Nuova Rivista di Counseling Filosofico 19/2023: Rivista Ufficiale della Scuola Superiore di Counseling Filosofico
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La felicità ci dà speranza, è lo spiraglio attraverso cui passa la luce che riempie di colore la nostra esistenza. I modi per realizzarla possono essere diversi e dipendono da come si intende questo stato. C’è chi la ricerca attraverso il denaro, chi con il potere, chi con il successo, chi con la pienezza spirituale, chi con la bellezza estetica, chi con l’amore, chi attraverso una vita tranquilla oppure ricca di esperienze. Differenti sono le strade per raggiungerla ma identico è l’obiettivo a cui si aspira.
Una prima questione è però stabilire se questo sentimento sia reale e non solo un’illusione del pensiero. Come spesso accade, le parole creano idee e concetti (non il contrario) e la questione è ancora più delicata per quanto riguarda le emozioni. L’essere umano cerca parole per descrivere i propri stati d’animo, prova a circoscriverli, definirli, isolarli, non considerando che, in realtà, la nostra vita psichica è un tutt’uno, unico e indivisibile.
La nostra mente scompone per cercare di capire, frammenta stati interiori e li denomina.
Così crede di conoscersi meglio.
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Nuova Rivista di Counseling Filosofico 19/2023 - Steila Daniela

INDICE INDICEUna vita felice
Lodovico Berra
Il contadino muore con miglior garbo di Aristotele? Strategie filosofiche di fronte alla morte
Daniela Steila
Abstract
La paura della morte
Il significato della morte per la vita
Saper morire
e saper vivere
Conclusioni
Bibliografia
Morte cerebrale. Distanze intime per una fenomenologia nel trapianto di organi
Piero Celoria
Abstract
La morte non è un evento. La morte è un processo
La morte cerebrale è la morte dell’individuo
Bibliografia
In cammino con Antigone: fenomenologia e poetica del femminile
Monica Daccò
Abstract
Prologo
Antigone e il circolo ermeneutico della parte con tutte e tutti
Tracce dal passato: il femminile pensato
L’eredità nel presente: il femminile pensante
Il corpo di Antigone
Il laboratorio filosofico su Antigone: dal teatro alla realtà, scambi di genere e giochi di potere
Il non ancora del futuro: pensare al femminile – insieme a –
Bibliografia
Vita e Morte nell’immagine della realtà e della fantasia
Enrico Frola, Antonello Musso
Abstract
La Morte, la Vita e l’immagine di sé
Un altro elemento è l’incredulità
La Tristezza
L’Incertezza (sul futuro)
La Fuga
La Professionalità
Bibliografia
Angoscia di vita e angoscia di morte: differenti prospettive nell’interpretazione dell’esistenza
Lodovico Berra
Abstract
Vita e morte
L’angoscia esistenziale
Angoscia di vita
Dottore… per favore… mi faccia morire
…mi dia una valida ragione per vivere
Morirò a 30 anni…
Angoscia di morte
Quanto può stare una persona senza dormire?
Aspetto di sapere quale organo mi tradirà
Come può essere che tutto finisca così?
Un’angosciante attesa
Considerazioni conclusive
Bibliografia
Felicità. Leopardi e Aristotele in un counseling filosofico
Anna Sordini
Abstract
Premessa
Leopardi
Aristotele
Conclusioni
Epilogo
Bibliografia
Una vita felice
Editoriale
Lodovico Berra
U
na vita felice è la principale aspirazione di ogni essere umano. Sembra essere l’obiettivo fondamentale in grado di dare la forza di esistere. Che senso avrebbe una vita in cui non vi è felicità? Come sarebbe possibile una vita dove vi è solo dolore e sofferenza? La felicità ci dà speranza, è lo spiraglio attraverso cui passa la luce che riempie di colore la nostra esistenza. I modi per realizzarla possono essere diversi e dipendono da come si intende questo stato. C’è chi la ricerca attraverso il denaro, chi con il potere, chi con il successo, chi con la pienezza spirituale, chi con la bellezza estetica, chi con l’amore, chi attraverso una vita tranquilla oppure ricca di esperienze. Differenti sono le strade per raggiungerla ma identico è l’obiettivo a cui si aspira.
Una prima questione è però stabilire se questo sentimento sia reale e non solo un’illusione del pensiero. Come spesso accade, le parole creano idee e concetti (non il contrario) e la questione è ancora più delicata per quanto riguarda le emozioni. L’essere umano cerca parole per descrivere i propri stati d’animo, prova a circoscriverli, definirli, isolarli, non considerando che, in realtà, la nostra vita psichica è un tutt’uno, unico e indivisibile. La nostra mente scompone per cercare di capire, frammenta stati interiori e li denomina. Così crede di conoscersi meglio.
Per questo felicità potrebbe essere un artefatto, un vocabolo fittizio, che cerca di descrivere un sentimento non sempre così univoco e chiaro. Provate a riflettere nel momento in cui vi dite sono felice
e vi ritroverete in un magma indefinito e variabile di sensazioni fisiche, psichiche, spirituali. I sentimenti e le emozioni sono fenomeni vari e soggettivi, mutevoli e sfuggenti, difficilmente catalogabili e quantificabili. Essi sono dimensioni che variano di intensità e qualità, senza mai avere stabilità e delimitazione. Basti pensare alla sensazione di dolore, fenomeno chiaro ed evidente, la cui quantificazione, indipendentemente dalla sua origine, richiede l’uso di scale soggettive¹.
In modo analogo potremmo creare una scala della felicità? Una dimensione di questo sentimento che varia da 1 a 10? Oppure ci stiamo crogiolando nello studio di una emozione virtuale? Un fatto interessante è che neurologicamente le vie del piacere sono identiche a quelle del dolore. Cioè, a livello fisico, le fibre nervose che conducono le sensazioni di piacere sono le stesse che conducono le sensazioni di dolore. Ciò vuol dire che è fondamentale la rielaborazione mentale, il significato, il senso che viene attribuito a una sensazione che ne definisce l’effetto. Le sensazioni del corpo e della mente esistono e vivono dentro di noi senza poter mai essere oggettivate, osservate, toccate. Come la vita mentale, le emozioni sono un qualcosa di interiore, che ognuno di noi ben conosce ma che mai non può vedere nell’altro. La felicità è un fatto soggettivo e quando ne parliamo facciamo riferimento a criteri e ipotesi che ci appartengono individualmente. La mia sensazione di felicità può non essere identica a quella di altri.
In senso generico, possiamo comunque definire la felicità un sentimento di benessere psico-fisico, mentale e corporeo. Essa è uno stato di pienezza e perfezione. Felicità è uno stato di soddisfazione e di serenità. È la sensazione di una profonda pace interiore, uno stato di completezza ove ogni desiderio diventa superfluo. È pace e armonia nei rapporti con il mondo intero, con la natura, con gli esseri umani e con se stessi. È piena e completa realizzazione di sé. È il Nirvana, quello stato lo stato in cui si ottiene la liberazione da ogni dolore. È il Satori, il momento dell’illuminazione nella pratica del Buddismo Zen, in cui l’intera esperienza personale e cosmica è proiettata in un unico istante.
Il monaco buddhista Matthieu Ricard è stato definito l’uomo più felice del mondo ed è stato analizzato da ogni punto di vista, anche neurologicamente. Il suo è uno stato di pace totale, di quiete interiore, di armonia profonda. Vive come sospeso su una nuvola, su cui galleggia leggero e… felice.
È uno stato eccezionale, unico e particolare, raggiunto attraverso una fede profonda nel buddhismo e nella pratica meditativa. Siamo inevitabilmente attratti e affascinati da tale stato, anche se questa potrebbe sembrare un’esistenza finta, staccata dalla vita reale, lontana dalla vita vera e concreta di un essere umano, fatta di dolori, conflitti, imprevisti, problemi, preoccupazioni. Matthieu Ricard sembra vivere un po’ fuori dal mondo.
Da una certa prospettiva una vita felice potrebbe apparire vuota e monotona, uno stato di beatitudine noioso e piatto. Non sarebbe forse da valorizzare la dinamicità della vita, la moltitudine di colori ed emozioni, le variazioni e oscillazioni, piuttosto che uno stato di quiete totale e definitivo?
Secondo la teoria del realismo depressivo, i soggetti affetti da depressione lieve o di grado medio possiedono una visione più chiara e lucida della realtà rispetto a soggetti non depressi. Le persone depresse avrebbero una valutazione più realistica dell’esistenza, senza più illusioni riguardanti la possibilità che la vita possa essere felice e spensierata. La vita vera – nuda e cruda, quella di tutti i giorni, quella della gente normale – è dura, spietata, senza speranza. La vita vera è dolore e sofferenza. Morte e malattia si susseguono inevitabilmente, conflitti e problemi compaiono inesorabilmente. Una vita felice sembra un’illusione per animi semplici, una visione della realtà falsa e infantile. La felicità è solo un piccolo momento, transitorio e precario, che ci illude e inganna. Un bagliore che scompare repentinamente. In questo senso sperare di avere una vita felice sembra essere il risultato di una visione superficiale e ingenua che non tiene conto della realtà effettiva della nostra esistenza. Felicità sembra essere un inganno per chi non vuol vedere che la vita è tutta un’altra cosa.
La felicità è un sentimento che va e viene, si affaccia sulla nostra vita e poi scompare, oscurato dai mille problemi che inevitabilmente sopraggiungono.
Ciò fa sì che si possa solo aspirare alla felicità, consapevoli di non poterla mai raggiungere definitivamente. Come un qualcosa che continuamente sfioriamo, perdiamo e poi vogliamo riavere. La felicità è un’illusione che svanisce ogni volta che la tocchiamo, che ci fa credere che essa sia possibile sempre. In realtà è un miraggio con il compito di darci una speranza, di darci la forza per sopravvivere e sopportare ciò che questa nostra vita ci ha riservato.
Il contadino muore con miglior garbo di Aristotele? Strategie filosofiche di fronte alla morte
Daniela Steila
²
Abstract
T
ra i compiti della filosofia è stato spesso elencato il superamento del timore della morte, ma ci si può chiedere se davvero riflettere sul morire sia utile per affrontare la morte. Attraverso alcuni esempi tratti dalla storia del pensiero, si esaminano qui il tema della paura della morte, il significato che assume l’idea della morte per definire la vita, e come di conseguenza saper morire
e saper vivere
si presentino strettamente intrecciati. Già Empedocle riteneva che la filosofia avrebbe risolto il timore della morte, mostrandone la vera natura, ma è soprattutto la scuola epicurea a insistere sull’efficacia della riflessione sulla fine per liberarsi da uno dei tormenti più gravi della vita umana. Assunta la morte come un dato di fatto, ci si può interrogare non tanto sulla sua natura, ma sul suo significato, sul senso che la vita trae dalla propria stessa limitatezza e caducità. Ragionare sulla morte diviene allora rilevante non tanto per saper morire
, quanto per saper vivere
, poiché la coscienza del limite costitutivo dell’esistenza umana manifesta il valore insostituibile di ogni momento, unico e irripetibile per la sua ineliminabile caducità.
La riflessione sulla morte non necessariamente consente di affrontare la fine della propria vita meglio di come faccia chi alla morte non pensi mai. Ma ragionare sulla morte come dimensione essenziale della vita può modificare la nostra concezione del rapporto con la natura e persino l’idea della soggettività umana: invece del soggetto autonomo, indipendente, padrone della sua vita, che la filosofia ha messo tradizionalmente al centro della sua riflessione, si delinea l’idea di un soggetto vulnerabile, intrinsecamente relazionale, socialmente costituito da norme culturali, linguaggi, narrazioni, dipendente dal riconoscimento da parte degli altri. La fragilità della persona morente denuncia la reciproca interdipendenza caratteristica dell’umano, che potremmo finalmente abbracciare come un valore.
Parole chiave
Morte – paura – vulnerabilità –vita
R
iflettere sulla morte, definirla e conoscerla, filosofare
variamente intorno alla sua natura e al suo significato, è stato inteso fin dall’antichità come un possibile rimedio alla spontanea, irriflessa paura della morte, connaturata nell’essere umano. Ma ci si può anche chiedere, con Montaigne, se riflettere sulla morte sia davvero utile. Nei Saggi leggiamo: «Non vidi mai contadino dei miei dintorni mettersi a pensare con qual contegno e con quale fermezza avrebbe passato quell’ora estrema. La natura