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Sever: Edizione italiana
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E-book253 pagine3 ore

Sever: Edizione italiana

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Info su questo ebook

La tristezza non è più la benvenuta.
Eppure, non è facile influenzare il destino.
Da anni Gabriella Mason e Teller Reddy percorrono il confine sottile che separa affetto e ostilità.
L’intensità che un tempo li faceva ardere ha posto fine al loro fidanzamento e li ha divisi, non solo fisicamente.
Costretti a stare insieme da circostanze impreviste, Gabriella e Teller non hanno altra scelta che affrontare il passato che li ha riuniti e che alla fine li ha divisi.
Distrutto e danneggiato si sono scontrati.
Ecco che cosa succede quando provano a raccogliere i pezzi.
LinguaItaliano
Data di uscita28 nov 2022
ISBN9791220704519
Sever: Edizione italiana
Autore

Mary Elizabeth

Mary Elizabeth is an up and coming author who finds words in chaos, writing stories about the skeletons hanging in your closets. Known as The Realist, Mary was born and raised in Southern California. She is a wife, mother of four beautiful children, and dog tamer to one enthusiastic Pit Bull and a prissy Chihuahua. She's a hairstylist by day but contemporary fiction, new adult author by night. Mary can often be found finger twirling her hair and chewing on a stick of licorice while writing and rewriting a sentence over and over until it's perfect. She discovered her talent for tale-telling accidentally, but literature is in her chokehold. And she's not letting go until every story is told. "The heart is deceitful above all things and beyond cure."--Jeremiah 17:9

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    Anteprima del libro

    Sever - Mary Elizabeth

    1

    ELLA

    Prima

    «D evi vederlo.»

    Mi sdraio sulla schiena e mi passo il palmo sulla fronte. Strizzo gli occhi a causa del sole capace di risucchiare l’anima tipico di Venice Beach che filtra dalla finestra e mi concedo un respiro profondo prima che i ricordi di questo giorno paralizzino tutte le funzioni motorie. Le pareti sembrano chiudersi attorno a me quando mio fratello Emerson solleva le coperte dal mio corpo stanco e sopraffatto dalle emozioni, e vorrei che il letto mi ingoiasse per intero.

    «Gabriella, alzati. Teller…»

    Solamente udire il suo nome mi lascia senza aria nei polmoni e adesso vorrei che invece fosse il mondo a ingoiarmi per intero. Emerson raccoglie le lenzuola e le appallottola, pronto a lanciarle in un angolo della stanza quando nota il mio stato disfunzionale.

    «Certo,» sbotta con tono autoritario. «Reddy è svenuto davanti alla porta di ingresso e tu hai un aspetto orribile, come se ti avesse masticato e poi sputato.»

    «Ho i segni dei denti?» domando.

    «Che cos’è successo?» chiede, porgendomi una mano per rialzarmi. «Avete rotto?»

    La mancanza di sonno getta scompiglio nel sistema nervoso, impedendo al cervello di inviare i comandi al corpo, intrappolandomi in un purgatorio disconnesso. «Dovremmo avere una relazione per rompere.»

    Non si disturba a protestare, anche se si tratta di semantica, e supera le lenzuola appallottolate dirigendosi verso la porta. Trascino i piedi scalzi sulla moquette e lo seguo nell’appartamento che condividiamo con la sua ragazza, Nicolette, diretti in cucina. Questo posto che abbiamo trasformato in una casa quando ci siamo traferiti da St. Helena è diventato affollato e dovremmo cercare un appartamento più grande.

    Non adesso, però.

    Adesso Teller ha bisogno della resa dei conti.

    Anche se è l’ultima cosa che voglio fare.

    «Perché non lo hai svegliato e basta? Lasciami fuori da questa storia,» protesto, versandomi il caffè freddo nella tazza sporca di ieri. Mi bruciano gli occhi quando sbatto le palpebre, la caffeina amara mi pizzica la gola graffiata e lo stomaco brontola così forte che mi guadagno un’altra occhiata di disappunto da parte di mio fratello.

    «Perché sappiamo entrambi che non se ne andrà finché non ti vedrà.» Emerson aspetta alla porta con una mano sulla maniglia. «Probabilmente non dovrebbe dormire sul marciapiede, dato che è appena uscito di galera, Ella.»

    Notando il suo tono preoccupato, poso la tazza sul bancone e porto la testa indietro urlando: «D’accordo!»

    Bombe di ansia mi ricadono sul petto in esplosioni che provocano fori nel cuore e mi distruggono i polmoni di cui restano brandelli. Avvicino una mano al petto per verificare che ci siano segni di vita, per niente consolata dal battito rapido che si agita sotto le dita. Un’ondata di calore mi pizzica la nuca e lo spirito a pezzi innesca il bisogno di scappare e togliermi dalle palle quando Emerson apre la porta, rivelando il distruttore della mia anima. Non so come sia riuscito ad addormentarsi. E non perché sia disteso sull’asfalto sporco di gomme da masticare, pieno di formiche, ma perché dormire dovrebbe essere impossibile, se questo figlio di puttana provasse anche solo una frazione della sofferenza che mi tormenta. La sua capacità di sognare è un oltraggio per me.

    «Questo spiega tutto,» dice mio fratello, allungando un braccio verso il futuro dottor Reddy e recuperando una bottiglia di whisky. Agita l’ultimo sorso prima di superarmi per gettarla nella spazzatura, e poi ritorna.

    «Lo hai coperto tu?» domando, incrociando le braccia sul petto. «Non se lo merita.»

    Emerson ridacchia, appoggiandosi contro lo stipite della porta. La luce pomeridiana non basta a nascondere la preoccupazione che si cela dietro il suo sorriso forzato. «Mi dispiaceva per questo stronzo. Anche se mi è costato il lavoro.»

    Con una sigaretta spenta tra le dita, vestito con gli stessi abiti di ieri, Teller è disteso lungo il vialetto davanti al mio appartamento. Ragazze sulle longboard e ragazzi con le loro tavole da surf sotto le braccia passano senza degnare di uno sguardo quell’ubriacone problematico, immaginando che sia un altro barbone da spiaggia… una normalità da queste parti.

    «Teller.» Gli sfioro la spalla con il piede scalzo e lui si agita da un lato all’altro, completamente andato. «Svegliati.»

    Iridi verdi si muovono sotto le palpebre venate di blu, ma restano chiuse. Il movimento regolare del suo petto che si solleva e si abbassa a ogni respiro aumenta l’ansia intensa che risiede nella mia anima e do la colpa a lui per questo. Sarebbe un gesto naturale inginocchiarmi accanto a lui e scacciare la formica nera che gli striscia sul braccio prima di accarezzargli il viso finché non si renderà conto che sono qui. Non è la prima, né la seconda, né la terza volta che si addormenta sul marciapiede opponendosi alla mia testardaggine. La gente normale non si comporta come noi.

    Niente di noi è normale.

    E vorrei che la formica lo mordesse.

    «Ci ho provato. Adesso posso tornare in casa?» domando, girandomi verso Emerson, che non spreca fiato a rispondere, e imita la mia posizione, incrociando le braccia muscolose sul petto ampio. Nicolette appare dietro di lui, sollevandosi in punta di piedi per vedere il perché di tutto il trambusto. Sposta lo sguardo da Teller a me, e alza gli occhi al cielo, scuotendo il capo e accarezzando la spalla di mio fratello prima di allontanarsi.

    Sono un ammasso di imbarazzo sulla punta di un disastro emotivo che lascia spazio a una rabbia ardente. Mi piego accanto a Tel, ma non accarezzo niente. Invece lo schiaffeggio ancora e ancora e, digrignando i denti, ordino: «Svegliati, cazzo, figlio di puttana.»

    La barba folta mi graffia la mano e sono pronta a strangolarlo quando il mio flagello personale inizia a inspirare in modo brusco. Prima che abbia la possibilità di fissarmi con le sue pozze verdi, ritraggo il braccio e lo colpisco in faccia così forte da lasciare l’impronta rossa sul viso ispido. Teller si mette seduto, schiarendosi la voce e passandosi le dita tra la chioma scura, e sbatte le palpebre contro il sole demoniaco come ho fatto io dieci minuti fa. Voglio ucciderlo, ma desidero ancora di più stringerlo dalle spalle e scusarmi per la notte in cui è stato arrestato, dato che è stata anche colpa mia.

    «Va’ a casa,» dico, desiderando rimangiarmi quelle parole prima che gli raggiungano le orecchie.

    Emerson sospira. «Non può guidare, Ella.»

    «Con il cazzo che non posso,» protesta Teller, raddrizzandosi. Vacilla nel rimettersi in piedi, cercando il pacco di Marlboro tra le tasche. Ha i capelli sporchi d’erba e croste sui gomiti.

    I nostri sguardi si incrociano – i suoi occhi sono arrossati e lucidi – e mi ritrovo investita da un’onda di compassione che placa il bruciore della rabbia, il dolore al cuore e il fastidio provocato dall’imbarazzo. Questo poveretto soffre quanto me ed è il mio migliore amico… il mio primo amico. La nostra relazione non può continuare a essere così – instabile, struggente, distrutta – ma non voglio perderlo, e so che lui non è pronto a lasciarmi andare.

    Stringo le braccia attorno al petto per impedirmi di toccarlo e cedo un po’, addolcendo l’espressione. «Ha ragione, Tell. Non sei nelle condizioni di guidare.»

    «Starò bene,» ribatte con una sigaretta spezzata tra le labbra.

    Sembra una sfida e il battito del mio cuore la adora.

    «Almeno puoi provare a usare la testa? L’ultima cosa di cui hai bisogno è essere arrestato per guida in stato di ebbrezza, e non c’è motivo di chiedere a Maby di guidare fino a qui se puoi dormire dentro.» Mentre mi preparo alla lotta, un’ondata di calore accresce sotto la pelle, facendomi arrossire in viso e intorpidendomi le punte delle dita. I palmi pizzicano perché l’ho svegliato a suon di schiaffi e rimpiango di non averlo colpito più forte quando ne ho avuto occasione.

    Rimpiango anche di non aver cancellato quell’espressione auto compiaciuta sulla sua faccia dopo che l’ho invitato a restare, consapevole che non mi dispiacerebbe avere tracce della sua pelle sotto le unghie.

    Teller guarda oltre la mia spalla. «Dov’è il mio whisky?»

    «Nella spazzatura,» risponde Emerson.

    «Ridammelo, così me ne andrò.» Il tabacco ricade come polvere dalla punta della sigaretta, via tra il venticello salmastro.

    Senza rifletterci ricado negli schemi che ieri sera, piangendo fino allo sfinimento, ho promesso di lasciarmi alle spalle. Prima di rendermene conto, riprendo la bottiglia di liquore dalla spazzatura e torno fuori, lanciandola ai piedi di Teller. Il vetro si frantuma, scivolando sull’asfalto, e le ultime gocce di liquido si riversano tra le crepe del marciapiede. Adesso abbiamo l’attenzione dei surfisti e delle skater. Mio fratello mi afferra le braccia da dietro e mi fa indietreggiare prima che metta piede sul disastro che ho combinato, e Teller ride, senza muoversi.

    «La vecchia cara Gabriella, sempre una garanzia.» Ridacchia, scalciando i cocci di vetro dalla scarpa. «Resterò, se insisti.»

    Nicolette prepara altro caffè mentre io faccio la doccia e, quando esco, usando di proposito tutta l’acqua calda fino all’ultima goccia, Em ha pulito il vialetto. Non parliamo della sistemazione notturna precedente di Teller né del mio sfogo nocivo, ma gli sguardi torvi che mi lanciano mio fratello e la sua ragazza sono impossibili da ignorare.

    La puzza di alcol che impregna la pelle di Teller mi dà la nausea nel momento in cui mi supera per entrare in bagno. Mi fa l’occhiolino ed Emerson lo spinge avanti prima che possa aggredirlo.

    «Basta così, bambini,» ci rimprovera.

    «Siediti e mangia. Hai un aspetto orribile.» Nic mi passa un piatto di uova strapazzate e una tazza fumante di caffè. «Hai bisogno di prendere un po’ di sole. Vieni in spiaggia con noi oggi.»

    Mi siedo al nostro tavolino e mi tuffo nel cibo. «Preferirei conficcarmi spilli sotto le unghie,» rispondo con la bocca piena di proteine.

    Si appoggia contro il bancone, stringendo la tazza tra le mani curate. «Non essere melodrammatica, Ella. Potresti non sopravvivere restando tutto il giorno in questo appartamento con quell’atrocità.»

    «Può dormire sul divano,» ribatto, non fidandomi di quelle parole nel momento in cui le pronuncio. «E resterò in camera mia con la cassettiera contro la porta.»

    Alza gli occhi al cielo. «Non terrà Teller lontano.»

    «Allora accompagnalo a casa. Problema risolto.» Mangio l’ultimo boccone.

    «Non distruggete questo posto, okay?» domanda, seguendo mio fratello in camera loro e chiudendo la porta.

    Nonostante la caffeina in circolo nello stomaco, mangiare mi fa venire sonno. Mi trascino di nuovo in camera dopo aver impostato il condizionatore a temperature glaciali. Il letto e il conforto che offre sembrano divini, ma la luce esterna che invade il mio spazio attraverso la finestra non va per niente bene, così la copro lasciando che l’oscurità totale mi avvolga. La porta si apre nel momento in cui mi metto sotto le lenzuola e sibilo per via del fascio di luce che Teller lascia entrare. «Vattene.»

    «Vaffanculo perché hai finito tutta l’acqua calda,» dice e vedo la sua sagoma in camera. Sento l’odore del sapone sulla sua pelle da dove sono sdraiata e vorrei che il dolore fosse semplice da ripulire quanto una sbronza. Una settimana fa gli avrei fatto spazio e avrei sollevato le coperte accogliendo il suo corpo ancora caldo dopo la doccia che mi avrebbe cullato finché non mi fossi addormentata. Non c’è niente che desidero di più che nascondere il naso nell’incavo del suo collo, sentire il suo cuore che batte contro le labbra.

    Ma fanculo.

    Teller Reddy è una droga maledetta e io mi sto disintossicando.

    «Chiudi la porta,» dico, sollevando il lenzuolo sulla testa.

    «Chiuditela da sola, cazzo.» Si allontana, lasciandola spalancata. Sento la televisione in soggiorno che si accende e Teller che alza il volume.

    «Stronzo!» urlo, scendendo dal letto. L’ultima immagine che vedo prima di sbattere la porta è il dito medio di Teller in aria. Prendo in considerazione di spingere la cassettiera contro la porta come ho detto a Nicolette che avrei fatto, ma sono così sfinita che non potrei mai e poi mai spostarla da sola. Se chiederò a qualcuno di aiutarmi, anche l’altra persona resterà bloccata con me, e al momento non mi va tanto di socializzare. Così opto per il cesto della biancheria, sperando che Teller nel suo stato di ubriachezza non voglia infilare le mani tra calzini sporchi di sei settimane.

    Il cuscino è congelato sotto la testa e agito le gambe contro le lenzuola fredde mentre mi metto comoda. Non posso prevedere quali saranno i risvolti nella mia relazione con Teller, ma non c’è dubbio che la sua vicinanza riduca la mia pace mentale. Mi aggrappo a questo quando cedo alla stanchezza e mi addormento.

    Non ho idea di quanto tempo sia passato nel momento in cui apro gli occhi, perché la stanza è buia proprio come quando li ho chiusi. Girandomi per stiracchiare i muscoli, mi scontro con un corpo che non dovrebbe essere nel mio letto. Tell non si muove a quel contatto, dormendo a bocca aperta e ignaro di tutto quello che lo circonda, a parte i suoi sogni. Mi metto seduta, rendendomi conto solamente in questo momento che la porta della mia stanza è spalancata e tutto l’appartamento è al buio.

    Il cesto della biancheria è un traditore e Teller è abituato a superare certi limiti.

    Ho perso la voglia di litigare dopo aver dormito, quindi non lo caccio dal materasso né lo esilio dalla camera come dovrei. Invece scendo dal letto e mi dirigo in cucina in punta di piedi, chiudendo la porta della camera così potrà riposare più a lungo. L’orologio digitale sui fornelli segna le otto appena passate, e mio fratello e Nic non sono ancora tornati.

    Preparo una busta di popcorn e prendo una bibita in lattina dal frigorifero, rifugiandomi sul divano davanti alla TV per guardare le pubblicità dello shopping online. Trenta minuti dopo, Teller esce dalla stanza e mi trova con una ciotola vuota di popcorn e il cellulare in mano, pronta a ordinare una scorta di un anno di una crema antirughe creata da medici in Scozia che hanno scoperto la chiave per la giovinezza eterna.

    «Pensi davvero che quella merda funzioni? Un dermatologo ciarlatano la venderebbe?» Teller si siede accanto a me, contro il bracciolo del divano. È a petto nudo, coperto dai segni lasciati delle lenzuola e con i capelli spettinati.

    «Non lo so,» ribatto. «QVC è un canale reale. Paula Abdul ci ha venduto i suoi gioielli.»

    «Esatto,» borbotta, passandosi le dita tra la chioma riccia. Segue un silenzio teso in cui fingiamo di essere interessati ad abiti abbelliti venduti da una donna anziana troppo truccata che indossa troppi anelli e. Osserviamo altri tre spot e poi Teller spegne la TV, costringendoci ad affrontare il silenzio spiacevole tra di noi.

    «Non so come vivere senza di te, Ella.» Inspira profondamente prima di guardarmi con quegli occhi di un verde lucente e pieni di rimorso.

    Scuoto il capo e domando: «Non hai ascoltato una parola di quello che ti ho detto al parco ieri? Voglio che siamo amici, Tell. Solamente amici.»

    Il rimorso fragile nei suoi occhi si trasforma in un’espressione sprezzante, provocando la stessa reazione anche in me. La differenza è che questa volta impiego un secondo a riconoscere come potrebbe rivelarsi questa conversazione: esplosiva. Stabilire certi limiti serve a evitare questi giochetti stancanti e trovare un territorio neutrale in cui possiamo coesistere in modo pacifico. È quello che voglio e di cui abbiamo bisogno.

    «Che cosa significa?» domanda.

    «Significa che non puoi più dormire nel mio letto,» comincio a dire. «Significa che non puoi toccarmi, Teller. Significa che dobbiamo smetterla di torturare la gente attorno a noi perché siamo due teste troppo calde per risolvere i nostri casini.»

    Si piega in avanti, appoggiando i gomiti alle ginocchia e il viso tra i palmi. Lo osservo fare un respiro profondo quando la schiena si solleva e si riabbassa.

    «Non è quello che voglio. Non ho voce in capitolo?»

    «Te la sei spassata con un’altra, quindi non mi volevi abbastanza.» Sto cercando di fare un ragionamento logico e lo so. Gli ultimi quattro anni e tutto quello che abbiamo passato dimostrano che mi desidera in un certo senso, ma sono anche la prova che non siamo fatti l’uno per l’altra. Stabilire dei limiti è la decisione giusta per noi e per i nostri cari.

    «Non puoi farlo,» ribatte, mettendosi in piedi. Il mio battito accelera, ma resto seduta. «Non puoi ridurci a un cazzo di errore.»

    Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. «Teller, sei una delle persone più intelligenti che io conosca, quindi ti prego di non fare l’idiota. Non facciamo altro che renderci ridicoli; tra di noi ci sono perlopiù momenti orribili con qualche istante di gioia,» ribatto.

    Mi fissa per qualche secondo prima di portare la testa all’indietro e ridere di gusto, inondando il soggiorno con il suo cinismo. «Sono stronzate, Puzzolella, e lo sai, cazzo. Che mi dici delle vacanze che abbiamo trascorso insieme, gli spettacoli che andiamo a vedere o le sere in cui ce ne stiamo seduti qui a guardare film per tutta la cazzo di notte? Abbiamo avuto parecchi momenti felici.»

    «E possiamo averne altri,» protesto. Teller va verso il tavolo della cucina per prendere le sigarette e ne accende una dopo aver aperto la porta di ingresso. «Voglio ancora quelle cose, Tell. Quello che non voglio è litigare, la gelosia, oppure vederti dormire davanti alla mia porta ogni volta che abbiamo una discussione. Continuiamo a ritornare a questa storia del solo amici, ma questa volta dobbiamo farlo sul serio.»

    Espirando fumo tra le labbra ricurve, Teller tiene il braccio fuori dall’appartamento, ma non serve a tenere lontano la puzza di tabacco. Nic si incazzerà.

    «Allora, cosa? Uscirai con altri?» domanda.

    Mi risiedo e accento la TV. «Diamine, no.»

    2

    ELLA

    Presente

    Vorrei essere più sorpresa di rivederlo. Quando Teller ha detto sto venendo per te, non ho pensato che intendesse letteralmente, invece eccolo qui, a recitare una scena che abbiamo già ripetuto molte volte.

    Mi ritrovo a piedi scalzi sulla veranda di legno ruvido e sconnesso a osservarlo mentre dorme, e sorrido perché è stato così lungimirante da pensare di portare una coperta solamente in caso non lo lasciassi entrare. La verità è che, se al suo arrivo ha bussato, non l’ho sentito. Ha pensato bene, però; non gli avrei aperto.

    Gli lascio un thermos di caffè accanto alla porta e scuoto l’intruso

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