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Un dono per il visconte: Harmony History
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E-book258 pagine7 ore

Un dono per il visconte: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1890
Per tenere con sé la sorella Abigail, Isaiah Maxwell, Visconte Scarsfeld, deve trovare in fretta una moglie per dimostrare che la bambina sta crescendo in una famiglia unita e convenzionale. Dato che era desiderio di sua madre che sposasse una delle tre sorelle Penneyjons, è a loro che si rivolge e a rispondere alla sua richiesta è Felicia, che vedeva davanti a sé un destino da zitella. Ma appena la futura sposa arriva a Scarsfeld, Isaiah sente minacciata la pace del suo cuore, che ha tenuto chiuso dal giorno in cui la madre lo ha abbandonato da piccolo. Felicia è come un raggio di sole, e il calore che lo avvolge quando le è accanto sembra cancellare il dolore, fino a fargli capire che con una donna come lei può affrontare tutte le sfide della vita.

Disponibile in eBook dal 20 gennaio 2021
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2021
ISBN9788830523562
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    Anteprima del libro

    Un dono per il visconte - Carol Arens

    successivo.

    1

    Scarsfeld Manor, 15 novembre 1889

    La lettera scottava come una palla di fuoco, nella mano di Isaiah Elphalet Maxwell.

    Mentre guardava dalle finestre della veranda la sorellastra che giocava in riva al lago Windermere, si sentiva il cuore schiacciato tra il tacco dello stivale e la dura pietra.

    Abigail spiccò un salto, volteggiò in aria e fece un profondo inchino alla sua gatta, Eloise.

    Isaiah sorrise tra sé. Come poteva non sorridere alle buffonate di Abigail, anche se stringeva ancora la lettera nel pugno tremante?

    Lady Abigail Elizabeth Turner, di otto anni, era l'unica luce, in quella casa desolata. In tutta la sua vita, in realtà.

    Gli apparteneva, di sangue e di diritto.

    La vita di Isaiah non era più stata la stessa da quella notte di pioggia di otto anni prima, quando il maggiordomo era entrato in salotto portando un fagotto che gocciolava acqua e strillava, seguito da un uomo dall'aria terrorizzata, che si era rivelato essere l'avvocato del suo patrigno, deceduto di recente.

    Sì, Isaiah era il fratellastro di Abigail, ma era anche suo padre. Era stato lui a prendersi cura della bambina, ad amarla e accudirla per tutta la vita. Nonostante all'epoca avesse solo ventidue anni, nessun padre naturale avrebbe potuto mostrare più devozione nei confronti di un figlio. Girandosi, si diresse verso il camino e gettò la lettera tra le fiamme, prima di tornare alla finestra.

    Si era alzato il vento, che danzava tra le cime degli alberi e spargeva al suolo le ultime foglie autunnali.

    Naturalmente, Abigail non sembrava affatto turbata dalle raffiche fredde, ma rincorreva il fogliame dalle calde sfumature dorate, battendo i piedi e ridendo. Il gatto tricolore le saltellava intorno alle gonne, pestando l'orlo di pizzo.

    Era tempo di farla rientrare. Anche se non era probabile che un ramo si spezzasse e cadesse, colpendola, l'eventualità non poteva essere nemmeno esclusa.

    L'esperienza aveva insegnato a Isaiah che non si era mai troppo attenti, quando si trattava di proteggere un bambino. Una porta rimasta aperta in una notte gelida gli aveva insegnato la lezione.

    Inoltre, anche da lì poteva vedere che la bambinaia tremava, nel cappotto, mentre batteva i piedi cercando di scaldarsi.

    Uscendo sulla terrazza, si fermò un istante a fissare il lago. Stretto e lungo, sembrava un gelido nastro azzurro che tagliava la campagna.

    Isaiah guardò verso il dolce pendio che portava alla riva e agitò il braccio per attirare l'attenzione della sorellina. Il vento gli fece svolazzare le falde della giacca.

    Non amava quel periodo dell'anno. C'era solo da sperare che non nevicasse presto. Più la neve avesse tardato, meglio sarebbe stato per tutti.

    Al suo segnale di rientrare, Abigail prese in braccio il gatto e salì di corsa gli scalini di pietra. Senza fiato, avvolse le braccia sottili attorno al busto di Isaiah e premette l'orecchio contro il suo cuore.

    «Nevicherà, Isaiah?» chiese, saltellando su e giù. Il gatto ne approfittò per liberarsi dalla sua stretta e sgusciare attraverso la porta aperta della veranda.

    Evidentemente l'assenza di neve era gradita alla maggior parte delle persone, ma non alla sua sorellina.

    La bambinaia, con le spalle curve, si affrettò a rientrare al seguito del gatto.

    «Se dovesse nevicare, se non altro resteremo dentro casa, come tutte le persone di buonsenso» borbottò, oltrepassandoli.

    Miss Shirls diceva sempre ciò che pensava, senza riguardo per il suo titolo di Visconte Scarsfeld – il nono, per l'esattezza – né per la sua posizione.

    La notte in cui era arrivata Abigail, la donna era stata convocata dalle cucine. Con una bottiglia di latte caldo in mano, aveva preso in braccio la piccola che strillava e, prima che la bottiglia fosse finita, Miss Shirls si era nominata balia. Isaiah aveva accettato, dal momento che non aveva nessun altro, a disposizione. Ben presto era stato chiaro che il passaggio di Miss Shirls dalle cucine alla nursery era stato vantaggioso per entrambi.

    Da allora, la donna si era occupata ogni giorno della bambina. Isaiah pensava che fosse giusto passare sopra il suo atteggiamento poco formale. Nonostante le differenze sociali, la bambinaia si sentiva parte della famiglia.

    Una famiglia che di fatto comprendeva solo Isaiah e Abigail. Se Miss Shirls si era aggiunta da sola, a lui non dispiaceva affatto.

    «Voglio giocare all'aperto sulla neve!» esclamò la bambina. «Costruirò decine di pupazzi. Mi aiuterai, Isaiah?»

    In risposta, lui le posò un bacio sul capo, lasciato scoperto dal cappello che era scivolato di lato. I riccioli biondi odoravano di aria fresca e pulita. Se la felicità aveva un profumo, era quello che sentiva su di lei. Accertarsi che Abigail crescesse felice era la sua priorità. Avrebbe fatto di tutto pur di evitarle la solitudine di cui aveva sofferto lui durante l'infanzia.

    Finché fosse rimasto in vita, Abigail avrebbe saputo ogni giorno di essere amata.

    Anche se aveva gettato tra le fiamme la lettera del fratello del patrigno, le parole che conteneva continuavano a bruciargli nel cervello.

    Le rilesse mentalmente. Per quanto si sforzasse, non poteva farne a meno.

    Lord Scarsfeld,

    mia moglie e io vi porgiamo i nostri saluti e vi facciamo i migliori auguri in questo periodo che precede il Natale, una festa che finora non abbiamo potuto trascorrere con voi e con la nostra cara nipote Abigail.

    Quella cara nipote Abigail che non avevano mai degnato di uno sguardo!

    Quest'anno, tuttavia, desideriamo fare ammenda per tale negligenza. Apprezziamo sinceramente che vi siate assunto l'onere di allevarla, e ve ne saremo sempre grati.

    Come se ci fosse qualcosa di cui essere grati.

    Ma ora è venuto il momento che mia moglie e io vi solleviamo da questo peso.

    Abigail non era mai stata un peso, per Isaiah, né lo sarebbe mai stata.

    Dal momento che siete ancora celibe e che la mia amata Diana deve ancora darci la benedizione di un figlio nostro, ci sembra giusto che nostra nipote cresca a Penfield. Confido che questa soluzione vi sia gradita. Nel comunicarvi il nostro arrivo per il 15 dicembre, vi inviamo i migliori saluti,

    Penfield

    Perché mai Penfield aveva preso quella decisione proprio adesso, quando in tutti gli otto anni di vita di Abigail nessuno della famiglia era mai andato a trovarla, né aveva sollecitato una sua visita? Una lettera di tanto in tanto era tutto quello che la bambina aveva avuto dal Conte e dalla Contessa di Penfield.

    L'unica cosa che gli veniva in mente era che avessero perso ogni speranza di avere un figlio, motivo per cui avevano messo gli occhi su sua sorella. Forse erano convinti che Londra potesse offrirle dei vantaggi che una vita tranquilla in campagna non poteva dare.

    «Hai un'aria tempestosa, Isaiah.» Abigail avvicinò le sopracciglia sottili, guardandolo con riprovazione. «Non c'è da stupirsi se la gente ti giudica intrattabile.»

    «Chi mi giudica così?»

    «Quasi tutti. Dovresti sorridere, ogni tanto, se non vuoi apparire così altezzoso.»

    «Altezzoso?»

    «O burbero.»

    «Burbero!» esclamò Isaiah. Aveva solo trent'anni, erano pochi per essere giudicato già un vecchio burbero. «Pensi che sia burbero?» Rispondimi di no, ti prego.

    «Io so che non lo sei» affermò la bambina. «Puoi essere molto divertente, quando vuoi, e hai l'animo più gentile di chiunque io conosca, anche se fai del tuo meglio per nasconderlo.»

    «Perché dovrei farlo?»

    «È quello che mi chiedo anch'io.»

    «Sembri più vecchia dei tuoi otto anni.»

    «E tu sembri più scontroso di quanto non sia.»

    Isaiah sapeva di essere considerato cupo, perfino scontroso, dai sussurri che aveva udito. Di rado le persone cercavano la sua compagnia, a meno che non fosse necessario. La cosa gli stava bene, dal momento che preferiva evitare quella che gli sembrava la finta allegria delle riunioni sociali, dove le giovani donne e le loro madri facevano a gara per avere la sua attenzione, più che altro per il suo titolo.

    Nelle rare occasioni in cui doveva assumere un ruolo pubblico, presentare il lato più cupo della sua natura gli aveva procurato una sorta di rispetto.

    Il suo comportamento distaccato lo isolava in gran parte dalla società, ma la cosa non lo turbava più di tanto. Era abbastanza soddisfatto della situazione. Era così che gli piaceva, la sua vita: tranquilla, ordinata, prevedibile.

    «Cosa faresti, al mio posto, per convincere le persone che non sono burbero?» domandò alla sorellina.

    «Sorriderei più spesso, per cominciare, magari riderei, ogni tanto. E metterei un albero di Natale in salotto.»

    Un albero di Natale! Non lo faceva da quando era bambino, e non l'avrebbe fatto nemmeno per Abigail. «Non sapevo che ne volessi uno.»

    La bambina annuì. «Tutti lo vogliono, lo sai. I nastri colorati sulla scala e i fiocchi sulla mensola del camino fanno allegria e creano un'atmosfera natalizia. Mi piace anche il ceppo di Natale, ma ormai ho otto anni, ed è ora che abbia un albero.»

    «È la prima volta che accenni alla questione.»

    «E non sarà l'ultima» lo mise in guardia Abigail. «Li ho visti in città, e sono bellissimi. In tutti i libri le persone cantano le carole riunite intorno all'albero e mangiano prugne candite! Cosa penserà Babbo Natale? Chiedergli di entrare in una casa dove non c'è nemmeno un albero è una mancanza di rispetto.»

    Forse avrebbe dovuto cercare di mettere da parte il proprio risentimento nei confronti degli alberi di Natale, si disse Isaiah. Probabilmente era irragionevole incolparli della sua infanzia infelice. Non era colpa di un albero se il suo patrigno era una bestia, o se sua madre aveva scelto lui, allontanando il figlio.

    Doveva mostrarsi ragionevole, eppure non gli riusciva di farlo. Avrebbe dato qualsiasi cosa alla sorella, ma non quel simbolo di un dolore così profondo.

    «Preferiresti vivere da qualche altra parte, Abigail? In un posto che possa offrirti di più?» Naturalmente lei era troppo giovane per fare una scelta del genere ma, dopo la lettera di suo zio, Isaiah aveva bisogno di saperlo.

    Le afferrò la manina e la condusse all'interno della veranda. Lei lo tenne stretto e rimase in silenzio.

    Una volta dentro, le sbottonò la giacca e gliela sfilò. «Vuoi mandarmi via?» chiese Abigail con una vocina tremante.

    «No! Mai. Come ti viene in mente?»

    «Molte bambine vengono mandate via da casa per andare in collegio e imparare a essere delle vere signore. È per questo che non hai ancora assunto un'istitutrice?»

    «Abigail, non ti manderei mai in nessun posto in cui tu non voglia andare. Prometto che non lo farò.» Il sorriso di sollievo della bambina mise in mostra il buco lasciato da un dente, e gli occhi azzurri riacquistarono il consueto scintillio.

    Isaiah sentì un nodo in gola quando riconobbe sul piccolo volto di Abigail l'ombra della loro madre quando era giovane, prima che sposasse Palmer Turner, quinto Conte di Penfield.

    «Comunque è vero che stai crescendo in fretta, più di quanto ci metta il tuo gatto ad acchiappare un topolino. Ti vedo diventare più alta di ora in ora. Avrai bisogno di qualcuno che ti insegni a diventare una vera signora. C'è molto di più di quanto si possa immaginare.»

    «Qualcuno che vivrà qui con noi?» Ancora una volta Abigail lo guardò con aria sospettosa. «Un'istitutrice o un tutore?»

    «Stavo pensando più a una persona di famiglia, una donna.»

    «Potrebbe essere Lady Penfield, ma non credo che lascerebbe mai la sua casa.»

    «Devo prendere moglie» dichiarò Isaiah. «È tempo che mi decida.» Vide Abigail formare un perfetto ovale di sorpresa con le labbra. «Che ne pensi?»

    Avere una moglie sarebbe tornato a suo vantaggio, quando fossero arrivati Lord e Lady Penfield. Doveva fare tutto il possibile per dissuadere il conte e la contessa dal prendere con loro Abigail. Se la questione fosse arrivata in tribunale, Isaiah sapeva che avrebbe perso. Qualsiasi giudice avrebbe affidato la custodia di una bambina a un conte sposato, anziché a un visconte celibe e scontroso.

    «Penso parecchie cose, al riguardo» rispose Abigail. «Comunque tu dovresti davvero fare uno sforzo per sorridere di più, se vuoi che tua moglie sia felice, qui.»

    «Quello che vorrei sapere è se tu saresti felice.»

    «Sarebbe un po' come avere una madre e una sorella insieme. Sì, mi piacerebbe. Ma... mi vorrai meno bene quando amerai lei?»

    «Niente al mondo potrebbe diminuire il mio amore per te. E poi... non è necessario amare una moglie. Ci sono matrimoni felici basati sull'amicizia reciproca.»

    «Se lo pensassi davvero, ti saresti già sposato.»

    O forse, se sua madre avesse trovato un po' di felicità, nel secondo matrimonio, lui stesso avrebbe guardato con più fiducia alla prospettiva. «Dimmi la verità, Abigail, sei sicura di avere solo otto anni?»

    «Sono una bambina di otto anni, è questo che fa la differenza. Se fossi un maschio, non farei altro che arrampicarmi dappertutto e combinare guai. Hai presente il figlio del capo delle scuderie?»

    «Sarò sempre grato di avere una sorella. Ma se dovessi sposarmi, potrei contare sulla tua approvazione?»

    «Sì, purché a tua moglie piacciano i gatti.»

    2

    Londra, primi di dicembre 1889

    Il tempo non prometteva neve mentre Felicia tagliava i rami di agrifoglio. Le nuvole che punteggiavano il cielo erano poco più che batuffoli di cotone, quindi non era nemmeno probabile che piovesse.

    Sembrava quasi primavera, nel giardino di Cliverton House, con gli uccelli che cinguettavano e i fiori in boccio.

    Era scoraggiante per chi si apprestava a decorare la casa per le feste natalizie. Ci si aspettava che il Natale fosse rigido e incantevole.

    Fermandosi con le cesoie a mezz'aria, Felicia dovette ammettere che in effetti era rigido e incantevole. Se non altro, le dita erano intorpidite dal freddo e il naso era arrossato. C'era anche una tazza di cioccolata calda, a portata di mano, che diffondeva il suo profumo fragrante nel giardino.

    Forse non sarebbe piovuto, né nevicato, ma Felicia continuò a tagliare i rami di sempreverdi con un sorriso. Dopotutto, Natale sarebbe arrivato, gelido e imbiancato dalla neve, o tiepido e dolce.

    Il clima non aveva grande importanza. Indipendentemente dalle circostanze, per lei Natale era il periodo più bello dell'anno.

    Le sue sorelle, Cornelia e Ginny, borbottavano che era troppo presto per iniziare i festeggiamenti, ma non erano loro a chiamarsi Felicia Merry.

    I nomi erano importanti. Felicia era convinta – come lo era stata sua madre – che tutti i nomi avessero un significato e che non fossero solo graziosi appellativi. La mamma sottolineava sempre che era per quello che nessuno avrebbe chiamato un figlio Belzebù, o una figlia Jezebel.

    Strano come pensare alla madre la facesse sorridere e piangere allo stesso tempo.

    Più volte, nel corso del tempo, aveva verificato che la sua teoria dei nomi era corretta. Nel suo caso, lo era di sicuro. Come suggeriva il suo nome, lei vedeva quasi sempre il lato positivo delle cose.

    La mamma le aveva spiegato più volte cosa significava il suo nome, e come lei e il padre avessero pensato a lungo e pregato, prima che la loro scelta cadesse proprio su quello.

    Felicità era una parola che si adattava bene anche al Natale, e lei non aveva alcun problema a celebrarlo in anticipo.

    Cornelia poteva essere scusata se aveva in mente altre cose, dato che di recente si era fidanzata con un conte. Senza dubbio i loro genitori si sentivano orgogliosi, guardando dall'alto la figlia maggiore.

    Forse Ginny l'avrebbe raggiunta fuori, una volta riposto il suo diario e indossati gli occhiali. Occhiali di cui non aveva davvero bisogno per vedere bene. Minore di lei solo di un anno, Ginny era una vera bellezza, e Felicia sospettava che si servisse delle lenti solo per tenere a bada i corteggiatori.

    Con i capelli colore del grano e gli occhi azzurri come boccioli di pervinca, era molto ricercata, cosa che non le era affatto gradita. La povera Ginny era timida e riservata come un cerbiatto.

    Sapendo che in quel momento l'avvocato era a colloquio con Peter nel suo studio, Ginny non sarebbe scesa senza i pesanti occhiali dalla montatura nera. Come molti altri, il giovane legale era cotto di lei.

    Probabilmente mamma e papà si congratulavano con se stessi dall'alto per averla chiamata Virginia e assicurarsi così che non perdesse la testa per il primo gentiluomo che la riempisse di lusinghe.

    Se non altro, non dovevano avere preoccupazioni simili per Felicia. Lei non era graziosa e minuta come le sorelle, ma torreggiava su di loro e non aveva mai fatto girare la testa agli uomini. Aveva avuto dei corteggiatori, certo, ma erano sembrati più interessati a quello che aveva da offrire il titolo di suo padre che a lei. Per molti di loro era bastata una mezz'ora in cui erano stati costretti a sollevare il capo per guardarla negli occhi per convincerli a cercare una donna più attraente.

    Una donna più alta della media, con capelli rossi e occhi verdi, non era l'ideale di molti.

    Dopo tre Stagioni senza aver ricevuto una proposta di matrimonio, Felicia cominciava a prendere polvere sullo scaffale.

    Non che la cosa le dispiacesse. Una donna poteva condurre una vita soddisfacente anche senza un marito che decidesse per lei se doveva sentirsi felice o meno, soprattutto a Natale. Vivere a Cliverton House con le sorelle e il cugino, Peter, che aveva assunto il ruolo di capofamiglia dopo la morte del padre, era sufficientemente appagante.

    Si imponeva di non pensare a come tutto sarebbe cambiato, una volta che le sorelle si fossero sposate e che Peter avesse preso moglie. A trent'anni compiuti, del resto, era giunto il momento che lo facesse. Per Felicia era umiliante la prospettiva di dipendere dal cugino e da sua moglie per qualsiasi cosa.

    Per il momento, però, era la cugina nubile del Visconte Cliverton e perlopiù era libera di fare ciò che voleva.

    Per esempio, quando aveva deciso di decorare il salotto il primo giorno di dicembre, nessuno glielo aveva impedito. Nonostante considerassero stravagante il suo comportamento, nessuno aveva protestato quando aveva messo i rami di agrifoglio sulla mensola del camino e aveva abbellito il corrimano della scala con nastri rossi.

    Un marito avrebbe potuto trattenerla e smorzare il suo entusiasmo. Non tutti gli uomini apprezzavano i festeggiamenti natalizi. Meglio nubile, che legata a un uomo privo di allegria.

    Così come stavano le cose, era libera di raccogliere sempreverdi senza essere

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