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Nero Valle Christi
Nero Valle Christi
Nero Valle Christi
E-book241 pagine3 ore

Nero Valle Christi

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Info su questo ebook

Se da qui. Uno.
Alla galleria. Due.
Ci sono. Tre.
Almeno. Quattro.
Dieci lampioni. Cinque.
Quando. Sei.
Torno a casa. Sette.
La mamma. Otto.
È ancora. Nove.
Viva.
 
Prima che Massimo possa contare il decimo lampione, il suo vecchio jeep Cherokee imbocca un tunnel. Un ciclista gli corre incontro. Massimo potrebbe sterzare, evitare l’incidente, ma non lo fa. Investe il ciclista, lo spinge oltre il guardrail, giù per una scarpata. Il corpo viene ritrovato, ma nessuno si accorge di nulla, nessuno sospetta di lui.
Massimo capisce che gli piace, che avere potere sulla vita – e soprattutto sulla morte – delle persone è un modo per allentare lo stress migliore di tutti gli psicofarmaci dei quali fa uso. Dunque, perché fermarsi?
Giulia aspetta la sua grande occasione, ma sembra non arrivare mai. È già da un anno che lavora al Secolo XIX e il caporedattore continua ad affidarle gli scarti, articoli noiosi dei quali nessuno in redazione si vuole occupare.
Poi una telefonata nella notte. Una ragazza strangolata al golf club di Rapallo. Un collega è in ferie, un altro ha la figlia con la febbre. Giulia è disposta a occuparsi del caso?
Al primo omicidio, però, ne sussegue un altro. Il modus operandi dell’assassino è sempre lo stesso: lascia il corpo davanti al monastero di Valle Christi con una margherita in bocca. Tra Giulia e il serial killer si instaura un sottile gioco psicologico che si fa sempre più importante. Ma quella che per Giulia sembra un’opportunità, per il resto della città si trasforma in un incubo.
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2023
ISBN9791281026025
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    Anteprima del libro

    Nero Valle Christi - Giammauro Gargiulo

    1

    La sveglia suona puntuale alle sette.

    Massimo aspetta il terzo trillo, come sempre, quindi la spegne e mette i piedi giù dal letto, dove trova le sue ciabatte, perfettamente allineate.

    Prende gli occhiali dalla custodia sul comodino, aggiusta il cuscino e apre la finestra. Come tutte le altre mattine.

    Va verso le scale e passa davanti alla camera di sua madre.

    «Buongiorno, mamma,» le dice attraverso la porta. Lei è lì, nel suo abito nero, sembra persino più piccola. È stesa sul letto, con le mani incrociate sul petto e il colore del viso più vicino al viola che al blu.

    Tra le sue ultime volontà c’era quella di non essere truccata. Dopo che il medico ne ha constatato il decesso, ha chiamato le pompe funebri e ha dato loro il vestito che lei stessa aveva scelto già da tempo.

    Massimo la osserva da lontano, neanche ora che non può più rimproverarlo riesce ad avere un contatto con lei. Scende in cucina, dove tutto sembra essere rimasto indifferente alla morte.

    Osserva i flaconi delle medicine sul mobile, messi in ordine di orario e con un’etichetta sopra scritta da lui, per ricordare i dosaggi. Sul bracciolo della poltrona consunta c’è una copia de La Settimana Enigmistica, con la penna che tiene il segno della pagina e gli occhiali di sua madre con la catenella appoggiati sopra.

    Prepara la caffettiera e d’istinto tira fuori due tazzine. Si toglie gli occhiali e li pulisce sulla maglietta in un gesto automatico che gli serve più a cercare di mettere ordine nella sua testa che a pulire davvero le lenti.

    Tira a sé una sedia e ci sprofonda sopra. Intorno solo il rumore di una goccia che cade dal rubinetto, il ronzio di una mosca che sbatte sul vetro senza trovare la via di fuga, il borbottare di un trattore nei campi. Massimo riesce a percepire un suono che lo spaventa, che fa paura. Il suono della solitudine.

    Poi, come un lampo improvviso, gli ritorna nella mente l’immagine del ciclista che il giorno prima ha visto scomparire dalla strada. E di nuovo la stessa sensazione benefica provata in quei momenti. Come prendere venti gocce di EN.

    Si chiede se davvero nessuno abbia assistito alla scena, se il ciclista sia sopravvissuto al volo sulle rocce.

    Non gli interessa più fare colazione, sale in camera e si veste in fretta. Deve scendere in paese e comprare il giornale. Subito. È già oltre la porta quando si ferma, esita un attimo e poi risale in camera.

    Ancora con le chiavi in mano si avvicina al letto disfatto, tira su il lenzuolo, ripiega il bordo e sistema il cuscino nel centro esatto della testiera. Allinea il libro all’angolo del comodino. Dà ancora un’ultima occhiata e, finalmente, è pronto per uscire.

    2

    «Mamma, perché quel signore zoppica?»

    Massimo finge di ignorare sia il bambino che lo indica, sia la madre che si affretta a dargli un colpetto sulla mano dicendogli di non fissarlo.

    Li supera entrambi e si ferma davanti all’edicola. La signora Iolanda, la proprietaria, lo saluta con la testa bassa.

    «Buongiorno, professore. Ho saputo della sua povera mamma, le faccio le mie condoglianze. È domani il funerale, giusto?»

    Falsa e ipocrita. Massimo sa bene che non le è mai importato nulla né della madre né di lui. Come a tutti quanti, del resto.

    «Grazie. No, domani c’è il rosario. Il funerale sarà martedì, alle undici,» le dice, tormentandosi le pellicine del pollice. «Potrebbe darmi Il Secolo ché sono proprio di fretta?»

    Prende il giornale, profuma di carta e inchiostro. Vorrebbe aprirlo subito per cercare se riporta la notizia, se parla dell’incidente, ma gli piace prolungare l’attesa. Vuole tornare a casa, lontano da tutti. Passa davanti al panificio e ha un attimo di esitazione, sua madre non ha mai voluto che sprecasse soldi. Alla fine, vince l’imbarazzo ed entra. Soltanto dopo, con un pezzo di focaccia ancora calda tra le mani, risale in macchina e si avvia verso casa.

    3

    Ciclista trovato morto a Chiavari.

    Finalmente, nelle pagine di cronaca locale, Massimo trova quanto sta cercando. Scorre velocemente tutto l’articolo, leggendo solo alcune parole: bicicletta, 112, malore, testimoni.

    È seduto accanto al letto della mamma, ma non legge a voce alta. Non ancora, prima vuole essere sicuro di quello che c’è scritto, come se lei potesse riprenderlo anche per questa ragione.

    Un volo di quasi dieci metri lungo la scarpata. Accanto aveva la sua bicicletta. È stato trovato così il corpo di A.M., milanese di 55 anni, finito fuori strada nel tratto di Aurelia che collega Zoagli a Chiavari.

    È stato un cittadino chiavarese che passeggiava lungo la strada a chiamare il 112, alle 9.15 del mattino, per avvisare del rinvenimento di un corpo tra le sterpaglie.

    Massimo si sofferma su quel 9.15 e pensa che l’incidente è avvenuto quasi tre ore prima. Tre ore perché qualcuno si accorgesse di quanto era successo. Sente un brivido lungo la schiena. Continua a leggere.

    Carabinieri, vigili del fuoco e i medici del pronto soccorso non hanno potuto fare altro che constatare il decesso dell’uomo, alla cui identità si è risaliti grazie ai documenti che portava con sé.

    Decesso.

    Decesso.

    Decesso.

    La parola risuona nella testa di Massimo fino quasi a perdere significato.

    Il ciclista è morto.

    Ancora da accertare le cause della morte, anche se fonti vicine alle forze dell’ordine hanno escluso il coinvolgimento di altri mezzi, data anche la totale assenza di rottami o segni di frenate lungo la strada. Si ipotizza un malore, un guasto meccanico o forse una perdita di controllo della bicicletta a causa dell’eccessiva velocità in un tratto in discesa.

    Nessuno lo ha visto, nessuno ha sentito niente.

    Questa porzione di Aurelia, forse per la bellezza del paesaggio che può indurre in distrazione, forse per una curva impegnativa calcolata male, non è purtroppo nuova a incidenti mortali, come tristemente testimoniato dai mazzi di fiori a bordo carreggiata.

    Le operazioni di recupero del corpo hanno richiesto alcune ore, motivo per il quale il traffico in zona ha subito rallentamenti.

    Data anche l’assenza di abitazioni intorno, non sembrerebbero al momento esserci stati testimoni.

    Massimo è ancora seduto di fianco alla mamma stesa sul letto. Terminato di leggere l’articolo si alza di scatto.

    «Lo sapevo! Lo sapevo!» urla, tenendo ancora il giornale tra le mani. «Sono stato bravo, eh, mamma? Non mi ha visto nessuno!»

    Passeggia avanti e indietro nella stanza, dalla finestra al letto, ripensando al groviglio di sensazioni che si sono alternate in lui da quando ha trovato il corpo senza vita della madre. È come se quell’articolo di giornale avesse messo un punto a quelle ultime trenta ore.

    Lo stordimento, la negazione, la voglia di scappare via, e poi la confusione, il senso di abbandono, la corsa in macchina. E, dopo, lo sguardo di quell’uomo in bicicletta, una voce dentro che gli diceva di non spostarsi, di andare dritto contro di lui. Rivive quelle immagini, il respiro gli si fa sempre più affannato. Rivede sbandare il ciclista, perdere il controllo della sua bici, sbattere contro il muretto e sparire. Non prova pietà per quell’innocente, è più forte l’iniezione di adrenalina e benessere che quel ricordo gli procura. E poi ancora l’articolo di giornale, la conferma che nessuno possa riconoscerlo, denunciarlo. La consapevolezza di essere stato lui, seppure in maniera collaterale, a mettere fine alla sua vita.

    Ecco, forse è proprio questo il pensiero che lo fa stare meglio, la sensazione di potere che prova nell’aver determinato la morte di qualcuno.

    Va nella sua stanza, si sente improvvisamente stanco, si butta sul letto, sospira come se avesse appena risolto il più complicato dei problemi di ragioneria.

    Ha ancora il giornale in mano, lo sta per piegare e mettere sul comodino quando lo sfiora ancora un pensiero. Vuole sapere il nome del giornalista che ha scritto l’articolo.

    4

    «Giulia! Giulia Traverso!»

    Giulia si volta a guardare un ragazzo un po’ sovrappeso in camice bianco che, dietro di lei, sta arrancando lungo Salita del Prione.

    «Sì?»

    «Ha dimenticato questo,» dice lui recuperando il fiato.

    «Il sacchetto delle medicine! Grazie, che testa!»

    «E anche questo.»

    Giulia, mordendosi un labbro, riconosce il proprio tesserino sanitario.

    «E lo scontrino. Gliel’ho messo nel sacchetto.»

    «Ehm, sì, è che mi è suonato il cellulare, non sentivo bene, sono uscita e…» si giustifica lei, rigirandosi tra le dita un orecchino.

    Si sente addosso lo sguardo del ragazzo che, nel frattempo, si sta accarezzando la barba rossa e corta.

    «Ma posso darti del tu?» E senza aspettare che Giulia possa rispondere, aggiunge: «Sai che hai un volto che mi dice qualcosa?»

    No, ti prego, no. Non dirlo, pensa Giulia sotto gli occhi sempre più indagatori del ragazzo.

    «Ce l’ho!» continua lui, battendosi una volta le mani e poi indicandola. «Sei uguale a Francesca Inaudi! L’attrice, hai presente? Te l’hanno già detto?»

    «Circa un milione di volte, sì,» sussurra lei.

    Recuperato il sacchetto e il tesserino, accenna ad andare via, quando il ragazzo la ferma.

    «Senti, pensavo…»

    La suoneria del cellulare le offre l’insperata possibilità di chiudere la conversazione.

    «Beh, allora grazie, per queste,» indica il sacchetto, «devo rispondere ora. Scusa, ciao!» E si avvia a passo svelto verso via Ravecca lasciando il ragazzo lì, in piedi, con la frase a mezz’aria.

    «Nonna. Sì, arrivo, è che sono un po’ in ritardo.»

    Si infila in mezzo a un gruppo di turisti che sta fotografando Porta Soprana.

    «Sì, le ho prese le medicine! Certo che non ho pagato niente, avevo la richiesta del medico.» Pensa a dove sarà finita, in realtà, la richiesta. «Ah, è lì? Non ti si frega mai! Senti, sono quasi a casa, mi faccio una doccia veloce, ché sono sudata marcia, e arrivo, okay?»

    Fatica a passare in mezzo a tutte quelle persone. Ma le piacciono i turisti e le piace ancora di più l’idea che tanta gente possa arrivare per ammirare la sua città. Se non avesse fatto la giornalista le sarebbe piaciuto fare la guida turistica.

    «Nonna? Me lo hai fatto, vero?»

    Giulia, pregustando già l’ineguagliabile minestrone con il pesto di nonna Elvira, apre il portone e si infila nel fresco umido delle scale del palazzo.

    5

    «Max, come stai?» chiede Gerry, non appena Massimo apre la porta di casa e lo fa entrare; è passata una settimana dal funerale.

    Massimo alza le spalle, fa accomodare l’amico in cucina, quindi si avvicina allo scantinato e mentre Gerry è voltato chiude la porta con la chiave che poi si infila in tasca. Raggiunge il frigo, lo apre e guarda dentro come se non fosse vuoto e dovesse cercare chissà che.

    «Cosa ti offro? Non ho molto in casa.»

    «Boh, se hai un Camatti me lo bevo volentieri, me lo bevo.»

    Massimo alza gli occhi verso l’orologio appeso al muro. «Un Camatti? Alle dieci del mattino?»

    «Eh, quindi? C’è anche chi si fa un bianchetto a colazione! Se ogni tanto venissi giù al bar di Chicco ne vedresti di peggio.»

    Mentre Massimo riempie un bicchierino di amaro al suo amico, si chiede da quanto tempo loro due non parlino.

    «Volevo passare in questi giorni ma non so, ho pensato che… boh, magari non volevi nessuno tra le palle. Come te la passi?»

    «Come vuoi che me la passi. Così. Sto cercando di fare un po’ di ordine. In casa e in tutto il resto.»

    «Cioè?» Gerry si rigira il bicchiere tra le mani, senza averne ancora assaggiato un goccio.

    «Mi devo abituare all’idea. Sono rimasto da solo e devo pensare a tutte quelle cose di cui prima si occupava mamma.»

    «Eh, immagino. Pure io non saprei da che parte iniziare. Manco mi rifaccio il letto al mattino.»

    Massimo osserva il suo amico, guarda la sua fronte ormai completamente stempiata e i pochi capelli rimasti raccolti in una striminzita e unta coda di cavallo.

    Due uomini, ormai più vicini ai cinquanta che ai quaranta che ancora vivono nelle stesse camerette di quando erano bambini. Forse è per questo che siamo amici, pensa Massimo tra sé.

    «E poi voglio dare via tutta la roba di mamma, svuotare armadi e cassetti. C’è un casino in quella camera. Tanto che senso ha tenere tutto?»

    «Sei sicuro? Quella è capace di incazzarsi pure dal mondo dei morti e di tornare a farti il culo! Comunque, se hai bisogno, lo sai…»

    «Grazie, ma ce la faccio.»

    «Come vuoi… Senti,» riprende Gerry dopo un attimo di pausa, «dovrei chiederti io un favore.»

    Massimo risponde dopo qualche secondo. «Dimmi.»

    Gerry ingoia in un solo sorso l’amaro. «Non è che domani mattina, cioè… puoi accompagnarmi in un posto?»

    «Non lavori?»

    «No, ho chiesto allo zio la giornata libera. Tanto è pure più contento quando rimango a casa. Le casse del supermercato quadrano alla prima e non ci sono casini con gli ordini!» Si riempie di nuovo il bicchiere.

    «Perché continui ad andarci se lo odi quel lavoro?»

    «Eh, mica sono tutti fortunati come te, sai!»

    Massimo si ferma a fissare Gerry, temendo di non aver capito bene. «Scusa?»

    «Sì, cioè, fortunati… voglio dire, è morta tua madre, okay, però non hai mai lavorato un giorno nella tua vita e ora, cioè, prendi tutto…»

    «Oh, ma che cazzo stai dicendo?» grida Massimo che non riesce a controllare la collera. Batte con forza il palmo della mano sul tavolo facendo cadere il bicchierino con l’amaro che si rovescia per terra. «Cosa cazzo ne sai tu? A parte che dare ripetizioni è un lavoro, e poi se ho avuto due soldi in passato è perché un bastardo pezzo di merda mi ha investito da bambino e mi ha reso zoppo! Non te lo ricordi più?» Si batte la gamba destra.

    «No, no, lo so, scusa. Cioè, volevo solo dire che nella sfiga almeno hai avuto la possibilità di avere due palanche…»

    Massimo prende la spugna gialla dal lavandino. Asciuga il tavolo e anche il pavimento, prima che il Camatti renda tutto appiccicoso.

    Questi gesti lo calmano.

    «Che poi, capirai, gestiva tutto mia madre…»

    «Appunto! Per quello dicevo che almeno adesso sarà tutto in mano tua,» risponde Gerry, che forse in questo modo pensa di porre rimedio alle sue continue, infelici uscite.

    «Sì, perché pensi che mia madre fosse ricca? Ma lo vedi dove viviamo? Hai presente quanti anni aveva già la mia macchina quando l’ho comprata?»

    «Eh sì, però, cioè, tua madre era un po’, lo sai, un po’ di braccino corto. Si dice…»

    «Si dice cosa di mia madre? E poi chi lo dice, scusa?» Massimo sente le guance in fiamme per la collera.

    «Ma no, nessuno, sai com’è il paese, tutti parlano di tutti. E in tanti pensano che tua madre abbia, ecco, risparmiato molto nella vita.»

    «Rassicura pure tutti quanti che non è così. E in ogni caso non sono cazzi loro e neppure tuoi… Ora se non ti dispiace avrei da fare.»

    «Ehi, scusa, non volevo farti incazzare, dai!» Gerry allunga il pugno verso Massimo che, dopo qualche secondo di esitazione, lo tocca con il suo.

    «Scusa tu. Sono un po’ teso in questi giorni.»

    «Ci sta, ci sta. Quindi per domani, okay?»

    «Dove dobbiamo andare?»

    «Devo andare a Gavi a prendere un pezzo di ricambio per la moto da cross. Il tipo non si fida e non me lo vuole spedire.»

    «Con la mia macchina?»

    «Eh, sì. La mia se l’è tenuta la pula due mesi fa, non te lo ricordi? Mi tocca pure rifare l’esame, mi tocca. A proposito…»

    «Cosa?»

    «Mi presti cinquanta sacchi?»

    «E poi? Basta?»

    «E dai, non vorrai mica che in paese si dica che sei tirchio come tua madre…»

    Quando Massimo rimane da solo in cucina, pensa che quelli che ha dato a Gerry erano gli ultimi soldi rimasti nel portafoglio. Tanto era nei

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