La storia del Nomentano: Dalla preistoria ai giorni nostri
Di Sara Fabrizi
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Info su questo ebook
Si racconta del quartiere che ha visto il temibile Annibale e Carlo Magno, fino alla nascita dei villini e del Policlinico. Si attraversa l’epoca fascista e si vede Mussolini che accoglie il lettore nelle sale di Villa Torlonia per il matrimonio della figlia Edda; mentre la divina Eleonora Duse trasforma Villa Ricotti in una residenza per attrici. E infine si giunge alla contemporaneità, quando il quartiere è abitato da ebrei fuggiti dalla Libia e quando, proprio qui, nasce l’idea di organizzare il golpe Borghese.
Questa zona ha assistito alla marcia degli Orsini sul ponte Nomentano e alla congiura di Magione, organizzata ai danni di Cesare Borgia. Di qui passa Carlo III di Borbone, re di Napoli e futuro re di Spagna. E proprio nel Nomentano vive il vero amore del re Vittorio Emanuele II, la bellissima Rosa Vercellena.
Grazia Deledda, la Duse, Luigi Pirandello, Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci ed Enrico Fermi sono residenti della zona. E il Nomentano si popola sempre di più grazie alle trasformazioni edilizie a opera di Innocenzo Sabbatini e Ignazio Guidi: nascono i rioni Tiburtino II e Sant’Ippolito, e la celebre Casa del Sole, in via della Lega Lombarda.
Oggi è il quartiere delle grandi ville signorili superstiti come Villa Torlonia, Villa Blanc, sede dell’attuale Luiss Business School e Villa Mirafiori, acquistata dal re Vittorio Emanuele II per una delle sue amanti, e di quelle scomparse come Villa Patrizi, dei villini liberty ma anche di piazza Bologna, dei grandi palazzi Federici, del Policlinico e della vita universitaria.
La Storia del Nomentano è una passeggiata sorprendente da Porta Pia a pizza Bologna, d via Nomentana e viale Regina Margherita, fino alle case popolari di piazza Pontida: tutti i luoghi che il lettore frequenta ogni giorno, sono stati crocevia di importanti vicende storiche e residenza di straordinarie personalità.
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Anteprima del libro
La storia del Nomentano - Sara Fabrizi
CommunityBook – La Storia di Roma
Credits
CommunityBook – La Storia del Nomentano
Edizione Ebook aprile 2021
Un’idea di: Luigi Carletti - Edoardo Fedele
Progetto di: Typimedia editore
Curatore: Sara Fabrizi
Project manager: Simona Dolce
Progetto grafico: Chiara Campioni
Impaginazione: Giada Patrizi
Foto: Sara Serpente
Organizzazione generale e controllo qualità: Serena Campioni
Product manager: Melania Tarquini
In copertina: La Sfinge Alata di Villa Torlonia, foto tratta da depositphotos.com
ISBN: 978-88-3626-063-8
CommunityBook online: www.typimediaeditore.it
Direttore responsabile: Luigi Carletti
Crediti fotografici: Giada Patrizi; Vittorio Emanuele II con Rosa Vercellana Contessa di Mirafiori, Archivi Alinari, Firenze; Matrimonio di Galeazzo Ciano e Edda Mussolini, 24/04/1930, Ullstein Bild / Archivi Alinari; Cesare Zavattini nella sua casa a Roma, con la sua famosa raccolta di quadri 8 per 10 centimetri, è di Francesco Aschieri, si ringraziano l’Archivio Cesare Zavattini e Arturo Zavattini per averla concessa; Rita Levi-Montalcini riceve il Premio Nobel dal re di Svezia, ©Ansa su licenza Archivi Fratelli Alinari.
L’editore si rende disponibile al pagamento dell’equo compenso per l’eventuale utilizzo di immagini di cui non vi è stata possibilità di reperire i titolari dell’avente diritto.
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Il viaggio comincia con i ritrovamenti di antichissimi elefanti lungo la Batteria nomentana, passa dall’ormai scomparsa Porta Collina, tra via Goito e via XX Settembre, e arriva alle fragili mura di Castro Pretorio che diventano poi la residenza dei gesuiti.
Si racconta del quartiere che ha visto il temibile Annibale e Carlo Magno, fino alla nascita dei villini e del Policlinico. Si attraversa l’epoca fascista e si vede Mussolini che accoglie il lettore nelle sale di Villa Torlonia per il matrimonio della figlia Edda; mentre la divina Eleonora Duse trasforma Villa Ricotti in una residenza per attrici. E infine si giunge alla contemporaneità, quando il quartiere è abitato da ebrei fuggiti dalla Libia e quando, proprio qui, nasce l’idea di organizzare il golpe Borghese.
Questa zona ha assistito alla marcia degli Orsini sul ponte Nomentano e alla congiura di Magione, organizzata ai danni di Cesare Borgia. Di qui passa Carlo III di Borbone, re di Napoli e futuro re di Spagna. E proprio nel Nomentano vive il vero amore del re Vittorio Emanuele II, la bellissima Rosa Vercellena.
Grazia Deledda, la Duse, Luigi Pirandello, Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci ed Enrico Fermi sono residenti della zona. E il Nomentano si popola sempre di più grazie alle trasformazioni edilizie a opera di Innocenzo Sabbatini e Ignazio Guidi: nascono i rioni Tiburtino II e Sant’Ippolito, e la celebre Casa del Sole, in via della Lega Lombarda.
Oggi è il quartiere delle grandi ville signorili superstiti come Villa Torlonia, Villa Blanc, sede dell’attuale Luiss Business School e Villa Mirafiori, acquistata dal re Vittorio Emanuele II per una delle sue amanti, e di quelle scomparse come Villa Patrizi, dei villini liberty ma anche di piazza Bologna, dei grandi palazzi Federici, del Policlinico e della vita universitaria.
La Storia del Nomentano è una passeggiata sorprendente da Porta Pia a pizza Bologna, d via Nomentana e viale Regina Margherita, fino alle case popolari di piazza Pontida: tutti i luoghi che il lettore frequenta ogni giorno, sono stati crocevia di importanti vicende storiche e residenza di straordinarie personalità.
L’autore
Sara Fabrizi (1992) vive a Roma. È laureata all’Università La Sapienza in Filologia Moderna. Ha lavorato come redattrice e coordinatrice editoriale per diverse case editrici. Ha collaborato all’organizzazione di molti festival letterari tra cui Parole in cammino. Festival della lingua italiana. Collabora con Typimedia dal 2017 e ha curato alcuni volumi di successo della collana La Storia di Roma: Appio-San Giovanni, Aurelio, Centocelle, Esquilino, Flaminio, Marconi-San Paolo, Montesacro, Monteverde, Nomentano, Ostia, Parioli, Prati, San Lorenzo, Tiburtino, Trieste-Salario, Tuscolano. È autrice del volume La Storia del Coronavirus a Roma, il racconto puntuale della pandemia nella Capitale e di come l’abbiamo affrontata. Con Matteo Pucciarelli ha scritto anche Comunisti d’Italia. 100 patrioti rossi che hanno costruito la democrazia.
PREFAZIONE
Luigi Pirandello ed Enrico Fermi, Grazia Deledda e Rita Levi Montalcini, giusto per stare tra i premi Nobel. E poi Antonio Gramsci e Benito Mussolini, due facce molto diverse di uno stesso periodo storico. Oppure i Torlonia, i Colonna e gli Orsini, tra le grandi famiglie nobili che hanno fatto la storia di Roma. Se dovessimo mettere in fila i personaggi famosi che hanno intrecciato le loro esistenze con il Nomentano, probabilmente ne ricaveremmo una galleria con pochi eguali.
Questo quartiere nato subito al di fuori delle mura Aureliane, sviluppatosi soprattutto negli ultimi due secoli, è stato – dapprima – rifugio di campagna
per chi poteva permetterselo, e successivamente zona urbana meno caotica e più salubre rispetto al centro della Capitale. Una identità positivamente periferica
che ormai è un tenue ricordo di tempi passati: oggi il Nomentano – appartenente al II Municipio – è un quartiere ad alta densità abitativa, pieno di uffici e di esercizi commerciali che, pur preservando alcune zone residenziali sobriamente eleganti, fa parte a pieno titolo della Roma freneticamente metropolitana che non si ferma mai.
Stretto tra due poli di grande attrazione come il Policlinico Umberto I e la Sapienza (prima università italiana), delimitato dalla Nomentana che lo divide dal più borghese e sonnacchioso Trieste-Salario, il Nomentano è oggi un quartiere che sta cambiando rapidamente e con grandi sforzi cerca di conciliare la sua storia straordinaria con i mutamenti imposti dalla crescente popolazione studentesca, dalla multiculturalità e, soprattutto, dalle grandi trasformazioni che l’economia sta subendo in virtù della globalizzazione e della rivoluzione digitale.
I contrasti e le contraddizioni di questo particolare momento storico sono (e saranno) materia di analisi per i sociologi e di racconto per gli osservatori come scrittori e giornalisti, ma è proprio leggendo la storia del quartiere che se ne percepisce la centralità
fin da epoca remota e si capisce come – questa zona di Roma – nei secoli passati abbia rappresentato un crocevia straordinario, epico per molti aspetti, regalandoci personaggi ed episodi memorabili.
La Storia del Nomentano, dalla preistoria ai giorni nostri
, curato da Sara Fabrizi, con il coordinamento editoriale di Simona Dolce e le foto di Sara Serpente, si conferma un’altra tappa fondamentale nel percorso di conoscenza della storia di Roma. Un percorso appassionante, che ha già visto pubblicare da Typimedia i volumi su Trieste-Salario, Prati, Montesacro e Ostia, collana divulgativa che supera ormai le 15mila copie vendute con un ottimo riscontro di lettura e di critica.
Nei dieci capitoli de La Storia del Nomentano
, tra incontri che segnano autenticamente la Storia come quello tra papa Leone III e Carlo Magno sul ponte Nomentano, tragedie collettive come i bombardamenti alleati che nel 1943 colpiscono il Policlinico e molte zone abitate, spiccano – nelle varie epoche – le pirotecniche imprese
di capitan Fracassa, i gialli irrisolti di piazza Bologna come il delitto di Pasqua Rotta (via Belluno), le deportazioni degli ebrei del 16 ottobre di cui resta testimonianza nelle pietre d’inciampo, e il sacrificio di eroi straordinari e poco conosciuti, tra i quali il finanziere Antonio Sciuto e il carabiniere Genserico Fontana. E infine, personaggi della cultura che campeggiano nella nostra memoria come figure ormai mitiche: tra le tante, Cesare Zavattini e il maestro Alberto Manzi. Due esempi di grandi divulgatori
che hanno contributo a rendere il nostro Paese, se non migliore, certamente più consapevole.
Luigi Carletti
ELEPHAS MERIDIONALIS. Nel 1888 alla Batteria Nomentana viene ritrovata la zanna di un elefante preistorico. Sembra si tratti di un elephas meridionalis, una specie di mammut proveniente dall’Asia minore.
CAPITOLO 1
All’alba dell’umanità
1.1 Creature selvagge a spasso su via Nomentana
Il viaggio nel Nomentano comincia dalla grande via consolare degli antichi Romani che dà il nome alla zona: la Nomentana. Percorrendo questa strada, dove il caos del traffico cittadino scorre accanto alla quiete delle grandi ville, si intraprende un viaggio nel tempo che comincia, più o meno, 200mila anni fa. Quando Roma era il regno degli elefanti.
Si fa fatica a immaginare un paesaggio tanto diverso da quello che si ha sotto gli occhi oggi, fatto di ville in cui passeggiare la domenica, villini nascosti, alti palazzi e piazze. Ma qui, nell’epoca Pleistocenica (2,58 milioni di anni fa-11.700 anni fa), un sole caldo splende su una grande pianura verdeggiante. Da lontano si vede lo scintillio delle acque di fiumi e piccoli corsi, un richiamo per gli animali che popolano questo territorio vergine. Nella corrente, tra i massi scuri, si distinguono i corpi degli ippopotami che fanno pigramente il bagno. Lungo le sponde dei torrenti, chinati con i lunghi colli, si abbeverano cervi e cavalli, sempre guardinghi, pronti alla fuga. Nei dintorni, infatti, vanno a caccia grossi predatori come leoni e leopardi, rapidi e letali quando devono procurarsi il cibo. L’erba alta nasconde tanti pericoli.
Nelle radure ci si imbatte nei cinghiali e negli orsi, con le tane nelle caverne, dove cercano rifugio principalmente nei periodi più freddi. I maschi, quando si alzano sulle zampe posteriori, arrivano a tre metri di altezza. Le femmine sono grandi circa la metà.
I vasti spazi aperti, ricchi di vegetazione, invece, sono il territorio prediletto degli elefanti antichi, molto più grandi di quelli che si potrebbero vedere oggi in Africa. Sono alti oltre di quattro metri e hanno zanne altrettanto lunghe. Passano proprio da qui, dove oggi sorge la Batteria Nomentana e le auto si incolonnano per prendere la Tangenziale est.
BATTERIA NOMENTANA. Duecentomila anni fa qui, nella zona della Batteria Nomentana, si aggiravano creature preistoriche come elefanti, ippopotami, leoni e leopardi.
Si spostano in branco, facendo rimbombare il terreno sotto le enormi zampe. Ma la terra trema non solo a causa dei loro imponenti passi. L’orizzonte è coperto da un velo scuro, formato dalla cenere delle eruzioni. Il grande Vulcano Laziale, nato nei Colli Albani 600mila anni fa, in questo momento storico è in attività già da 300mila anni. In un periodo precedente a questo, il vulcano è riuscito a eruttare oltre 280 chilometri cubi di materiali, una quantità enorme di magma e altre sostanze, sparandoli anche a enormi distanze.
Ora, mentre gli elefanti colonizzano le grandi praterie, le eruzioni si sono fatte meno violente. Ma le colate di lava, raggiungendo la campagna, colmano le depressioni del suolo e sbarrano il corso del primitivo Tevere, il Paleotevere. È per questa ragione che il fiume deve trovare altre strade per arrivare a sfociare in mare, aggirando gli ostacoli che, di volta in volta, si trova di fronte. Il Paleotevere deve scontrarsi con i grandi cambiamenti in atto, adattandosi alle circostanze.
Il vulcano al giorno d’oggi c’è ancora, dormiente. Una testimonianza concreta della sua esistenza e di un’attività latente si trova a Tor Caldara, vicino ad Anzio. Qui, infatti, si trovano delle sorgenti sulfuree e piccoli laghetti che esalano gas. E gli studiosi dicono che, un giorno, tra qualche migliaio di anni, potrebbe svegliarsi di nuovo.
È un’immagine poco familiare, quella di Roma preistorica. Abituati a pensare agli antichi Romani, spesso ci si dimentica che c’è stato qualcosa anche prima. Le testimonianze visibili di quest’epoca sembrano essere state tutte cancellate. Ma, sfogliando vecchi libri dalle pagine ingiallite e ricerche più recenti, si scopre che questa zona può raccontare molto di più.
VIA DELLA BATTERIA NOMENTANA. Il paleontologo Romolo Meli studia la zanna di elefante ritrovata alla Batteria Nomentana nel 1888. È lui a evidenziare che si tratta dell’unica zanna rinvenuta sul territorio di Roma con una particolare forma a S.
Che il passato cominci dall’epoca romana è davvero soltanto un’impressione.
Nel momento in cui si scava per gettare le fondamenta del futuro, si apre una breccia nella storia.
È così che qui, all’altezza di via della Batteria Nomentana, viene alla luce una grossa zanna di elefante. È il 1888. In quest’area, ormai da quattro anni, stanno costruendo la Batteria Nomentana, uno dei presidi ideati per difendere la nuova capitale d’Italia da un eventuale attacco della Francia, che potrebbe voler restaurare il potere del Papa (vedi cap. 6).
La terra smossa lascia intravedere un piccolo tesoro di reperti. Oltre a una zanna praticamente intatta, si vedono un frammento di cranio, alcuni grandi molari, monconi di zanne e resti di ossa d’elefante.
La notizia del ritrovamento di questi reperti arriva alle orecchie di un geologo e paleontologo che si impegna da anni nello studio della preistoria del Lazio. Si tratta di Romolo Meli, studioso appassionato, che insegna al primo istituto tecnico a indirizzo scientifico in Italia, il Leonardo da Vinci di via Cavour, a Roma. È grazie al suo interessamento che la zanna di Batteria Nomentana arriva al Gabinetto di Mineralogia e Geologia di quest’istituto. Così, finalmente, Meli può guardare da vicino questo straordinario reperto e presentare le sue ipotesi al collegio dei membri della Società Geologica Italiana, che si riunisce all’università La Sapienza. Durante la seduta, che si tiene nel 1894, Meli espone alcune fotografie della zanna, che ha una caratteristica eccezionale: è spirata a doppia curvatura, cioè assume la forma di una S. Come dichiara Meli stesso nella sua relazione: è l’unica difesa spirata a doppia curvatura che sia stata rinvenuta, a oggi, fossile, nella provincia di Roma
.
È molto difficile, sulla base della sola zanna, stabilire a che specie corrisponda l’animale a cui è appartenuta. Infatti, la curvatura di questo lungo dente cambia da un esemplare all’altro e dipende anche dal sesso dell’elefante. Meli, però, dopo aver confrontato il reperto con altri, ritiene di poterla attribuire a un Elephas Meridionalis o elefante meridionale. È una specie che proviene dall’Asia minore e si è stabilita in Europa proprio durante il Pleistocene inferiore (periodo compreso tra un milione e 800mila anni fa e 781mila anni fa). È una specie più rara a Roma, ma comunque attestata da altri resti scoperti nei dintorni della città. In quest’area, infatti, nel corso dei secoli circolano specie diverse, che riescono a sopravvivere anche a climi differenti. Parlare semplicemente di elefanti
è riduttivo.
L’elefante della Batteria Nomentana, però, non è l’unico grande animale che fa la sua comparsa tra ’800 e ’900 grazie a ritrovamenti fortuiti. Basta attraversare la Nomentana e spingersi fino all’area di piazza Addis Abeba per aggirarsi all’interno del giacimento di Sedia del Diavolo. Si chiama così per la vicinanza con un antico sepolcro romano noto proprio come Sedia del Diavolo
per la sua particolare forma, che lo fa assomigliare a un trono.
PIAZZA ADDIS ABEBA. Nella cava di Sedia del Diavolo, tra ’800 e ’900, vengono alla luce reperti straordinari: fossili di rinoceronti, cavalli, daini, leoni delle caverne, utensili preistorici e persino ossa umane.
Quest’area fa parte, oggi, del quartiere Trieste-Salario. Ma, ovviamente, in epoca preistorica non esiste alcuna linea di demarcazione. Uomini e animali si spostano colonizzando gli spazi in cui trovano il necessario per sopravvivere. E la zona intorno all’odierna via Nomentana, vicino alla Valle del fiume Aniene, è ricca di vita. Anche qui, nel 1882, arriva Romolo Meli. Sta portando avanti degli studi stratigrafici per determinare l’età delle rocce di questa grande cava di tufo vulcanico. E nella parte più bassa del banco di tufo trova resti di elefanti e di cervidi.
È quello di Meli il primo studio a portare all’attenzione degli esperti l’importanza del giacimento di Sedia del Diavolo. E a fare sì che, a metà Novecento, si scavi per vedere cosa c’è sotto. Alberto Carlo Blanc, studioso che ha seguito le orme del padre, conduce nuove ricerche nel 1956, convinto di poter trovare ancora di più.
Qui, infatti, non ci sono solo fossili di elefanti, ma una ricca fauna che comprende rinoceronti, cavalli, daini, cervi reali, leoni delle caverne, cinghiali e uri. Alcuni di questi animali sono scomparsi per sempre, estinti. Come il leone delle caverne, più grande e robusto del suo discendente contemporaneo. La sua sparizione dalla faccia della terra resta un mistero per gli studiosi. Nell’ottobre del 2015, due cuccioli di leone delle caverne sono stati rinvenuti in Siberia, perfettamente conservati dal ghiaccio in cui sono rimasti intrappolati per migliaia di anni. Forse lo studio dei loro resti riuscirà a sciogliere l’incognita sull’estinzione di questa specie.
O anche come l’uro, definito scientificamente bos taurus primigenius, antenato di tori e buoi. Una bestia feroce ed estremamente aggressiva, secondo le fonti. La sua storia è ancora più singolare perché, a differenza di altri animali preistorici, l’uro è vissuto almeno sino al 1627. Nel 1564, secondo le stime dei guardiacaccia reali, se ne contano ancora trenta esemplari nell’Europa dell’est, tra Polonia, Lituania, Moldavia, Transilvania e Prussia orientale. L’ultimo rappresentante di questa specie quasi mitologica, una femmina, muore proprio nel 1672 nella foresta di Jaktorów, a sud di Varsavia. In questo luogo c’è persino un monumento che ricorda l’avvenimento.
Ma c’è di più.
Alla Sedia del Diavolo, tra ghiaia e sabbia, sottratti alla distruzione e all’oblio, giacciono anche degli strumenti in pietra, piccoli ciottoli lavorati per diventare raschiatoi e altri utensili. In totale vengono raccolti 10 schegge e 15 utensili. Oggetti creati dalle mani di un uomo vissuto migliaia di anni fa, utili per la sopravvivenza quotidiana. Non è difficile immaginare questo antico antenato intento a battere due pietre tra loro: deve scheggiarne una per ottenere l’attrezzo che gli consente di pulire le pelli animali dal grasso e prepararle per farne un indumento con cui coprirsi. Le sue mani sono già abili e allenate per effettuare questo tipo di operazioni.
SPONDA SINISTRA DELL’ANIENE. Nel 1906 il giovane Gian Alberto Blanc ritrova un’amigdala, antico strumento degli uomini preistorici, vicino alla sponda sinistra del fiume Aniene. Oggi, purtroppo, questo reperto è andato perduto.
Il giacimento preistorico di Sedia del Diavolo, però, non ha finito di destare sorprese.
Accanto ai resti di animali estinti e ai piccoli utensili si trovano anche delle ossa umane: un metatarsale destro (un osso del piede), e una parte di diafisi femorale (il corpo del femore). A prima vista, considerandone la forma, sembrano appartenere a un uomo molto simile a quello di Neanderthal. Questa nuova specie di homo è stata scoperta nell’agosto del 1856 in Germania, in una grotta nella Valle di Neader. Da qui Uomo di Neanderthal o anche Homo neanderthalensis.
Circa 200mila anni fa, a Roma, l’uomo ha convissuto con gli elefanti.
Tornando verso la Batteria Nomentana e spingendosi verso la sponda sinistra dell’Aniene, si scopre un altro reperto preistorico del quartiere Nomentano: un’amigdala, una pietra lavorata a forma di mandorla, di colore giallastro, levigata per effetto del trascinamento. È lunga appena 9 centimetri e spessa 3.
L’uomo che si china a raccoglierla tra la ghiaia, riconoscendo immediatamente quello che ha di fronte, è Gian Alberto Blanc. È il 1906 e Gian Alberto, figlio del senatore del Regno Alberto de Blanc, ha 27 anni e si è da poco laureato in fisica all’università La Sapienza. Entro un anno la sua vita cambierà, dalle rive dell’Aniene si sposterà a Parigi, chiamato da Marie Curie (premio Nobel per la fisica nel 1903, per la chimica nel 1911) per proseguire con lei le ricerche sulla radioattività. La studiosa è rimasta così colpita dagli studi del giovane da volerlo al suo fianco. Blanc resterà in Francia per due anni.
Ma l’amigdala del Nomentano, oggi, non è più visibile. Non la si può trovare in un museo o in una collezione privata. È andata perduta durante i traslochi subiti nel corso della Prima guerra mondiale. Lo racconta il figlio di Gian Alberto, Alberto Carlo Blanc, nel saggio Ricerche sul Quaternario laziale. Avifauna artica, crioturbazioni e testimonianze di soliflussi nel Pleistocene medio-superiore di Roma e di Torre in pietra. Il periodo glaciale Nomentano, nel quadro delle serie di glaciazioni riconosciute nel Lazio
.
Un frammento di storia del quartiere rimane soltanto un flebile ricordo.
1.2 La glaciazione del Nomentano
Se si procede poco oltre il sito di Sedia del Diavolo, seguendo viale Somalia, ci si imbatte in un altro luogo fondamentale per ricostruire la preistoria di quest’area. Si arriva così alle spalle di Villa Chigi, tra gli alti palazzi che hanno sostituito la campagna aperta. Qui, su una targa che segnala il nome della via, resiste il ricordo di una collinetta spianata dalle ruspe e inghiottita dalla modernità incalzante: il Monte delle Gioie, un rilievo che si spingeva fino alla zona dei Prati Fiscali.
VIA MONTE DELLE GIOIE. In una grotta al Monte delle Gioie alla fine dell’Ottocento vengono scoperti resti di animali risalenti a oltre 200mila anni fa.
Nessuno sembra ricordarlo, tranne geologi e paleontologi, addetti ai lavori che sanno cosa è emerso da questo terreno. Nella roccia, nascosta alla vista, ancora nel 1867, c’è una grotta scavata nel travertino. Frère Indes, vicedirettore delle scuole cristiane di Roma, è il primo a mettere piede qui dentro, camminando nel buio. È un sacerdote, ma la sua vita non trascorre soltanto tra digiuni e preghiere. Si interessa anche di scienza. Ha intuito che nei cunicoli del Monte delle Gioie potrebbe esserci qualcosa e la realtà dimostra che ha perfettamente ragione. La grotta conserva, in un ambiente rimasto sconosciuto per secoli, antichi fossili e strumenti di pietra scheggiata.
Seguendo i passi di questo coraggioso esploratore, che riecheggiano contro le pareti di roccia, ci si