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Contessa per sette giorni: Harmony History
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E-book236 pagine3 ore

Contessa per sette giorni: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1820
Dopo sei anni trascorsi in Australia, in seguito alla scomparsa di tutti gli uomini della sua famiglia Mr. Randolph Kirkster si trova costretto a tornare in Inghilterra e ad assumere il titolo di Conte di Westray. Appena arrivato in patria, Ran viene informato del fatto che a Beaumount, una delle tenute ereditate, c'è una moglie che lo aspetta... una moglie di cui lui non conosce nemmeno l'esistenza! Lady Arabella, questo il suo nome, in realtà ha solo finto di essere la sposa del conte per poter investigare liberamente sulla morte del vero marito. Ran decide di assecondarla e di aiutarla nelle indagini, accettando di vivere insieme per non destare sospetti. L'intimità che nasce tra i due sorprende soprattutto Bella che, per i sensi di colpa, è determinata a non cedere. Ma il passato potrebbe riservarle sgradevoli sorprese...
LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2020
ISBN9788830513068
Contessa per sette giorni: Harmony History
Autore

Sarah Mallory

Sarah Mallory grew up in the West Country, England, telling stories. She moved to Yorkshire with her young family but after nearly 30 years living in a farmhouse on the Pennines, she has now moved to live by the sea in Scotland. Sarah is an award-winning novelist with more than twenty books published by Harlequin Historical . She loves to hear from readers and you can reach her via her website at: www.sarahmallory.com

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    Anteprima del libro

    Contessa per sette giorni - Sarah Mallory

    successivo.

    1

    La corta giornata di novembre stava volgendo al termine quando l'Apollonia entrò nel porto di Portsmouth, le vele tinte di rosa dal sole al tramonto. In mezzo al tramestio sul ponte c'era una figura immobile, quella di un uomo avvolto in un pesante mantello. Era senza cappello, e i suoi folti capelli biondi erano mossi dalla brezza mentre fissava l'acqua dritto davanti a sé, strizzando leggermente le palpebre per il riverbero della luce della sera. Non guardava le mura massicce e le fortificazioni che si levavano minacciose tutt'intorno, ma era rivolto verso il mare aperto che si vedeva dalla stretta imboccatura del porto.

    Il capitano gli si avvicinò. «Vi chiedo scusa sir, fra poco attraccheremo.»

    «Come?» L'uomo si girò, impiegando qualche istante per riscuotersi. «Ah, sì. Mi volete sottocoperta, fuori dai piedi, suppongo.»

    Rassicurato dal suo tono cordiale, il capitano si concesse un sorriso. «Sissignore, se non vi dispiace. Il ponte è ingombro di sacchi e casse...»

    «E non volete che gli uomini inciampino sui passeggeri. E sia, capitano. Scenderò di sotto.»

    «Vi ringrazio, sir. Vi assicuro che vi faremo sbarcare appena possibile.»

    Con un sorriso e un cenno, Randolph tornò nell'angusta cabina buia che gli aveva fatto da casa negli ultimi sei mesi. Avrebbe potuto sopportare qualche minuto in più. Si buttò sulla branda e mise le mani dietro la testa. Mentre ascoltava le grida e i tonfi che provenivano dal ponte sopra di lui si chiese, e non per la prima volta, se fosse stato prudente tornare in Inghilterra. Era rimasto sei anni in Australia, dove si era creato una vita piacevole, a gestire la propria fattoria ad Airds, sul terreno che gli era stato concesso dopo aver ricevuto la grazia. Tuttavia, quando era arrivata la lettera di Chislett, non aveva impiegato molto a convincersi che era suo dovere tornare in patria.

    Però ora si chiedeva che cosa lo attendesse. Quando era partito, l'Inghilterra si stava riprendendo dalla lunga e impegnativa campagna contro Bonaparte. Da allora Randolph non si era interessato molto agli affari inglesi, perché non pensava di rimettervi piede né, a dire il vero, di sopravvivere.

    Dei colpi sommessi alla porta lo strapparono dalle proprie riflessioni.

    «Scusate, milord, vedo che i vostri bagagli non sono ancora pronti. Se permettete...»

    «Oh, sì, Joseph, entra.»

    Randolph si mise seduto sulla cuccetta con i piedi sul pavimento e guardò il valletto che raccoglieva gli ultimi oggetti sparsi e li metteva nel borsone già pieno. Infilò spazzola e pettine ma, quando prese un coltellino a serramanico, Randolph tese la mano.

    «Questo lo prendo io, Joseph. Grazie.» Mise il coltellino nella tasca della giacca. «Ti dispiace tornare in Inghilterra?»

    «Per me è uguale, milord. Se foste voluto rimanere ad Airds, sarei stato contento di vivere lì.»

    «Se quest'impresa dovesse rivelarsi disastrosa, potremmo ancora tornarci» osservò Randolph.

    «Come desiderate, milord.»

    «Devi essere sempre così imperturbabile?»

    Joseph gli rivolse uno dei suoi rari sorrisi. «Altrimenti come avrei fatto a sopravvivere così a lungo?»

    «Vero!» Randolph rise. Si alzò in piedi e mise una mano sulla spalla dell'uomo dai capelli grigi. «Quanto hai dovuto sopportare, a causa mia, nel corso degli anni! Ti devo molto. Non sarei in vita, se non fosse per te. Avresti dovuto lasciarmi...»

    «Se intendete offrirmi una pensione a vita» lo interruppe l'altro, «vi avverto che non l'accetterei, milord. Come impiegherei le mie giornate, se non dovessi badare a voi?»

    «Non è la prima volta che lo dici, ma ora che torneremo in patria potresti prendertela più comoda. Sistemarti, magari trovare moglie. Ricordo che un tempo avevi un debole per la cameriera di mia sorella.»

    Negli occhi di Joseph Miller passò un lampo, ma Randolph non riuscì a capire se fosse di nostalgia, allarme, o imbarazzo.

    «Prima pensiamo a sistemare voi, milord, poi vedremo» fu la sua unica risposta.

    In corridoio si udì una voce che invitava tutti i passeggeri a sbarcare. Joseph chiuse il borsone e lo prese. «Vogliamo scendere a riva, milord?»

    Dopo tanto tempo in mare, per Randolph fu strano sentire l'acciottolato sotto i piedi invece delle assi di legno che oscillavano perennemente, ma non ebbe il tempo di abituarsi. Si guardò intorno mentre stava scendendo la sera e posò lo sguardo su una carrozza chiusa, con un uomo in abiti sobri fermo vicino allo sportello. Anche dopo tanti anni riconobbe l'avvocato di famiglia, e si diresse verso di lui con la mano tesa. «Mr. Chislett, buonasera.»

    L'uomo gli fece un profondo inchino. «Milord.»

    «Suvvia, stringetemi la mano!» esclamò Ran. «Negli ultimi sei anni ho vissuto senza troppe cerimonie e non intendo cominciare adesso, specialmente con un vecchio amico. E badate, viaggio sotto il nome di Mr. Randolph Kirkster, senza titoli nobiliari.»

    «Come desiderate, sir.» Chislett gli diede una breve stretta di mano, poi fece un cenno verso la carrozza. «Ho solo questa vettura. Se avete molti bagagli forse dovremo noleggiarne un'altra.»

    «Ho un paio di bauli e qualche borsone» replicò Ran. «Potremmo cavarcela così.»

    Pochi minuti dopo i bagagli erano legati alla carrozza, e Randolph si accomodò all'interno con Joseph e Chislett.

    «Vi ho prenotato delle stanze all'Admiral» lo informò l'avvocato. «Alloggio anch'io lì, e spero sia di vostro gradimento. Pensavo di vederci domattina dopo colazione per parlare della vostra situazione.»

    «Perché aspettare fino a domani?» obiettò Ran. «Prima concluderemo questa faccenda e meglio sarà.» Guardò fuori del finestrino mentre la carrozza stava rallentando. «Siamo già arrivati? Bene, entriamo. Ordinate la cena per tre in una saletta privata, per favore, Mr. Chislett. Diciamo fra un'ora. Joseph, ti lascio a occuparti dei bagagli e intanto faccio portare dell'acqua calda nelle nostre stanze.»

    Con quelle parole, balzò a terra ed entrò nella locanda, lasciando l'avvocato a fissarlo, sorpreso.

    Joseph ridacchiò. «Sua Signoria non è il tipo che resta con le mani in mano mentre gli altri lavorano. Venite, Mr. Chislett, diamoci da fare!»

    Randolph appoggiò la schiena alla sedia ed emise un sospiro soddisfatto. «Dopo mesi di razioni sulla nave, ho apprezzato molto una buona cena.»

    Era seduto a tavola nella saletta privata dell'Admiral con Joseph e Chislett. Dopo aver sparecchiato, la cameriera aveva servito un ottimo brandy e una brocca di birra leggera.

    Miller riempì due bicchieri di brandy e ne mise uno davanti all'avvocato. «Vorrete parlare di affari» osservò prendendo l'altro bicchiere e accingendosi ad andarsene, ma Randolph gli fece cenno di tornare a sedersi.

    «Puoi restare, Joseph. Sai che per te non ho segreti.» Si voltò verso l'avvocato. «E ora, Mr. Chislett, se siete pronto, procediamo. Forse potreste cominciare spiegandomi di nuovo, e non con il gergo legale che avete usato nella lettera, come mai un barone caduto in disgrazia e deportato in catene è diventato improvvisamente il Conte di Westray. È un legame di parentela di cui non si è mai parlato, in famiglia.»

    Chislett prese il bicchiere e lo scaldò per qualche istante tra le mani. «È una storia semplice ma tragica, milord» esordì. «Il settimo conte aveva due figli e tre fratelli minori. Vostro nonno, essendo solo suo cugino, non aveva mai pensato che il titolo sarebbe passato alla sua discendenza. Il fratello più piccolo è morto senza prole, il secondo aveva un figlio che è morto a Waterloo. Poi i due figli del conte sono periti, uno di febbre e l'altro in un incidente di caccia, e il fratello ancora in vita si è reso conto che ormai per lui era troppo tardi per sposarsi e avere figli. Perciò, quando il conte è morto, un anno e mezzo fa, suo fratello ha ereditato il titolo ma è vissuto solo qualche mese, quindi il conte diventa il parente maschio più prossimo, cioè voi. Ora siete il nono Conte di Westray.»

    «E se non volessi?»

    «Come vi ho scritto, è un titolo nobiliare antico e comprende diverse proprietà. La sussistenza di diversi fittavoli e domestici con le loro famiglie dipende dalla gestione delle tenute. Se non desiderate rivendicare il titolo faremo il possibile per amministrarle da Londra, come facciamo da nove mesi, dopo la morte dell'ottavo conte. Il titolo rimarrà in sospeso e, a suo tempo, passerà a vostro figlio. Se doveste morire senza prole, si estinguerà.» Le labbra sottili dell'avvocato si incurvarono impercettibilmente verso il basso, come a esprimere la sua disapprovazione per tale eventualità. Poi continuò in tono neutro: «Naturalmente, milord, potreste decidere di lasciare l'amministrazione ai vostri economi e di godere dei frutti della vostra nuova posizione. La scelta spetta a voi».

    «Quindi dovrei vivere da nobile mentre qualcun altro fa tutto il lavoro al mio posto?» Randolph scosse il capo. «No, grazie. Se deciderò di accettare farò del mio meglio per migliorare le condizioni delle proprietà, non spolparle fino all'osso.»

    Randolph sorseggiava la birra, pensoso. In Australia si era sistemato bene. Gli piaceva la vita all'aria aperta, e aveva fatto prosperare la sua fattoria. Il clima gli si confaceva, motivo per cui era sano e in forma, perciò il lungo viaggio per mare non gli era pesato, anzi. Di certo era stato molto diverso dall'andata, in cui era sopravvissuto solo grazie alla devozione di Joseph Miller.

    «Dio sa che non voglio diventare conte» pronunciò in tono grave, «ma ormai il titolo è mio, e non posso ignorarlo. Da ragazzo sfuggivo alle responsabilità e ho lasciato che mia sorella ne patisse le conseguenze, e mi vergogno profondamente per tutto ciò che ha dovuto subire a causa mia. Non intendo eludere i miei obblighi una seconda volta.»

    La sua affermazione fu seguita da un lungo silenzio carico d'imbarazzo, punteggiato solo dal crepitio delle fiamme. Fu Joseph a spezzarlo.

    «Allora rimaniamo in Inghilterra, Lord Westray

    Randolph incrociò il suo sguardo e nei suoi occhi vide l'affetto e la fiducia che lo avevano sorretto nei suoi giorni più bui. Sorrise e sollevò il bicchiere.

    «Rimaniamo» dichiarò.

    Ora che la decisione era stata presa, l'atmosfera nella saletta si alleggerì. Lo scaltro avvocato non lasciava mai trapelare le emozioni, ma Randolph percepì il suo sollievo.

    «Benissimo, milord. Come prima cosa devo darvi l'anello dei Westray.» Tirò fuori dalla tasca un sacchettino di velluto che gli consegnò. Lo guardò mentre Randolph prendeva l'anello e lo provava a un dito, poi a un altro. «Possiamo farlo allargare, se non vi va.»

    «No, è perfetto per il mignolo» replicò Randolph, mostrandoglielo. L'antico anello con il sigillo era pesante, ma si disse che si sarebbe abituato ad averlo, così come il titolo e tutto ciò che comportava.

    Visibilmente sollevato, l'avvocato si concesse un accenno di sorriso. «Mi fa piacere.» Prese una cartellina che aveva poggiato sulla credenza e la portò al tavolo. «E ora ci sono un paio di documenti che devo sottoporre alla vostra attenzione.»

    La mattina dopo, quando entrò nella saletta, Randolph fu sorpreso di vedere l'avvocato che stava già finendo di mangiare. «Buon Dio, ma non dormite mai?» lo apostrofò. «Quando siamo andati a letto era mezzanotte passata!»

    «Mi bastano poche ore di sonno» replicò Chislett. Salutò con un cenno Joseph, che stava entrando dietro il padrone, poi tornò a voltarsi verso Ran. «Se non avete domande né indicazioni da darmi, vorrei partire per Londra non appena avrò terminato la colazione.»

    «Di sicuro avrò mille altre domande da porvi» ribatté Randolph in tono allegro. «Però per il momento va bene come ci siamo organizzati.»

    «Allora andrei, con il vostro permesso.» Chislett vuotò la tazza di caffè e si alzò. «Non esitate a scrivermi per qualsiasi cosa dovesse venirvi in mente, milord. Sarò lieto di rivedervi in città in primavera. Buona giornata, Lord Westray. E anche a voi, Mr. Miller.»

    Dopo che l'avvocato fu uscito, Randolph lo seguì con lo sguardo dalla finestra, e si girò verso il tavolo solo quando la carrozza si fu allontanata.

    «Per Giove, stamattina ho un certo appetito, Joseph. Non mi basteranno caffè e pane. Vai a vedere se l'oste può servirci le uova, e magari anche del prosciutto.»

    «Volentieri.» Miller sorrise. «Volete che sbandieri il vostro titolo per convincerlo?»

    «Accidenti, no! Non sono ancora abbigliato in modo consono, e intendo godermi l'anonimato ancora un po'.» Randolph esitò. «Spero tu ti renda conto, amico mio, che la nostra vita sarà molto diversa da ora in poi. Dovremo amministrare le tenute, occuparci del personale e dei fittavoli...»

    «Sì, signore, ma non è niente che non possiamo gestire. Adesso mettetevi seduto mentre io vado in cerca di quel furfante dell'oste.»

    2

    Randolph trascorse la giornata a esaminare le carte che Chislett gli aveva lasciato, e si interruppe solo quando fu ora di cambiarsi per la cena. Andò a cenare con Lord e Lady Gilmorton al King's Arms, l'albergo in cui alloggiavano.

    Tranne che all'avvocato, il quale gli aveva giurato di mantenere il segreto, Randolph aveva detto del suo ritorno in Inghilterra solo alla sorella Deborah e a suo marito, e non fu sorpreso di ricevere un loro messaggio che lo informava della loro intenzione di vederlo a Portsmouth. Era contento che venissero fin lì, ma anche un po' in apprensione, e non poté fare a meno di aggiustarsi il fazzoletto da collo, prima di entrare nella locanda.

    Mentre un cameriere lo scortava nella saletta privata, da sopra la spalla Randolph scorse sua sorella per la prima volta dopo sei anni, ed ebbe un tuffo al cuore. L'avrebbe riconosciuta ovunque, elegante in un abito verde prato e con i capelli castani raccolti.

    «Deborah.»

    Lei attese a stento che il ragazzo chiudesse la porta e poi si lanciò verso di lui, gli occhi verdi lucidi per la commozione. «Oh, Ran! Sei proprio tu?»

    Lui l'abbracciò ridendo. «Spero che non ti saresti buttata così addosso a un estraneo!» Stringendola forte, fece un cenno al cognato. «Come stai, Gilmorton?»

    Il visconte si avvicinò per salutarlo, un sorriso sul volto severo, reso ancora più cupo da una cicatrice che gli solcava la guancia sinistra.

    «Benissimo, Randolph, grazie. Se ti stacchi da mia moglie potrò stringerti la mano.»

    La tensione si dissipò. Tra lacrime e risate, Randolph fu trascinato verso il divano vicino al caminetto, mentre Deborah lo tempestava di domande.

    «Amore mio, dai modo al poveretto di riprendere fiato» mormorò Gil. Poi aggiunse, divertito: «È euforica da quando hai scritto per avvertire del tuo ritorno».

    «In questo caso ti compatisco» replicò Randolph, schivando uno scappellotto scherzoso da parte della sorella.

    «Il tono delle tue lettere era sempre allegro, e adesso stai bene» osservò lei scrutandolo e prendendogli la mano. «Ma stai veramente bene?»

    Randolph le strinse la mano. Sapeva a cosa si riferiva, con quella domanda. «Sì, davvero. Evito il laudano, il vino e i liquori, bevo solo un po' birra ogni tanto. Non mi sono mai sentito meglio.»

    Gli occhi della sorella si velarono. «Allora dicevi la verità quando scrivevi, nelle tue lettere, che la deportazione ti aveva salvato la vita.»

    «Sì, ne sono convinto.»

    Non le aveva raccontato i mesi ardui trascorsi a bordo della nave diretta a Sydney. Tutti i carcerati soffrivano di malattie e di stenti, ma lui aveva dovuto sopportare anche l'astinenza. Senza il laudano aveva delirato e passato periodi di cupa disperazione. Sapeva che era fortunato a essere vivo, grazie al suo valletto, che l'aveva salvato con le sue cure assidue. Joseph aveva rinunciato alla libertà per accompagnarlo, e Randolph non avrebbe mai potuto sdebitarsi con lui.

    «Miller è ancora con te?» domandò Gil, come se gli avesse letto nel pensiero.

    «Sì. Gli ho proposto di restare in Australia a gestire la fattoria per mio conto, ma ha preferito tornare. Forse temeva che sarei stato male al ritorno come all'andata ma, tranne qualche giorno in cui ho sofferto il mal di mare, all'inizio, la traversata è stata tranquilla, persino piacevole.»

    «Quindi Joseph Miller è tornato con te» mormorò Deborah con uno scintillio malizioso negli occhi. «La mia cameriera, Elsie, ne sarà contenta.»

    «Non dirmi che si strugge ancora per lui, dopo tanti anni!» esclamò Ran, allarmato.

    Deborah rise. «No, ma un tempo erano molto legati, e mi sono chiesta...»

    «Mia moglie cerca sempre di combinare matrimoni» la interruppe il visconte scuotendo la testa. «Lascia perdere, Deb. Dai tempo a tuo fratello e al suo valletto di ambientarsi nella loro nuova vita.»

    Fu servita la cena, e si accomodarono a tavola. Continuarono a chiacchierare, e Randolph parlò della sua vita ad Airds, dove gli era stato concesso un terreno, dopo la grazia. Non accennò alle traversie subite prima di allora, sapendo di essere stato trattato meglio di tanti altri carcerati, essendo un uomo istruito.

    «Quali programmi hai, ora?» volle sapere Deb.

    «Si calerà nei panni di un conte» intervenne Gil. «Altrimenti perché ci avrebbe mandato le sue misure per farsi confezionare degli abiti alla moda?»

    Randolph rise. «È stata un'idea di Joseph. Sa che non ho niente di adatto.»

    «Purtroppo sono d'accordo» borbottò il cognato, scrutandolo. «Con quella giacca sembri un campagnolo. Per fortuna abbiamo assolto al nostro incarico e stasera, quando andrai via potrai portare con te un baule pieno. Almeno quando ci rivedremo non mi vergognerò di essere tuo parente.»

    «Come sei magnanimo» lo rimbeccò Ran, ridendo.

    «Ma dove andrai?» gli domandò Deb. «Perché non torni con

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