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La scommessa del marchese
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La scommessa del marchese
E-book259 pagine3 ore

La scommessa del marchese

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815.
Annoiato dalla vita mondana a cui è costretto a partecipare nell'eventualità di sistemarsi e convinto che le nobildonne inglesi siano superficiali e vuote, durante lo svolgimento della fiera di Pottersdown il Marchese di Whitemore scommette con la sorella e il cognato che riuscirà a trasformare la zingara che gli ha letto la mano pochi minuti prima in una debuttante beneducata e di successo in sole sei settimane.
Lina, questo il nome della ragazza, messa al corrente della scommessa, accetta di trasferirsi a Whitemore House e di partecipare all'esperimento di Alex. Qui, tra lezioni di danza e romantiche passeggiate a cavallo, Lina e Alex scoprono di avere in comune molto più di quanto pensassero.
Ma il passato di Lina non è così lontano come sembra e irrompe bruscamente in un sogno che si stava per trasformare in realtà.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2018
ISBN9788858982822
La scommessa del marchese
Autore

Laura Martin

Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.

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    La scommessa del marchese - Laura Martin

    successivo.

    1

    Lina si abbassò sotto il braccio proteso dello zio e poi fece un balzo indietro.

    Di solito lui non era abbastanza svelto, ma quel giorno doveva essersi astenuto dall'alcol che spesso gli offuscava la mente e rallentava i suoi movimenti, e riuscì ad afferrarla per un braccio.

    «Una settimana, Lina» le sibilò. «Voglio il mio denaro tra una settimana.»

    «Ti darò il tuo denaro.» Lei si divincolò, ma le dita dello zio la stringevano con troppa forza.

    «Mi pagherai, in un modo o nell'altro, non dubitarne.» L'uomo la lasciò andare, ma, prima che lei potesse scappare a una distanza di sicurezza, l'afferrò di nuovo per il polso e le diede una rude stretta d'avvertimento.

    Sentendo il dolore che aumentava, in Lina crebbe un senso di panico. Poi, improvvisamente come l'aveva bloccata, lo zio Tom se ne andò.

    Non aveva scelta, in qualche modo avrebbe dovuto trovare il denaro che gli doveva, anche se non sapeva come. Lo zio era sempre stato un uomo sgradevole e sospettoso, ma non l'aveva mai minacciata come aveva fatto quel giorno.

    Lina si affrettò nella direzione contraria, prima che lui cambiasse idea e decidesse di recuperare il suo credito all'istante.

    Non per la prima volta maledisse la propria impulsività, quel lato del suo carattere che le rendeva quasi impossibile tirarsi indietro davanti a una sfida. Se solo fosse stata un po' più cauta, pensò, ora non si sarebbe trovata in un simile guaio.

    «Tom ti sta dando di nuovo fastidio?» le chiese Raul, mentre lo superava.

    «Niente che non possa gestire» mentì Lina, lanciando al fratello un sorriso luminoso e allontanandosi in fretta. Raul era all'oscuro del suo debito con lo zio, così come dell'avventata scommessa che l'aveva precipitata in quella situazione. L'aveva salvata troppe volte dalla propria follia, stavolta voleva trovare una soluzione senza che suo fratello dovesse trovare il modo di aggiustare le cose.

    Denaro. Aveva bisogno di denaro. Una settimana non era un tempo sufficiente per racimolare dieci sterline. Dieci sterline! Ma cosa aveva pensato? Era più denaro di quanto ne avesse mai visto in vita sua, e tuttavia aveva pronunciato la cifra come se si fosse trattato di un paio di scellini. Quando erano passati per il campo pieno di cavalli selvaggi era stata così sicura che sarebbe riuscita a calmare e montare uno di quei magnifici animali! Tutto quello che avrebbe dovuto fare era cavalcarlo per la lunghezza del campo, e poi dieci sterline sarebbero state sue.

    Dieci sterline le avrebbero permesso una nuova vita, fresche opportunità, la possibilità di fare qualcosa che voleva realmente, tanto per cambiare.

    «Dammi una mano, Lina» la esortò Sabina mentre lei si destreggiava tra la folla.

    L'intera famiglia stava lavorando alla fiera di Pottersdown. Alcuni tra gli uomini più anziani, come lo zio Tom, erano impegnati ad affilare i loro strumenti e a disporre gli articoli di legno intagliato che speravano di vendere. Le donne anziane avevano sistemato un tavolo traballante con sopra ciotole di marmellate, dolci e altri manicaretti stuzzicanti. Raul e gli uomini più giovani avevano iniziato a pizzicare i loro strumenti, suonando una musica vivace al ritmo della quale gli abitanti del villaggio potessero ballare. Sabina, con il suo ampio sorriso e le ciglia sventolanti, stava facendo un gran lavoro attirando i giovanotti e le donne di Pottersdown a rivolgere uno sguardo all'occulto, per scoprire cosa il futuro avesse in serbo per loro.

    «Stavo per andare a ballare» mentì Lina, sapendo che la cugina non le avrebbe creduto.

    «Bugiarda!» esclamò infatti Sabina. «Io ho una fila di dieci persone, prendine un paio per me.»

    «Non sono brava quanto te.»

    «Sciocchezze, tu capisci molto bene la gente.»

    Era vero. Il talento che non possedeva era la pazienza, ed era quella che serviva, dopo che la decima ragazza cinguettante minacciava di svenire all'idea di essere rapita da uno straniero alto e bruno.

    «Si guadagna di più che ballando» insistette Sabina.

    Lanciando un'occhiata verso lo zio Tom, che stava lucidando un tavolino meravigliosamente scolpito, Lina inalberò un sorriso per i clienti. Predire la fortuna non le avrebbe reso dieci sterline, ma era un inizio, finché non le fosse venuta un'idea più redditizia.

    Sabina guidò una ragazza dietro uno dei paraventi, lasciando Lina ad accogliere la cliente successiva, una donna di circa la sua età che indossava degli abiti talmente fini che lei dovette impedirsi di allungare una mano per toccare la seta pregiata.

    «Vi interessa conoscere il futuro, signorina?» le domandò.

    La giovane donna rise, gli occhi scintillanti di entusiasmo mentre tirava per la manica un gentiluomo che si trovava qualche passo indietro. «So esattamente cosa mi riserva il futuro» le rispose, «ma mi piacerebbe sentire cosa ha in serbo per il mio caro fratello.»

    Lina osservò il gentiluomo in questione girarsi lentamente, esaminarla dall'alto in basso e poi inarcare un sopracciglio con aria interrogativa verso la sorella.

    «Oh, per favore, Alex!» lo pregò lei. «È solo un piccolo gioco.»

    «È una stupidaggine» ribatté lui, facendo un passo per tornare alla conversazione cui stava prendendo parte prima che la sorella lo interrompesse.

    «Fallo per me.»

    Il gentiluomo emise un sospiro rassegnato e fece una smorfia. «Forza, allora. Impressionatemi con le vostre visioni

    A quel tono Lina si sentì friggere di indignazione, ma si esibì nel suo sorriso più mellifluo. «Da questa parte, signore.»

    Guidando i suoi nuovi clienti dietro uno dei paraventi, osservò l'uomo estrarre dalla giacca un pesante borsellino e porgerle la sua tariffa. Per un momento, udendo il tintinnio delle monete, mentre lui le rimetteva al loro posto, il suo battito cardiaco accelerò.

    Nonostante la cattiva reputazione di cui soffrivano gli zingari in Inghilterra e in tutta l'Europa, Lina non aveva mai rubato niente. Solo perché ci reputano dei ladri non significa che dobbiamo esserlo davvero, l'aveva ammonita molte volte sua madre. Pur esperta nel borseggio, un'abilità che Raul le aveva insegnato non molto dopo che aveva iniziato a camminare, Lina non aveva mai messo in pratica le proprie capacità.

    «Prima qualcosa riguardo al presente» cominciò, sogguardando il gentiluomo tra le lunghe ciglia. «Vorreste dirmi il vostro nome completo?»

    «Si suppone che dovreste già conoscerlo, visti i vostri poteri.»

    «Io predico il futuro, non indovino i nomi» gli fece notare Lina seccamente, sorridendo per addolcire il gelo nella sua voce.

    «Lord Whitemore.»

    Un gentiluomo titolato. Probabilmente il denaro in quel borsellino non sarebbe stata una grossa perdita, per lui. «Un uomo influente, Lord Whitemore» riprese Lina assumendo la morbida, ammaliante tonalità che ai clienti sembrava piacere tanto. «Un uomo carico di responsabilità. Avete una tenuta da gestire e una sorella di cui occuparvi.»

    «È brava» sussurrò la giovane donna.

    «Sciocchezze. Chiunque, con un briciolo di cervello, sa che un uomo titolato ha una tenuta da gestire, e tu hai gridato ai quattro venti che io sono tuo fratello.»

    «Vogliamo vedere cos'altro può scoprire il mio briciolo di cervello?» lo provocò Lina.

    Lord Whitemore grugnì, tornando a girarsi verso di lei, ma lasciando vagare gli occhi sul resto della fiera.

    «So già che avete un carattere impaziente e scontroso» dichiarò Lina suscitando una risata da parte della sorella dell'uomo. «Tuttavia penso si tratti di una facciata che usate per tenere le persone a distanza. C'è un cuore spezzato, nel vostro passato, una donna.» Fece una pausa, ma non riuscì a trattenersi. «Una donna innamorata del vostro atteggiamento caloroso e amichevole?»

    «Infatti» mormorò Lord Whitemore guardandola in faccia la prima volta.

    «Lei vi ha lasciato. Una moglie, forse?» Lina esaminò con attenzione la sua reazione. Il guizzo proprio sotto l'occhio sinistro le fornì la traccia. «No, una fiancée

    «Pensavo doveste predirmi il futuro.»

    «Il futuro è influenzato dal passato.»

    «Finiamola con questa faccenda» borbottò Lord Whitemore.

    «Voi siete annoiato.»

    «Come lo avete capito?»

    «Non mi riferisco a questo momento, ma alla vostra vita. Siete bloccato nella quotidianità e non trovate il modo di liberarvene.» Prendendogli la mano, Lina si esibì nel tracciare delle linee sul suo palmo, anche se per lei non avevano alcun significato. L'abilità nel predire il futuro consisteva nel comprendere le persone, interpretare le loro espressioni facciali e le reazioni, non nel leggere la mano. «Ci saranno presto dei cambiamenti, una grande avventura e un nuovo amore. Qualcuno che vi sfiderà.»

    «Vedi, Alex, c'è speranza.»

    Lo sguardo sferzante che Lord Whitemore indirizzò alla sorella non si attenuò neppure quando lui tornò a girarsi verso Lina. «È tutto?» domandò alzandosi.

    Con la coda dell'occhio Lina vide il contorno del portamonete sotto la giacca di lui e capì che presto l'occasione di saldare il debito le sarebbe sfuggita. Esitò, odiando la morsa che le stringeva lo stomaco, sapendo che, se l'avesse preso, non sarebbe più stata la stessa persona. Si alzò. «Dite ai vostri amici di venire a trovarci.» Fece un passo avanti e finse di inciampare nella radice esposta di un albero. Sbandando contro il corpo solido di Lord Whitemore, fece scivolare la mano sotto la sua giacca e chiuse le dita attorno alla pelle morbida del borsellino. Per un istante esitò, prima di ritirare la mano e battere sul petto dell'uomo con le dita aperte. «Scusate. Sono stata maldestra.»

    Gli occhi di Lord Whitemore incontrarono i suoi, e lei dovette distoglierli, rendendosi conto che lui aveva capito cosa aveva avuto intenzione di fare. Solo la confusione di lui nel ritrovare il borsellino ancora pieno e al posto giusto alleviò un po' il suo imbarazzo.

    «Il tuo problema è che sei annoiato, Whitemore» dichiarò Richard Pentworthy.

    Alex bevve una lunga sorsata del sidro locale, mentre i suoi occhi vagavano sulla gente presente alla fiera. Suo cognato aveva ragione, era annoiato. Aveva una buona vita, perfino facile, ma in cui non c'erano né eccitazione né sfida. Dopo aver ereditato, alla tenera età di diciannove anni, adesso poteva gestire la sua tenuta a occhi chiusi e con le mani legate dietro la schiena. La sua unica sorella era sposata, e le donne che civettavano con lui ai balli sembravano tutte incredibilmente noiose. Non riusciva a sopportare il pensiero di doverne scegliere una come moglie.

    No, l'unica cosa che gli faceva accelerare il polso, in quei giorni, era andare a una casa d'aste a fare offerte per un cavallo promettente o domare un puledro nervoso.

    «C'è di più, nella vita, oltre ai cavalli e alle corse» commentò Pentworthy.

    «Di cosa state parlando, voi due?» si intromise Giorgina.

    «Stavo osservando che tuo fratello è annoiato.»

    «E solo» rincarò lei.

    «Ha bisogno di una moglie.»

    «Di qualcuna che lo sfidi.» Giorgina strinse le labbra. «Che ne pensi di Annabelle Mottrem?»

    «Troppo tranquilla. E il suo naso è piuttosto grande» affermò Pentworthy. «Alex vorrà una donna che sia almeno passabilmente attraente. Che ne dici di Caroline Woods?»

    Georgina roteò gli occhi e batté sulla spalla del marito. «È aggressiva come un gatto arrabbiato.»

    «Graziosa, però.»

    Prima che la sorella potesse lanciarsi in una verbosa dissertazione, Alex sollevò una mano e li fermò. «Non ho bisogno di una donna. Né tanto meno che voi due facciate da sensali per me.»

    «Non hai fatto granché per conto tuo, in questi ultimi due anni» mormorò Georgina. «Noi vogliamo solo vederti felice. Da quando...»

    «No» la interruppe lui con asprezza. «Non pronunciare il suo nome.»

    La sorella sospirò. «Da quando lei ti ha lasciato non hai guardato un'altra donna seriamente.»

    Non era vero. Alex guardava. Sorrideva e danzava con le donne. Ascoltava i vuoti cinguettii delle debuttanti anno dopo anno e si chiedeva se fossero state educate a parlare solo del tempo, della moda e – se era particolarmente fortunato – dell'ultima opera cui avevano assistito.

    Forse era irragionevole volere di più, desiderare l'eccitazione e il divertimento, e quella scintilla di attrazione, ma era ciò che aveva provato con Victoria, e rifiutava di accontentarsi di qualcosa di meno. Vero, la loro relazione era terminata con un cuore spezzato, e lui non era sicuro di essersi del tutto ripreso, ma almeno lei l'aveva divertito e affascinato con il suo spirito vivace e le osservazioni acute.

    «E tu devi avere un erede...» proseguì sua sorella.

    «Preferibilmente che sia di intelligenza almeno media» mormorò Alex.

    «Rendi un cattivo servizio alle giovani debuttanti» lo rimproverò lei. «Fin dalla più giovane età a noi donne viene detto che gli uomini ci vogliono docili e obbedienti, senza forti opinioni in politica e altre faccende del genere. Se ti decidessi a conoscere meglio una o due di quelle giovani donne, penso che le troveresti profonde in modo sorprendente.»

    «Non sono sicuro di desiderare una moglie che creda che per piacere a un uomo debba confondersi con la folla.»

    «Non sono sicuro che tu voglia una moglie, Whitemore» pronunciò il cognato con calma.

    I tre tacquero, mentre contemplavano la veridicità di quelle parole. Alex vide la sorella aprire la bocca e comprese di dover dire qualcosa – qualunque cosa – per impedirle di proseguire con le sue osservazioni. A volte riusciva a essere troppo acuta, e le pecche del suo carattere avevano ricevuto sufficienti punizioni verbali, per quel giorno.

    «Tutto quello che sto dicendo è che potrei prendere una donna qui, oggi, e trasformarla in una debuttante perfetta. Non le servirebbero che pochi vestiti alla moda, buone maniere, alcune conoscenze superficiali di banali argomenti di conversazione... e me come suo patrocinatore, è ovvio.»

    Georgina sospirò e roteò gli occhi. «Ti ho mai detto che sei arrogante e insopportabile?»

    «Una volta o due.»

    Pentworthy sollevò una mano. «Aspetta, aspetta. Ho un'idea. Facciamo una scommessa.»

    Alex notò l'eccitazione brillare negli occhi della sorella e si girò a disagio verso suo cognato.

    «Whitemore, ti diamo sei settimane per trasformare una di queste ragazze di campagna in una debuttante perfetta. Il primo ballo della prossima Stagione londinese si terrà in quel periodo. Quella sarà la prova. Se la ragazza avrà successo, se avrà un carnet di ballo pieno e non farà niente di scandaloso, allora avrai vinto la scommessa.»

    «Qual è la posta?» domandò Alex. Sapeva che avrebbe dovuto rifiutare all'istante, ma non era mai stato capace di resistere a una sfida.

    «Se vinci, Georgina e io non menzioneremo più il matrimonio né tenteremo di trovarti una moglie.»

    Alex sentiva già il sorriso allargarsi sulle labbra.

    «E se perdesse?» chiese Georgina.

    «Allora dovrà pensare seriamente a sposarsi.»

    Alex agitò una mano in modo sprezzante. Certo, la posta era alta, ma lui non aveva l'abitudine di perdere e non intendeva iniziare adesso. Quanto poteva essere difficile? La maggior parte delle giovani donne che partecipavano alla fiera di Pottersdown erano figlie di gentiluomini di campagna. Anche se avesse avuto sfortuna e la prescelta fosse stata una domestica o una commessa di negozio, sei settimane erano un periodo piuttosto lungo. Era sicuro di poter insegnare a chiunque di loro l'etichetta di base per un ballo.

    «Chi sceglie la ragazza?» chiese.

    «Ci affideremo al caso» rispose il cognato. «Una volta che ci saremo stretti le mani, la prima donna nubile di età adatta che ci passerà davanti sarà la prescelta.»

    «E se non accettasse?»

    «Questo fa parte della scommessa, mio caro amico.» Pentworthy sogghignò. «Dovrai persuaderla.»

    «E non ti sarà permesso pagarla» si affrettò ad aggiungere Georgina.

    Alex annuì piano. Esisteva la possibilità che la ragazza, o la sua famiglia, rifiutassero seccamente di partecipare a quella scommessa, ma lui era affascinante ed eloquente, e di rado falliva nel cercare di persuadere le persone a fare qualcosa. Inoltre, quale giovane donna non avrebbe desiderato indossare dei bei vestiti ed essere accompagnata a balli sontuosi?

    «Accetto» dichiarò, tendendo la mano e reprimendo un sorriso mentre sua sorella gridava deliziata. Strinse la mano di Pentworthy, poi, lentamente, tutti e tre si girarono per guardare chi sarebbe stata la giovane donna che avrebbe attraversato la loro strada.

    Per prima cosa Alex notò la gonna colorata e, mentre il suo cuore sprofondava, sollevò lentamente lo sguardo per avere conferma ai suoi timori. Di fianco a lui, Georgina rideva in modo molto inappropriato per una signora. Anche suo cognato stava ridacchiando piano.

    «Vuoi rinunciare?» lo provocò Pentworthy.

    Alex scosse il capo, ma anche lui si rendeva conto che sarebbe stato problematico trasformare una graziosa ragazza zingara in una dama dell'aristocrazia. Gli zingari avevano una brutta reputazione, perlopiù infondata, ma lui era certo che la giovane donna che avanzava verso di loro sarebbe stata più a suo agio danzando attorno a un falò che a un ballo in società.

    2

    Lina esaminò con sospetto il gentiluomo che le stava di fronte. «Cosa volete che faccia?»

    Lui sospirò. Poi, prima di ricominciare a spiegare, lanciò un'occhiata verso la sorella e un uomo che sedevano poco distante, trattenendo a fatica l'ilarità.

    «Il mio nome è Lord Whitemore» riprese lui.

    «Sì, lo so. Ho capito questa parte» ribatté Lina aggiungendo sottovoce: «Sono confusa, non stupida».

    «La donna seduta laggiù è mia sorella. L'uomo con lei è suo marito. Il loro scopo nella vita sembra essere vedermi sistemato con una moglie e un mucchio di bambini.»

    «Adorabile!» Lina fece una smorfia. «Comunque non riesco a capire come questo mi riguardi.»

    «Ho fatto una scommessa con mia sorella e mio cognato, che, spero, in futuro li farà desistere dall'impicciarsi dei miei affari di cuore. Voi siete la scommessa.»

    Da quando, da ragazzetta allampanata si era trasformata in una graziosa, giovane donna, Lina aveva ricevuto molte proposte indecenti sia dagli uomini con cui viaggiava sia dai clienti con cui civettava alle fiere. Trovava che il sistema migliore di gestire certe situazioni fosse esibire un dolce sorriso, sferrare una ginocchiata alle loro parti basse e poi darsi a una rapida fuga. Aveva appena eseguito la parte del dolce sorriso quando Lord Whitemore strinse gli occhi e arretrò.

    «Non in quel modo» chiarì. «Buon Dio, che genere di uomo pensate che sia?»

    «Ci siamo frequentati per meno di cinque minuti. Non ho idea di che genere di uomo siate, Lord Whitemore. Ora, se volete scusarmi, ho del lavoro da fare.»

    Si mosse rapida, fendendo la calca senza guardarsi indietro finché non fu

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