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Avventura thailandese (eLit): eLit
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E-book142 pagine1 ora

Avventura thailandese (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Una valigia per... la Thailandia - No, non si può esplorare la foresta selvaggia della Thailandia e parlare con la gente locale senza l'aiuto di una guida esperta, ma Sunday sperava di essere più fortunata! Quello scorbutico di Simon, infatti, la guarda male fin dal primo istante solo perché non si aspettava di trovarsi una donna fra i piedi. E per tutta risposta lei rimane talmente affascinata dal suo corpo atletico che, al momento di prendere accordi precisi, non si ribella nemmeno quando lui...
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2016
ISBN9788858956601
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    Anteprima del libro

    Avventura thailandese (eLit) - Suzanne Simms

    successivo.

    1

    Era apparsa dal nulla, splendida, dalla massa di capelli rossi fino ai piedi, che calzavano un paio di costosi sandali italiani.

    Indossava pantaloni e una blusa di seta rosa, e un paio di occhiali da sole le nascondevano gli occhi.

    Il prezzo di quegli occhiali era sicuramente di gran lunga maggiore del guadagno annuo di un lavoratore thailandese, pensò Simon Hazard, mentre si appoggiava allo schienale della sua sedia in vimini.

    Aveva gambe lunghe e snelle, e tutti gli avventori del Celestial Palace la stavano guardando. Non capitava tutti i giorni che un'amazzone dai capelli del color del tramonto entrasse in un bar di second'ordine di Bangkok.

    Simon scosse la testa, si portò alle labbra il boccale di birra, e bevve un sorso, chiedendosi cosa ci facesse una donna del genere in un simile locale. Non erano affari suoi, dopo tutto. Lui era lì per incontrare un cliente. Niente di più. E niente di meno.

    Si tolse il berretto con l'insegna della Marina Militare, ricordo degli anni trascorsi al servizio della patria a bordo di un sommergibile nucleare, e bevve ancora. Si trattava di una birra locale, scura e forte, servita a temperatura ambiente. Sfortunatamente, era la stagione calda in quella parte del mondo, e il bar era surriscaldato come una sauna.

    Una birra gelata per rinfrescare un pomeriggio d'estate, ecco una delle cose di cui sentiva davvero la mancanza, rifletté Simon mentre si guardava intorno.

    Un trio di rumorosi marinai era seduto accanto al bancone. Due tipi dall'aria sospetta avevano preso posto a un tavolo lì accanto, e discutevano animatamente in una lingua che Simon non riconobbe. Non era un dialetto thailandese, e certamente non era inglese, che pure era molto diffuso in quella terra una volta conosciuta col nome di Siam.

    Ragazze di ogni taglia e statura, con indosso vestiti quasi inesistenti, si affaccendavano per i tavoli con i loro vassoi. Un vecchio juke-box in un angolo ripeteva ormai da tempo lo stesso pezzo di Elvis Presley.

    Simon fissò il boccale davanti a sé. Forse, il re del rock and roll era ancora vivo e vegeto, come proclamavano alcune riviste scandalistiche.

    O forse, lui stava per perdere quello che gli rimaneva del suo senno.

    Doveva essere così. Eccolo lì, seduto in un bar di una città conosciuta per il sesso e il peccato, con una pistola automatica infilata nella cintura dei pantaloni, e un pugnale decisamente affilato nel gambale dello stivale destro, mentre attendeva l'arrivo di un pazzo che aveva deciso di visitare la zona montuosa compresa fra la Thailandia e Myanmar, che una volta era chiamata Burma.

    Simon bevve ancora la sua birra tiepida, chiedendosi se il vero pazzo era poi il cliente, il misterioso signor Harrington, o lui stesso.

    «Che cosa diavolo ci fai qui, dall'altra parte del mondo?» borbottò fra sé.

    Simon conosceva bene la risposta a quella domanda. Era lì per lavoro. Per un'adeguata ricompensa, conduceva i turisti con la sua Range Rover in qualsiasi luogo della Thailandia volessero visitare.

    Anche se quella non era sempre stata la sua occupazione.

    Circa un anno prima, una mattina Simon Hazard si era svegliato nel suo splendido appartamento a Minneapolis, e aveva capito che, occupato com'era con i suoi affari, non aveva più il tempo di godersi la vita. Non ricordava neanche se e come aveva festeggiato il suo trentunesimo compleanno.

    Così, messe poche cose in una valigia, era partito alla ricerca di se stesso, come dicevano gli psicologi. Aveva scelto come meta la Thailandia, dove aveva trascorso quasi dodici mesi peregrinando da un monastero buddista a un altro. Era diventato amico delle tribù che vivevano al nord, sulle colline, aveva dormito in una capanna di fronde, mangiato cibi cotti sul fuoco alimentato da grasso di bufalo essiccato, e imparato a usare il machete con la stessa abilità di un indigeno.

    E ora parlava la lingua locale e anche alcuni dialetti, conosceva i costumi e le usanze del posto, e stava iniziando a capire la gente. Sapeva difendersi dai coccodrilli, dalle imboscate dei banditi e dagli attacchi mortali del cobra. Aveva imparato che era una grave offesa puntare il dito contro qualcuno, e si era cimentato nei passatempi locali, cioè il gioco d'azzardo, e le scommesse.

    Aveva scoperto in Thailandia un luogo dai ritmi semplici, dove la gente non era cambiata con il trascorrere dei secoli.

    Aveva trovato se stesso.

    «Deve essere l'alcol che mi spinge a riflettere» sospirò, guardando il suo boccale.

    Qualcuno gli tirò insistentemente una manica. «Capo, capo, vuoi un'altra birra?»

    Simon girò la testa. Un ragazzo di otto o nove anni era in piedi accanto a lui.

    Non voleva bere ancora, tuttavia qualcosa in quel ragazzo lo colpì, qualcosa nei suoi occhi. «Certo» disse, lanciandogli una moneta. «E tieni il resto.»

    Un sorriso illuminò il piccolo viso. «Grazie, capo. La birra arriva subito.»

    Forse la più difficile lezione che aveva dovuto imparare era che non poteva aiutare tutti i ragazzi che vivevano per le strade. Così, faceva quello che poteva, quando gliene capitava la possibilità.

    «Che non è molto, vero, Hazard?» chiese a se stesso, mentre il ragazzo posava un traboccante boccale sul tavolo, e si allontanava felice con la sua nuova ricchezza.

    Non poteva far nulla per quel ragazzo, ma poteva, e avrebbe fatto qualcosa per la donna.

    Simon guardò la rossa mentre si avvicinava al barista. C'era qualcosa di molto familiare in lei, come se l'avesse già vista prima.

    Si rese conto che la stava fissando. E perché no? Tutti gli avventori del Celestial Palace lo stavano facendo. Non che la cosa, apparentemente, la disturbasse. Lei sembrava non prestare alcuna attenzione agli sguardi e ai mormorii. Era una donna, pensò Simon, abituata a essere ammirata.

    La rossa si tolse gli occhiali, e guardò il barista. «Forse può aiutarmi» disse a voce alta. «Sto cercando qualcuno.»

    L'uomo rispose in un inglese stentato. «Cerca chi, signora?»

    Lei si poggiò al banco, e spiegò qualcosa che Simon non riuscì a sentire.

    Il barista indicò il suo tavolo.

    Lei si girò. Senza gli occhiali scuri, Simon fu in grado di vederla per la prima volta chiaramente in volto. Era bella, ma non si trattava di una bellezza classica. Era troppo alta. I capelli erano troppo rossi. Gli occhi troppo verdi. Gli zigomi troppo prominenti. Il naso troppo aristocratico. E la bocca quasi troppo perfetta.

    L'aveva già vista.

    Il suo sguardo scivolò sulle spalle sottili, sul seno generoso, sulla vita stretta e su quelle gambe lunghissime.

    L'aveva già vista. Avrebbe potuto scommetterci.

    La donna si fermò davanti a lui. «È lei Simon Hazard?»

    «E se lo fossi?»

    «Credo che noi abbiamo un appuntamento, signor Hazard.»

    «Un appuntamento?»

    «Alle tre precise del pomeriggio.»

    «Sono già le tre?»

    «Tre e cinque, per l'esattezza» replicò lei, dopo aver consultato l'orologio d'oro che portava al polso.

    «Il tempo vola quando ci si diverte.»

    La donna ignorò il commento. «È lei Simon Hazard?» ripeté.

    «L'unico e il solo.»

    A quel punto, gli tese la mano. Simon si chiese se avrebbe dovuto stringerla, o baciarla. «Io sono Sunday Harrington» lo informò.

    «Sunday Harrington?» Il nome gli ricordava qualcosa. Simon osservò le iniziali impresse sulla borsa che lei portava a tracolla, una esse e una acca intrecciate. E ricordò. «S. Harrington sarebbe Sunday Harrington» bofonchiò.

    «Brillante deduzione.»

    «Credevo che si trattasse di Sydney, o Sheldon, o Stanley.»

    «Evidentemente, si sbagliava.»

    Simon socchiuse gli occhi. «Lei non è un uomo.»

    «Non sono un uomo. Dovrebbe essere ovvio persino per lei.»

    E lo era.

    «Lei è il mio cliente.»

    «Sono il suo cliente.»

    Diavolo, era lei il suo cliente.

    E così, ricordò di aver letto qualcosa, diversi anni prima, qualcosa su una modella di successo che vestiva solo di rosso, o di viola, o di rosa, a dispetto del colore dei suoi capelli.

    Aveva visto quella donna in una delle più famose foto di copertina di tutti i tempi, le parti essenziali del suo corpo nascoste solo da tre piccoli triangoli di seta viola che lasciavano ben poco all'immaginazione...

    Aveva commesso un errore. Un grande errore. Un terribile errore.

    «Deve esserci stato uno sbaglio» affermò Sunday.

    Un sorriso divertito apparve sulle labbra di lui. «Può dirlo forte.»

    «Ma lei è...» Era troppo educata, pensò Sunday, per definirlo un cowboy e un potenziale ubriacone. «... è americano» si limitò a dire.

    Simon sorrise ancora. «Nato e cresciuto nel cuore degli Stati Uniti, a Minneapolis, Minnesota.»

    «Lei non è thailandese.»

    «Questo mi sembra ovvio persino per lei.»

    «Io credevo che lei lo fosse.»

    «Evidentemente, si sbagliava.»

    «Pensavo che la mia segretaria fosse stata abbastanza chiara» replicò Sunday. «Io volevo qualcuno che parlasse la lingua e conoscesse bene questa terra. Quello che io voglio, signor Hazard, è il migliore.»

    «Signora, quello che lei ha davanti in questo momento è il migliore.»

    Quello che aveva davanti, pensò Sunday, era un problema. E anche un grosso problema. Infatti Simon Hazard, pur essendo seduto, sembrava molto alto, aveva le spalle larghe,

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