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Un ignoto reame (La collezione eterna di Barbara Cartland 4)
Un ignoto reame (La collezione eterna di Barbara Cartland 4)
Un ignoto reame (La collezione eterna di Barbara Cartland 4)
E-book146 pagine2 ore

Un ignoto reame (La collezione eterna di Barbara Cartland 4)

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Info su questo ebook

Ilona sa bene cosa significhi essere soli, come ci si sente ad essere affamati, maltrattati, indifesi. Ma ora che finalmente sta tornando a casa, tutte le difficoltà dell'esilio sono alle sue spalle: torna a Dabrozka, il piccolo regno di cui ha ereditato il trono, ed è intenzionata a tornare trionfante, l'amata principessa di un popolo orgoglioso e indipendente che ha disperatamente bisogno di lei. Ilona infatti è l'ultima speranza di salvezza di Dabrozka: solo lei può salvare i suoi sudditi dal dominio esterno, attraverso un matrimonio combinato con un uomo che sembra disprezzarla, ma di cui Ilona si sta già innamorando perdutamente.-
LinguaItaliano
Data di uscita15 ott 2021
ISBN9788728034446
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    Anteprima del libro

    Un ignoto reame (La collezione eterna di Barbara Cartland 4) - Barbara Cartland

    Un ignoto reame

    Translated by Lidia Zazo Conetti

    Original title: Proud Princess

    Original language: English

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1976, 2021 Barbara Cartland and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728034446

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga Egmont - a part of Egmont, www.egmont.com

    I

    1872

    Ilona si guardò alle spalle mentre galoppava a briglia sciolta tra gli alberi, che si facevano sempre più radi finché lei vide davanti a sé la vasta steppa con il verde brillante dell’erba fittamente disseminato di fiori, incredibilmente bella ai piedi dei colli boscosi che si alzavano sempre più alti fino a raggiungere le montagne innevate.

    Ilona comprese che una volta uscita in aperta campagna avrebbe potuto essere vista dai suoi accompagnatori.

    Ma vi è qualcosa di più raggelante si chiese che uscire a cavallo scortata da due anziani ufficiali dell’esercito e da due staffieri?

    Mentre scendeva la scalinata del palazzo aveva guardato incredula la propria scorta. E mentre si mettevano in cammino, a un passo che le sembrava più adatto a un funerale, aveva deciso che non avrebbe cavalcato a lungo in quel modo pomposo. L’unica cosa che aveva desiderato con impazienza durante il viaggio di ritorno erano stati i cavalli. Aveva solo dieci anni quando aveva lasciato Dabrozka, ma non aveva mai dimenticato le entusiasmanti cavalcate nelle steppe erbose e lo splendore unico dei destrieri. Allevati in quella che era l’equivalente della grande pustza Hortobágy, la più grande e famosa dell’Ungheria, i cavalli della Dabrozka crescevano selvaggi come i puledri ungheresi famosi in tutto il mondo.

    In realtà, non diversamente dalla sua popolazione, i cavalli della Dabrozka avevano più sangue ungherese nelle vene di quelli di qualsiasi altro paese balcanico. Sangue magiaro, rumeno, ungherese e greco scorreva nelle loro vene e nella storia secolare dei dabrozkani, ma Ilona preferiva ricordare solo i loro antenati greci e ungheresi. Pensava fossero stati questi a tramandarle più di ogni altro il suo aspetto, il suo carattere e la sua personalità. Era l’ungherese in lei a farle decidere ora di sfuggire alla sorveglianza per godere la libertà del vento sulle guance e l’incantevole bellezza dell’ambiente. Mentre guidava il cavallo tra gli ultimi alberi vide che alla sua sinistra scorreva il fiume, che divideva la vallata come un nastro d’argento.

    Cedendo a un impulso improvviso fece voltare il cavallo e scese le ripide sponde, sapendo di procedere troppo velocemente per la propria sicurezza, ma certa che il cavallo dabrozkano fosse tanto saldo sulle zampe da non disarcionarla.

    Quando giunse in riva al fiume si guardò di nuovo alle spalle: non si vedeva ancora nessuno dei quattro chaperon che la seguivano fra gli alberi.

    Come si era aspettata, in quella stagione il fiume era basso: fra un mese sarebbe stato solo un insignificante ruscello.

    Ora scorreva argenteo nel suo letto di pietre, ma l’acqua era limpida e si vedeva il fondo senza difficoltà. Sfiorando il cavallo con il frustino Ilona lo guidò nel fiume scoprendo ben presto di non essersi sbagliata nel ritenerlo tanto basso da poterlo guadare. L’acqua non giungeva alla staffa, e risalirono sull’altra riva scomparendo nel folto di un bosco di pini prima che qualcuno potesse vederli.

    Ilona si chinò a accarezzare il collo del cavallo.

    «Ce l’abbiamo fatta, ragazzo!» disse con la sua voce dolce.

    «Adesso possiamo divertirci.»

    Mentre parlava non poteva tuttavia non pensare che il padre sarebbe andato in collera, ma per una volta non aveva paura di lui. Senza dubbio gliela avrebbe fatta pagare se gli uomini della scorta fossero stati tanto imprudenti da riferirgli che avevano mancato al loro dovere, ma Ilona era certa che quando si fosse giunti al punto, purché riuscissero a riportarla sana e salva a Palazzo, assai difficilmente sarebbero andati in cerca di guai.

    I pini esalavano un profumo delizioso al calore del sole e poiché non c’era fretta Ilona procedeva fra gli alberi guardandosi attorno. Si augurava di vedere uno degli animali selvaggi che l’avevano affascinata da bambina. Nella Dabrozka vi erano camosci, orsi, lupi, linci, cervi e cinghiali. Non avrebbe mai dimenticato i cuccioli di orso che le mostravano da bambina, e che gli zingari ammaestravano portandoli con loro alle fiere in campagna.

    In quella foresta non vi era traccia, tuttavia, di orsi, ma solo una quantità di uccelli che si levavano in volo quando lei si avvicinava, alcuni protestando per la sua intrusione. I raggi del sole che penetravano attraverso i rami dei pini sembravano dare a quel luogo un magico incanto che Ilona non aveva mai dimenticato. Apparteneva alle leggende e alle storie della sua infanzia. Ricordava ora di avere sempre creduto che nel cuore dei boschi di pini vivessero draghi, che i folletti scavassero le loro tane sotto le colline, e che creature eteree, come gli dei greci, vivessero tra i picchi coperti di neve.

    Ilona canticchiava un motivetto, una canzone contadina dei tempi andati, quando all’improvviso udì alcune voci. Istintivamente tirò le redini e ascoltò. Vi erano molte persone che parlavano – le sembrò strano poiché di consueto non c’era nessuno nei boschi a quell’ora.

    I contadini erano al lavoro nei campi, a coltivare i fertili acri di terreno sotto lo sguardo attento di un sorvegliante. Pensò che forse si trattava di boscaioli. Cercò di ricordare se fosse questa la stagione in cui venivano tagliati gli alberi, e i grandi tronchi trasportati a valle dal fiume. Ma si disse che non c’era abbastanza acqua nel fiume per trasportare i tronchi, e le sembrava che le voci fossero comunque troppo numerose per appartenere a boscaioli.

    Incuriosita, si avvicinò al punto da cui provenivano quei suoni. Mentre si aggirava tra gli alberi gli zoccoli del cavallo non producevano quasi alcun suono sul muschio soffice e sulla sabbia. All’improvviso riuscì a scorgere attraverso gli alberi un’ampia radura nella quale si trovava una quantità di uomini, cinquanta o forse più.

    Ilona li guardò con interesse. Indossavano i pantaloni alla zuava e le giubbe bianche ricamate che pendevano loro da una spalla alla moda degli ussari. In capo avevano feltri neri e rotondi guarniti da un’unica grande piuma, che conferiva loro un aspetto ardito caratteristico dei dabrozkani.

    Ilona guardò per vedere se ci fossero donne in quel gruppo, ma non ce n’era alcuna. Era strano, ma non sembravano i poveri contadini che si sarebbe aspettata di trovare nel bosco. Era tanto intenta a guardare che, quasi a sua insaputa, il cavallo procedette attraverso gli alberi, finché non giunse in vista degli uomini nella radura.

    Parlavano tutti in fretta, e appassionatamente, gesticolando, e per quanto Ilona riusciva a capire protestavano energicamente contro qualcuno o qualcosa. Comprese che gli anni di lontananza le avevano reso difficile capire la lingua dei contadini come faceva prima di lasciare la Dabrozka. Con la madre era solita parlare sempre in ungherese o in francese, ma il dabrozkano era una lingua dalle molte inflessioni e dai molti accenti. La gente comune parlava un misto delle lingue dei vari paesi confinanti. Oltre a quelle ungheresi vi erano molte parole rumere o russe. Ma Ilona era certa di avere riconosciuto almeno due parole: combattere e ingiustizia.

    All’improvviso uno degli uomini, che parlava con foga e senza dubbio con sincerità, la vide. Le parole sembrarono morirgli sulle labbra e la sua espressione parve a Ilona grottesca, mentre la fissava improvvisamente ammutolito.

    La maggior parte degli altri le volgeva le spalle ma ora si voltarono tutti a fissarla. Dopo un breve, intenso silenzio, l’uomo che aveva parlato indicò Ilona gridando:

    «Chi è? Che cosa vuole? Siamo stati traditi!»

    Un mormorio si alzò allora dagli uomini. Per la prima volta Ilona ebbe paura. Sebbene nessuno di loro le si fosse avvicinato, si sentiva sovrastata da un imminente pericolo, da qualcosa che non capiva e che le sembrava minaccioso.

    Dall’estremità di quella piccola folla un uomo si alzò in piedi e avanzò verso di lei. Era molto alto e sembrava vestito meglio degli altri. Quando giunse al suo fianco lei vide che era eccezionalmente bello, con i lineamenti regolari, quasi classici, che lei aveva sempre attribuito ai loro antenati greci. Ma i suoi occhi, sebbene i capelli fossero scuri, erano incredibilmente azzurri.

    «Che cosa volete?» le chiese.

    Aveva una voce aristocratica e il suo accento era quello delle classi alte della Dabrozka, quasi ungherese.

    «Come vedete» rispose «cavalco.»

    Le parve di vedere apparire sulle sue labbra un impercettibile sorriso mentre le rispondeva:

    «Di questo mi ero accorto. Non è saggio, tuttavia, cavalcare in questa parte del bosco.»

    «Perché no?» chiese Ilona stupita.

    Come figlia del re sapeva di poter cavalcare dovunque volesse nella Dabrozka, dove nessuna terra, a chiunque appartenesse, poteva essere preclusa al re o ai suoi familiari.

    «Siete sola?»

    «Mi sembra inutile rispondere alla vostra domanda» ribatté Ilona. Era giunta alla conclusione che l’uomo intendesse essere impertinente. Forse non l’aveva riconosciuta, ma la sua voce aveva una intonazione che la indispettiva e il suo modo di interrogarla presupponeva una autorità alla quale era sicura non avesse diritto.

    Abbassò lo sguardo alle zampe del cavallo constatando che erano bagnate.

    «Avete attraversato il fiume!» le disse in tono accusatore.

    «Permettetemi di consigliarvi, ragazza, di tornare immediatamente da dove siete venuta.»

    «Ritornerò quando deciderò di farlo, non un attimo prima!»

    Non avrebbe saputo dire perché si sentisse tanto combattiva. Di consueto era arrendevole é desiderosa di compiacere alle richieste degli altri; ma ora sollevò il mento con espressione di sfida mentre diceva:

    «Non riesco a immaginare che cosa accada qui, a meno che non partecipiate a qualche attività segreta e sovversiva della quale vi vergognate.»

    Aveva parlato distintamente e gli uomini vicini a lei dovevano aver capito quanto aveva detto. Vi fu un improvviso movimento mentre incominciavano a parlarsi a bassa voce. L’uomo con gli occhi azzurri mise la mano sulla briglia del suo cavallo e incominciò a ricondurla attraverso il bosco lungo il sentiero dal quale era venuta.

    «Vogliate avere la cortesia di togliere la mano dalla mia briglia!» ordinò Ilona.

    «Non siate sciocca!» rispose l’uomo in tono sprezzante. «Se avete un po’ di buon senso ve ne andrete e dimenticherete

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