbiamente era diverso dai precedenti per via delle poche informazioni e la poca esperienza riassunta in quelle poche righe. Per essere assunti erano necessarie competenze particolari e attitudini che in quella paginetta non trovava affatto.
«Se non mi sbaglio, mio caro Horace, abbiamo diversi posti vacanti. Julien si troverà benissimo qui» disse la direttrice annuendo vistosamente, quasi a voler rassicurare l’uomo per quella scelta.
«Mi permette un appunto?» replicò posando il curriculum sul piano della scrivania. «È la prima volta da quando la conosco che mi chiede espressamente di perorare un’assunzione e lo trovo molto insolito.»
«Ha ragione. Questo atteggiamento è alieno alle mie abitudini, ma si fidi di me» si limitò a rispondere la donna che con la sua mole massiccia riusciva a incutere un certo timore anche quando la sua voce si faceva pacata.
«Dovrò farlo per forza» sospirò l’uomo, tornando a sedersi alla sua scrivania non certo rassicurato da quella risposta.
Il ricordo di quell’incontro si spense rapidamente e Horace si ritrovò a fissare il volto del candidato che aveva accolto la notizia della sua assunzione limitandosi a un semplice cenno del capo.
«La ringrazio signor Norton. Di cosa mi occuperò nello specifico?» chiese Julien rialzandosi.
«Domani lo saprà, non tema» rispose Horace sfoggiando un sorrisetto ironico che s’infranse sull’espressione inespressiva dell’altro.
«Si tenga pure il suo segreto… aspetterò fino domani» rispose questi uscendo dall’ufficio.
«Simpatico, non c’è che dire» sbuffò Horace grattandosi il capo. «E anche la direttrice è accontentata» borbottò voltandosi verso la finestra che aveva alle spalle per osservare il mare che si estendeva calmo davanti ai suoi occhi. Era un paesaggio che amava e aveva imparato a conoscere fin da piccolo. Quella piccola Contea che prendeva il nome da un generale della guerra civile americana che vi soggiornò per alcuni anni era la sua casa da qualche tempo, dopo che ebbe deciso di lasciare il suo paese natale, Owls Head, per la più caotica Rockland che della Contea era il capoluogo. Certo, qualsiasi posto sarebbe stato più vitale e dinamico di quel villaggio di poco più di mille abitanti, ma a lui in fondo piaceva e lo aveva abbandonato a malincuore.
Si accese una sigaretta ispirandone l’aroma mentre una parte di sé cercava ancora di capire perché il suo superiore era stato così determinato nell’imporgli quella scelta, ritrovandosi a supporre non poche ipotesi, alcune delle quali alquanto imbarazzanti. Che tra i due vi fosse qualcosa di più di una semplice conoscenza?
Ruotò la poltrona di nuovo verso la scrivania riprendendo il curriculum. Ne rilesse il nome: Julien Garreth. Aveva da poco compiuto ventitré anni e, nonostante lo trovasse piacevole e di bell’aspetto, quel suo ostinato riserbo non lo classificava affatto come un possibile partner di quella donna di mezza età da sempre conosciuta come