LA CUCINA DELLA TRADIZIONE CALABRESE E SICILIANA
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Anteprima del libro
LA CUCINA DELLA TRADIZIONE CALABRESE E SICILIANA - Gianluca Lo Forte
RICETTE
L’ALIMENTAZIONE IN CALABRIA E SICILIA DAGLI ANTICHI GRECI AI GIORNI NOSTRI
Calabria e Sicilia sono due regioni con storie, culture, lingue e paesaggi ambientali che presentano diverse caratteristiche in comune. Divise da un piccolo specchio di mare, ubicate nel cuore del mediterraneo, queste terre antiche, culle indiscusse della fastosa civiltà magno-greca, vantano un clima mite in tutti i periodi dell’anno ed un ritmo di vita ancora poco influenzato dalle tendenze stressanti e frettolose imposte della moderna civiltà industriale. Le loro storie antiche sono fatte di momenti travagliati costituiti per lo più da un continuo e contrastante alternarsi di civiltà e dominazioni straniere nel corso dei secoli. La particolarità, la grandezza e la varietà del patrimonio culturale alimentare calabrese e siciliano è il risultato d’incontri, scontri, contrasti e contaminazioni di tradizioni e culture millenarie, che ci rimandano al bacino del mediterraneo, al nord dell’Europa ed al vicino oriente. I popoli che in passato hanno abitato le terre di Calabria e Sicilia, dal tempo degli antichi greci ai giorni nostri, hanno lasciato sul territorio influenze linguistiche, culturali e gastronomiche tipiche delle loro vite e dei loro vissuti, che ancora oggi se pur in maniera meno radicata rispetto al passato, influenzano lo stile di vita degli abitanti di queste terre.
L’alimentazione nella Calabria e nella Sicilia antica, salvo rare eccezioni rappresentate da un’appartenenza alle classi abbienti, era semplice e vegetariana. Dagli antichi greci colonizzatori fino al medioevo riscontriamo i caratteri poveri di una dieta essenziale, sempre più influenzata, specie durante il dominio bizantino da credenze popolari e religiose. I greci colonizzarono la Calabria e la Sicilia, perché invogliati dal reperimento di terre fertili che scarseggiavano nell’Ellade. Come scrive l’archeologa Maria Teresa Jannelli: La base dell’alimentazione nella Magna Grecia era costituita soprattutto dai vegetali: cereali, legumi e frutta; si trattava perciò di un’alimentazione prevalentemente vegetariana, poco varia, con uno scarso apporto proteico e calorico
. I menu dei greci erano vari, composti da minestre di cereali e legumi, frutta e verdura, pesce, carni specie ovine, caprine e selvaggina, uova, formaggi freschi. Molto importanti per l’economia magno-greca furono il vino e l’olio d’oliva, due prodotti molto diffusi in Calabria e Sicilia. Italìa o Enòtria (da oinos, vino) infatti era denominata la zona a sud di Metaponto, considerata dai greci terra eccellente per la produzione di questa bevanda. In tutta la Magna Grecia si consumavano focacce e dolci che venivano preparati ed offerti durante le festività religiose e le cerimonie sacre, farina, miele, sesamo, datteri e frutta secca, erano gli ingredienti utilizzati nella loro preparazione.
Sotto il dominio dei romani le terre di Calabria e Sicilia entrarono in un periodo di crisi economica e sociale. Quest’epoca fu caratterizzata dalla scarsità alimentare e dallo sfruttamento delle popolazione locali. La Sicilia venne definita il granaio d’Italia
, gran parte dei territori vennero espropriati e utilizzati per il pascolo e l’allevamento, vennero riorganizzate la produzione, il commercio e la vita sociale. L’alimentazione non subì sostanziali stravolgimenti rispetto alla dominazione greca, cambiarono però i metodi, sempre più sofisticati, di preparazione dei cibi. La dieta più socialmente diffusa continuò ad essere semplice e salubre, costituita prevalentemente da cereali inferiori (come farro e orzo) e poi frumento, pane, legumi, verdura e frutta. I formaggi occupavano ancora un posto di rilievo nell’alimentazione, il latte veniva ricavato soprattutto da ovini e caprini. Buono era il consumo di olio d’oliva e vino, che venivano esportati su più vasta scala. Possiamo rilevare un aumento del consumo di spezie ed erbe profumate, di carne soprattutto suina, ovina, caprina e di volatili. La cucina popolare diventò più frugale e meno elaborata, le pietanze tipiche di questo periodo divennero l’insalata di cavolo crudo ed il maccu
, una purea di fave bollite insaporite con erbe aromatiche e condite con olio d’oliva che continuò ad essere uno dei piatti principali dei contadini siciliani e calabresi anche in epoche recenti. Sulle ricche tavole patrizie diventarono protagonisti le seppie ripiene, le ostriche, le murene, le salsicce, le lumache, le lepri, i cinghiali ed i ghiri, la frutta e le abbondanti ciotole di vino.
La crisi economico-sociale dopo la conquista romana continuò nel periodo medioevale. Cominciava a diffondersi sul territorio la religione cristiana, una religione eversiva che predicava l’uguaglianza degli uomini in una società schiavista, fortemente turbata da incontenibili invasioni barbariche. In Calabria si ebbe qualche sollievo solo da Teodorico e Cassiodoro che vi creò il grande centro monastico e culturale di Vivarium (Squillace) laddove secondo lo storico calabrese Cesare Mulè, l’alimentazione umana dava spazio a lasagne al sugo di capra, cefali e murene arrosto, boccaletti colmi di vino proveniente da Palmi, formaggi silani, dessert di fichi freschi, ciotole di neve e miele. Calabria e Sicilia passarono poi sotto il controllo dei bizantini. Durante l’impero di Bisanzio, la Sicilia riscoprì i piaceri della cucina greco-romana, incorporata nelle tradizioni locali, la cucina calabra venne impoverita e semplificata. La gastronomia del tempo dava spazio a diversi vegetali, pesce essiccato, carni ovine e suine, incluse le interiora non più utilizzate per i riti sacrificali. Lo storico calabrese Rosario Elia ci rammenta come il Pardi, scriveva a proposito dell’alimentazione contadina nella Calabria e nella Sicilia di quel periodo: Durante il dominio bizantino montoni e cavalli assicuravano abbondante alimentazione di carne ma la gente comune si vedeva costretta a fare il pane con le ghiande ed a cibarsi di radici
.
Con il declino di Bisanzio, sul territorio siculo iniziò l’occupazione degli arabi e il primato commerciale e politico di Siracusa passo a Palermo, che assunse l’aspetto di una metropoli. Questo fu uno dei periodi più floridi della storia siciliana. In Calabria invece, gli arabi non esercitarono mai un dominio vero e proprio sulla regione e si limitarono solo a frequenti incursioni dalla vicina Sicilia, incrementando pertanto i contatti bellici, commerciali e culturali. L’alimentazione popolare continuava ad essere quasi vegetariana, molto povera, semplice ed essenziale.
Notevoli progressi vennero compiuti in campo gastronomico. Durante il periodo di permanenza in Sicilia, gli arabi influenzarono moltissimo la preparazione dei cibi, in particolar modo carni e pesci che venivano fortemente speziati. La dominazione araba proibì il consumo della carne di maiale. L’alimentazione umana si arricchì enormemente vedendo l’aggiunta di nuovi prodotti importati dalle regioni arabe, come la cannella, lo zafferano, la frutta secca come l’uva passa, i pinoli, le mandorle, i pistacchi, che divennero ingredienti fondamentali in diverse pietanze sia dolci che salate. Si introdusse la coltivazione della canna da zucchero, degli agrumi, del gelsomino, e malgrado il terreno non fosse molto adatto, fu coltivato anche il riso, ingrediente fondamentale di alcuni piatti tipici come ad esempio gli arancini siciliani. Con gli arabi si conobbe il gusto agrodolce ed il cuscus venne rielaborato e proposto a base di pesce, mentre un sensibile progresso si ebbe nel settore dolciario, le preparazioni infatti divennero celebri e assai apprezzate. I dolci siciliani s’arricchirono con la cassata e con altri a base di miele, zucchero, semi di sesamo, mandorle, nocciole, albume d’uovo, cannella e frutta. La gastronomia calabrese subiva, specie nei ceti sociali più elevati, l’influsso di quella palermitana.
Calabria e Sicilia furono poi conquistate dai Normanni, che intorno all’anno mille si ritagliarono uno spazio nel decadente Mezzogiorno d’Italia, questo popolo venuto dal nord dell’Europa rispettò le usanze bizantine e le mantenne all’interno dello Stato. In questo periodo entrarono nella gastronomia popolare alcuni cibi nordici come lo stock fish
, chiamato in dialetto piscistoccu
e quello salato in barile, conosciuto in lingua locale come baccalà
o baccaluru
, in Sicilia questo pesce essiccato veniva trattato col sale proveniente dalla provincia di Trapani. Lo storico e ricercatore italiano Massimo Montanari, citando il Malaterra, attento cronista dell’epoca, ci rammenta come intorno all’anno mille in Calabria e Sicilia, gli uomini facessero il pane con ogni genere di prodotti succedanei e con molta fantasia, utilizzando perfino piante acquatiche e la scorza degli alberi, oltre alle castagne ed alle ghiande sottratte ai maiali.
Dopo la dominazione normanna e la caduta dell’impero svevo, la società calabrese e quella siciliana subirono seri contraccolpi che ne sgretolarono le strutture: angioini, aragonesi, spagnoli, francesi (solo in Calabria) e poi borbonici si avvicendarono al governo di queste terre.
In epoca medioevale, i contadini di queste due regioni, che erano le fasce sociali più rappresentative, si cibavano di cereali considerati inferiori
come segale, avena, orzo, spelta (tipo di farro) e miglio, che consumavano sottoforma di pani, focacce, minestre, zuppe e polente. Il frumento bianco invece andava a costituire