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L incontro col capitano
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E-book222 pagine2 ore

L incontro col capitano

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815.
Arrivata in Inghilterra dal Continente per far visita alla sua più cara amica, Miss Juliana Milford rimane di stucco nell'apprendere che il cognato di quest'ultima non è altri che il capitano Harry Fanton, l'uomo con cui si è scontrata durante il suo lungo viaggio e lo stesso che ha appena colpito con una pala sulla porta di casa, credendolo un ladro. Arrogante, sicuro di sé e bellissimo, Harry sembra intenzionato a sedurla, ma Juliana non è certo una delle ingenue fanciulle che lui è abituato a frequentare.
Tuttavia, quando in seguito ad alcune rivelazioni sulle sue origini, Harry difende pubblicamente l'onore di Juliana, la giovane è costretta a ricredersi e ad ammettere di provare qualcosa per lui. Ma la guerra è vicina e il destino di un soldato mal si concilia con il sogno di un amore a lieto fine.
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2018
ISBN9788858983379
L incontro col capitano

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    Anteprima del libro

    L incontro col capitano - Catherine Tinley

    successivo.

    1

    Dover, marzo 1815

    «Vieni, mamma... Da questa parte...»

    Juliana Milford si muoveva agilmente lungo il molo, ignorando la pioggia, i marinai e i passeggeri. Indossava un abito alla moda, di finissima lana verde scuro, accompagnato da un graziosissimo cappellino con una piccola piuma infilata di traverso.

    «Voi, laggiù!» chiamò con voce forte e sicura uno degli uomini che stavano lavorando lungo il molo.

    «Sì, signorina?» rispose lui togliendosi rispettosamente il cappello, nonostante la pioggia.

    «Abbiamo bisogno di una carrozza, di una buona carrozza che stasera ci porti fino ad Ashford, e domani verso il Surrey.»

    «Certo, signorina.»

    «Un facchino arriverà dalla nave con i nostri bagagli» proseguì Juliana. «Dove possiamo attendere il suo arrivo e quello della carrozza?»

    «In una buona locanda, direi» rispose l'uomo. «Vediamo... Non allo Swan, non è per persone come voi... Vi consiglio il King's Head, molto più adatto a delle signore» aggiunse indicandogliela, senza riuscire a nascondere il proprio orrore all'idea di due gentildonne che, in pieno giorno, mettessero piede in una locanda come lo Swan.

    Juliana lo ringraziò sorridendo, poi si rivolse alla madre. «Hai visto? Ti avevo detto che sarebbe andato tutto bene.»

    La donna, però, non sembrava affatto convinta. Si guardava intorno con aria circospetta, tenendo stretta la borsetta come se temesse che qualche ladruncolo gliela potesse strappare di mano da un momento all'altro.

    Juliana sospirò. L'ansietà di sua madre al suo ritorno in Inghilterra era peggiore di quanto avesse temuto. Era meglio andare subito in quella locanda e farla sentire al sicuro. La pioggia primaverile si era fatta più intensa, ma con passo deciso seguì le indicazioni che le erano state date, insieme alla madre.

    Il King's Head aveva visto giorni migliori. L'insegna appariva sbiadita, come il tappetino all'ingresso. I vecchi ritratti alle pareti e i pannelli di legno scuro le conferivano un'aria antica, ma i pavimenti di pietra sembravano puliti, e le maniglie e i rubinetti di ottone, al bancone della sala di mescita, erano tirati a lucido.

    Il padrone, con una sola occhiata, capì di avere a che fare con persone di qualità e andò a dare loro il benvenuto e a sentire le loro richieste.

    Le invitò, subito dopo, a seguirlo in un grazioso salottino privato e domandò se volevano che fosse servito loro il tè, con dolci assortiti, mentre chiamava una cameriera ad accendere il fuoco.

    Juliana, come al solito, prese in mano la situazione. Il tè doveva essere servito bollente, voleva una brocca di acqua calda in più ed esigeva che il salottino fosse riservato soltanto a loro due.

    Sua madre si lasciò cadere sulla sedia più vicina, con un'espressione di grande sollievo.

    Juliana corse subito da lei. «Mamma, come ti senti? Sei pallidissima, non avresti dovuto accompagnarmi. Sai bene che sarei potuta venire a trovare Charlotte anche solo con una cameriera. Perché hai insistito tanto? Lascia che ti metta un cuscino dietro la schiena, starai più comoda. Vedrai che ci serviranno subito il tè.»

    Lanciò un'occhiata eloquente al padrone, il quale uscì subito per far portare il tè, ben caldo come gli era stato ordinato.

    Juliana sospirò. Così sua madre si sarebbe riposata, prima di affrontare l'ultima parte del viaggio. Doveva calmarsi, sentirsi protetta e al sicuro. Ecco perché aveva chiesto che il salottino fosse esclusivamente riservato a loro.

    «Non potevo lasciarti venire qui da sola, Juliana» si giustificò Mrs. Milford con voce tremante. «Non eri mai stata in Inghilterra.»

    Juliana sospirò di nuovo, ricordando le lunghe ore di discussione con sua madre, che non voleva lasciarla partire da sola, ma che avrebbe preferito di gran lunga non rimettere piede in Inghilterra. Non aveva cercato di forzare la sua decisione, perché nemmeno Juliana sapeva quale fosse la soluzione migliore, ma alla fine aveva deciso di accompagnarla.

    «Non sarebbe stato il mio primo viaggio senza di te, ero andata molte volte da Bruxelles fino alla mia scuola di Vienna con solo la cameriera per compagnia.»

    «Questa volta è diverso.»

    «Perché è diverso? No, non ricominciamo a discutere ancora una volta. Sei stanca, devi riposare. Non vorresti sdraiarti un attimo?»

    «Devo confessare che ho ancora l'impressione di trovarmi su quell'orribile nave, è come se avessi il mal di mare. Durante la tempesta ho temuto che non saremmo mai riuscite a farcela, che non avremmo mai più rivisto la terraferma! Prima di continuare il viaggio vorrei che ci fermassimo qui per un po'...»

    Juliana guardò pensierosa la madre. La traversata non era stata per niente difficile, a parte un temporale poco prima che arrivassero a Dover. Nulla di cui preoccuparsi, e di certo non si era trattato di una tempesta, ma sua madre si era chiusa spaventata nella loro cabina. Non era stata veramente male, però aveva sempre odiato il mare e doveva aver avuto l'impressione di trovarsi in mezzo a un uragano.

    Juliana invece era rimasta quasi sempre sul ponte, durante il viaggio, per godersi la sua prima esperienza in mare. Era abituata alle crisi di nervi di sua madre, che di rado si allontanava da Bruxelles. Però l'anno prima era andata fino a Vienna per farle visita a scuola, insieme alla sua fedele cameriera Sandrine.

    Sembrava che, oltre al mare, Mrs. Mitford avesse anche un'idiosincrasia per la sua patria. Non era mai voluta tornare in Inghilterra, e nemmeno Juliana, forse, ci avrebbe mai messo piede se non per far visita a Charlotte.

    La sua più cara amica, con la quale aveva frequentato per anni l'esclusivo collegio di Vienna, adesso si era trasferita in Inghilterra e si era sposata. Juliana non la vedeva da più di un anno.

    Un buon tè caldo avrebbe risolto ogni problema, pensò. Sua madre si sarebbe calmata e poi avrebbero proseguito il loro viaggio.

    Il capitano Harry Fanton, del Trentesimo Reggimento, entrò nel King's Head per sfuggire alla pioggia, che si era fatta insistente.

    Il viaggio verso l'Inghilterra era stato tranquillo, ma gli era dispiaciuto lasciare in Francia gli altri ufficiali che si stavano preparando per colpire di nuovo Napoleone. Il suo attendente e amico Evans lo aveva accompagnato, ed era entrato con lui nella locanda.

    «Dov'è il padrone?» chiamò impaziente Harry tamburellando con le dita sul bancone di mescita.

    Di solito era una persona allegra e affabile, ma quel giorno si sentiva stranamente di cattivo umore.

    Più di una volta aveva alloggiato al King's Head, di ritorno dal Continente, e il padrone della locanda lo riconobbe subito.

    «Ho prenotato due camere per stanotte, e un salottino privato per me e per il mio attendente» lo informò Harry.

    «Mi dispiace, capitano, ma il salottino è occupato... Una signorina e sua madre si stanno riposando, sono appena arrivate da Calais e aspettano una carrozza per proseguire il loro viaggio.»

    Harry si strinse nelle spalle. «Non importa, abbiamo condiviso più di una volta il salottino con altri viaggiatori. Vieni, Evans, andiamo.»

    Il padrone cercò di fermarlo, ma non ci fu niente da fare. Harry conosceva benissimo la strada e si diresse verso la porta del salottino per aprirla. Fu Evans ad avere qualche scrupolo.

    «Forse non dovremmo essere invadenti. Sono delle signore, potremmo restare nel salone di mescita fino a quando non arriverà la loro carrozza e se ne andranno. Servono la stessa birra anche qui.»

    Harry, però, non volle sentire ragioni. Lanciò un'occhiata al suo amico e cercò di fargli cambiare idea. «Che assurdità, Evans! Perché mai dovremmo rimanere qui? Ho voglia di scaldarmi davanti a un bel fuoco scoppiettante. Non preoccuparti, parlerò io con le signore.»

    Quindi bussò alla porta. Una voce femminile lo invitò a entrare, e Harry lo fece.

    Vide per prima una signora di mezza età, con gli occhi azzurri dall'espressione gentile e un pallore malaticcio. Era seduta su una sedia e accanto a lei c'era una giovane...

    Lo sguardo di Harry si soffermò su di lei.

    Buon Dio!

    Era di una bellezza straordinaria. Scura di capelli tanto quanto la madre era bionda, occhi color cioccolata, un fisico snello che la faceva sembrare più alta di quanto fosse in realtà. Una visione a dir poco celestiale.

    Le sorrise senza un attimo di esitazione. Evans riconobbe subito il suo sorriso, era quello che i loro commilitoni definivano scherzosamente il fulmine, perché aveva l'effetto di una saetta di Cupido per i cuori delle giovani donne su cui si posava.

    «Signore, vi chiedo il permesso di presentarmi...» esordì lui spavaldo, con un elegante inchino.

    Stavolta, però, la saetta di Harry Fenton mostrò di essere spuntata.

    «Avete commesso un errore. Siete entrato nella stanza sbagliata» lo avvisò la visione celestiale senza sognarsi di ricambiare il suo sorriso seducente.

    «Che cosa?» ribatté lui incredulo. Gli fu impossibile nascondere il proprio stupore per l'insolita reazione.

    «Ho detto» ripeté lentamente lei, come se avesse a che fare con qualcuno di scarso comprendonio, «che avete commesso un errore. Siete entrato nella stanza sbagliata.»

    Evans trattenne a stento una risata, vedendo il suo amico trattato in quel modo da una donna. Harry si irrigidì, offeso e umiliato.

    «Questo salottino» puntualizzò parlando con la stessa lentezza, come se anche lei non riuscisse a capire molto bene, «è stato prenotato da me. Quindi, se non vi dispiace, il mio amico e io...»

    Juliana strinse i denti. «Non posso cacciarvi con la forza» insistette. «Quindi sono costretta a chiedervi, se siete un gentiluomo, di uscire e di lasciare da sole mia madre e me.»

    «Un dilemma interessante. Come potreste sapere se sono, o non sono, un gentiluomo, visto che non ci siamo ancora presentati? Sono il...»

    «Non voglio sapere chi siete!» proruppe Juliana. «Voglio solo che ve ne andiate all'istante!»

    A quel punto Miss Milford decise di intervenire. «Mia cara, non c'è niente di male se questi due signori si uniscono a noi. Fuori sta piovendo e forse anche loro desiderano riscaldarsi al fuoco del caminetto.»

    Juliana arrossì per il rimprovero, anche se era stato pronunciato con un tono gentile, perché era stato fatto in presenza di quell'odioso ufficiale che si era preso la libertà di disturbarle.

    A Harry, per un attimo, dispiacque. Ma solo per un attimo.

    «Va bene, allora potete rimanere» acconsentì Juliana a malincuore. «Andremo a sederci nel salone di mescita. Mamma, dobbiamo lasciare il salotto a questi signori» aggiunse a testa alta, come se fosse una regina offesa.

    «Oh, no! Cara, ti prego...» la supplicò la madre.

    Harry, da buon soldato, capiva quando era stato sconfitto. «Non è necessario che ve ne andiate, saremo noi a tornare nel salone» dichiarò. «Non vi disturberemo più» aggiunse con un profondo inchino verso la madre.

    Si inchinò anche verso Juliana, ma frettolosamente, per mostrare la propria disapprovazione.

    Lei rispose con un cenno quasi impercettibile del capo, ancora furente per la sua intromissione.

    Evans, che aveva assistito in silenzio alla scena, fece un inchino alle due signore e seguì il capitano fuori della stanza.

    «Che persona insopportabile!» esclamò Juliana non appena la porta fu chiusa.

    «Ma cara...»

    «Maleducato! Arrogante! Come si è permesso di entrare senza essere stato invitato?»

    «Juliana, dimentichi che hanno bussato? E sei stata proprio tu a dire loro di entrare.»

    «Be', sì... Gli avevo detto di entrare, ma non gli avevo dato il permesso di rimanere.»

    «Forse non avresti dovuto fare tante storie.»

    «E come avrei dovuto comportarmi, mamma? Permettere che facessero i loro comodi? Mai!»

    «Avremmo potuto dividere con loro il salottino» suggerì l'altra.

    «Mamma, sai benissimo che non avresti potuto riposare, se fossero rimasti.»

    «Siamo in Inghilterra, tesoro, e non puoi fare così. Qui la cosa più importante è non attirare l'attenzione con strani comportamenti.»

    «Non mi importa se attiro l'attenzione o no. Non permetterò mai a qualche soldato maleducato di mancare di riguardo a te o a me.»

    «Per me non avrebbe avuto importanza, Juliana, se fossero rimasti.»

    La figlia sembrò esasperata. «Sai che ho ragione, mamma. E perché dici che non ti sarebbe importato, quando invece ti avrebbe dato fastidio?»

    Mrs. Milford sembrò confusa, non sapeva che cosa rispondere alla sua domanda. Pentita di aver alzato la voce, Juliana prese la sua piccola mano pallida e tremante, e le parlò dolcemente. «Non devi sempre cercare di compiacere gli altri, mamma. Sei così gentile, così remissiva, che tutti si approfittano di te» la rimproverò affettuosamente. «Quando ero piccola e vedevo che ti trattavano male, o ti facevano pagare più del dovuto, e tu facevi finta di niente perché odiavi le discussioni, avrei voluto prendere a schiaffi quelle persone. La gente purtroppo percepisce la tua debolezza, credimi. Per questo non ti tratta con il rispetto dovuto.»

    «Non mi è parso che quei due giovani ufficiali ci stessero insultando. Vorrei tanto che tu riflettessi, prima di agire, figlia mia.»

    Juliana si avvicinò alla finestra e guardò la pioggia che cadeva. «Quando avevo dodici anni ho giurato che, una volta cresciuta, mi sarei presa cura di te» mormorò.

    Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui aveva fatto quel voto. Era entrata nel piccolo salotto della loro casa in affitto, a Bruxelles, e aveva trovato sua madre che piangeva davanti ad alcuni fogli di carta sparsi sul tavolo.

    «Cosa è successo, mamma?» aveva chiesto ansiosamente.

    «Oh, Juliana, sono queste fatture! Temo che il macellaio si sia sbagliato un'altra volta, e non ho i soldi per pagarlo.»

    Il padre di Juliana, un militare, era morto poco dopo la sua nascita. Lei e sua madre vivevano come potevano, risparmiando fino all'ultimo centesimo.

    «Dice che abbiamo preso della cacciagione, ma si sbaglia. Non possiamo permetterci niente di così costoso. Ho comperato la solita pancetta e un po' di montone per lo stufato.»

    «Intendi dire che sta cercando di imbrogliarti?»

    Juliana aveva preso in mano il conto del macellaio. La costosa cacciagione era segnata, ma lei e sua madre non avevano mangiato cacciagione da aprile, quando il vicario le aveva invitate a cena.

    «A volte fa di questi errori» cercò di scusarlo la madre.

    No, non si era trattato di un errore.

    In quel salottino modesto, con le tende e il tappeto sbiaditi, per la prima volta Juliana si era resa conto di un fatto grave: il macellaio si stava approfittando di sua madre.

    Era già accaduto altre volte. Mrs. Milford appariva così gentile, così mite, da sembrare debole, e le persone disoneste la consideravano una povera sciocca che potevano facilmente imbrogliare.

    «È un truffatore, mamma! Come fai a sopportarlo?»

    «No, si tratta solo di un errore. Ne sono sicura.»

    Sua madre era sincera, era davvero convinta che il macellaio si fosse sbagliato. Juliana, però, era diversa, e a dodici anni aveva già capito che esistevano i prepotenti da cui bisognava difendersi.

    Quella volta, quando Mrs. Milford era andata a pagare il conto dal macellaio, Juliana l'aveva accompagnata e aveva fatto notare l'errore all'uomo, davanti ad altri due clienti, con un tono molto seccato.

    Il commerciante aveva capito di aver trovato pane per i propri denti, si era scusato e aveva promesso che non ci sarebbero mai più stati simili errori.

    «Il vostro tè!» annunciò il padrone della locanda arrivando con una cameriera al seguito e il carrello del tè. «La vostra carrozza è pronta. Potete partire quando volete.»

    «Benissimo» commentò Juliana con un sorriso di gratitudine.

    Lei sapeva sempre come farsi obbedire.

    2

    Un'ora dopo Juliana e sua madre

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