L ira di Dimitri
Di Anne Mather
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L ira di Dimitri - Anne Mather
successivo.
1
Dimitri Kastro si rialzò il bavero e affondò le mani nelle tasche del pesante cappotto di montone che lo proteggeva dal freddo ancora pungente della primavera inglese. I profili delle tombe si stagliavano sinistri contro il cielo grigio mentre una pioggia sottile cadeva sugli alberi circostanti, ridotti a scheletri grondanti.
Pensò con nostalgia alla sua comoda stanza d'albergo e alla bottiglia di whisky. Avrebbero dovuto attendere ancora un po'. Si avviò lungo i viali del cimitero verso un gruppo di persone vestite a lutto e ferme ai lati di una fossa ancora aperta. Sostò sotto una quercia dai rami spogli e lanciò un'occhiata torva a quella gente. Quale di quelle donne sconosciute era Isabel Nicolas?
L'assembramento funebre comprendeva due donne, un uomo di mezza età, un ragazzino, un giovanotto sui venticinque anni e una ragazza. Quella doveva essere Isabel Nicolas. L'espressione di Dimitri s'indurì. Dal punto in cui si trovava vedeva soltanto che era alta e snella. Non poteva distinguere il viso, che lei teneva voltato, né i capelli, nascosti sotto una sciarpa nera.
Dimitri pensò che doveva assomigliare al padre, cioè a Matt. Il viso rotondo, gli occhi e i capelli neri, un carattere dolce... Un tempo la madre di Isabel era stata sposata con Matt. Perché mai, ora, dopo tanti anni di separazione, la ragazza aveva ritenuto necessario avvisarlo della morte dell'ex moglie? Che cosa poteva interessare a Matt che quella donna fosse morta? L'aveva mai rivista da vent'anni a quella parte? Le aveva mai dato una prova d'affetto?
Al posto del cugino, Dimitri si sarebbe limitato a gettare la lettera nel cestino della spazzatura. Ma Matt aveva un carattere diverso e, malgrado il parere contrario di Andrea, la seconda moglie, aveva deciso di rispondere a sua figlia.
Naturalmente, Andrea non aveva molto apprezzato l'idea: da anni ormai sopportava l'irritazione e il dolore di suo marito per l'ostruzionismo sistematico col quale gli impedivano di vedere la figlia.
E poi, c'era Marisa, Marisa che non poteva fare a meno di essere gelosa di quella sorellastra sconosciuta, convinta da sempre di poter regnare da sola nel cuore del padre. Era naturale che non volesse dividere con nessuno il suo affetto!
Dimitri batté i piedi per l'impazienza. La cerimonia non finiva più. Ritto accanto alla tomba, il prete recitava le ultime parole di rito. Poi avrebbe gettato la prima manciata di terra sulla bara, l'unica cosa che Dimitri riusciva a comprendere. Il resto, per lui, era tutto un mistero.
Osservò la ragazza. Dritta e immobile, apparentemente priva di emozione. Era davvero così fredda come sembrava? Eppure la sepoltura di sua madre avrebbe dovuto spezzarle il cuore.
Dimitri alzò le spalle. Gli inglesi erano diversi da loro, molto restii a manifestare le proprie emozioni, anche quelle più elementari. Ma non capivano che, così facendo, si mettevano al di fuori della vita? Di quella vita che era fatta di sofferenze, ma anche di gioia e di estasi, di sentimenti e di rapporti con gli altri?
In Grecia, a un rito funebre, ci si metteva a piangere, a gridare, a urlare al cielo il proprio dolore, così come, quando si era felici, non ci si faceva scrupolo di esternare rumorosamente la propria gioia. Ma la Grecia era un paese caldo, con gente che aveva il sangue nelle vene! E i greci non erano animali freddi e impassibili come gli inglesi!
Diede un'occhiata attorno. La macchina era posteggiata davanti al cancello. Non gli andava proprio di recarsi a casa di Isabel. D'altra parte, Matt gli aveva raccomandato soltanto di parlarle. L'incontro, quindi, poteva avere luogo in un posto qualsiasi. Il salone dell'albergo, per esempio, gli pareva l'ambiente più adatto per il genere di conversazione che lui prevedeva.
La cerimonia, ora, era terminata. Il prete posò una mano sul braccio della ragazza con un vago gesto di incoraggiamento, poi si allontanò in fretta lungo il viale. Lei lo seguì, a testa bassa. Dimitri si fece avanti e la fermò.
«La signorina Nicolas?»
Colpita dall'accento straniero, lei si voltò e lo affrontò con aria meravigliata. Dimitri si scoprì in preda a un certo nervosismo. Non se l'era immaginata così, per niente somigliante a Matt, tranne forse che per la figura alta e slanciata. Aveva il viso ovale, la pelle liscia come la seta e occhi viola e profondi, orlati di ciglia nerissime; la bocca era piuttosto grande. Bei lineamenti, nell'insieme. I capelli, seminascosti dalla sciarpa, lasciavano comunque intravedere uno straordinario colore biondo cenere, quasi bianco; quando si tolse il foulard nero, le ricaddero sulle spalle in ciocche lunghe e morbide.
«Sì?»
La voce, bassa e calda, aveva un che di commovente.
Dimitri si sforzò di riprendersi e le rivolse un saluto imbarazzato, conscio della presenza degli altri componenti del gruppo che li avevano attorniati. Il giovanotto venticinquenne aveva preso Isabel per un braccio, con un gesto piuttosto possessivo, e guardava Dimitri con aria arrogante. Era evidente che considerava il suo intervento del tutto fuori luogo. Ma Dimitri non si lasciò impressionare: conosceva quel genere d'antagonismo e si sentiva in grado di affrontarlo, se necessario.
«Sono Dimitri Kastro» le disse gentilmente. «Cugino di suo padre. È stato Matthew Nicolas a dirmi di venire. Vorrei vederla da sola il più presto possibile.»
«Dimitri Kastro? Il nome non mi ricorda nulla» rispose lei, fissandolo.
«Naturalmente, se sono qui c'è una ragione» precisò lui, freddamente. «Non ha forse scritto una lettera a suo padre, signorina Nicolas?»
«Sì, per informarlo della morte di mia madre.»
Il giovanotto, che visibilmente aveva tenuto a freno fino allora la sua voglia d'intervenire, non ne poté più.
«Isabel, che cosa significa tutto questo?» chiese con voce secca.
Lei scosse la testa. Non era il momento delle spiegazioni, né voleva darne.
«E vero, ho scritto a mio padre. Mi sembrava che avesse il diritto di essere messo al corrente. Di sapere che la mamma era morta...»
La voce le si ruppe e Dimitri pensò con soddisfazione che, dopotutto, non era completamente indifferente.
«Ma perché hai fatto una cosa del genere?» la rimproverò il giovanotto. «Si era mai preoccupato lui di tua madre? E di te? Allora, perché tanti riguardi?»
Una delle donne anziane intervenne con aria di rimprovero: «A me, però, niente! Mi hai tenuto all'oscuro, Isabel!».
«Non mi è sembrato necessario dirtelo, zia Emma» ripeté Isabel, spazientita.
Mentre la zia si allontanava con aria offesa, Dimitri riprese la parola.
«Signorina Nicolas, capisco che lei adesso debba occuparsi della famiglia, ma le assicuro che l'incontro che le chiedo è della massima importanza.»
Isabel si strinse nelle spalle esili. Indossava un cappotto di lana blu col collo bordato di pelo argentato e, ogni volta che muoveva la testa, i capelli biondi risaltavano incredibilmente sui vestiti scuri. Dimitri ne era rapito nonostante tutto. In altre circostanze l'avrebbe trovata di un fascino raro ma, in quel momento, provava soprattutto un senso di frustrazione all'idea delle difficoltà che la sua missione comportava.
«Potremo vederci domani, signor Kastro» mormorò Isabel.
«No, signorina Nicolas.»
«Ma non vede che la signorina è sfinita?» sbottò aspramente il giovanotto. «Oggi non ha tempo da dedicare a... a degli estranei inopportuni!»
«Perché non lascia decidere alla signorina Nicolas?» replicò con freddezza Dimitri.
«Jimmy, ti prego» sospirò Isabel. «Sai che è necessario che parli col signor Kastro. Ha fatto un lungo viaggio per venire fin qui. Zia Emma, zio Harry, Alan, signora Thwaites, scusate se vi lascio per un momento, ma devo farlo. Non ci vorrà molto.»
La donna che Isabel aveva chiamato signora Thwaites le strinse il braccio con affetto.
«Ma certo, Isabel. È più che naturale che lei debba parlare con questo signore dal momento che è stato suo padre a mandarlo.»
«Come si fa a sapere se è davvero il cugino di tuo padre?» intervenne zia Emma con voce sgradevole.
Dimitri mise una mano in tasca, ne estrasse la lettera scritta da Isabel e la porse in silenzio. Lei la esaminò attentamente e sollevò la testa.
«Andiamo» disse con freddezza.
Il giovanotto che rispondeva al nome di Jimmy provò a trattenerla per un braccio ma lei scosse la testa e, senza guardarlo, aggiunse: «Va' con gli altri, Jimmy. Non starò via molto e preferisco essere sola. In quale albergo alloggia, signor Kastro?» domandò poi, come per far sapere alla sua famiglia dove andava.
«Al Carillon.»
Isabel si voltò per salutare i familiari e Dimitri, le mani in tasca, si diresse verso la macchina. No, pensò, non lo seguiva volentieri e la cosa lo stupiva. Eppure avrebbe dovuto fare salti di gioia alla prospettiva insperata di ricevere notizie di suo padre. Altrimenti, perché gli aveva scritto?
Giunto davanti alla Mercedes, Dimitri si guardò indietro. Isabel stava ancora salutando i parenti e la cosa accrebbe la sua impazienza. Ma chi si credeva di essere quella lì? Come si permetteva di farlo aspettare? Pensava forse di poterlo comandare come faceva con quel Jimmy dai ridicoli capelli lunghi?
Salì in macchina sbattendo la portiera e il rumore fece trasalire Isabel che si affrettò a raggiungerlo. Ebbe un attimo di esitazione prima si salire.
«Forza, salga» le ordinò lui e il suo accento straniero risuonò forte e duro.
Isabel lo guardò perplessa e gli si sedette accanto.
«Mi spiace di averla fatta attendere» mormorò.
«Anche a me» ribatté lui, avviando il motore.
Si rendeva conto di comportarsi in modo tutt'altro che amichevole, ma era più forte di lui. C'era qualcosa di provocante in lei che gli faceva nascere il desiderio di ferirla. Le lunghe dita robuste strinsero il volante. Sperava soltanto di finirla al più presto con quella storia e di lasciare prima possibile quel paese inospitale e quegli abitanti dal cuore di pietra.
L'albergo Carillon era un edificio abbastanza moderno con una buona reputazione per quanto riguardava la cucina e i confort. Dimitri entrò nel parcheggio e invitò Isabel a scendere. Lei obbedì, chiuse con cura la portiera e attese con calma che lui controllasse tutte le serrature. Poi lo seguì dentro, senza parlare.
Dimitri guardò l'orologio. Erano le quattro ma il bar era sicuramente ancora chiuso. Imprecò tra sé contro i regolamenti inglesi: gli sarebbe stato più facile parlare con un bicchiere davanti. Ora, invece, avrebbe dovuto ripiegare sulla tradizionale tazza di tè.
«Andiamo in salotto» le propose. «A quest'ora, sarà deserto.»
Così era, infatti, con suo gran sollievo. Si tolse il cappotto e ordinò due tè accorgendosi troppo tardi di non averle chiesto neppure se andava bene per lei.
Si sedettero a un tavolino e lui tirò fuori