Dal profondo del mio cuore: Harmony Bianca
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Quando viene presentata al nuovo cardiochirurgo, David Wright, l'infermiera Sarah Hendersen lei non può credere ai propri occhi. Non credeva che avrebbe mai più rivisto quello sguardo profondo come il mare in tempesta, la stessa tempesta da cui quell'uomo l'aveva salvata nella notte più buia della sua vita. Come dirgli che lui è in possesso di ciò che lei aveva di più prezioso al mondo?
Dopo che la moglie se ne è andata, David ha giurato a se stesso che non si sarebbe mai più fatto coinvolgere da una donna. Ma la dolcezza di Sarah logora giorno dopo giorno questo suo proposito, anche se la sensazione che lei gli stia nascondendo qualcosa è sempre più forte...
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Anteprima del libro
Dal profondo del mio cuore - Deanne Anders
successivo.
1
Sarah Henderson esaminò con attenzione i dati sullo schermo del computer. Non le piacevano affatto gli esami di laboratorio della piccola Lindsey, dieci anni. La bambina soffriva già di una grave forma di insufficienza cardiaca e quella che era sembrata una banale infreddatura si stava trasformando in un'infezione respiratoria. Nonostante il trattamento a base di antibiotici per via venosa le sue condizioni erano peggiorate.
«Ecco dov'eri.» La voce profonda del dottor Benton risuonò alle sue spalle.
Colta di sorpresa, si girò di scatto. Il medico anziano era sulla soglia insieme a un uomo più giovane e più alto che indossava il camice bianco dell'ospedale.
«Sarah, vorrei presentarti il dottor David Wright. Inizierà un periodo di frequenza nel nostro reparto di Chirurgia cardiotoracica.»
Lei si alzò in piedi e tese la mano. Mentre il nuovo arrivato gliela stringeva, si trovò a specchiarsi in un paio di incredibili occhi di un colore insolito, una mescolanza di verde chiaro e grigio, che le diedero uno strano senso di déjà vu. Prese nota dei folti capelli castano scuro e della mascella squadrata. Era sicura di aver visto già quel viso. Ma dove?
«Sta bene?» le chiese una voce calda e preoccupata. Una voce che era pronta a giurare di avere già sentito prima. Era frutto della sua immaginazione o aveva sul serio incontrato quell'uomo? Ma quando?
Sarah scacciò via la traccia di un vecchio ricordo troppo vago per riafferrarlo e si rese conto che teneva ancora stretta la mano del nuovo medico. Si riscosse, lasciandola in fretta, e guardò di nuovo quegli occhi espressivi e interrogativi. Non doveva avergli fatto certo una buona impressione.
Penserà che sei pazza. E non a torto.
«Mi scusi» mormorò. «Ho preso una tazza in meno di caffè stamattina e ne subisco le conseguenze. Lieta di conoscerla, dottor Wright.»
«Sarah è una delle nostre infermiere specializzate. Non potremmo fare nulla senza di lei. Se hai qualche domanda o ti serve qualcosa, sarà in grado di aiutarti» disse il dottor Benton prima di dare un'occhiata al proprio orologio. «Mi dispiace lasciarti, David, ma ho una riunione con la direzione amministrativa per fissare il budget.»
Col cuore che le batteva impazzito nel petto, Sarah si diresse verso la porta, ansiosa di svignarsela subito dopo il primario con una scusa. Non capiva come mai quell'uomo le facesse un simile effetto. Okay, era bello, ma ne aveva incontrati tanti di uomini belli, e nessuno le aveva mandato il cuore in tilt. In realtà, non era il suo aspetto che l'emozionava. C'era qualcosa in lui che aveva fatto andare in cortocircuito il sistema di allarme del suo cervello.
«Mi è venuta un'idea grandiosa» continuò il primario. «Perché non accompagni il dottor Wright a fare un giro del reparto per il resto della mattina?»
Lei si bloccò e trattenne un sospiro. Avrebbe dovuto aspettarselo. Era tipico del dottor Benton affidarle compiti del genere e non poteva rifiutarsi senza apparire scortese. Quando arrivava un nuovo interno o un frequentatore, era sempre Sarah ad affiancarlo. Così si volse, stampandosi sul viso un sorriso amichevole. Per il suo lavoro era importante avere un ottimo rapporto con l'intero staff e se doveva passare molto tempo con il nuovo dottore, non voleva partire con il piede sbagliato. Pazienza se la faceva sentire così strana.
«Naturalmente. Stavo per iniziare un giro proprio adesso e sarò felice di portarla con me.»
«Fantastico» si rallegrò il medico più giovane. Come faceva a sorridere in quel modo di mattina presto?
Lei aspettò che salutasse il primario e insieme s'incamminarono nel corridoio che portava verso la sezione del reparto di Cardiochirurgia pediatrica riservata ai pazienti più gravi, con cardiopatie congenite e bisognosi di trapianto.
«Viene da Houston, dottor Wright?» gli chiese lanciandogli un'occhiata di sfuggita alla ricerca di qualcosa che l'aiutasse a ricordare dove l'avesse incontrato. Chissà, forse si sbagliava. Eppure...
«Per favore, chiamami David. No, vengo dall'Alabama anche se ho fatto l'internato in Texas, a Beaumont.»
«Quale specializzazione?» Forse l'aveva incontrato in una delle tante conferenze a cui aveva partecipato.
«Cardiochirurgia pediatrica, ma lì non avevano un programma specifico per i trapianti.» Allargò le braccia, scrollando le spalle. «Così, eccomi qui.»
«Il nostro centro trapianti pediatrico è uno dei migliori della nazione, come immagino tu sappia. È sempre bello conoscere medici interessati a questa branca della chirurgia.»
«Credimi, sono ben consapevole della qualità del vostro programma e mi sento molto fortunato di aver avuto l'opportunità di poter collaborare con il dottor Benton. L'internato in cardiochirurgia pediatrica è stato bello, ma il mio interesse principale è nei trapianti. È una branca dove si può fare veramente la differenza» aggiunse a voce più bassa. E fu come se un'ombra scura gli passasse sul volto, ricordandole un uomo del passato che non era mai riuscita a dimenticare. Poi lui sbatté le palpebre e quell'espressione svanì.
Sei ridicola a continuare su questa china!
Doveva smetterla di ritornare indietro a un momento della sua vita a cui non doveva più pensare. Certo non lì e nemmeno in quel momento.
«Bene, siamo contenti di averti con noi» commentò con gentilezza. Non era il caso di proseguire a giocare agli indovinelli. Se l'aveva davvero incontrato da qualche parte, prima o poi le sarebbe tornato in mente. Adesso doveva concentrarsi sul lavoro e aiutarlo a inserirsi nel reparto.
Passò il proprio tesserino sulla piastrina apposita e non appena le porte si aprirono si diresse verso la guardiola, dove c'era la caposala.
«Betsy, ti presento il dottor Wright. Collaborerà con il dottor Benton per un certo periodo.»
«Ben arrivato, dottor Wright» lo salutò Betsy, approfittandone subito per mostrargli dove si trovavano i fascicoli e le diverse apparecchiature.
Sarah prese la cartella riguardante una bambina che era stata ricoverata durante la notte, rivolgendosi a David non appena la caposala ebbe finito.
«Vorrei incominciare con una paziente entrata stanotte. Ha otto mesi, a tre giorni di vita le è stata diagnosticata una sindrome ipoplastica sinistra al cuore. Abbiamo un ecocardiogramma e pare che i farmaci somministrati per via venosa per il momento funzionino, ma voglio vederla e parlare con i genitori.»
«Sono contento che l'abbiano identificata presto. Ho visto casi in cui la patologia era stata individuata troppo tardi e le condizioni del bambino erano molto gravi» disse lui mentre si fermavano davanti alla porta di una camera. Dentro, una madre giovanissima era accanto al lettino di una bimba addormentata. Un uomo giovane dall'aspetto distrutto dormiva nel letto vicino.
Doveva essere stata una notte difficile, rifletté lei tendendo la mano verso la donna. «Signora Lawrence?» La poverina aveva le guance umide di pianto e gli occhi rossi e Sarah sentì il cuore stringersi. Non avrebbe mai dimenticato il senso di disperata impotenza che si provava davanti al proprio figlio in condizioni irrecuperabili.
«Mi chiamo Sarah, sono infermiera e lavoro in questo reparto. Lui è il dottor Wright.»
Osservò il medico stringere la mano della signora, che sembrava sull'orlo del collasso, e indicarle alcune sedie in un angolo. «Possiamo sederci?»
«Sveglio mio marito. Mi chiami pure Maggie.»
Bisbigliò qualche parola nell'orecchio dell'uomo addormentato e dopo qualche minuto la coppia li raggiunse. Sarah incominciò a rivedere con loro l'esito degli esami della figlia. Sapeva che in simili occasioni i genitori erano sopraffatti da una miriade di informazioni a volte difficili da recepire e voleva assicurarsi che comprendessero bene la situazione.
«Allora i farmaci che hanno dato a Breanna cominciano a fare effetto?» chiese John, il padre.
«Per il momento, ma è solo un rimedio temporaneo. Breanna deve essere sottoposta a un intervento chirurgico, che sarà seguito da altri» dichiarò David.
E proseguì, spiegando le procedure e le diverse operazioni che sarebbero state necessarie, rispondendo in modo incredibilmente paziente e comprensivo alle domande preoccupate dei genitori.
Infine, Sarah auscultò cuore e polmoni della piccola, notando che nonostante i farmaci tenessero aperto il dotto, il colorito della bimba era sempre grigiastro. Chiamò il cardiologo per condividere le proprie preoccupazioni e poi richiese gli esami necessari da fare prima che Breanna fosse portata in sala operatoria.
«Mi dispiace. Non sono stato ancora assegnato ufficialmente al caso ma a volte mi lascio trasportare...» incominciò David. «È meglio che sappiano cosa dovranno affrontare in modo da essere preparati.»
«Abbiamo un'ottima squadra e riteniamo molto importante che i genitori capiscano cosa succede ai loro figli ma può capitare che si rifiutino di accettarlo.» Lei comprendeva benissimo la frustrazione del medico. Ricordava quando si era trovata dall'altro lato della barricata. Quando la sua mente era stata incapace di recepire quanto il personale medico le stava dicendo del suo bambino.
S'impose di mandare via il pensiero di quei giorni e chiuse la porta della nicchia in cui teneva rinchiusi i ricordi di una vita passata. Esisteva un unico posto in cui si sentiva al sicuro e si permetteva di tirarli fuori. E certo non era l'ospedale. Si era sempre assicurata di mantenere separata la propria vita lavorativa da quella privata.
«Non c'è nulla che può prepararli al cambiamento radicale che subirà la loro esistenza. Adesso sembra che la loro unione sia forte. Speriamo che lo sia tanto da sopportare le prove che dovranno superare con la malattia della loro piccola» fu il commento pacato ma intriso di una strana amarezza del dottor Wright.
Doveva esserci una storia dietro, si disse Sarah lanciandogli un'occhiata e per un istante scorse di nuovo l'espressione che aveva avuto pochi minuti prima, gli occhi colmi di disperazione.
Continuarono il giro in reparto, scendendo al piano in cui si trovavano pazienti in osservazione per problemi cardiaci di vario genere. Si fermarono davanti alla camera di Jason, un adolescente che era stato ricoverato dopo aver perso conoscenza sul campo di baseball un paio di giorni prima.
Sarah aveva cercato di farlo parlare, ma nelle ultime due visite il ragazzo aveva risposto a monosillabi, lo sguardo fisso sul cellulare o sul PC.
«A Jason domani dovrebbe essere impiantato un defibrillatore ma si rifiuta di accettare la procedura» informò David.
«So che sarebbe meglio avere il suo consenso ma essendo minorenne abbiamo bisogno solo di quello dei genitori» osservò il medico.
«Sì, ma non è questo il punto. È lui che dovrà viverci per il resto della vita.»
«Ti dispiace se resto con lui da solo?» le chiese David. «Lascerò la porta aperta così potrai ascoltare.»
«Fai pure. Il dottor Benton e io non abbiamo avuto alcun risultato.»
Lui bussò appena ed entrò lasciando l'uscio socchiuso. «Ciao, Jason. Sono il dottor Wright.»
Sarah non fu sorpresa nel sentire come risposta una sorta di borbottio in accompagnamento al rumore delle dita del ragazzo sulla tastiera del computer.
«Oggi è il mio primo giorno qui e volevo presentarmi.»
Un altro grugnito scoraggiante. Due a zero per l'adolescente.
«Sono un chirurgo toracico e sono venuto in questo ospedale per specializzarmi in trapianti.»
«Io non ho bisogno di un trapianto» sbottò Jason con un sospiro esasperato.
Sarah non poté fare a meno di sorprendersi. Era molto più di quanto lei fosse riuscita a tirar fuori al ragazzo in due giorni.
«Lo so» rispose David in tono paziente. «Forte quel computer. La resa grafica è pazzesca.»
«Vero. È il migliore in circolazione.» Pausa. «Sa fare qualche gioco?»
E continuarono a parlare di computer, di videogiochi e di consolle sino a quando il medico chiese a Jason di poter usare il portatile. «Ci sono alcuni video che vorrei mostrarti. Potranno aiutarti a capire parecchio di quanto ti hanno spiegato i dottori riguardo all'operazione necessaria per rimettere in sesto il tuo cuore.»
Incredibilmente, il ragazzo accondiscese e Sarah rimase stupita nell'osservare come si aprisse man mano che David gli spiegava le immagini. Doveva servirsi anche lei di quei video per informare i suoi pazienti, decise scuotendo la testa incredula.
«Lì c'è qualcosa che mi dirà se potrò di nuovo giocare a baseball?» chiese Jason. Quello era il vero problema. Il ragazzo giocava a baseball da quando era stato in grado di tenere in mano una mazza e rinunciarvi era per lui un trauma enorme.
«Sono stati fatti alcuni studi a questo proposito, ma fino a oggi si raccomanda a chi ha un defibrillatore di non praticare sport agonistici» rispose David. La voce profonda era densa di rammarico e lei si augurò che l'adolescente lo percepisse. Il medico comprendeva quanto fosse penoso per lui rinunciare