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Il bacio del pittore
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E-book227 pagine2 ore

Il bacio del pittore

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Info su questo ebook

Francia/Inghilterra, 1820
Quando lo rivede in un ristorantino di Parigi, Amethyst Dalby non crede ai propri occhi: il pittore che fa il ritratto ai clienti del locale è proprio Nathan Harcourt, bello e affascinante come dieci anni prima. E mentre lo osserva dipingere, si rende conto che ancora una volta gli è bastata una sola occhiata per conquistarla. Così, affascinata dai suoi modi e tuttavia decisa a mantenere la propria indipendenza, accetta di rivederlo e persino di farsi ritrarre nuda da lui. La tenerezza dei primi incontri si trasforma presto in passione, e Amethyst deve riconoscere che i loro baci sono sempre più intensi e struggenti... Ma come può fidarsi di nuovo dell'uomo che le ha spezzato il cuore?
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788830514225
Il bacio del pittore
Autore

Annie Burrows

Sposata, con due figli, ha messo a frutto la sua laurea in letteratura inglese e la sua incredibile fantasia nel creare avvincenti storie d'amore ambientate nei più diversi periodi storici.

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    Il bacio del pittore - Annie Burrows

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Portrait of a Scandal

    Harlequin Historical

    © 2014 Annie Burrows

    Traduzione di Laura Maggi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-422-5

    1

    «Madame, je vous... vi assicuro, non c’è alcuna necessità di ispezionare le cucine.»

    «Mademoiselle» replicò Amethyst con decisione, mentre spingeva da parte Monsieur Le Brun – o Monsieur La Prugna, come aveva iniziato a chiamarlo, tanto raggrinziva la bocca quando lei rifiutava di sottostare docilmente alle sue proposte.

    «L’alloggio non è forse di vostro gradimento?»

    «Le stanze che ho visionato finora sono più che soddisfacenti» dovette riconoscere mentre allungava il collo dopo aver udito il fracasso di stoviglie rotte.

    «Questa» affermò Monsieur Le Brun, raddrizzandosi e ostentando delle maniere calme e posate, «è una questione estremamente insignificante. E oltretutto è compito mio sovrintendere alle faccende domestiche.»

    «Non in una casa in cui mi trovi io» mormorò Amethyst tra sé e sé mentre spingeva la porta che si apriva sulla cucina.

    Una lavapiatti era accucciata vicino all’acquaio e piangeva sopra un cumulo di cocci, mentre nei pressi di una porta che dava su uno squallido cortiletto si trovavano due uomini rossi in viso, impegnati in una discussione costituita non solo da un fiume di parole incomprensibili, ma anche da un gran movimento di braccia.

    «Quello col grembiule è il nostro cuoco» le disse all’orecchio Monsieur Le Brun facendola sobbalzare.

    Era stata così assorta nel tentativo di comprendere cosa stava accadendo che non l’aveva udito arrivare dietro di lei.

    «Ha la fama di gran esperto» continuò lui. «Mi avete chiesto di assumere solo i migliori e lui lo è. L’altro è un piantagrane che abita al quinto piano, ma che dovrebbe essere buttato fuori, come dite voi inglesi. Se quindi me ne darete licenza...» proseguì con voce colma di sarcasmo, «risolverò la questione, dato che» continuò affabilmente mentre lei si voltava per fissarlo con un sopracciglio inarcato, «mi avete assunto proprio per risolvere i problemi. E per parlare francese in vostra vece.»

    Amethyst rivolse un’altra occhiata ai due uomini dei quali avrebbe evitato volentieri, e in qualsiasi lingua, il veloce scambio di parole e i movimenti scomposti delle braccia. «Va bene, monsieur» replicò a denti stretti. «Andrò in camera mia a disfare i bagagli.»

    «Verrò da voi quando avrò risolto la questione» le rispose. Poi la omaggiò di quel particolare inchino che aveva perfezionato ai massimi livelli e che riusciva a sottintendere un che di beffardo.

    «Avrebbe potuto benissimo tirare fuori la lingua ed esibirsi in una pernacchia» affermò Amethyst furiosa quando giunse nella stanza assegnata alla sua compagna di viaggio, Fenella Mountsorrel. «Credo che avrei preferito l’avesse fatto.»

    «Non credo proprio che voglia perdere il lavoro» replicò Mrs. Mountsorrel. «Forse» aggiunse titubante mentre osservava Amethyst strattonare i nastri sciolti del cappellino, «non dovresti provocarlo con così tanta determinazione.»

    «Se non l’avessi fatto» replicò la giovane lanciando il cappellino su un tavolinetto vicino, «si sarebbe rivelato ancor più insopportabile. Ci avrebbe impartito ordini come se fossimo noi le sue inservienti e non il contrario. È uno di quegli uomini che ritengono le donne incapaci di qualsiasi azione, presumendo che il nostro unico desiderio sia di avere accanto un uomo forte sul quale fare affidamento e che ci istruisca sul comportamento da tenere in ogni occasione.»

    «Ad alcune di noi» replicò pensosa la sua compagna, «non dispiacerebbe ritrovarsi accanto un uomo forte. Oh, non che ci impartisca ordini, ma sul quale fare affidamento quando... quando le cose diventano difficili.»

    Amethyst si rimangiò la replica che le salì alle labbra. Che cosa aveva guadagnato la sua compagna con quel modo di pensare? Era rimasta sola al mondo e senza il becco di un quattrino, ecco cosa!

    Respirò a fondo, si sfilò i guanti e li sbatté vicino al cappellino.

    «Quando le cose diventano difficili» disse ficcando le dita nella fitta massa di ricci scuri che avrebbe desiderato, per l’ennesima volta, aver tagliato prima di partire, «si scopre di che pasta si è fatti. E tu e io, Fenella, siamo fatte di un materiale tanto solido che non abbiamo bisogno di qualche arrogante, inaffidabile e insopportabile maschio che ci imponga come vivere.»

    «Comunque sia» considerò Fenella con ostinazione, «non saremmo potute arrivare fino qui senza...»

    «Senza assumere un uomo che si occupasse degli aspetti più seccanti del ritrovarsi così distanti da casa» concordò lei. «Gli uomini hanno i loro innegabili vantaggi.»

    Fenella sospirò. «Non tutti gli uomini sono sgradevoli.»

    «Suppongo tu ti riferisca al tuo caro e compianto Frederick» fu la brusca replica. «Ma poiché l’amavi tanto, mi arrischio ad affermare che deve pur aver avuto qualcosa di buono» le concedette.

    «Aveva i suoi difetti, non posso negarlo, comunque ne sento la mancanza. E avrei voluto che vivesse per veder crescere Sophie. E magari darle un fratello o una sorella...»

    «E come sta Sophie adesso?» Amethyst cambiò rapidamente argomento.

    Sul tema del defunto marito di Fenella non si sarebbero mai trovate d’accordo. La verità nuda e cruda era che lui aveva lasciato la vedova tristemente priva di mezzi. Vedova e in stato interessante, per dirla tutta. E l’unica colpa che Fenella sarebbe mai riuscita ad attribuirgli era di non aver compiuto scelte economiche del tutto assennate. Secondo quanto Amethyst era riuscita a scoprire fino a quel momento, quell’uomo aveva sperperato l’eredità della moglie con una serie d’investimenti sbagliati, vivendo al di sopra delle proprie possibilità e lasciandola a raccogliere i cocci...

    Respirò a fondo. Non aveva senso arrabbiarsi con un uomo che non era più presente per potersi difendere. E poi, in qualunque modo lei avesse espresso le proprie opinioni, non avrebbe ottenuto altro che turbare l’amica, cosa che non desiderava affatto.

    «Sophie era ancora terribilmente pallida quando Francine l’ha portata a fare un riposino» fu la risposta.

    «Sono sicura che si riprenderà dopo un po’ di riposo e un pasto leggero, come le accade sempre.»

    Avevano scoperto, a sole dieci miglia da Stanton Basset, che Sophie non era tagliata per viaggiare. Malgrado la carrozza fosse ben molleggiata, sia che sedesse nel senso di marcia o al contrario, che fosse sdraiata con il capo in grembo alla madre o su un cuscino, la piccina soffriva tremendamente per la nausea.

    Ciò significava che il viaggio era durato il doppio di quanto Monsieur Facciadiprugna avesse previsto, poiché Sophie aveva avuto bisogno di un giorno di riposo dopo ognuno di viaggio.

    «Se gli incontri che avete organizzato andranno a monte, ebbene, pazienza» aveva replicato Amethyst quando lui le aveva ribadito che il ritardo avrebbe potuto costarle diversi contratti remunerativi. «Se credete che anteporrò mere considerazioni venali al benessere di questa bambina, allora vi sbagliate di grosso.»

    «E poi si presenta pure la questione della sistemazione. Con così tante persone desiderose di visitare Parigi quest’autunno, perfino io» aveva affermato lui battendosi il petto, «potrei incontrare qualche difficoltà nel predisporre un’alternativa di qualsiasi genere, per non parlare di una sistemazione che si confaccia alle vostre singolari necessità.»

    «Non potreste scrivere a chiunque senta la necessità di essere rassicurato che le nostre e le vostre stanze verranno pagate senza tener conto del giorno del nostro arrivo? E fare qualche tentativo per riorganizzare gli altri incontri?»

    «Madame, dovete sapere che la Francia, da diversi mesi a questa parte, è stata invasa dai vostri compatrioti, ansiosi di concretizzare una gran quantità di affari. Chi può sapere se si riuscirà a concludere qualche contratto? La concorrenza potrebbe già aver venduto a prezzi inferiori...»

    «Allora mi avranno battuta» aveva tagliato corto lei. «Perderò l’opportunità di espandermi sul Continente. Ma questo è affare mio, non vostro. Avremo ancora bisogno dei vostri servigi come guida, se è questo che vi preoccupa. E potremo sempre fermarci come viaggiatrici invece di fingere di esserlo, e goderci tranquillamente quest’esperienza.»

    Lui aveva borbottato qualcosa d’incomprensibile ma, dal momento che le stanze erano pronte per loro, e un paio di lettere di commercianti che avrebbero potuto acquistare beni dalle fabbriche di Amethyst attendevano di essere visionate, alla fine il lavoro era stato svolto con bravura.

    In quel momento, il treno dei pensieri fu interrotto da un rumore alla porta. Era l’arrogante colpo che Monsieur La Prugna usava solitamente. Lei non sapeva come vi riuscisse, ma era sempre in grado di trasmettere la sensazione di poter godere del diritto di entrare a passo di marcia, e la momentanea esitazione era dovuta solo all’alto grado di sopportazione che lui mostrava nei riguardi dei fardelli femminili.

    «Il problema in cucina» esordì mentre apriva la porta e prima che Amethyst gli avesse dato il permesso di entrare, notò lei con risentimento, «è, sono spiacente di doverlo ammettere, più serio di quel che abbiamo pensato.»

    «Oh, davvero?» Fu piuttosto maligno da parte sua, ma Amethyst provò piacere nello scoprire che ciò che era inaspettatamente accaduto l’aveva obbligato ad ammettere che non aveva l’intero universo sotto controllo. «Non era dunque poi così insignificante, dopo tutto?»

    «Il cuoco» proseguì lui ignorando lo scherno, «mi ha comunicato che non potrà servire il cibo che aveva pensato di offrire ai suoi nuovi ospiti durante la loro prima serata a Parigi.»

    «Non c’è cibo?»

    «Non del livello che lo soddisfi, no. È colpa delle materie prime, dovete capire, che non sono più idonee a essere servite in tavola, neppure per degli inglesi, ci tiene a informarmi. Per la qual cosa mi scuso. Queste sono parole sue, non mie.»

    «Certo.» In ogni caso, era sicura che avesse gradito molto poterle ripetere.

    «La ragione è» proseguì lui con una smorfia sulle labbra che lei sospettava fosse l’accenno di un ghigno, «il nostro estremo ritardo rispetto all’arrivo previsto.»

    In altre parole, se c’era un problema la colpa era di Amethyst. Probabilmente lui pensava che anteporre il benessere di una bambina al denaro fosse la prova definitiva che una donna non avrebbe mai dovuto occuparsi di affari, per non parlare del tentativo di incrementarli.

    «Comunque propongo una soluzione per superare quest’inconveniente.»

    «Oh, sì?» Era meglio comportarsi bene.

    «Certo» rispose lui con un sorriso col quale si rallegrava talmente di se stesso che lei fu colta dall’irrazionale impeto di licenziarlo in tronco. Così gli avrebbe dimostrato chi comandava. Soltanto che poi avrebbe dovuto rimpiazzarlo, un fatto assolutamente irritante: avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo, insegnare al sostituto ogni cosa riguardo ai prodotti, i prezzi, gli schemi di produzione e così via.

    «Per stasera» proseguì lui, «ritengo che potrebbe rivelarsi del tutto originale che voi e Madame Mountsorrel ceniate in un ristorante.» E prima che lei avesse il tempo di chiedersi se si stava prendendo gioco delle loro origini provinciali, continuò: «La gran parte dei vostri compatrioti è del tutto impaziente di visitare il Palais Royal per cenare in uno dei suoi molteplici locali».

    Il consiglio fu talmente sensato che la smontò. Si sarebbero comportate da comuni viaggiatrici, proprio come speravano di passare.

    «E prima che solleviate l’obiezione che Sophie non può essere lasciata sola la sua prima sera in un paese straniero» la precedette, «ho chiesto al cuoco di provvedere a una cena semplice che sarà in grado di placare il suo stomaco, come ho già avuto modo di notare. Mi ha assicurato di potersene occupare» dichiarò con aria soddisfatta. «Ho anche parlato con Mademoiselle Francine che ha acconsentito a restare al suo capezzale solo per questa volta al posto della madre, nel caso in cui si svegli.»

    «Sembra che abbiate pensato a tutto» dovette concedergli.

    «È per questo che mi pagate» replicò con un altezzoso sopracciglio sollevato.

    Era vero. Tuttavia, doveva proprio farlo notare tanto spesso?

    «Cosa ne pensi, Fenella? Puoi farcela a uscire stasera e lasciare Sophie? O forse...» le sovvenne all’improvviso, «ti senti troppo stanca?»

    «Addirittura troppo stanca per cenare in uno di quei posti dei quali abbiamo letto così tanto? Oh, no! No davvero.»

    Dal momento in cui Bonaparte era stato sconfitto ed esiliato, i viaggiatori inglesi erano affluiti a frotte per visitare il paese che era stato loro negato per quasi vent’anni, dunque i giornali e i quotidiani si erano riempiti di resoconti di viaggio.

    Più c’era stato entusiasmo per i piaceri di Parigi, più Amethyst aveva desiderato visitare la città di persona. Quindi aveva informato il suo amministratore, Jobbings, che sarebbe andata a verificare se poteva trovare nuovi sbocchi per le loro merci, ora che l’embargo era stato tolto. Aveva già preso diversi appuntamenti ai quali avrebbe mandato Monsieur Le Brun, mossa dal sospetto che i commercianti francesi si sarebbero rivelati riluttanti a concludere affari con una donna, alla stregua dei colleghi inglesi.

    «Dunque è deciso.» Fu così felice che Fenella si trovasse d’accordo con il progetto di uscire che per un attimo il suo stato di quasi permanente irritazione verso Monsieur Le Brun scomparve. Addirittura gli concesse un sorriso. «C’è dunque un qualche locale in particolare che vorreste consigliarci?»

    «Io?» La fissò a bocca aperta.

    A quel punto lei si rese conto che probabilmente era la prima volta che la vedeva sorridere. Non si era mai azzardata ad abbassare la guardia con lui prima di quel momento, anzi, si era affannata a chiedere a tutti ragguagli circa le sue proposte e a verificare ogni disposizione che aveva impartito, solo per essere certa di non esser raggirata. O anche che lui tentasse di raggirarla.

    Di contro lui le aveva portate a Parigi con ragionevole agio, senza mai farsi scoprire con un piede in fallo.

    Quindi Amethyst stava cominciando a sentirsi abbastanza certa che non avrebbe osato. Inoltre Fenella aveva il compito di verificare qualsiasi missiva che lui scriveva in sua vece: aveva una buona padronanza del francese, a giudicare dalla reazione di Monsieur Le Brun quando l’aveva sentita parlare per la prima volta.

    «Il migliore in assoluto» disse lui riprendendosi rapidamente, «è con ogni probabilità Very Frères. Di certo è il più caro.»

    Lei arricciò il naso. Sembrava proprio il tipo di posto dove la gente andava per mettersi in mostra. Sarebbe indubbiamente stato pieno zeppo di nobili e di ballerine dell’Opéra.

    «Il Mille Colonnes è in voga tra i vostri compatrioti. Sebbene» aggiunse con disappunto, «all’ora del nostro arrivo ci sarà senz’altro la coda per entrare.»

    Lei inarcò le sopracciglia.

    Mostrandosi all’altezza della tacita sfida, lui proseguì. «Vi sono poi altri posti eccellenti nei quali non mi farei scrupolo di portare voi signore... Le Caveau, per esempio, dove per due o tre franchi potreste gustare un’eccellente cena a base di zuppa, pesce, carne, dessert e una bottiglia di vino.»

    Dato che lei aveva trascorso un po’ di tempo in balia dei tassi di cambio, l’ultima affermazione le fece arricciare le labbra. Non avrebbero certo potuto ricevere nulla di davvero allettante per una somma tanto misera.

    Tuttavia non espresse ad alta voce quel particolare sospetto. Avendola osservata intensamente mentre descriveva quali erano chiaramente gli ambienti più esclusivi, lui stava probabilmente facendo del proprio meglio per suggerire qualcosa di più economico. Non era uno sciocco. Anche se i suoi modi riuscivano a farla infuriare, lei non poteva negare che fosse perspicace e scaltro. Dato che l’aveva tormentato a sufficienza per un giorno solo, e poiché Fenella aveva la tendenza ad agitarsi se discutevano apertamente in sua presenza, ammise che preferiva piuttosto la descrizione di Le Caveau.

    Dopo poco lei e Fenella si erano cambiate, e dopo aver dato la buonanotte a una Sophie assonnata, uscirono nelle strade fiocamente illuminate di Parigi.

    Parigi! Era davvero a Parigi. Amethyst si sentiva padrona di se stessa, pronta a tentare nuove esperienze e a decidere della propria vita. Aveva già pagato abbastanza per gli errori giovanili e non avrebbe passato una vita in isolamento, come se si vergognasse di se stessa. Perché non era così. Non aveva fatto proprio nulla di cui vergognarsi.

    Di certo, però, non avrebbe dimenticato tutti gli insegnamenti della defunta zia Georgie. Almeno non quelli di natura pratica.

    Per la sua incursione in quel ristorante a buon prezzo che era Le Caveau, preferì un abbigliamento semplice e discreto, che avrebbe potuto indossare per una visita alle banche nella City.

    Monsieur Le Brun aveva represso un piccolo, ma proprio piccolo, brivido al vederla uscire dalla sua stanza, e le aveva rivolto la stessa occhiata che lei avrebbe potuto aspettarsi da una persona altolocata di Londra: provinciale, avrebbe pensato, allontanandosi da lei a causa di un cappellino fuori moda da almeno tre anni.

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