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Le Nostre Cenette Amorose
Le Nostre Cenette Amorose
Le Nostre Cenette Amorose
E-book302 pagine4 ore

Le Nostre Cenette Amorose

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Info su questo ebook

Molihua e Andrea si incontrano spesso e parlano del più e del meno mentre cenano; cibo cinese – storia cinese, cibo italiano – storia italiana. È un incontro di due cucine, due culture, due religioni, due persone nate in due piccoli paesi lontani dalla Grande Mela. Due immigranti che imparano a adattarsi e sopravvivere a Manhattan lavorando come cuochi in due ristoranti, uno a Chinatown e uno a Little Italy. Trovano un appartamento nel Lower East Side, si sposano e hanno un figlio che, una volta diventato adolescente, fa scelte sorprendenti su come vivere la propria vita. Sotto la protezione di Guan Yin Pusa e San Francesco, la coppia vive una vita molto semplice dedicata all'aiuto dei senzatetto e dei bisognosi. Molihua e Andrea praticano una spiritualità distinta che forgia la loro vita quotidiana ed è basata sui loro principii virtuosi buddisti e cattolici. Ciò che veramente li unisce è la loro incessante devozione per la buona cucina, una spiritualità fervente e un amore appassionato.
LinguaItaliano
Data di uscita12 ago 2022
ISBN9791221418651
Le Nostre Cenette Amorose

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    Anteprima del libro

    Le Nostre Cenette Amorose - Michele Duva

    Intagliato nella Roccia

    Arroccato come un falco che artiglia la solida roccia, aggrappato alla vetta, in una cascata di obliqui tetti rossi cadenti, che penzolano a precipizio verso la valle, schiacciato tra due profondi burroni e maestosamente coronato da alte montagne innevate, il mio paese indomito sfavilla.

    E la notte che sono nato tra le tue mura accoglienti, tu felicissimo sentisti il mio primo vagito mischiato al sibilio della tramontana ruggente e chiassosa. E a ogni spigolo, la tramontana correva fragorosa tra le strade strette e labirintiche del paese e scavezzava indomita sopra i camini fumeggianti. Impazzita e puntigliosa, la tramontana tirava, strappava, spingeva trottolando in una piazza o un’altra e, d’un tratto, prendeva a calci o soffocava un camino qui e là. La tramontana indomabile disperdeva i miei vagiti sopra quei camini fumeggianti.

    E, quando pioveva, i torrenti ingrossati, imbizzarriti galoppavano frenetici, acque scoscese si precipitavano verso la valle, scavalcando macigni, prendendo a calci ciottoli, acque ruggenti e schiumanti di rabbia, giungendo al fiume sinuoso che scorreva nella valle, ormai stanche le acque rallentavano, serene e svogliate si dirigevano verso il mare più lontano.

    E tu paese durante la mia infanzia hai guidato sereno i miei primi passi e hai dato spazio ai miei giochi, sulle tue lunghe scalinate di pietra, spesso strette, a volte larghe, certe volte tortuose. Un intrecciarsi di scale ricamate tra le case, con i loro cortili nascosti che celano incantati giardini profumati.

    E tu hai custodito la mia giovinezza. Gli anni passavano, e io sono cresciuto e tu sei rimasto sempre lo stesso aggrappato a quel picco, ammirando la fertile verde valle, dai tuoi balconi, dai tuoi tetti, dalle tue piazze, dai tuoi campanili, presidiavi la magnificenza del paesaggio sottostante.

    E tu hai assistito alle avventure del mio primo amore. Il nostro primo bacio, tra l’erba alta, sotto il salice piangente che sfiorava le limpide acque dello stagno vicino, e il vento sussurrava amatevi, amatevi, amatevi, momenti indimenticabili, e noi abbracciati, trepidanti.

    E caro paese, dopo il terremoto io ti ho lasciato. E sia per me che per te il tempo si è fermato. E me ne dovetti andare, lo so che tu non mi capivi. Ti ho restituito la mia infanzia e la mia giovinezza, il mito del mio passato e tutto ciò che nacque entro le tue mura incantate.

    Con una valigia trasandata, discesi lentamente le tue scalinate strette e sfigurate, evitando i cumuli di macerie, con le lacrime agli occhi, andando giù fino alla stazione ferroviaria.

    E prima che il treno partisse, ti ho guardato. Da lontano le ferite del terremoto non si vedevano, sembravi intatto, e le tue pietre antiche esprimevano parole impercettibili al mio udito e quel giorno soleggiante ho visto una ghirlanda di nubi evanescenti graziosamente coronare il tuo picco.

    Con ardore ho afferrato e riposto nel mio cuore il ricordo della tua tranquillità, la tua pace, il fragore delle tue acque torrenziali, il lamento della tramontana. Nei miei sogni sbiaditi, ho sentito il sussurro dei miei passi instancabili, giorno e notte, passi della mia infanzia, andando su e giù, giù e su, passi incessanti percorsi nel silenzio delle tue strade, scolpite nella pietra eterna.

    E oggi ho riaperto il libro dei miei ricordi, ricordi ingialliti dal tempo, un desiderio inconcepibile s’impossessa di me. Mi sarebbe piaciuto essere ancora lì, con te, per sempre.

    Sì, ho promesso, ti prometto, un giorno tornerò, tornerò da te. So che te l’ho detto tante volte. Ascolta! Questo è il grido della mia anima ingannata. Ascoltami! I miei ricordi letargici ti parlano, e tu continui a ghermire i miei pensieri.

    Se tornerò paese, io tornerò per te, per la tua pace, le tue scalinate, i tuoi torrenti, i tuoi tetti cadenti, i tuoi nidi di rondini, le tue montagne… forse, un giorno. Sì, ti prometto, un giorno… io tornerò.

    Un Fiume di Riso Glutinoso

    E ti ricordi la nostra prima cenetta amorosa, Molihua? Tu comprasti quelle posate scintillanti solo per me.

    Certo, tu non sapevi usare le bacchette cinesi allora... Le posate decorate con un bel fiore le ho comprate in svendita in un negozietto cinese. Erano davvero carine.

    E la scatola davvero graziosa delle posate. Ti ricordi della scatola?

    Ma che scatola, Andrea, non c’era nessuna scatola.

    Ti ricordi allora il cibo che mi hai servito?

    "Sì, Andrea, mi ricordo benissimo. Ho fatto una minestra di tofu con polpette di pesce, riso fritto, verdure miste saltate in padella e cartocci di riso glutinoso. Ero un po’ ansiosa, non ero sicura che la cucina tradizionale cantonese ti sarebbe piaciuta. I piatti cantonesi hanno più verdure e meno carne e di solito utilizzano condimenti semplici, tipo la salsa di soia, zucchero, sale, olio e salsa di ostriche, in modo che abbiano un gusto leggero e delicato. E se il cibo non ti fosse piaciuto che cosa avrei potuto fare? Telefonare alla pizzeria più vicina e ordinarti una pizza? Quindi, di sottecchi ti guardavo, per vedere che cosa mangiavi. Hai incominciato con la minestra, il riso fritto, ma esitavi a provare i cartocci."

    Ero un po’ apprensivo, timoroso di offenderti. Sapevo quanto tu ami la cucina cantonese. Hai portato i piatti a tavola tutti insieme, mi sono sentito perplesso. Ho iniziato con la minestra e l’ho finita tutta in fretta, poi sono passato al riso fritto. Senza pensarci, ho seguito l’usanza italiana di mangiare un pasto, una pietanza per volta, incominciando con la minestra, poi ho pensato del riso fritto come un primo piatto, le verdure come contorno e i misteriosi cartocci di riso glutinoso come un secondo, non ero sicuro se dovevo mangiare la foglia di bambù o no, ma non ho osato chiedertelo.

    Tutte e due ridono a crepapelle.

    Andrea, nella nostra tradizione la minestra è servita come una bevanda e la beviamo un po’ per volta, mentre scegliamo e mangiamo cibo da qualsiasi piatto a caso, non seguiamo nessun ordine. Ricordo che mi hai chiesto la ricetta dei cartocci.

    Sì, difatti. Volevo sapere cosa c’era dentro e come avevi preparato i cartocci, la mia mente ficcanaso cercava di immaginarsi che gusto sarebbe emerso una volta scartocciata quella foglia di bambù.

    Andrea, richiede molto lavoro e ci vuole un sacco di tempo per preparare i cartocci di riso glutinoso. Il giorno prima, devi tritare e marinare circa 250 g di pancetta di maiale, va condita con due cucchiai di salsa di soia leggera, un cucchiaino di zucchero, un pizzico di sale e un cucchiaio di vino di riso Shaoxing, poi va conservato in frigorifero. Metti in ammollo 24 foglie di bambù per tutta la notte per ammorbidirle. Occorre circa mezzo chilo di riso glutinoso, circa 100 g di fagiolini secchi messi in ammollo perlomeno per quattro ore e 12 tuorli d’uovo salati. Uno di questi giorni ti insegnerò come cucinarli.

    Rassicurato, ho cominciato a mangiare piano piano, con la reticenza di un bimbo, sospettoso di questa nuova pietanza, la mia mente cercava di distinguere quei sapori saltellanti sotto il mio palato. A questo punto mi hai raccontato la storia dolorosa di Qu Yuan e la festa cinese dei cartocci glutinosi.

    "Sì, te l’ho raccontata. Ministro alla corte di Zhou, Qu Yuan fu ingiustamente esiliato quando perse la fiducia dell’imperatore, che era stato malignamente consigliato da funzionari corrotti e invidiosi. Qu Yuan era un funzionario molto saggio e amato dalla gente, era anche uno studioso sensibile e poeta meritevole. Quando Qu Yuan seppe che i Zhou erano stati sconfitti dai Qin intorno al 256 a.C., disperato, si gettò nel fiume Miluo nella provincia dello Hunan il quinto giorno del quinto mese del calendario lunare.

    E non appena la gente che lo amava tanto seppe che era affogato nel fiume Miluo, tutti corsero alle barche per cercare di recuperare il suo cadavere, battendo sui tamburi per spaventare i pesci e gettando nell’acqua cartocci di riso glutinoso per dar loro da mangiare, così i pesci non avrebbero divorato il corpo di Qu Yuan. Il tamburo e il riso evitò lo scempio del suo corpo. E oggi, in tutto il mondo, si celebra la festa delle barche drago nella stessa data in cui Qu Yuan è morto. Si è trasformata in una gara di regata sportiva, sempre accompagnata dal suono dei tamburi, però la gente preferisce mangiare i cartocci di riso glutinoso, invece che gettarli nel fiume.

    Molihua, mi dispiace tanto per Qu Yuan.

    No Andrea, non rattristarti. La cosa sorprendente è che ancora oggi possiamo amarlo e ricordarlo con affetto mangiando tutti i tipi di cartocci di riso, e la sua poesia può ancora ispirare le nostre emozioni e ci aiuta a conoscerlo meglio. Il vero significato di ciò che è accaduto duemila anni fa non è perduto. Ti prego di mangiare i cartocci di riso glutinoso, se ti piacciono, è più che un gustoso piatto di cucina cinese, oggigiorno fa parte del nostro patrimonio culturale.

    San Francesco Incontra Guan Yin

    Amo San Francesco, San Francesco ama Gesù Cristo, figlio di Dio. Questo amore perdura nel tempo, balzando avanti e indietro come l’acqua, come il vento, come la luce. San Francesco lo specchio di Gesù Cristo, le loro immagini convergono davanti ai miei occhi. Ho scoperto San Francesco, l’amante della natura, l’amante degli animali, l’amante dell’umanità, il compassionevole, il povero, il mendicante, il narratore, il poeta, il cantante, il generoso, il buono, il santo, nel film di Franco Zeffirelli Fratello Sole, Sorella Luna. San Francesco mi ha parlato e ho capito come amare.

    E l’amore è ritornato da me, l’amore inespresso, l’amore nascosto, l’amore malriposto per Gesù Cristo. Quell’amore che la Chiesa cattolica aveva soppresso mentre crescevo, la Chiesa che insegnava la dottrina, la forma ma non l’essenza, che ripeteva meccanicamente i suoi riti. È così che ho perso di vista la vita e l’insegnamento di Gesù Cristo.

    San Francesco mi parlò della sua vita semplice, di una vita vissuta in povertà, una vita vissuta per alleviare le sofferenze degli altri. E quando sono uscito dal cinema, quella sera, lo spirito di San Francesco è uscito con me, accompagnandomi sulle strade strette e tortuose del paese, colmandomi il cuore e la mente.

    Io mi specchiavo in San Francesco, che si rispecchiava in Gesù Cristo. Non più solo, ho vagato senza meta per le strade. Un po’ qui un po’ là, sorella luna mi strizzava l’occhio, e ho intravisto una vita diversa. Sorridevo al chiaro di luna, che cadeva su di me illuminandomi nella profondità della notte. San Francesco, che incanto, che delizia.

    Guan Yin cammina al mio fianco, e nei miei occhi vedo la sua immagine, mille mani e mille occhi, Guan Yin veglia su di me e tutti gli esseri senzienti, io sono riflessa in uno dei suoi occhi infiniti.

    Guan Yin cammina al mio fianco, ode le grida lontane di tutti gli esseri in difficoltà, basta recitare il suo nome nella tua mente tre volte, Namo Guan Yin, e lei arriva precipitosamente per soccorrerti.

    Guan Yin cammina al mio fianco, dissemina bontà e compassione nel cuore e la mente di ogni essere senziente. Cuore melodioso, mente armoniosa, inspiro avidamente gentilezza e compassione, covando una consapevolezza d’amore, ascoltando un sussurrio dal di dentro, cavalcando il sollevarsi e abbassarsi dell’oceano del mio respiro.

    Belle parole che fioriscono dentro e si arrendono al mio respiro, dondolandosi nella mia gola, saltellando sulle mie labbra, sospese scintillanti nell’aria d’argento, come il cinguettio degli uccelli sfiora le mie orecchie un attimo prima di perdersi nel cielo sereno, felicità e voglia di dare al di fuori, bontà e compassione al di dentro.

    Bontà la gioia di dare, compassione il dono della felicità. Come un’ombra, sorella Guan Yin cammina orgogliosa al mio fianco.

    Montanaro Paesano

    E tu cammini in questa grande città di canyons, ti senti piccolo piccolo tra i grattacieli, una formica in uno sciame di formiche affaccendate, che riempiono le strade di Manhattan, sommerso da un frastuono costante, tu cammini a disagio intimidito da un mare di gente che va di fretta, gente che a volte ti spinge per superarti e frettolosamente scompaiono dietro l’angolo, o magari inghiottiti da una tana, le scalinate d’ingresso alla metropolitana, e poi altra gente riappare bizzarramente sputata fuori dall’altro lato delle scale. Il sussultare ritmico dei treni della metropolitana ti spaventa, ti ricorda del momento straziante e terribile del terremoto, della tragedia, che ha carpito tante vite nel tuo paese natio.

    E sei come un pesce fuor d’acqua, Andrea. Certamente non segui nessuna moda con il tuo modo buffo di vestirti. Anche in una città come New York, sei bizzarro. Indossi pantaloni a scacchi e una camicia di flanella a quadri verde e giallo, un maglione rosso, un abbinamento di colori chiaramente farsesco.

    A Manhattan i giorni sono molto più freddi dei più freddolosi giorni al paese, quando la tramontana ruggiva e sibilava attraverso le strade strette e tortuose. E il cappotto, quello che ti eri portato dall’Italia, un cappotto marrone smacchiato, era davvero strano, a pelo lungo, e da dietro sembri veramente un orso bruno selvatico vagando per la città.

    Anche il tuo modo di camminare è insolito. Porti scarponi da montagna neri invece che scarpe normali. Un passo lungo e frettoloso, inarcando la schiena, con gli occhi sempre puntati per terra, attento a non scivolare sulle rocce o sui sassi come se tu percorressi continuamente sentieri di colline e di montagna invece di una strada di città, sembri un tizio strano, tipico montanaro.

    Sconcertato, cammini senza meta e vedi tanti caffè e ristoranti italiani, un sacco di gente che passeggia su e giù, ma nessuno parla italiano. Questa, dopo tutto, è Little Italy. Dove sono gli italiani? E leggi i menu, scritti metà in italiano e metà in inglese, tu dici: So come fare questo e penso che posso inventarmi quest’altro, tutti questi ristoranti sembrano di avere molti piatti simili provenienti da regioni diverse d'Italia, e ci sono alcuni piatti che non hai mai visto prima.

    Un cartello scritto a mano su una vetrina attira la tua attenzione: Cercasi aiuto cuoco. Alzi gli occhi e leggi: Ristorante Pazziariello, pazziariello in napoletano significa giullare, tu dai un’occhiata al menu e riconosci molti piatti. Un cameriere dai capelli brizzolati esce e ti invita a entrare: Venga, signore, si accomodi. Tu guardi al cartello e poi al cameriere un po’ indeciso. Venga, signore ti ripete il cameriere e tu entri. Riesci appena a dire: Sono qui per l’annuncio di aiuto cuoco.

    Ah! Sei un cuoco?

    Sì, un cuoco italiano... Parla italiano?

    No, il mio boss lo parla, aspetta un attimo.

    Il cameriere va al bar e conversa con un signore ben vestito che sorseggia un drink, poi fa segno ad Andrea di avvicinarsi. Tu sussurri: San Francesco aiutami tu!.

    Il proprietario, fissandolo curiosamente, nota subito che Andrea viene dal sud e scorge una strana luce nei suoi occhi, incomincia a parlargli in napoletano.

    Di dove sei?

    Vengo da vicino Napoli, un piccolo paese sugli Appennini.

    Un montanaro paesano, dove hai imparato a cucinare?

    Ho imparato da mia nonna, poi ho lavorato per sei anni in un piccolo ristorante nel paese, finché non sono partito per l’America.

    Allora, che piatti sai fare e quali sono gli ingredienti?

    Tu avevi imparato a memoria quasi tutti i piatti che avevi visto sui menu dei ristoranti andando su e giù per Mulberry Street, allora dici al proprietario come li avresti preparati, basandoti sulla tua esperienza italiana. Lui si fa una bella risata e ti dà una pacca sulla spalla. Pensi di esserti inguaiato.

    Sai cucinare un buon pranzo proprio come me lo ha insegnato la buonanima di mia madre. Paisa’, la cucina napoletana non va in America, qui nel mio ristorante prepariamo una cucina italo-americana. Capisci? Di italiani vecchio stampo non ce ne sono riamasti più, è rimasta solo la seconda e terza generazione e il cibo tradizionale se lo fanno a casa. Sì, vengono al ristorante ma solo per le grandi occasioni. Paisa’ ricordatetelo, la nostra clientela è formata 95 per cento da americani, perciò il cibo italiano qui deve essere modificato. Capisci?

    Non c’è problema boss, posso imparare questa cucina italiana modificata in un baleno se tu mi insegni. Se li accontentiamo, avremo più clienti.

    Paisa’, mi piace il tuo modo di pensare, non sei un tradizionalista. Allora siamo in business. Da quanto tempo sei in America?

    Due settimane.

    Perché sei immigrato?

    Sfortunatamente un terremoto quasi distrusse il paese; molte persone sono morte, il mio ristorante e altri edifici sono crollati o danneggiati. Non c’era lavoro per me. Allora ho pensato che avrei potuto trovare lavoro qui e spedire un po’ di soldi in Italia per aiutare la famiglia.

    Bravo ragazzo. Parli un po’ d’inglese?

    Un po’, sto imparando.

    Nella cucina tutti parlano spagnolo, compreso il cuoco, nessuno sa l’inglese, ti troverai bene. Hai un posto dove stare?

    Per ora sì, finché non trovo un lavoro.

    Quando puoi incominciare?

    Oggi, se vuole.

    Mi piace questo montanaro paesano, come ti chiami?

    Andrea.

    Meglio usare Andrew, o ti consiglio di scegliere un altro nome, altrimenti tutti ti prenderanno in giro. Ma lo sai che qui in America Andrea è un nome di donna?

    Veramente? Che strano... Posso farmi chiamare Francis, se sta bene a lei.

    Certo, San Francesco d’Assisi, perché no.

    Lei è mai stato ad Assisi?

    "Mai stato in Italia, sempre occupatissimo a gestire il ristorante qui. Mia madre venerava San Gennaro e San Francesco e andava sempre alla chiesa di San Gennaro qui vicino su Mulberry Street... Ascolta paisa’. Mio nonno arrivò qui con la prima ondata d’immigrati italiani. Lavorava giorno e notte, ma a malapena riusciva a sostenere la famiglia. Mio padre sfortunatamente morì con un colpo al cuore quando ero appena un ragazzo, essendo il figlio maggiore ho dovuto provvedere per la mia povera madre addolorata, per i miei fratelli piccolini e per i nonni invecchiati. Tutti sulle mie spalle.

    Ho lavorato tutta una vita e ho avuto un grande successo aprendo il mio ristorante, Pazziarello. Ora sono il boss. Mia madre, anima santa, ha sgobbato tutta una vita e mi ha insegnato a cucinare, in seguito ho lavorato in molti ristoranti, sacrificandomi e risparmiando ogni centesimo. Mi sono fatto da me, non sono mai andato a una scuola culinaria, ho imparato a cucinare leggendo libri di ricette e rubando il mestiere dagli altri chef con gli occhi. Circa trent’anni fa, dopo aver racimolato un po’ di soldi, acquistai questo posto e ho lavorato notte e giorno per rendere Pazziariello il miglior ristorante in Little Italy, ora non lavoro più in cucina, ma mi occupo di tutto il resto. Nulla accade senza il mio permesso, io devo sapere tutto. Capisci? Una volta in cucina, tieni d’occhio tutti e dimmi tutto, okay paisa’?"

    Sì, boss.

    Sei assunto.

    Sì boss, grazie tante.

    Bene. Se vuoi, per pochi soldi, puoi stare in questa bella cameretta molto accogliente che abbiamo nello scantinato. Se vuoi ne parliamo domani. Andiamo in cucina per ora, lo chef troverà un grembiule per te e ti dirà cosa fare.

    Il Mio Boss e Me

    La mia bella cameretta accogliente consiste di un letto formato da una tavola spessa di compensato con un vecchio materasso buttatoci sopra, che giace in un angolo di uno squallido interrato a malapena illuminato. E tutt’intorno, lungo le pareti e fino al soffitto, scaffali e scaffali di scatole con conserva di pomodoro, diversi tipi di pasta, scatole di cartone per le pizze, sacchetti di carta e altri contenitori d’asporto.

    Dall’altro lato della mia cameretta extra sedie pieghevoli e tavolini, usati davanti al ristorante fuori sul marciapiede, sono buttati lì sul pavimento polveroso uno sopra l’altro, al di sopra dei tavoli un monte di pentole e padelle e un mucchio di coperchi di svariata larghezza.

    Casse di vini sopra casse di vini bianchi e rossi italiani, per lo più provenienti dalla Toscana, dal Piemonte e dal Veneto riempiono un’intera parete, fusti di birra e soda sono allineati sul pavimento, proprio sotto la botola ora chiusa utilizzata per caricare e scaricare provviste direttamente dalla strada.

    E ci sono trappole per i topi sparse dappertutto e devo stare attento a non calpestarle. E se un topolino distratto ci finisce dentro, specialmente nel cuore della notte, e incomincia a strillare, mi sveglio, accendo la mia torcia tascabile, prendo un guanto da forno e il mio coltello da cucina affilatissimo e cerco di trovare il povero topo dolente e angosciato.

    Appena lo trovo, afferro il topolino e lo tengo stretto stretto con il guanto, in modo che non mi morda, e con il mio coltello taglio la colla appiccicosa intorno alle zampe intrappolate, come se stessi disossando un bel pollo paffuto, liberando il misero topolino dalla trappola. Attento alle trappole gli dico e prima di lasciarlo andare gli faccio un po’ il solletico sul pancino per renderlo felice, anche se non posso udire la sua risata, ora il topolino è felicissimo, quindi lo pongo sul pavimento e lo vedo decollare come un razzo e sparire nel buio della cantina desolante. I topi, i miei pets, mi tengono compagnia tutta la notte.

    Ma più scalognati sono gli scarafaggi: una volta che si impigliano nelle trappole di colla purtroppo non posso più salvarli, le loro zampine sono fragili e impossibili da liberarle. Ho provato pure la microchirurgia su di loro, con il mio coltello da cucina, ma le sottili zampe e gambe si spezzano e gli scarafaggi, ormai costernati

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