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Giava, l'isola dell'amore (eLit): eLit
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E-book156 pagine2 ore

Giava, l'isola dell'amore (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Una valigia per... Giava - Sam è sempre in viaggio e, adesso che per lavoro deve trascorrere un lungo periodo sull'incantevole isola di Giava, desidera una casa curata e accogliente. Kim è un'arredatrice d'interni che ha vissuto in Oriente, e loro due si conoscono sin da bambini. Ma è difficile convincere Sam che lei è cresciuta, perché nel frattempo...
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2016
ISBN9788858953471
Giava, l'isola dell'amore (eLit): eLit
Autore

Karen Van Der Zee

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Giava, l'isola dell'amore (eLit) - Karen Van Der Zee

    successivo.

    1

    La porta della camera cigolò leggermente e Kim si rigirò nel letto. Schiuse gli occhi e scorse un uomo fermo sulla soglia. Era una sagoma indefinita avvolta nell'argenteo chiarore lunare.

    Oltre la finestra, udiva il fruscio delle palme e il ritmico sciabordio delle onde che s'infrangevano sulla spiaggia.

    L'uomo si era chiuso la porta alle spalle e avanzava verso il letto senza far rumore. Indossava qualcosa di bianco. Era alto e aveva spalle larghe e ben modellate, ma Kim non riusciva a vederlo in volto.

    Lui si sbottonò la camicia e la lasciò cadere sul pavimento.

    Kim serrò le palpebre e si domandò dove fosse.

    L'aria profumava di salsedine e di esotiche fragranze floreali e il lenzuolo era fresco contro la pelle.

    Lo sentì scivolare accanto a sé e avvolgerla con il suo maschio tepore. L'aveva stretta in un abbraccio e lei vi si abbandonò docilmente. Il profumo di lui le riempiva le narici e il sangue le solleticava le vene come fosse champagne.

    «Ciao, Kim» le sussurrò lui all'orecchio.

    «Ciao» rispose lei, stregata da quella vicinanza che le dava le vertigini.

    Lui aveva preso e disseminarle il collo e le tempie di baci.

    «Profumi di buono» le bisbigliò contro le labbra con una voce di un'intossicante profondità.

    Le sue mani le sfioravano il corpo e un desiderio insopprimibile si era impadronito di lei. Voleva amarlo all'infinito e non lasciarlo più andare.

    Lui le sussurrò qualcosa di magico e segreto che lei non capì.

    Kim lo guardò in volto. Era ancora occultato dalle tenebre.

    Allungò una mano a tracciarne i contorni con la punta delle dita. Aveva una mascella squadrata, sbarbata di fresco, un naso dritto e aristocratico e una fronte alta. Poi gli sfiorò la bocca.

    «Chi sei?»

    Kim emise un gemito di protesta quando i caldi raggi del sole metropolitano la strapparono all'estasi delle tenebre. Avrebbe voluto scivolare di nuovo in quella sensuale e vellutata oscurità.

    Lentamente gli strombazzanti echi del traffico newyorkese s'insinuarono nel suo inconscio.

    Affondò il viso nel cuscino nella speranza di udire ancora quelle parole appena sussurrate e sentire quelle mani accarezzarle il corpo. Inspirò profondamente, ma il profumo di salsedine e dell'uomo con cui aveva diviso il letto erano svaniti.

    La sirena di una volante che inchiodava in una strada vicina spezzò definitivamente l'incanto di quella magica notte.

    Kim emise un sospiro. Era inutile ostinarsi a negare l'evidenza. Era completamente sveglia ormai.

    E non c'era nessun amante nel suo letto.

    Era la terza volta in due settimane che faceva quel sogno e, per quanto meraviglioso, non ne capiva il senso. Chi era quell'uomo?

    Era piuttosto imbarazzante scoprirsi a fare l'amore con un perfetto sconosciuto. Eppure, aveva la vaga sensazione di conoscerlo in qualche modo.

    Kim si tirò a sedere sul letto e si scostò i capelli dal viso. Quel sogno ricorrente non quadrava con i livelli di saturazione maschile che per il momento sentiva di aver raggiunto nella vita reale.

    Non si sarebbe fatta complicare ulteriormente la vita da insulse romanticherie. Gli uomini esigevano troppe attenzioni per i suoi gusti e sarebbe stato meglio tenerli alla larga per un po'.

    Se soltanto Tony avesse smesso di tormentarla, avrebbe trovato un po' di pace.

    Lo aveva conosciuto a una festa tre settimane prima e non ci aveva messo molto a capire che l'unico argomento di conversazione che gli interessasse era se stesso.

    Per sua sfortuna, lei gli era piaciuta subito e non passava giorno che lui non s'inventasse qualcosa per conquistare il suo interesse.

    Kim sgusciò dal letto e sorrise al ricordo dell'orrido dipinto di un salice piangente che Tony le aveva fatto recapitare insieme a un poemetto in cui confessava di versare fiumi di lacrime per la sua incapacità a vincere il suo cuore.

    La settimana prima le aveva inviato le prenotazioni per una crociera da innamorati nel Mare dei Caraibi. Lei le aveva prontamente restituite al mittente. Adorava le crociere, ma Tony doveva convincersi una volta per tutte che lei non era in vendita.

    Kim fece scorrere l'acqua nella doccia e ne saggiò la temperatura sul dorso della mano.

    Jason, il suo coinquilino, faceva uso di acqua rigorosamente ghiacciata, un torturante stratagemma che aveva elaborato per restare sveglio tutta la notte e lavorare alla tesi di dottorato su un cervellotico argomento di statistica.

    Kim regolò la temperatura e s'immerse sotto il getto caldo.

    Gli uomini erano una distrazione che, al momento, non poteva permettersi. Doveva concentrarsi sulla carriera.

    Dopotutto, aveva soltanto ventisei anni e tutta la vita davanti per cercare l'anima gemella e mettere su famiglia.

    Kim spense l'acqua. Si frizionò con il telo di spugna e andò in camera da letto. Sfilò dall'armadio un camicione di lino arancio. Si spazzolò vigorosamente i capelli e li legò con un nastro.

    I capelli sciolti la facevano sembrare molto più giovane e i suoi, biondissimi, abbinati agli occhioni azzurri le conferivano un aspetto da bambolina che poteva risultare deleterio sul lavoro.

    Dopo aver dato un'occhiata soddisfatta allo specchio, Kim filò in cucina a preparare un caffè e a contemplare il desolante panorama che si stendeva sotto la finestra: una disordinata accozzaglia di antenne, comignoli e serbatoi d'acqua.

    Forse un cambiamento le avrebbe fatto bene. Non che non fosse felice lì dov'era. Adorava il suo lavoro e il suo spazioso loft, amava New York e i suoi amici. Cos'altro poteva desiderare di più?

    Un sensualissimo amante?

    Kim scosse il capo per archiviare quell'idea e si girò all'udire dei passi.

    Jason era emerso dalla sua tana in tenuta da jogging. Era biondo e statuario come un vichingo, ma non aveva neanche l'ombra di una vita sociale.

    Perché si ostinasse a negare al mondo la vista mozzafiato di sé era un vero mistero per Kim.

    «Buongiorno» lo salutò lei, versandogli una tazza di caffè.

    Jason aveva gli occhi cerchiati a furia di trascorrere notti insonni e un disperato bisogno di qualcosa che lo tirasse su.

    «Grazie» mormorò lui.

    Recuperò la tazza e si appoggiò al frigorifero per sorseggiarla.

    «Perché non ti siedi?» suggerì Kim.

    Lui si passò una mano tra i capelli.

    «Sono stato seduto tutta la notte.»

    Mentre lei sognava un appassionato amplesso con il suo amante segreto, Jason aveva brancolato nel labirintico universo di cifre e percentuali.

    «Quando sogni, ti capita mai di avere come la sensazione che le visioni oniriche celino messaggi reconditi?»

    «Io non sogno.»

    «Tutti sognano. Forse non te ne ricordi.»

    «E mi risparmio il cruccio di interpretare le visioni oniriche» sorrise Jason.

    Kim sospirò. «I miei sogni, invece, sono così ricorrenti che comincio a... preoccuparmi. Un uomo che non conosco entra nella mia camera mentre sono a letto. Si spoglia e...»

    «Puoi risparmiarti i dettagli» la interruppe Jason vuotando la tazza.

    Kim rise. L'aveva fatto apposta per vedere a che punto della storia lui l'avrebbe fermata.

    «Non hai mai fatto un sogno vividamente romantico o erotico? Uno di quelli che...»

    «Te l'ho detto. Non sogno mai» ribadì lui, inespressivo. «Sarà meglio che torni al lavoro.»

    Quel sogno pareva proprio non volerla lasciare in pace. Immagini di quell'infuocato incontro amoroso tornavano ad attraversarle la mente mentre discuteva i bozzetti di una nuova linea di lampade per una ditta specializzata nell'arredamento di interni che contava di farle produrre in Honduras.

    Quanti uomini alti e con le spalle larghe c'erano a Manhattan? Kim non vi aveva mai fatto caso, né tanto meno aveva mai tenuto il conto. Ed ecco che tutt'a un tratto ne vedeva a dozzine per strada, nei ristoranti, negli ascensori e sui cartelloni pubblicitari.

    Provò a immaginare di ritrovarsene uno nel letto di notte e il solo pensiero la fece inorridire.

    Il sogno la seguì in taxi di ritorno a casa e restò con lei l'intero pomeriggio mentre lavorava al computer. Continuava a vedere quell'uomo, a sentirne il tenero tocco e ad assaporarne gli umidi baci.

    Se un'amica non l'avesse chiamata per proporle una cena fuori, sarebbe sicuramente impazzita.

    Di ritorno all'appartamento quella notte, Kim trovò un messaggio di Marcus, suo fratello, sulla segreteria telefonica. La informava che aveva qualcosa di interessante da discutere con lei e la pregava di richiamarlo in ufficio l'indomani mattina.

    Incuriosita, Kim sollevò il ricevitore, ma un'occhiata all'orologio la fece esitare. Era troppo tardi per chiamarlo a casa. Amy, sua moglie, aspettava il terzo figlio e a quell'ora doveva già essere a letto. Le avrebbe procurato un bello spavento svegliandolo nel cuore della notte.

    Kim ripose il ricevitore e si arrese alla prospettiva di un'estenuante attesa.

    Tutto si poteva dire tranne che conducesse una vita tediosa. Aveva uno spasimante che la inondava di versi, un amante segreto che le faceva visita di notte e ora anche un fratello che aveva in serbo una sorpresa per lei.

    Kim indossò la camicia da notte e scivolò tra le lenzuola. Si sistemò il cuscino. Chiuse gli occhi e si addormentò di colpo.

    Anche quella notte l'uomo misterioso si affacciò in punta di piedi in camera sua. Si spogliò e si distese al suo fianco. Neanche questa volta lei riuscì a vederlo.

    «Ciao» gli sussurrò rannicchiandosi tra le braccia. «Sono felice che tu sia tornato.»

    Lui le coprì la bocca con la sua.

    Oltre la finestra, le palme ondeggiavano al vento.

    «Bahibik» le bisbigliò lui con voce carezzevole.

    Kim ripercorse con le dita l'ormai familiare tracciato del suo volto.

    «Chi sei?» gli domandò passandogli i polpastrelli sulle labbra e le sentì incurvarsi in un sorriso.

    «Sai benissimo chi sono, Kimmy.»

    Mancava un quarto alle otto quando Kim chiamò Marcus in ufficio.

    «Kim, ricordi che non facevi che ripetere che sognavi di tornare in Oriente in cerca di ispirazione?»

    «Ricordo.»

    La sua famiglia si era trasferita sull'isola di Giava, in Indonesia, per quattro anni ed era rientrata a New York quando lei aveva quindici anni.

    Kim aveva amato ogni istante di quel soggiorno e si era sempre ripromessa di tornarci un giorno.

    «Sto aspettando di vincere alla lotteria» mormorò.

    «Forse non ce ne sarà bisogno. Sam è a New York. Sta organizzando...»

    Il cuore di Kim saltò un battito.

    «Sam?» ripeté. «Vuoi dire Samiir

    2

    Anche dopo tanti anni, il solo udire quel nome le mandava il cuore al galoppo.

    Sam era stato lo sceicco arabo che aveva popolato i suoi sogni adolescenziali. Non

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