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Il suono dell'Estasi: Olivier Messiaen dal Banquet céleste alla Turangalîla-Symphonie
Il suono dell'Estasi: Olivier Messiaen dal Banquet céleste alla Turangalîla-Symphonie
Il suono dell'Estasi: Olivier Messiaen dal Banquet céleste alla Turangalîla-Symphonie
E-book295 pagine3 ore

Il suono dell'Estasi: Olivier Messiaen dal Banquet céleste alla Turangalîla-Symphonie

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Info su questo ebook

Il volume analizza l’opera di Olivier Messiaen (1908-1992) dagli esordi alla Turangalîla-Symphonie. L’autore, sottolineando l’estetica simbolistica e mistico-visionaria che caratterizza fin dai primi lavori l’itinerario creativo del compositore, pone in evidenza la sua originale ed eterodossa collocazione nella modernità. L’appendice riporta la lista dei modi a trasposizione limitata, i principali piedi di metrica greca e i 120 deci-tâla indù usati dal compositore, alcuni accordi e procedimenti tecnici caratteristici del suo stile, i testi musicati, una cronologia della vita e delle opere, il catalogo delle opere, una bibliografia.
LinguaItaliano
EditoreLIM
Data di uscita28 nov 2022
ISBN9788855432108
Il suono dell'Estasi: Olivier Messiaen dal Banquet céleste alla Turangalîla-Symphonie

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    Anteprima del libro

    Il suono dell'Estasi - Raffaele Pozzi

    LIM-Tascabili

    In copertina: Max Ernst, La Mer aux oiseaux, 1925-26 (Collezione privata)

    © 2007-2019 LIM Editrice srl - 55100 Lucca

    www.lim.it

    ISBN 9788855432108

    Versione digitale realizzata da Streetlib srl

    SOMMARIO

    Premessa

    Introduzione

    La musica come simbolo. Un profilo dell’estetica di Olivier Messiaen

    Capitolo I

    L’Âme en bourgeon

    Capitolo II

    Ritmi di terra e di cielo

    Capitolo III

    Apocalissi, visioni, mitologie

    Appendici

    Tavola I: Modi a trasposizione limitata

    Tavola II: Metrica greca

    Tavola III: I 120 deci-tâla indù di Śârngadeva

    Tavola IV: Accordi speciali

    Testi musicati

    Cronologia della vita e delle opere

    Catalogo delle opere

    Bibliografia

    PREMESSA

    A dieci anni dalla scomparsa, la vicenda creativa di Olivier Messiaen (Avignone, 1908 - Parigi, 1992) ci appare come una delle più originali e significative della musica del XX secolo.

    Questo libro è dedicato alla prima parte del suo itinerario artistico, dal Banquet céleste (1928) per organo, alla grande Turangalîla-Symphonie (194648), per pianoforte e orchestra. Nell’arco dei vent’anni che separano le due composizioni, Messiaen fissa i fondamenti della sua estetica e poetica, individua il proprio stile musicale e di pensiero.

    La tesi ermeneutica del nostro studio è chiara fin dal titolo. Un portato ideologico dello strutturalismo ha teso a rimuovere la componente extramusicale dall’opera del compositore, per concentrare l’analisi su procedimenti tecnici astratti. Di qui ha avuto origine, nelle recezione critica, l’inserimento del musicista nella storia della serialità. Non riteniamo che tale approccio sia fecondo.

    Il pensiero compositivo di Messiaen, estraneo ad ogni formalismo, è infatti di natura analogica, produce intenzionalmente simboli musicali. Tale attitudine nasce dal cattolicesimo del compositore, dal suo misticismo visionario. Depurare di questi intenti la sua opera non conduce ad una comprensione globale di essa e ne fraintende la peculiare e originale collocazione storica nella modernità.

    La materia del libro è suddivisa in quattro parti seguite da un’appendice. L’introduzione è dedicata ad un profilo dell’estetica di Messiaen. Il primo capitolo si riferisce agli anni di formazione e ai suoi esordi come compositore fino all’Ascension (1933) per orchestra. Il secondo capitolo tratta del nuovo idioma musicale che emerge nella Nativité du Seigneur (1935) per organo, fino al successivo ciclo organistico Les Corps glorieux (1939). Il terzo capitolo è centrato sui grandi lavori degli anni Quaranta, dal Quatuor pour la fin du Temps (1940-41), per violino, clarinetto, violoncello e pianoforte, fino ai Cinq rechants (1949) per coro, che chiudono la cosiddetta «Trilogia di Tristano e Isotta».

    L’appendice raccoglie, in quattro tavole fuori testo, la lista dei modi a trasposizione limitata; dei principali piedi e versi di metrica greca antica usati da Messiaen; dei centoventi deci-tâla indù di Śârngadeva ai quali egli si è ispirato; di alcuni accordi e procedimenti armonici caratteristici del suo stile.

    L’appendice offre, infine, i testi poetici di Messiaen delle opere prese in esame, una biografia cronologica, un catalogo completo della sua produzione, una bibliografia.

    per Antonietta

    IL SUONO DELL’ESTASI

    INTRODUZIONE

    LA MUSICA COME SIMBOLO.

    UN PROFILO DELL’ESTETICA DI OLIVIER MESSIAEN

    Neanche la più raffinata immaginazione riuscirà

    mai a raffigurarsi e a descrivere quella luce, ma

    neppure una delle grandi meraviglie che il Signore mi

    ha svelato, dandomi, insieme un così straordinario

    diletto, che non si può esprimere, essendo tutti i sensi

    pervasi da un godimento di tale alto grado e di così

    gran dolcezza che non ci sono parole per dirlo.

    Teresa d’Avila, Libro della mia vita

    Nel suo De Baudelaire au surrealisme, che può considerarsi tra i classici più illuminanti della critica letteraria del Novecento, lo studioso ginevrino Marcel Raymond pone Les Fleurs du mal di Baudelaire quale fonte primaria della poesia contemporanea francese e individua due strade maestre che da quella superba raccolta poetica avrebbero avuto origine: «Una prima vena, quella degli artisti, condurrà da Baudelaire a Mallarmé e poi a Valéry; un’altra, quella dei veggenti, andrà da Baudelaire a Rimbaud e poi agli ultimi venuti tra i cercatori d’avventure».¹

    Oggi, per una valutazione storico-critica ed una collocazione culturale più ampia della vicenda creativa di Olivier Messiaen, si dovrà convenire che la sua cruciale funzione di stimolo sulle generazioni più giovani della musica europea risiede, paradossalmente, in un’estetica solitaria, eclettica, radicalmente inattuale.

    A ben vedere uno dei più stimolanti e perfino mitici didatti del XX secolo risulta privo di effettivo seguito scolastico. In altre parole, sono individuabili compositori, si pensi ai cosiddetti «spettrali» (Dufourt, Grisey, Murail, ecc.), che si richiamano alla sua lezione ma non figure di rilievo che ne rielaborino o proseguano la poetica. Messiaen è e rimane una figura solitaria. Da questo punto di vista si mostra esplicativa la differenza con un altro didatta, Arnold Schoenberg, che ha indubbiamente lasciato una profonda traccia scolastica nella musica del Novecento.

    L’opera di Messiaen e le radici culturali della sua estetica vanno innanzitutto collocate nella grande tradizione della cultura cattolica francese che da Hugo e Lamartine giunge fino a Claudel, Péguy, Maritain, all’inquieto cattolicesimo di Rouault, tormentato pittore di vetrate. Questa religiosità, che accende l’immagine poetica, pone Messiaen, richiamandoci a Raymond, su quella strada dei veggenti che da Baudelaire, attraverso Rimbaud, conduce fino al surrealismo di Reverdy e Éluard.

    La ricerca visionaria del compositore non è tuttavia un puro diletto dell’immaginazione: egli è un creatore mistico e il suo misticismo si realizza attraverso un’estetica simbolistica della musica. Nella concezione mistica di Messiaen il simbolo musicale è un avvicinamento analogico al mistero e all’indicibilità delle verità della fede cristiana.

    Le ricerche scientifiche, le prove matematiche, gli esperimenti biologici fin qui condotti non ci hanno salvato dall’incertezza. Al contrario, hanno aumentato la nostra ignoranza, mostrandoci sempre nuove realtà sotto ciò che noi credevamo essere la realtà. Di fatto, la sola realtà è di un altro ordine: essa si colloca nell’ambito della Fede. È attraverso l’incontro con un Altro che noi possiamo comprenderla. Bisogna tuttavia passare attraverso la morte e la resurrezione, ciò che suppone il salto fuori del Tempo. Piuttosto stranamente la musica può prepararci a tutto ciò come immagine, come riflesso, come simbolo.²

    È interessante rilevare in questa citazione molto illuminante numerosi luoghi tipici della mentalità mistica. Innanzitutto, la presa di distanza dalla razionalità scientifica e l’esaltazione della fede religiosa come solo mezzo autentico di comprensione della realtà. In tal senso il misticismo viene efficacemente definito in una delle ultime proposizioni del Tractatus di Witt-genstein: «Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è».³ Nelle posizioni di Messiaen, è bene sottolinearlo, si coglie l’eco dello spiritualismo di Bergson la cui visione cristiana assegna al misticismo una posizione centrale e riconosce ad esso la funzione di autentico nucleo «incandescente» dell’esperienza religiosa.⁴

    Il testo di Messiaen presenta un altro aspetto essenziale della dimensione mistica: la centralità dell’incontro con Dio. Il creatore musicale, nell’attesa di questo incontro post mortem, può mimare simbolicamente l’esperienza di una realtà trascendente attraverso un salto fuori del tempo. L’individuazione di un nuovo linguaggio nasce da tale impulso e la ricerca, ad esso collegata, di rinnovamento della forma espressiva non è insolito nella mistica occidentale. Teresa d’Avila, ad esempio, non nascose l’esigenza di cercare nuove parole per narrare i suoi incontri mistici. Analogamente, gli aspetti più personali della poetica di Messiaen, il suo originale linguaggio musicale provengono principalmente dalla necessità di tradurre in musica la sua esperienza mistico-visionaria.

    La musica è, in effetti, un perpetuo dialogo tra lo spazio e il tempo, tra il suono e il colore, dialogo che approda ad una sintesi: il tempo è uno spazio, il suono è un colore, lo spazio è un complesso di tempi sovrapposti, i complessi di suoni esistono simultaneamente come complessi di colori.

    Il musicista che pensa, vede, ascolta, parla per mezzo di queste nozioni fondamentali può, in certa misura, avvicinarsi all’Al di là. Come dice San Tommaso, la musica ci porta a Dio «per difetto di verità», fino al giorno in cui Lui stesso ci abbaglierà «per eccesso di verità». Questo è forse il senso significante e anche il senso direzionale della musica

    Si chiarisce così il cardine dell’estetica di Olivier Messiaen che dà forma alle sue scelte poetiche La nuova concezione del tempo, l’accentuazione ametrica, la poliritmia, lo scambio sinestetico spazio-tempo, suono-colore e la sua sintassi compositiva sono mezzi di un nuovo linguaggio e di un pensiero musicale intenzionalmente simbolico, carico di direzionalità escatologica. L’uso di simboli è d’altra parte un aspetto centrale del linguaggio mistico che avvicina quest’ultimo alla poesia e all’arte.

    Nell’ambito della teoria del simbolo il concetto di intenzionalità è venuto emergendo come elemento essenziale e distintivo. Esso, in particolare, si rivela assai fecondo per la comprensione dell’opera di Messiaen il quale ha notoriamente stabilito un rapporto cosciente e verbalmente esplicito tra creazione musicale e ispirazione extramusicale.

    Se etimologicamente il simbolo esprime una dualità che si ricompone in unità, in musica le due metà che formano un simbolo sono la sfera sensibile, sonora, aconcettuale e quella extrasensibile, verbale, concettuale. Hans Heinrich Eggebrecht, nel confronto parallelo con Carl Dahlhaus sull’argomento, propone come esempio di simbolo musicale le note b-a-c’-h dell’ultimo contrappunto dell’Arte della fuga. Esse costituirebbero un simbolo musicale in quanto al loro «essere» estetico si aggiungerebbe un «intendere»: «Oltrepassare la comprensione sensibile e combinare una comprensione estetico-aconcettuale con una concettualmente consapevole sono operazioni che caratterizzano il simbolo musicale».

    Nella riflessione teorica di Umberto Eco, il simbolo viene identificato con una «decisione pragmatica» che associa ad un «contenuto codificato nuove porzioni di contenuto». Ad un «senso estetico», per usare la terminologia di Eggebrecht, si aggiunge dunque un «intento simbolico». Il simbolo si caratterizza così come una «modalità di produzione o interpretazione testuale»; esso riguarda in altre parole, volendo riferirsi ad un’opera musicale, la sfera dell’intenzione poietica del creatore o interpretativa del destinatario. Né tale intenzione, priva l’opera di autonomia estetica. «Caratteristica del modo simbolico», scrive Eco, «è che qualora ci si astenga dall’attuarlo, il testo rimane dotato di senso indipendente a livello letterale e figurativo (retorico)».

    Nell’esperienza mistica la decisione di associare ad un testo una porzione di contenuto accendendo, per così dire, il modo simbolico, mette in gioco, afferma il semiologo, non riferimenti culturali o intertestuali alla tradizione ma verità di fede: «Quello che rimane indiscutibile è che dietro ad ogni strategia del modo simbolico esiste, a legittimarlo, una teologia».

    Il modo simbolico, concepito come «decisione» di un creatore o di un recettore, più che come un’oggettiva presenza testuale, diviene dunque un pertinente strumento teorico di comprensione dell’estetica e della poetica di Messiaen.

    Considerando i lavori di esordio del compositore — Le Banquet céleste (1928), per organo, e i Préludes (1928-29), per pianoforte — si coglie in essi una dichiarata intenzione di rinviare la musica ad altro. Troviamo in tal modo, e già con forza notevole, buona parte degli elementi fondamentali della sua concezione simbolistica della musica: l’ispirazione religiosa; la tensione al misticismo e all’estasi contemplativa, realizzata attraverso una concezione statica del tempo musicale; l’attrazione per la natura; la dimensione sinestetica del rapporto suono-colore.

    Nel Banquet céleste e nei Préludes, l’uso dei modi a trasposizione limitata esprime un pensiero compositivo basato su strutture chiuse dotate di «charme des impossibilités». Il «fascino delle impossibilità» è un fondamento dell’estetica di Messiaen al quale, non a caso, egli dedica il capitolo d’apertura del suo noto trattato teorico Technique de mon langage musical.

    Su un punto si fisserà, innanzitutto, la nostra attenzione: il fascino delle impossibilità. Ciò che cerchiamo è una musica cangiante, che dia piaceri voluttuosamente raffinati al senso dell’udito. Nello stesso tempo questa musica deve poter esprimere sentimenti nobili (e specialmente i più nobili di tutti, i sentimenti religiosi esaltati dalla teologia e dalle verità della nostra fede cattolica). Questo fascino, nel contempo voluttuoso e contemplativo, risiede particolarmente in talune impossibilità matematiche di ambito modale e ritmico.

    La definizione di «fascino delle impossibilità» ci propone nuovamente una caratteristica compresenza simbolica di piacere estetico e contenuto religioso, di sensualità e contemplazione che richiama con forza l’esperienza dell’estasi. Il «fascino» deriverebbe dunque da «impossibilità matematiche» contenute in strutture modali e ritmiche quali i modi a trasposizione limitata o i ritmi non retrogradabili. Rinviando la trattazione teorica al capitolo successivo, va qui notato in termini generali l’interesse di Messiaen per strutture dal numero limitato di combinazioni che mirano ad un linguaggio statico, alla costituzione di un mistico microcosmo di suoni.

    Nelle opere di esordio, tra gli anni Venti e Trenta, compaiono inoltre numerosi elementi tipici dello stile del compositore che danno vita sonora al suo immaginario. Si pensi all’uso dei pedali e degli ostinati, alla concezione stratificata del tessuto musicale, al gusto per le aggregazioni armoniche complesse, all’organizzazione ritmica modulare e ametrica.

    In particolare i Préludes, per il titolo della raccolta e alcuni aspetti della scrittura pianistica, sono stati collocati nella scia debussiana. Più che le affinità, senza dubbio presenti, conta in questo caso individuare le differenze. Claude Debussy è per Messiaen un modello come musicista del suonocolore armonico, un maestro ammirevolmente prossimo alla complessità dei fenomeni naturali in virtù della sua «divina libertà ritmica». I due compositori rimangono però assai distanti nella concezione della forma e nell’articolazione interna di essa.

    Mentre in Debussy le segmentazioni formali, si pensi al Prélude à l’aprèsmidi d’un faune (1894), vengono sottilmente dissimulate e rese ambigue, in Messiaen prevale una concezione dalle cesure più nette e marcate. Egli concepisce la forma come struttura strofica, giustapposizione paratattica di «pannelli» musicali; di conseguenza la costruzione tende alla staticità. A questo proposito, Pierre Boulez osserva acutamente come il durchkomponieren sia fondamentalmente estraneo al musicista.¹⁰

    Per il senso della forma — che mostra una predilezione per la formaciclo a partire dalla Nativité du Seigneur (1935), per organo — non va trascurata l’influenza della visività. Il medievalismo del compositore, coerente con il suo mondo spirituale, si traduce in una concezione della macroforma che si ispira ai vasti polittici o alle vetrate gotiche francesi le cui narrazioni, incastonate in architetture geometriche, trovano unità nel coloristico effetto d’insieme.¹¹

    Uno dei ricordi infantili più intensi e significativi riferiti da Messiaen riguarda le visite a Notre-Dame, alla Sainte-Chapelle, ed in seguito alle grandi cattedrali gotiche di Chartres e di Bourges, quando la sua famiglia, nel 1919, si trasferì a Parigi. Lo stupore del bambino per il caleidoscopio di colori delle vetrate medievali lascia un’impronta profonda e durevole sul suo mondo creativo.

    Nella terza parte della Conférence de Notre-Dame (1978) dedicata al tema del rapporto suono-colore, Messiaen scrive:

    Cosa hanno fatto i maestri vetrai del Medioevo? Che cosa succede nelle grandi vetrate di Bourges, di Chartres, nei rosoni di Notre-Dame di Parigi e nella meravigliosa, incomparabile vetreria della Sainte-Chapelle? C’è innanzitutto una folla di personaggi, grandi e piccoli, che ci raccontano la vita di Cristo, della Santa Vergine, dei Profeti e dei Santi: è una sorta di catechismo per immagini. Questo catechismo è racchiuso in cerchi, in scudi, in trifogli, ubbidisce al simbolismo dei colori, oppone, sovrappone, decora, istruisce, con mille intenzioni e mille dettagli. Ora, da lontano, senza binocolo, senza scale, senza alcun oggetto che soccorra il nostro occhio imperfetto, non vediamo nulla, null’altro che una vetrata tutta blu, tutta verde, tutta violetto. Non comprendiamo, siamo abbagliati! ¹²

    Architetture di puro colore, soprattutto quelle autenticamente smaglianti della Sainte-Chapelle, le vetrate medievali assolvono la funzione di istruirci nella fede. Vivificate dalla luce naturale che definisce, grazie al colore, lo spazio sacro, hanno un carattere narrativo, e ci abbagliano (si noti il corsivo originale), avviando il fedele all’estasi, ad un dantesco «trasumanare» attraverso l’esperienza estetica. Lettore di Tommaso d’Aquino, filosofo che gode in Francia di una notevole risonanza novecentesca attraverso il neotomismo di Jacques Maritain, Messiaen sembra dunque accogliere il fondamento dell’estetica tomistica che identifica Dio con la bellezza. «Deus est ipsa pulchritudo» scrive Tommaso nella Summa theologiae (II, 145, 2), uno dei testi filosofici più ammirati dal compositore.

    Lo stesso Paul Claudel, scrittore che ha esercitato una forte influenza intellettuale su Messiaen, nel suo saggio del 1937 Vitraux des cathédrales de France, si sofferma sull’arte dei maestri vetrai notando come nelle vetrate «tutto è simultaneo, tutto scintilla, tutto lavora contemporaneamente, tutto è un concerto senza nulla che cominci o che finisca».¹³ Un’immagine del tempo, quella associata da Claudel alle vetrate gotiche, assolutamente convergente con la visione del compositore.

    La prima architettura concepita ad episodi, come una grande vetrata gotica, è La Nativité du Seigneur. L’opera rappresenta una svolta stilistica nel cammino del musicista soprattutto per il suo nuovo vocabolario ritmico, l’accentuato uso della modalità, l’esplorazione dei timbri organistici, le sue dimensioni e la concezione teologica generale. Tale ricerca viene ulteriormente sviluppata sull’organo, nella seconda metà degli anni Trenta, con Les Corps glorieux (1939).

    Il presupposto estetico di associare all’atto compositivo un intento simbolico determina l’eclettismo modernista del compositore. Il pensiero archetipico e l’universalismo cattolico di Messiaen attinge a differenti tradizioni (occidentale, orientale, primitivo-popolare) e a vari periodi storico-musicali (dal medioevo ai moderni), reinventando procedimenti e forme per piegarli alle sue esigenze espressive.

    Questa reinvenzione, si pensi all’uso del canto gregoriano, della metrica greca antica, dei deci-tâla indù, trae alcuni spunti dall’insegnamento, sovente sottovalutato, ricevuto al Conservatorio di Parigi da Paul Dukas, Marcel Dupré e Maurice Emmanuel. Gli influssi provenienti dal monumentale Orgue mystique (1927-32) di Charles Tournemire e dallo stesso spiritualismo cattolico tardoromantico di César Franck si fondono con le cruciali suggestioni di compositori moderni: soprattutto Debussy e Stravinskij ma anche Bartók e Ravel. In particolare risulta decisivo per il compositore l’incontro con Le Sacre du printemps, partitura in cui egli individua, come vedremo, una nuova organizzazione ritmica e sintattica.

    Lo studio dei deci-tâla indù contenuti nel Samgîtaratnâkara (L’Oceano della Musica), trattato di Śârngadeva risalente al XIII secolo, scoperti dal compositore nell’Encyclopédie de la musique et dictionnaire du Conservatoire del Lavignac (Paris, Delagrave, 1924), va considerato un avvenimento fondamentale. L’interesse di Messiaen per la modularità ametrica di queste strutture rimiche viene, nel corso degli anni,

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