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La figlia di Gezabele
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E-book350 pagine4 ore

La figlia di Gezabele

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Info su questo ebook

Due uomini morti per coincidenza nello stesso giorno, uno a Londra e l'altro a Francoforte. Due vedove, una intenta a prendersi cura di un povero pazzo che dice di essere stato avvelenato, l'altra a difendersi dall'accusa di essere una criminale.
Una lotta tra due donne forti, un amore osteggiato tra due giovani, una denuncia del trattamento inumano verso i malati di mente, la fascinazione vittoriana per le scienze sperimentali: tutto questo fa parte de "La figlia di Gezabele", finora inedito in Italia.
Un romanzo che, oltre a richiamare altri capolavori dell'autore inglese come "La donna in bianco" e "Armadale", spinge agli estremi il concetto di "sensational tale" di cui Collins è indiscusso maestro.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2021
ISBN9791280243119
La figlia di Gezabele
Autore

Wilkie Collins

William Wilkie Collins was born in London in 1824, the son of a successful and popular painter. Collins himself demonstrated some artistic talent and had a painting hung in the Royal Academy Summer Exhibition in 1849, but his real passion was for writing. On leaving school, he worked in the office of a tea merchant in the Strand but hated it. He left and read law as a student at Lincoln's Inn but already his writing career was flowering. His first novel, Antonina, was published in 1850. In 1851, the same year that he was called to the bar, he met and established a lifelong friendship with Charles Dickens. While Collins' fame rests on his best known works, The Woman in White and The Moonstone, he wrote over thirty books, as well as numerous short stories, articles and plays. He was a hugely popular writer in his lifetime. Collins was an unconventional individual: he never married but established long term liaisons with two separate households. He died in 1889.

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    Anteprima del libro

    La figlia di Gezabele - Wilkie Collins

    collins_cover.jpgCopertina

    58

    Dello stesso autore nella collana GialloAurora:

    Il denaro di Lady Lydiard

    Wilkie Collins, La figlia di Gezabele

    1a edizione Landscape Books, marzo 2021

    Collana Aurora n° 58

    © Landscape Books 2021

    Titolo originale: Jezebel's Daughter

    Traduzione di Sofia Riva

    www.landscape-books.com

    ISBN 979-12-80243-11-9

    In copertina: rielaborazione da Delphin Enjolras

    Edizione digitale a cura di WAY TO ePUB

    Wilkie Collins

    La figlia

    di Gezabele

    Parte Prima

    Il signor David Glenney consulta le proprie memorie e inizia la storia

    I.

    Riguardo la questione della figlia di Gezabele, i miei ricordi iniziano con la morte di due uomini, stranieri, in due luoghi diversi, lo stesso giorno, nello stesso anno.

    Erano tutti e due uomini di valore, ciascuno nel suo genere, ed erano estranei tra loro.

    Il signor Ephraim Wagner, commerciante, proveniente da Francoforte sul Meno, morì a Londra il 3 settembre 1828.

    Il dottor Fontaine – celebre a quell’epoca per le sue scoperte in chimica sperimentale – morì a Wurzburg il 3 settembre dello stesso anno.

    Tutti e due lasciarono una vedova. Quella del commerciante, una inglese, non aveva figli. Quella del chimico, originaria della Germania del Sud, aveva una figliola a consolarla.

    A quel tempo, già lontano – sto scrivendo nel 1878, a mezzo secolo di distanza – io ero impiegato nell’ufficio del signor Wagner e giovanissimo, nipote della moglie del principale, ero stato accolto da lui con molta bontà. Ciò che sto per raccontare è stato visto dai miei occhi e udito dalle mie orecchie: e posso garantire della mia memoria, come tutte le persone attempate ricordo ora più chiaramente gli avvenimenti antichi dei recenti.

    L’ottimo signor Wagner era malato da parecchi mesi, ma i medici non prevedevano alcun pericolo immediato. Egli dimostrò loro che s’ingannavano pensando bene di morire proprio nel momento in cui essi affermavano che aveva qualche probabilità di guarigione.

    Quando questa sventura colpì sua moglie, io ero assente da Londra: ero stato inviato per affari alla succursale di Francoforte sul Meno, diretta dai soci di Wagner. Arrivai a Londra il giorno seguente ai funerali, in tempo per assistere alla lettura del testamento. Wagner era stato naturalizzato inglese e le sue ultime volontà erano in mano a un legale inglese.

    La quarta, quinta e sesta clausola del suo testamento sono le sole che valgano la pena d’essere ricordate.

    La quarta istituiva erede universale di tutti i beni la vedova del testatore.

    La quinta dava una nuova prova della fiducia assoluta che egli riponeva in lei, designandola come esecutrice testamentaria.

    La sesta e ultima cominciava con queste parole:

    Durante la mia lunga malattia, la mia cara moglie ha agito come mia segretaria e rappresentante. Ella è così perfettamente al corrente dell’andamento dei miei affari che la considero la persona più adatta a sostituirmi. Le do una prova assoluta della mia fiducia e della mia gratitudine e nello stesso tempo credo di agire nell’interesse della ditta di cui sono a capo, designandola come mio solo successore con pieni poteri.

    Il notaio e io guardammo mia zia. Ella si era abbandonata contro lo schienale della sua poltrona, col viso nascosto dal fazzoletto. Aspettammo rispettosamente che ella potesse riprendere abbastanza dominio su se stessa per manifestare i suoi desideri. Le espressioni d’affetto e di stima contenute nelle ultime parole del testamento di suo marito l’avevano commossa profondamente.

    Soltanto dopo aver versato abbondanti lacrime si ricordò di noi e ritornò abbastanza calma per parlare.

    «Fra qualche giorno sarò forse più forte», disse. «Venite da me alla fine della settimana, avrò qualche cosa d’importante da dire a entrambi».

    Il notaio azzardò una domanda: «Si tratta di cose inerenti al testamento?»

    Ella scosse il capo negativamente.

    «Si tratta delle ultime volontà di mio marito».

    Ci salutò e si ritirò nella sua camera.

    Il notaio la seguì con uno sguardo grave e diffidente.

    «La lunga esperienza che ho acquistato nella mia professione», mi disse, «mi ha insegnato molte cose, e vostra zia me ne richiama una alla memoria».

    «Quale? Posso saperla?»

    «Certamente».

    Mi prese a braccetto e aspettò che fossimo usciti dalla casa per continuare: «Diffidate sempre delle ultime volontà di un morente a meno che non siano state comunicate al suo notaio e consegnate nel suo testamento».

    Mi parve allora che egli giudicasse le cose da un punto di vista molto ristretto. Come potevo prevedere che i fatti gli avrebbero dato ragione? Se mia zia si fosse accontentata di eseguire i piani di suo marito quali egli li aveva dettati prima della sua morte e non fosse corsa al nostro ufficio di Francoforte… Ma a che serve cavillare su cosa sarebbe o non sarebbe accaduto? Il mio dovere è dire ciò che è avvenuto. Ritorno quindi al mio compito.

    II.

    Alla fine della settimana, la vedova fu disposta a riceverci.

    Volendola descrivere, era una donnina esile, dalla carnagione bianca, la fronte larga e un po’ bassa, gli occhi grigi grandi e intelligenti. Sposata con un uomo molto più anziano di lei, era ancora, dopo parecchi anni di matrimonio, molto bella. Ma pareva non avesse coscienza delle proprie attrattive e non desse troppa importanza alle qualità intellettuali e morali che possedeva e che nessuno le poteva negare. Nelle circostanze ordinarie della vita era un carattere estremamente dolce e quasi debole, ma all’occasione sapeva mostrare l’energia e la fermezza che aveva in serbo. In tutta la mia vita non ho conosciuto una donna più energica di lei, quando era irritata.

    Cominciò il colloquio senza trascurare alcun preliminare. Il suo viso portava tracce di una notte insonne, di copiose lacrime sparse, ma quando parlò del marito defunto, salvo un leggero tremito nella voce, ella si seppe dominare con coraggio meraviglioso.

    «Sapete tutti e due», cominciò, «che mio marito aveva delle idee particolari, soprattutto sui doveri verso i suoi simili poveri o disgraziati; le opinioni in proposito erano più avanzate di quanto non lo siano in generale. Io amo, venero la sua memoria e, se Dio vuole, ho intenzione di seguire il suo esempio».

    Il notaio incominciò a provare un certo imbarazzo.

    «Fate forse allusione alle opinioni politiche del defunto signor Wagner?», domandò.

    Cinquant’anni fa le opinioni politiche del mio vecchio principale parevano nientemeno che rivoluzionarie. Oggi che le stesse opinioni sono state sancite da atti parlamentari e approvate da tutta la nazione, egli sarebbe considerato un tiepido liberale.

    «Non ho nulla da dirvi dal punto di vista politico», rispose mia zia; «desidero parlarvi anzitutto delle idee di mio marito sulla questione dell’impiego delle donne negli uffici».

    Anche a questo proposito le eresie del mio principale dell’anno 1828 sono divenute principi ortodossi nel 1878. Convinto che molti degli impieghi esclusivamente riservati agli uomini sarebbero stati tenuti convenientemente da donne, egli aveva diviso equamente gli impieghi della sua azienda, sempre più prospera, fra gli uomini e le donne. Lo scandalo provocato da questa sua innovazione è ancora presente ai superstiti di quel tempo. Gli audaci esperimenti del mio principale prosperarono comunque, in barba agli scandali.

    «Se mio marito fosse vissuto», continuo mia zia, «avrebbe fatto seguire alla nostra casa di Francoforte l’esempio che egli aveva dato a Londra. Appena io sarò in grado di viaggiare, andrò a Francoforte e darò alle donne di laggiù la possibilità che egli ha dato a Londra alle donne inglesi. Le sue annotazioni mi indicheranno il modo migliore per compiere questa riforma. Conto di mandare te, David», aggiunse rivolta a me, «dai nostri soci di Francoforte, signori Keller ed Engelman, con l’istruzione di lasciar liberi i posti vacanti finché io non potrò raggiungerti».

    S’interruppe e guardò il notaio.

    «Avete qualche obiezione da fare in proposito?»

    «Nessuna obiezione, ma vedo qualche rischio».

    «Quali rischi?»

    «A Londra, il defunto signor Wagner aveva modo di procurarsi le informazioni necessarie sulla moralità delle donne che impiegava. Non vi sarà altrettanto facile, in una città straniera, evitare le sorprese... i pericoli». Esitò non trovando con prontezza le parole atte a spiegare chiaramente e delicatamente il suo pensiero.

    Mia zia non diede segni di imbarazzo.

    «Non abbiate paura di parlare», disse, in tono freddo, «Di quali pericoli parlate?»

    «Voi siete una natura generosa, e le nature generose si lasciano facilmente imporre. Temo che qualche donna...»

    Si fermò di nuovo, stavolta per una reale interruzione. Sentimmo bussare alla porta.

    Era il nostro capo reparto che si presentava a chiedere udienza. Mia zia sollevò la mano. «Scusatemi, signor Hartrey… Vi raggiungo tra un istante». Tornò a guardare il notaio. «Quali donne potrebbero imporsi a me?»

    «Donne poco degne della vostra bontà, con qualche legame disonesto. Sarebbero quelle che voi sareste più desiderosa di aiutare, se considero la vostra facilità a impietosirvi, e che diverrebbero una fonte costante di noie e contrarietà per voi, data l’influenza deleteria dell’ambiente in cui vivono».

    Mia zia non rispose e parve seccata di quelle osservazioni. Si voltò verso il signor Hartrey, chiedendogli cosa volesse.

    Il nostro capo reparto, uomo metodico della vecchia scuola, cominciò scusandosi per la sua intrusione, e terminò porgendo una lettera a mia zia;

    «Quando sarete in grado di occuparvi d’affari, signora, fatemi il favore di leggere questa lettera. E nel frattempo, mi perdonerete per l’intrusione nel vostro dolore così presto dopo la perdita del mio caro e onorato principale?» Le frasi erano piuttosto formali, ma c’era del vero sentimento nella sua voce. Mia zia gli diede la mano. Lui la baciò, con le lacrime agli occhi.

    «Tutto quello che avete fatto è ben fatto», disse gentilmente. «Di chi è la lettera?»

    «È del signor Keller di Francoforte».

    Mia zia prese la lettera e la lesse attentamente. Data l’importanza che assume nel seguente racconto, la trascriverò integralmente.

    Personale e confidenziale.

    Caro signor Hartrey, non posso indirizzare questa mia alla signora Wagner, nel momento in cui ella è stata così dolorosamente colpita. Una circostanza urgente mi costringe a scrivere a voi come dirigente del nostro ufficio di Londra.

    Il mio unico figlio, Fritz, doveva terminare i propri studi all’università di Wurzburg. Mi duole dovervi confessare che egli si è innamorato di una ragazza, figlia di un medico di Wurzburg, il dottor Fontaine, morto di recente. Credo che la ragazza sia onesta e bene educata, però suo padre, morendo, non solo l’ha lasciata nella miseria, ma ha lasciato numerosi debiti. Inoltre la reputazione della madre, in città, è tutt’altro che buona, anzi si dice che i debiti del marito siano dovuti per la maggior parte ai capricci di lei. In queste condizioni desidero troncare la relazione approfittando del periodo in cui i due giovani sono momentaneamente separati per la morte del dottor Fontaine. Fritz ha abbandonato l’idea di esercitare la professione di medico e ha accettato la mia proposta di succedermi negli affari. Ho quindi deciso di inviarlo a Londra per imparare, presso la Casa madre, a dirigere gli affari.

    Mio figlio parte a malincuore, ma è buono e cede ai desideri di suo padre. Egli arriverà un paio di giorni dopo questa mia. Siate tanto gentile di tenerlo quanto più possibile sotto i vostri occhi, fino a quando potrò permettermi di comunicare direttamente con la signora Wagner alla quale vi prego di trasmettere l’espressione della mia sincera e rispettosa devozione.

    Mia zia gli rese la lettera.

    «Questo giovane è già arrivato?», domandò.

    «È arrivato ieri, signora».

    «Gli avete trovato un’occupazione?»

    «Mi sono permesso di collocarlo nel nostro ufficio di corrispondenza. Per il momento ci aiuterà a copiare lettere. Dopo le ore d’ufficio avrà una camera in casa mia, salvo vostri ordini in contrario».

    «Avete agito perfettamente, Hartrey, ma vi libererò in parte della vostra responsabilità. Il mio dolore non deve impedirmi di compiere il mio dovere verso il socio di mio marito. Parlerò con quel giovanotto; conducetelo da me stasera, dopo la chiusura dell’ufficio. Non ve ne andate, ora ho da fare una domanda relativa a un affare del mio povero marito, che mi interessa vivamente».

    Hartrey si sedette di nuovo e, dopo una breve esitazione, mia zia espose la sua domanda in termini che ci sorpresero tutti e tre.

    III.

    «Mio marito era in relazione con molti istituti di beneficenza», cominciò la vedova. «Se non erro, era uno degli amministratori dell’Ospedale Bethlehem».

    A quell’allusione alla famosa clinica per malati di mente, chiamata familiarmente a Londra Bedlam, vidi il notaio trasalire e scambiare uno sguardo col capo reparto. Hartrey rispose con evidente imbarazzo: «Precisamente, signora», e non aggiunse altro.

    Il notaio, più ardito, aggiunse una parola di avvertimento a mia zia: «Mi permetto di farvi osservare, signora, che vi sono certe circostanze, in rapporto alla posizione ultimamente occupata all’Ospedale dal defunto signor Wagner, che mi fanno desiderare che quest’argomento sia lasciato da parte. Il signor Hartrey potrà confermarvi che le proposte fatte dal signor Wagner per riformare il trattamento dei degenti erano...»

    «Erano le proposte di un uomo umano», interruppe mia zia, «che aborriva la crudeltà sotto tutte le forme e che considerava un oltraggio all’umanità il tormentare i poveri pazzi con fruste o catene; io sono perfettamente d’accordo con lui e benché io sia una donna, seguirò le sue idee. Andrò lunedì all’Ospedale; volevo pregarvi di accompagnarmi».

    «A che titolo devo aver l’onore di accompagnarvi?», domandò il notaio con la massima freddezza.

    «A titolo di legale. Avrò forse una domanda da rivolgere ai direttori e ricorrerò alla vostra esperienza per redigerla nei termini voluti».

    Il notaio non si mostrò ancora soddisfatto.

    «Scusate se mi permetto un’altra domanda: vi proponete di visitare il manicomio in seguito a un desiderio espresso da vostro marito?»

    «Niente affatto. Mio marito evitava di parlarmi di questo triste argomento, tanto che non ero neppure sicura che fosse uno degli amministratori dell’Ospedale. Credevo fosse soltanto un benefattore. Ma la notte precedente alla sua morte lo udii parlare, in una specie di dormiveglia, di ciò che aveva intenzione di fare qualora fosse guarito. Ora ho scorso il suo taccuino di annotazioni e ho trovato dei brani che mi hanno spiegato ciò che non avevo ancora compreso. So che l’opposizione sistematica che aveva incontrato fra i colleghi gli aveva fatto prendere la risoluzione di sperimentare, a suo rischio e pericolo, l’effetto della bontà e della pazienza applicate nel trattamento dei pazzi. C’è attualmente all’Ospedale un disgraziato, abbandonato, senza amici, che è stato raccolto per strada; il mio povero marito l’aveva scelto per tentare su di lui il suo esperimento. Sapete che ogni minimo desiderio del mio povero marito è sacro per me: sono decisa a vedere quel disgraziato, e a continuare la sua opera caritatevole, se il mio animo e la mia coscienza mi diranno che una donna può farlo».

    All’udire quella decisione coraggiosa (mi vergogno a confessarlo, in questa epoca di progresso) protestammo tutti e tre.

    Hartrey, così calmo e metodico, si mostrò irruente quasi quanto il notaio. Quanto a me, seguii il loro esempio.

    Le nostre rimostranze non produssero nessun effetto su mia zia; al contrario, non fecero che risvegliare la sua forza di resistenza e render più ferma la sua volontà.

    «Non voglio trattenervi più a lungo», disse al notaio. «Riflettete prima di decidere. Se rifiutate di accompagnarmi, andrò sola. Se accettate, fatemelo sapere questa sera».

    E così ebbe termine il colloquio.

    Al principio della serata il giovane Keller fece la sua comparsa fra noi. Fu presentato a mia zia, poi a me e si conquistò la nostra simpatia a prima vista. Era un bel giovane, dai capelli biondi, dal colorito sano.

    Aveva modi franchi e disinvolti e l’aria un po’ triste, probabilmente per la separazione forzata dalla ragazza di Wurzburg. Mia zia, con la sua bontà e cortesia abituali, gli offrì una camera accanto alla mia, al posto di quella che avrebbe dovuto occupare in casa di Hartrey.

    «Mio nipote David parla il tedesco», gli disse, «vi renderà più piacevole l’ambiente, qui».

    Detto questo, la zia ci lasciò soli.

    Fritz intavolò la conversazione con la disinvoltura abituale degli studenti tedeschi.

    «La vostra conoscenza della mia lingua crea subito un legame fra noi», disse. «Io so leggere e scrivere l’inglese, ma lo parlo male. Abbiamo qualche altra preferenza in comune? Fumate, per caso?»

    Gli offrii un sigaro.

    «Ecco un altro legame fra noi», esclamò Fritz. «Da questo momento dobbiamo essere amici». E mi tese la mano.

    Accese il sigaro, mi guardò attentamente, poi distolse gli occhi e, con un profondo sospiro, lanciò la prima boccata di fumo.

    «Sarei curioso di sapere se siamo uniti da un terzo legame. Siete un inglese di tipo rigido? Ditemi, amico David, posso parlarvi con la libertà di un uomo estremamente infelice?»

    «Parlate pure», dissi. Lui esitò ancora.

    «Vorrei essere incoraggiato», disse. «Chiamatemi Fritz».

    Lo chiamai Fritz. Avvicinò la sedia, e mi appoggiò la mano sulla spalla. Cominciai a pensare che forse lo avevo incoraggiato un po’ troppo presto.

    «Siete innamorato anche voi, David?»

    Arrossii ed egli prese il mio rossore come una confessione.

    «Mi siete sempre più simpatico; almeno potrò parlarvi con la sincerità di un uomo infelice. Ancora una domanda: anche voi incontrate ostacoli sulla vostra strada?»

    C’erano infatti degli ostacoli sulla mia strada: lei mi era maggiore d’età ed era troppo povera. Confessai che gli ostacoli c’erano, ma, con un riserbo tutto inglese, mi astenni dall’entrare in particolari. La mia risposta fu però più che sufficiente per Fritz.

    «Dio mio!», esclamò. «Anche i nostri destini si assomigliano. Siamo infelici tutti e due! Ora posso aprirvi il mio cuore. Devo abbracciarvi».

    Cercai di resistere meglio che potevo, ma lui era più forte. Le sue braccia quasi mi strangolarono; i suoi baffi ruvidi mi graffiarono la guancia. In un primo involontario impulso di disgusto, serrai i pugni. Il giovane signor Keller non sospettò mai (solo i miei compatrioti capiranno) quanto il mio pugno e la sua testa stavano per diventare familiari l’uno all’altro. Nazioni diverse, usanze diverse. Adesso posso sorriderne.

    Fritz si sedette di nuovo. «Il mio cuore è in pace, adesso. Posso esprimermi liberamente», disse. «Credo non vi sia storia d’amore più interessante della mia. Lei è la più dolce creatura che esista: bruna, slanciata, graziosa, deliziosa, diciott’anni. Il ritratto di sua madre alla sua età, credo. Si chiama Minna, figlia unica della signora Fontaine La signora Fontaine è veramente una bellissima donna, sul tipo delle matrone romane. Ma l’invidia e la calunnia si accaniscono contro di lei. Lo credereste? Ci sono miseri malevoli a Wurzburg (suo marito era professore di chimica all’università) che chiamano la madre Gezabele e la mia Minna la figlia di Gezabele! Mi sono persino battuto in duello per vendicare quest’insulto. Ma quel che è peggio, David, è che un'altra persona si lascia influenzare da queste odiose calunnie, una persona che mi è sacra, mio padre. Mio padre il quale dichiara che non sposerò mai la figlia di Gezabele e mi manda in esilio in questo paese straniero a copiare lettere. Ah, come mi conosce poco! Non sa che io appartengo alla mia Minna e lei a me. Nel corpo e nell’anima, e per l’eternità siamo una cosa sola. Vedete le mie lacrime? Le mia lacrime parlano per me. L’unico sollievo è piangere liberamente. C’è una canzone tedesca che lo dice. Appena mi riprendo, ve la canterò. La musica è un grande conforto: la musica è amica dell’amore. C’è un’altra canzone tedesca che lo dice». Si asciugò di colpo gli occhi e si alzò in piedi; a quanto pareva doveva essergli balenata una nuova idea. «Io non sono abituato a passare le serate in casa. Si può ascoltare della buona musica a Londra? Aiutatemi a dimenticare Minna per un’ora o due; portatemi a sentire un po’ di musica».

    Cominciavo ad averne abbastanza delle sue divagazioni, perciò ero ansioso di un cambiamento. Lo aiutai a dimenticare Minna a un concerto a Vauxhall. Ritenne che la nostra orchestra inglese fosse carente in leggerezza e spirito. D’altro canto, però, subito dopo rese giustizia alla nostra birra in bottiglia. Quando lasciammo il parco mi cantò quella canzone tedesca, Il sollievo del mio cuore è piangere liberamente, con un fervore che avrà svegliato tutti quelli che nel quartiere avevano il sonno leggero.

    Di ritorno nella mia stanza da letto, trovai sulla scrivania una lettera aperta. Era del notaio che annunciava a mia zia che aveva deciso di accompagnarla all’ospizio dei pazzi – ma non s’impegnava per nessuna altra cosa. Lasciandomi lo lettera, mia zia aveva aggiunto di traverso, a matita: Se vuoi, David, puoi accompagnarci.

    La mia curiosità era troppo viva perché non accettassi l’invito.

    IV.

    Il lunedì, all’ora designata, eravamo pronti per accompagnare mia zia al manicomio.

    Se diffidasse del proprio giudizio o desiderasse il maggior numero di testimoni possibile all’atto che stava per compiere non so dirlo. Comunque sia, per prima cosa, ella invitò anche Hartrey e Fritz Keller ad accompagnarci. Tutti e due rifiutarono di venire: il capo reparto col pretesto del lavoro: c’era molta corrispondenza per l’estero da sbrigare. Fritz non trovò nessuna scusa, disse francamente la verità, con quel suo modo peculiare: «Ho orrore dei pazzi. Mi fanno paura e mi rattristano talmente che al momento di lasciarli mi sento pazzo quasi quanto loro. Non mi chiedete di venire, cara signora, ma date retta a me, non andate neppure voi».

    Mia zia sorrise con tristezza e uscì per prima.

    Avevamo un permesso d’ingresso all’ospedale, per cui il direttore era a nostra disposizione per farci visitare l’istituto. Egli ricevette mia zia con enorme cortesia e propose di mostrarci l’edificio nei suoi particolari, e di condurci poi in casa sua a far colazione.

    «Un’altra volta gradirò la vostra gentile offerta», rispose mia zia. «Per oggi il mio scopo è vedere una persona sola fra quelle rinchiuse qua dentro».

    «Una persona sola?», ripeté il direttore. «Forse qualche malato della classe distinta?»

    «No, desidero semplicemente vedere un pover’uomo abbandonato che è stato trovato per strada e mi hanno detto che è ricoverato sotto il nome di Jack Straw».

    Il direttore la guardò con vivo stupore.

    «Dio mio, signora, sapete che Jack Straw è uno degli alienati più pericolosi che abbiamo?»

    «Ho sentito dire infatti che passa per tale».

    «E tuttavia desiderate vederlo?»

    «Sono venuta qui esclusivamente per questo». Il direttore guardò il notaio e me; sembrava ci volesse domandare spiegazioni su questo desiderio incomprensibile di vedere Jack Straw. Il notaio rispose anche per me. Ricordò al direttore le particolari opinioni del defunto signor Wagner sul trattamento degli alienati e il suo interessamento per il malato in questione. Mia zia aggiunse: «La vedova del signor Wagner prova lo stesso interesse e ha ereditato le idee di suo marito». A queste parole, il direttore s’inchinò e si rassegnò.

    «Scusatemi se vi farò aspettare due o tre minuti», disse suonando un campanello. Un inserviente apparve sull’uscio.

    «Yarcombe e Fass sono in servizio nell’ala sud?», domandò il direttore.

    «Sì, signore».

    «Mandatemi immediatamente uno dei due». Aspettammo qualche minuto, poi una voce roca si udì dall’altro lato dell’uscio.

    «Eccomi, signore».

    Il direttore offrì cortesemente il braccio a mia zia. «Permettete che vi conduca da Jack Straw», disse con una leggera sfumatura d’ironia nella voce.

    Il notaio e io seguimmo mia zia e la sua scorta. Un uomo che aveva aspettato fuori dell’uscio camminava davanti a noi. Era Yarcombe o Fass? Poco importava; era soltanto una specie di bruto dall’aria selvaggia e arcigna.

    «È uno dei nostri aiutanti», disse il direttore indicandocelo. «È facile che ce ne occorrano due se vogliamo che tutto proceda bene durante la vostra visita a Jack Straw».

    Salimmo una scala separata dal pianterreno da una porta massiccia, chiusa da parecchi catenacci. Attraversammo alcuni corridoi tetri, protetti da altre porte robuste. Grida di rabbia e di dolore, a volte lontane altre vicine, frammiste a rumorosi scoppi di risa, più terribili delle grida, risuonavano attorno a noi. Oltrepassammo un’altra porta, più solida delle altre, che richiudendosi soffocò quei terribili clamori e ci trovammo in una piccola sala circolare.

    Il direttore si fermò; regnava un silenzio di morte. Egli fece cenno al guardiano indicandogli una porta di quercia guarnita di chiodi: «Guardate», disse.

    L’uomo spinse uno spioncino praticato nella porta e guardò attraverso le sbarre dell’apertura.

    «Dorme o è sveglio?», domandò il direttore.

    «È sveglio».

    «Lavora?»

    «Sì, signore».

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