Cuori in battaglia: Harmony Collezione
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Sharon Kendrick
Autrice inglese, ama le giornate simili ai romanzi che scrive, cioè ricche di colpi di scena.
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Anteprima del libro
Cuori in battaglia - Sharon Kendrick
successivo.
1
Dominic Dashwood varcò l'elaborato cancello in ferro battuto che consentiva l'accesso all'esclusivo villaggio residenziale di St. Fiacre's Hill guidando un po' più velocemente di quanto fosse necessario. Se avesse seguito il proprio istinto, avrebbe pigiato l'acceleratore al massimo, pensò con un vago sorriso che aggiunse al suo volto dall'espressione un po' troppo seria quel fascino irresistibile cui nessuna donna poteva sottrarsi.
Accentuando quel sorriso, decise che, in fondo, poteva concedersi quella soddisfazione e sfrecciò come un fulmine lungo il viale. In quel momento si sarebbe voluto trovare in un circuito di Formula Uno per poter spingere la sua Aston Martin alla massima velocità possibile. Anche a rischio della vita.
Le automobili e la velocità erano le sue più grandi passioni e molte donne glielo avevano rinfacciato.
«Ami quella tua dannata macchina più di quanto ami me!» lo aveva accusato una volta una delle sue numerose conquiste. E lui non aveva potuto obiettare, poiché era la verità. Del resto, non gli interessava più di tanto: le sue erano solo avventure passeggere, che non lasciavano traccia nel suo cuore. Era talmente poco coinvolto che gli era capitato di chiedersi se fosse privo di sentimenti o se il suo cuore si fosse inaridito al punto da restare totalmente indifferente a qualsiasi emozione.
Sai benissimo qual è la verità, si disse stringendo convulsamente il volante, con la stessa intensità con la quale avrebbe stretto il corpo di una donna. Ma non di qualsiasi donna. E un impeto di desiderio lo sopraffece mentre affrontava la curva di fianco alla club house.
Proprio in quel momento, dall'elegante edificio stava uscendo una ragazza in tenuta da tennis. Vedendo l'auto si fermò e scrutò con attenzione il guidatore dell'Aston Martin. Quando lo riconobbe, sfoderò un sorriso ammaliatore, ma Dominic distolse lo sguardo, perfettamente conscio del fatto che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto averla senza troppa fatica.
Il suo fascino, così evidente, così conclamato, era una nota costante della sua vita e gli aveva consentito un numero infinito di conquiste.
Per qualche anno, doveva confessarlo, si era molto divertito, poi però la totale sottomissione delle donne che gli cadevano fra le braccia lo aveva annoiato, e ora desiderava avere al suo fianco una compagna vera, stimolante, capace di provocarlo con la sua sola presenza.
Sfortunatamente, quella con cui aveva appuntamento mezz'ora più tardi non poteva essere la donna che cercava, anche se ancora una volta il solo pensarla lo faceva fremere e gli faceva sentire di nuovo il sangue scorrergli nelle vene.
Romy Salisbury, infatti, era una donna che lui disprezzava profondamente.
Era una sirena ammaliatrice, che usava il proprio fascino in maniera indiscriminata. Aveva rovinato la vita di un uomo, Dominic ne era certo, e, anche se faceva fatica ad ammetterlo, lui stesso ne era stato ossessionato a lungo.
Ma adesso le cose erano cambiate, pensò pregustando ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco, e un sorriso simile a un ghigno gli alterò per un attimo i lineamenti perfetti: quella strega avrebbe pagato per il male che aveva fatto.
Aveva aspettato cinque anni, ma ora era arrivato il momento di pareggiare i conti con l'affascinante signorina Salisbury.
Romy si accorse troppo tardi di aver superato l'ingresso di St. Fiacre's Hill e borbottò un'imprecazione a mezza voce.
Il cancello era mimetizzato talmente bene che si chiese come facessero a trovarlo coloro che ci abitavano.
Tuttavia non si sarebbe dovuta stupire: la privacy non aveva prezzo e i ricchi proprietari delle ville di St. Fiacre pagavano delle autentiche fortune per poter vivere in un luogo così bello e così discreto, inaccessibile a turisti, fotografi e curiosi.
Appena possibile, invertì la marcia, e poco dopo la sua piccola utilitaria nera si fermò davanti all'elegante cancello dai fregi dorati.
Per l'ennesima volta, Romy ringraziò la sua buona stella: gli affari stavano andando molto bene e i guadagni superavano le sue più rosee previsioni. Ogni lavoro veniva seguito con cura, e la sua piccola società, Top Class, stava diventando sempre più importante.
Prima di proseguire oltre quella barriera in ferro battuto che isolava gli abitanti di quel mondo dorato, si concesse un momento di pausa e si osservò con aria critica nello specchietto retrovisore. Non male, disse a se stessa mentre strizzava gli occhi accuratamente truccati per difendersi da un raggio di sole.
I suoi folti capelli neri erano pettinati all'ultima moda e il taglio valorizzava i lineamenti perfetti del suo viso. Indossava un tailleur pantalone di lino color crema sopra un semplice top in seta bianca che faceva risaltare il bruno profondo dei suoi occhi, e appariva esattamente quello che voleva apparire: professionale, efficiente, pronta ad affrontare e superare qualunque cosa.
O qualunque persona, ricordò a se stessa mentre premeva uno dei pulsanti del citofono, contrassegnato da un numero.
I battenti del cancello si aprirono e lei s'inoltrò lungo la strada d'accesso. Era la sua prima visita a St. Fiacre's Hill e si rese subito conto che quel luogo trasudava denaro da ogni angolo. La collina dei miliardari, come era stata ribattezzata dalla stampa inglese, meritava davvero il suo nome.
Percorrendo lentamente i viali curatissimi della proprietà Romy intuiva, più che vedere, l'eleganza discreta delle ville seminascoste dalla folta vegetazione.
Alcuni grandi cartelli avvisavano di stare attenti ai cani e lei si augurò di non imbattersi in una bestia ringhiante mentre seguiva le indicazioni che la segretaria le aveva scritto: a destra, avanti mezzo chilometro, la terza casa dopo la grande quercia vicino al lago.
Quando fu certa di essere arrivata al posto giusto, sentì un brivido di paura attraversarle il corpo, lo stesso contro il quale aveva cercato di combattere per settimane.
Non essere stupida, disse a se stessa, è solo un lavoro come un altro, un lavoro che puoi fare a occhi chiusi!
Ma non era solo una questione di lavoro. Anzi, a dire la verità, la questione lavoro era diventata di secondaria importanza. Nessuno sapeva, neppure la sua segretaria, quanto Romy stesse rischiando accettando quell'incarico: avrebbe rivisto Dominic dopo cinque lunghi anni che le erano sembrati un'eternità.
E quella volta intendeva esorcizzare per sempre i fantasmi del passato.
Parcheggiò davanti alla villa, di fianco a un'Aston Martin verde scuro che le fece pensare a un felino acquattato davanti alla preda, pronto a scattare. Dunque, lui era in casa...
E la stava aspettando...
Soffocando un singulto, Romy prese la sua piccola, elegante ventiquattrore e scese dall'auto, sperando che quel senso di disagio che la soffocava si dissolvesse in fretta.
Non fece in tempo a sollevare la mano per suonare il campanello che la porta si aprì improvvisamente: davanti a lei stava l'uomo il cui viso l'aveva tormentata per tutto quel tempo, Dominic Dashwood.
Esaltazione e disperazione: due sensazioni contrastanti si susseguirono nel suo animo quando si rese conto che il tempo e la maturità non avevano fatto altro che aumentare il suo già notevole fascino. Era sempre stato un bellissimo uomo, ma ora la quieta consapevolezza del successo raggiunto lo rendeva assolutamente irresistibile.
Chiamando a raccolta tutta la sua esperienza e anni di pratica nel fronteggiare tutte le situazioni, Romy sfoderò un'espressione cortese e al tempo stesso impassibile, come se si trovasse di fronte a un cliente qualsiasi.
«Salve» l'accolse lui in modo impersonale.
«S... salve» riuscì a balbettare, sentendosi come una sedicenne al suo primo appuntamento. La sua supposta sicurezza si sgretolò immediatamente. Perché aveva accettato quel lavoro?, si chiese disperata. Era così stupida da considerarsi immune dal suo fascino? Dopo tutto quello che era accaduto tra loro?
E adesso che cosa avrebbe fatto? Fingere di non averlo riconosciuto? Cercò di intuire il comportamento che lui avrebbe tenuto, e vide che non aveva mutato espressione. Dunque non l'ave va riconosciuta, oppure faceva finta. Bene, si sarebbe adeguata.
«Romy Salisbury» disse con quella sua voce sensuale che aveva ancora il potere di farle scorrere più velocemente il sangue nelle vene, mentre i profondi occhi grigi la scrutavano freddamente. E non era una domanda.
Lei aspettò, ma Dominic non aggiunse altro, lasciandola a scervellarsi sul perché l'avesse convocata lì.
Poteva essere una semplice coincidenza: Romy possedeva una società di catering ed era famosa per la classe con la quale organizzava splendide feste. Era sicuramente la migliore nel suo campo e, forse, il motivo dell'appuntamento era solo quello. E il fatto che lui non la riconoscesse in fondo poteva essere solo un bene. Dopotutto, cinque anni sono molti.
Nel suo intimo, però, Romy non s'illudeva che fosse così: uomini come Dominic Dashwood non consentono a coincidenze casuali di indirizzare le loro vite.
«Esatto» rispose con un sorriso di circostanza, conformandosi all'impostazione che lui stava dando al loro incontro: gentile, ma distaccato.
Molto distaccato.
Poi continuò, simulando a fatica una disinvoltura che non provava: «Devo dedurre che lei sia la Società Austen. Come devo chiamarla?» chiese, riflettendo che, pur presentandosi con quella denominazione per fissare il loro appuntamento, non era riuscito a mantenere segreta la sua identità, come presumeva fosse nelle sue intenzioni. «Austen, o Società?»
L'uomo cercò, senza riuscirci, di trattenere un sorriso. Sicuramente si stava chiedendo che tipo di gioco lei stesse facendo, e se davvero non lo avesse riconosciuto. Poi tese la mano per stringere la sua e disse: «Può chiamarmi Dominic. Oppure Dashwood, se preferisce».
La fissò quasi con sfacciataggine per captare la sua reazione e quello convinse Romy a mantenere la propria espressione distaccata.
«Dominic andrà benissimo» decise. «Perché mai dovrei chiamarla Dashwood?»
Quella volta l'uomo sorrise apertamente, ma Romy colse un guizzo di disappunto nel suo sguardo: aveva davvero creduto di non essere stato riconosciuto?
«Chiamare gli uomini con il loro cognome è la moda del momento, tra le donne» spiegò, senza darsi la pena di mascherare un tocco di ironia. «Forse perché ricorda loro i tempi della scuola, oppure perché fa provare un senso di superiorità nei confronti