Immagini d'amore (La collezione eterna di Barbara Cartland 18)
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Immagini d'amore (La collezione eterna di Barbara Cartland 18) - Barbara Cartland
Barbara Cartland
Immagini d'amore
Translated by Lidia Conetti Zazo
Saga
Immagini d'amore
Translated by Lidia Conetti Zazo
Original title: Portrait of Love
Original language: English
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1981, 2021 Barbara Cartland and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728034965
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
Nota dell’autrice
Nato nel 1599 e morto nel 1641, Van Dyck, in una vita così breve, dipinse tuttavia centinaia di quadri straordinari.
Carlo I gli assegnò una pensione annua di duecento sterline, gli fece dono di due case e lo nominò cavaliere. Nessun pittore avrebbe potuto meritarlo maggiormente.
I
1841
Fedora spolverava il salotto quando Jim apparve sulla soglia. Era un ometto piccolo e asciutto, avanti negli anni, con i capelli grigi sulle tempie.
«È inutile, signorina Fedora» disse. «Non ci darà più niente finché non paghiamo.»
Fedora sospirò.
Era quanto si aspettava, ma l’unico negozio del paese era stato fin troppo indulgente con il loro conto, che si era allungato sempre più.
«Dovremo vendere qualcosa» disse, rivolgendosi più a se stessa che a Jim.
«Potrei portare uno dei quadri a Londra, signorina Fedora.»
«Sappiamo che non abbiamo il diritto di farlo. Appartengono al signor Philip. Che cosa dirà quando tornerà a casa, se scoprirà che sono scomparsi?»
«Oso dire che i quadri non gli sembreranno importanti se voi e il padrone sarete nella tomba» ribatté Jim con logica inconfutabile.
Fedora sospirò di nuovo.
Si era opposta strenuamente a vendere gli ultimi beni che la casa possedeva mentre il fratello si trovava in Oriente a cercare di far fortuna. Aveva sempre pensato che separarsi dai quadri collezionati da generazioni di Colwyn attraverso i secoli sarebbe stato come tradire il proprio sangue.
La collezione di Mountsorrel era famosa e avrebbe attirato anche più attenzione se loro avessero ricevuto, come non potevano permettersi di fare.
Era difficile capire come il padre fosse riuscito a tirare avanti tanto a lungo nella grande casa trasmessa di padre in figlio fin dal regno della regina Elisabetta; aveva ereditato una quantità di debiti che erano stati una pietra al collo per lui e avevano tutta l’aria di continuare a esserlo per il suo unico figlio.
Ma il proprietario di Mountsorrel era fieramente orgoglioso della sua eredità, e avrebbe continuato a vivere a Mountsorrel anche se non fosse stata più che una buca nella terra.
Lui e la figlia occupavano solo poche stanze della grande casa; nelle altre i soffitti crollavano, i topi sgusciavano dagli zoccoli di legno, le finestre sgangherate lasciavano entrare la pioggia e i buchi nel tetto si facevano più grandi di anno in anno.
Ma nelle stanze che loro occupavano, dove pure i tappeti erano consunti, le tende nient’altro che stracci, le poltrone in condizioni tanto disastrose da essere quasi impossibile sedervi comodamente, c’erano ai muri quadri che valevano una fortuna.
Naturalmente erano vincolati a Philip, e dopo di lui ai suoi figli e nipoti e alle future generazioni che lo avrebbero seguito.
C’erano un Holbein, che costituiva un esempio dell’inquietante, acuta introspezione psicologica dell’artista, i cui colori unici erano in armonia con quelli dell’Hogarth appeso al suo fianco; un Fragonard, che Alexander Colwyn era solito ammirare a lungo; un Raeburn, notevole per le sue forme vigorose, i suoi colori robusti, la sua profondità psicologica.
Nei grandi occhi di Fedora si dipinse la disperazione mentre si voltava dal Raeburn a un Van Dyck che rappresentava nel suo stile inimitabile un proprietario di Mountsorrel, raffigurato con la casa alle spalle, il cappello in testa, un bastone in mano, quasi si accingesse a attraversare il giardino per recarsi a ispezionare la sua proprietà.
Mentre lo guardava Fedora si diceva che di qualsiasi altra cosa avessero dovuto disfarsi, non avrebbero dovuto toccare i ritratti di famiglia, e parlando di nuovo più a se stessa che a Jim ripeté:
«Non dobbiamo toccare nulla di quanto si trova in questa stanza.»
«Ce n’è una quantità ammucchiati contro il muro nella stanza accanto.»
Fedora si lasciò sfuggire un grido.
«Papà lavora a quei quadri. Si accorgerebbe subito se ne mancasse uno.»
Chiunque fosse entrato in casa sarebbe in realtà rimasto colpito vedendo che in quell’edificio, per altri versi squallido e diroccato, i quadri soltanto splendevano con il fulgore di un gioiello.
Alexander Colwyn era relativamente giovane quando aveva ereditato, e aveva deciso subito di dover provvedere ai quadri.
Poiché erano stati trascurati tanto dal padre quanto dal nonno, sebbene entrambi ne andassero orgogliosi, alcuni sporgevano dalle cornici, altri avevano la vernice che si scrostava, e tutti si erano anneriti con gli anni, tanto che il colore e la bellezza originale erano offuscati.
Quando era a Oxford Alexander Colwyn aveva fatto amicizia con un uomo che aveva ereditato una grande casa e una splendida collezione di quadri; e tanto denaro da poter conservare i suoi tesori come meritavano.
Colwyn era stato più di una volta suo ospite e aveva appreso chi fosse il miglior restauratore del paese; non soltanto si era recato a trovarlo a Londra, ma lo aveva convinto a accettarlo come discepolo per apprendere un’arte nella quale aveva scoperto come ben pochi fossero veramente esperti.
Quando era tornato a casa aveva incominciato a lavorare ai suoi quadri, uno dopo l’altro, fino a restituirli alla loro perfezione originaria, e quella che era incominciata come una necessità era diventata ben presto una gioia e un interesse di gran lunga superiore a un hobby – in verità, lo burlava talvolta Fedora, quasi una professione.
Molti suoi amici richiedevano l’aiuto di Colwyn per le proprie collezioni, e lui non chiedeva di meglio che compiacerli. Nell’ultimo anno, tuttavia, non era stato bene e aveva dovuto rifiutare di lavorare tanto per gli amici che per i conoscenti.
Poiché aveva insegnato a Fedora la sua arte e contava su di lei e sul suo aiuto, lei si era chiesta talvolta se non dovesse rispondere che avrebbero restaurato i quadri, purché pagassero. Ma sapeva come il padre sarebbe inorridito a quell’idea: ora, però, erano arrivati in fondo alla china, e se non trovavano il denaro il padre sarebbe morto.
Non era una misteriosa malattia a ritardare la sua convalescenza, ma la denutrizione: era infatti impossibile per lei acquistare il cibo che il dottore riteneva necessario.
«Guarderemo di sopra, Jim» disse. «Nella mia stanza c’è un Filippo Lippi. Forse papà non se ne accorgerà.»
Sentiva tuttavia come perdere quella splendida immagine della Vergine che adorava il Bambino sarebbe stato perdere una parte di sé; aveva ammirato tanto spesso la delicatezza dell’opera di Lippi, il suo senso del colore e il misticismo del quadro che l’opera era divenuta davvero parte della sua mente.
L’unica alternativa era un altro quadro che pure aveva fatto suo in modo particolare per un motivo anche più personale. Nella camera dove si era trasferita dopo la morte della madre c’era un Riposo durante la Fuga in Egitto di Van Dyck.
Il padre aveva sempre affermato che la Madonna che si stringeva al petto il Bambin Gesù assomigliava alla ragazza che lui aveva sposato, e la madre aveva sempre accettato quel complimento poiché la rassomiglianza era innegabile. Ma quando Fedora era cresciuta le aveva detto:
«Forse mi assomiglia un poco, amor mio, ma in realtà potrebbe essere il tuo ritratto.»
Anche Fedora aveva soffici capelli scuri che incorniciavano la fronte ovale, un volto esile e grandi occhi innocenti, e quando guardava la propria immagine riflessa nello specchio non vedeva solo se stessa, ma il volto della Madonna di Van Dyck.
Come posso perderla?
si chiese.
La feriva così profondamente pensare di doversi separare da un oggetto tanto bello che si avvicinò alla finestra, restando a guardare i cespugli intricati e incolti che senza le cure dei giardinieri si erano trasformati in una giungla, bella, selvaggia e primitiva.
«È inutile, signorina» disse alle sue spalle Jim. «Dobbiamo fare qualcosa, e questo è quanto!»
«Lo so, Jim, e mi vergogno che dobbiate soffrire con noi. Mi rendo perfettamente conto che non sapremmo cosa fare senza di voi.»
Da almeno un anno Jim non riceveva il suo salario, e se lei aveva fame, aveva fame anche lui. Mangiavano entrambi il meno possibile per lasciare di più al padre e impedirgli di perdere del tutto la sua già debole presa sulla vita.
«Prenderò una decisione questa sera» disse Fedora con fermezza «e quando papà sarà andato a dormire avvolgeremo il quadro che abbiamo deciso di vendere e lo porteremo al signor Lewenstein, a Londra. So che ci pagherà un prezzo onesto.»
Lewenstein aveva pregato spesso il padre di accettare un onorario per restaurare alcuni quadri che vendeva nella sua galleria di Bond Street. Ma Alexander Colwyn aveva sollevato fieramente il viso dicendogli che poteva tenersi il suo denaro