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Viaggio verso l'ignoto
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E-book151 pagine2 ore

Viaggio verso l'ignoto

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Info su questo ebook

Lady Camilla ha sempre sognato una grande storia d'amore con un vero principe, così un giorno, quando viene a sapere che un lontano principe tedesco vorrebbe la sua mano, la paura e l'eccitazione si affollano insieme a mille domande: chi è quel misterioso principe e perché vuole proprio la sua mano?Inghilterra, 1817. In un'Europa sconvolta dalle recenti guerre napoleoniche, Sir Horace Lambourn, un vecchio ambasciatore ritiratosi in campagna con la famiglia, naviga in cattive acque. La sua vita, infatti, è ormai controllata dai debiti e sembrano non esserci vie d'uscita. Un'insperata possibilità, quando il suo enigmatico principe inizia a chiedere insistentemente la mano di Camilla, sua figlia. Per la giovane, cresciuta lontano dall'etichetta di corte e dalla mondanità, il viaggio che si prospetta è fonte di un terrore inesprimibile, ma che avventura sarebbe senza un pizzico di mistero e timore?-
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2023
ISBN9788728034309
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    Anteprima del libro

    Viaggio verso l'ignoto - Barbara Cartland

    Viaggio verso l'ignoto

    Translated by Lidia Conetti Zazo

    Original title: The Reluctant Bride

    Original language: English

    Cover image: Shutterstock

    Copyright © 2023 Barbara Cartland and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728034309

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Viaggio verso l’Ignoto

    I

    1817

    Al piano di sopra si udì un crollo improvviso seguito da un sordo brontolio. Lady Lambourn, che sonnecchiava, si rizzò a sedere sulla poltrona.

    «Povera me, e che cosa può essere?» chiese in tono apprensivo.

    La figlia si alzò dalla panchetta nel vano della finestra dove sedeva a cucire, attraversò la stanza e appoggiò la mano sulla spalla della madre.

    «Temo sia il soffitto nella stanza degli arazzi, mamma. Dopo le ultime piogge l’acqua si è infiltrata e ha scolorito l’intonaco. Il vecchio Wheaton ci aveva avvertito che avrebbe potuto crollare, ma non è stato fatto nulla per ripararlo.»

    «È il terzo soffitto!» esclamò Lady Lambourn. «Pare che la casa ci stia crollando addosso. Se solo non fossi così debole e impotente, forse potrei rivolgermi a qualcuno che conoscevamo ai vecchi tempi. Tanta gente veniva in casa nostra quando tuo padre era ambasciatore. Pensavo di avere più amici di qualsiasi altra donna al mondo, ma dove sono adesso?»

    «Già, dove sono?» le fece eco Camilla con una nota amara nella voce. «Ma non siamo stati gli unici a perdere denaro quando le banche hanno chiuso, l’anno scorso. È stato un momento terribile per migliaia di persone come noi. Papà dice in verità che il 1816 sarà inciso su più pietre tombali di qualsiasi altra data, da molti secoli a questa parte.»

    Sospirò e si voltò di nuovo verso la finestra. Il sole d’aprile penetrando dalle vetrate le illuminava il viso esile e Lady Lambourn, guardandola attraverso la stanza, trattenne il respiro al pensiero di quanto fosse fragile la sua bambina il cui profilo vedeva stagliato contro luce.

    «Oh, Camilla, avevo tanti progetti per te!» esclamò, con un grido che sembrava venirle dal più profondo del cuore.

    Camilla non prestava più ascolto alla madre, e sollevò una mano per chiederle di tacere.

    «Mi sembra – ne sono quasi certa – che sia un rumore di ruote, mamma» gridò voltandosi e correndo fuori dalla stanza.

    Lady Lambourn sentì i suoi passi attraversare l’ingresso e il rumore del catenaccio che veniva tolto al portone.

    Nell’impossibilità di alzarsi dalla sua poltrona a rotelle poteva solo augurarsi, quasi selvaggiamente, che il marito avesse portato loro qualche speranza per il futuro.

    Si udì un suono di voci, la porta, del salotto, che Camilla aveva lasciato socchiusa, venne spalancata e sir Horace apparve sulla soglia.

    Nonostante l’età era ancora molto bello, con i capelli grigi spazzolati all’indietro che gli scoprivano l’ampia fronte. La cravatta annodata squisitamente, ancora immacolata e senza una grinza a dispetto del viaggio, e il soprabito a molte mantelline lo facevano sembrare più alto di quanto già non fosse, e tuttavia elegante.

    C’era qualcosa di trionfante nel suo atteggiamento: non ebbe bisogno di parlare poiché la moglie gli lesse in volto il successo della sua missione.

    «State bene, mio caro?» gli chiese. Era la prima domanda che rivolgeva sempre a sir Horace quando tornava da uno dei suoi viaggi.

    «Sto benissimo. Va tutto a gonfie vele e non vedo l’ora di parlarvene; ma prima, Camilla, dite ai domestici di andare a prendere nella mia carrozza i regali che vi ho portato.»

    «Regali, papà? Che regali?»

    «Tanto per incominciare, un pâté, e poi una spalla di montone» rispose sir Horace «e una cassetta del miglior cognac – oltre al miglior tè indiano per vostra madre.»

    «Splendido!» esclamò Camilla uscendo di corsa dalla stanza poiché sapeva che Agnes e Wheaton avrebbero avuto bisogno del suo aiuto per portare in casa i pacchi. Il cocchiere sarebbe stato senza dubbio troppo occupato con i cavalli per dare una mano.

    Quando se ne fu andata sir Horace si portò la mano della moglie alle labbra.

    «I nostri guai sono finiti, mia cara.»

    «Ma come? Che cosa è accaduto? E se si tratta di un prestito, non dovremo poi rimborsarlo?»

    «Non si tratta di un prestito» incominciò sir Horace, interrompendosi subito quando rientrò Camilla.

    «Papà!» gridò «c’era un lacchè a cassetta della carrozza da viaggio e mi ha detto che lo avete assunto voi. È vero?»

    «Proprio così. Non ho avuto il tempo di trovarne altri, ma senza dubbio potremo riassumere in paese molti dei nostri vecchi domestici.»

    «Da dove viene tanto denaro?» chiese Camilla. La prima eccitazione era scomparsa dalla sua voce, e gli occhi apparivano turbati.

    Sir Horace si tolse il soprabito da viaggio e lo gettò su una poltrona.

    «Sono pronto a parlarvene, Camilla» disse «ma prima posso avere qualcosa da bere? Vi assicuro che sono venuto qui tanto a rompicollo da non fermarmi neppure per far bere i cavalli. Ero così impaziente di riferire a voi e alla mamma l’accaduto.»

    «Vi porterò una bottiglia del vostro nuovo cognac» sorrise Camilla.

    «No!» la fermò con asprezza sir Horace. «Dite al lacchè di portarlo. Ormai non è più necessario che vi abbassiate a svolgere questi compiti, come avete fatto negli ultimi mesi.»

    Un sorriso fece apparire due fossette sulle guance di Camilla.

    «Non ho mai pensato di abbassarmi occupandomi di voi, papà» rispose con dolcezza.

    Sir Horace, dimenticando la sete, tese la mano a prendere quella della figlia e la trasse accanto a sé.

    «Carissima, diletta figlia mia» disse. «Se sono tanto emozionato per le notizie che vi porto è perché riguardano voi. È questa per me la cosa più importante.»

    «Riguardano me?» Camilla sembrava stupita.

    «Venite a sedere.»

    Sir Horace sedette lui stesso nella poltrona accanto a Lady Lambourn e Camilla su uno sgabellino dirimpetto a lui.

    «Ditemi, papà» chiese «non riesco a sopportare ancora l’incertezza.»

    «E neppure io» intervenne Lady Lambourn «ma non sapete, Horace, che cosa significhi per me vedervi sorridere di nuovo. Quando siete partito eravate grigio, infelice, un vecchio, ma siete tornato da me giovane di aspetto e di voce quanto vostro figlio.»

    «E così mi sento.»

    «Ma non volete dirci perché?» lo sollecitò Camilla.

    Sir Horace si schiarì la gola e si appoggiò alla spalliera della poltrona.

    «Ricorderete di avermi sentito parlare spesso, Camilla, di Meldenstein.»

    «Senza dubbio. La principessa, la mia madrina, da quando ero bambina non ha mai dimenticato un mio compleanno. L’anno scorso mi ha mandato un incantevole mantello di pizzo utilissimo da indossare all’Opera, se non che, purtroppo, non ho alcuna opportunità di recarmi a assistere a un’opera.»

    «Adesso è tutto cambiato» affermò sir Horace. «Avrete bisogno del vostro mantello, bambina mia, e di uno anche più bello.»

    «Perché? Che cosa intendete?»

    «Incomincerò dal principio. Quando sono arrivato a Londra ero disperato, come sapete. Mi sono recato al circolo pensando che da White’s avrei trovato certo qualche amico che mi avesse conosciuto in passato, davanti al quale potessi umiliarmi tanto da chiedere il suo aiuto.

    «Ho visto qualcuno, ma nessuno che conoscessi bene, e mi chiedevo se avrei osato spendere il poco denaro che avevo per ordinarmi la cena quando una voce alle mie spalle ha esclamato: Sir Horace, proprio l’uomo che cercavo!

    «Chi era?» chiese Lady Lambourn impaziente.

    «Ricordate Ludovick von Helm?»

    Lady Lambourn corrugò la fronte.

    «Ludovick von Helm» ripeté «mi sembra di ricordare questo nome. Sì, naturalmente, era a Meldenstein, un giovane cortigiano molto ambizioso. Adesso lo ricordo.»

    «Le sue ambizioni si sono realizzate» spiegò sir Horace. «Adesso è primo ministro.»

    «Davvero? C’è rimasto qualcosa di Meldenstein? Credevo che Napoleone avesse distrutto tutti quei piccoli principati.»

    «Von Helm dice che Meldenstein ha subìto pochi danni in paragone agli altri stati. Il principe Hedwig – lo ricorderete mia cara – non era presente; von Helm mi ha detto che allo scoppio della guerra lui viaggiava in Oriente. Solo dopo Waterloo ha potuto fare ritorno in patria, amministrata durante la sua assenza dalla madre.»

    «Sono lieta che tutto sia andato così bene per loro.

    Eiaine è stata sempre una vera amica. Ma ditemi adesso in che modo tutto questo ci riguardi.»

    «Molto da vicino» sorrise sir Horace «perché Ludovick von Helm è venuto in Inghilterra con una missione, quella di trovarmi e di chiedere se mia figlia – nostra figlia, mia cara – fosse disposta a accettare la mano di Sua Altezza Serenissima il principe Hedwig di Meldenstein.»

    Alle parole di sir Horace seguì un attimo di profondo silenzio, quindi, con un filo di voce, tanto che il padre la udì appena, Camilla chiese:

    «Intendete dire che il principe vuole sposarmi, papà?»

    «È quanto mi ha chiesto von Helm. E non è necessario dire che cosa abbia significato quest’offerta in un momento in cui mi trovavo nella più profonda disperazione. Meldenstein è sempre stata la mia seconda patria, ci sono andato da giovane come terzo segretario dell’ambasciata britannica – il mio primo incarico diplomatico. Il principe e la sua bella moglie erano la gentilezza in persona. Sono stato mandato a Roma, a Parigi e di nuovo a Meldenstein come ministro. È stato il periodo più felice della mia vita.»

    «Ma io non ho mai visto il principe» protestò Camilla.

    «Verrà in Inghilterra?» chiese Lady Lambourn.

    Sir Horace sembrò a disagio.

    «Dovete capire, mia cara» spiegò «che sarebbe impossibile per Sua Altezza Serenissima intraprendere un altro viaggio a così poco tempo dal suo ritorno in patria. Per questo è venuto Ludovick von Helm. Il primo ministro! Capirete, mia cara, quale onore sia che un uomo nella sua posizione venga di persona a perorare la causa del suo principe.»

    Camilla si alzò in piedi e si avvicinò al caminetto, restando in piedi a fissare il fuoco spento.

    «Avete accettato, papà?» chiese pacatamente.

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