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Good Girl
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E-book280 pagine4 ore

Good Girl

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Info su questo ebook

Autrice bestseller del New York Times

Lydia è l’incarnazione della brava ragazza: nonostante i suoi ventidue anni, è molto seria e responsabile. La persona in grado di farle perdere la testa non è ancora arrivata e lei non ha mai sentito il desiderio di lasciarsi andare. Ecco perché l’incontro con Rhys è destinato a sconvolgere la sua vita. Quel ragazzo affascinante, che se ne sta in disparte, ma che la osserva con uno sguardo magnetico, è in grado di risvegliare i sensi sopiti di Lydia. E se lei vuole afferrare quella promessa di felicità, forse dovrà accettare di infrangere qualcuna delle sue rigidissime regole, almeno per una sera. È arrivato, per la brava ragazza, il momento di addentrarsi in un territorio inesplorato, concedendosi una notte di follia con un perfetto sconosciuto...

L’incontro con un affascinante sconosciuto
Il desiderio improvviso di infrangere ogni regola

«Ho appena finito questo libro delizioso. Spero che Jana Aston non smetta mai di scrivere romanzi così!» 
Kendall Ryan, autrice del bestseller Il fratello della mia migliore amica

«Questo libro supera brillantemente tutte le prove: c’è tensione, sensualità e un’irresistibile ironia. Per me è il massimo.»
Staci Hart, autrice del bestseller Un meraviglioso amore impossibile

Jana Aston
si ritaglia tutto il tempo che può per scrivere storie d’amore. I suoi romanzi sono diventati bestseller di «New York Times» e «USA Today». La Newton Compton ha già pubblicato Vado, sbaglio e torno, Questa volta rimango con te, Amori, bugie e verità e, in e-book, Il migliore amico del mio capo.
LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2019
ISBN9788822735065
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    Anteprima del libro

    Good Girl - Jana Aston

    Uno

    Lydia

    «Ce ne andremo da questo bar solo dopo che avrai baciato qualcuno». Payton me lo dice come se proprio in quel momento stessimo parlando di me che devo baciare qualcuno. Non è così. Annuisco lo stesso, perché siamo ottime amiche e sono abituata a questo genere di esternazioni da parte sua.

    «Quindi vuoi che io baci qualcuno e solo dopo potremo andarcene?». Appoggio il bicchiere sul bancone e giro un po’ la sedia come se volessi esaminare la sala per valutare le varie possibilità di scelta. Non è così, non proprio, ma sono contenta di stare al gioco.

    «Già. Non appena avrai perlomeno baciato qualcuno potremo andarcene».

    «Perlomeno baciato?». Mi volto verso di lei con una risata. «Fin dove vuoi che mi spinga? In un bar? Con un estraneo?». Sto ridendo perché questa conversazione è ridicola – eppure l’idea mi intriga. L’idea di poter scegliere un uomo qualsiasi all’interno di questo bar e chiedergli di baciarmi. O addirittura di farmi palpeggiare. Magari prenderebbe lui l’iniziativa spingendomi contro il muro. Mi infilerebbe il ginocchio tra le cosce riempiendomi la mascella di baci, prima di coprirmi le labbra con le sue.

    Già, sono stata stranamente specifica.

    Metto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lascio che il mio sguardo vaghi oltre Payton, verso i due uomini seduti sul lato opposto. È tutta la sera che li osservo con discrezione. Uno di loro ha un accento inglese. È ubriaco e ossessionato da una donna con la quale si è appena lasciato. O che lo ha appena lasciato – non saprei, e in realtà non m’importa. Il mio oggetto del desiderio è il tizio numero due.

    Il tizio numero due è perfetto.

    È talmente perfetto che non riesco neanche a guardarlo direttamente, ecco il perché degli sguardi furtivi. È assolutamente fuori dalla mia portata. Capelli neri spettinati appena ondulati. Un taglio perfetto, e so già che li sentirei morbidi sotto le dita e non impiastrati di schifosi prodotti per capelli. La barba corta è tra l’incolto e il curato e ha degli occhi castano scuro che mi fanno stringere lo stomaco quando incontrano i miei. Le braccia sono abbronzate e piene di muscoli. Saranno al centro delle mie fantasie almeno per il prossimo mese.

    Si strofina il polpastrello del pollice contro quello dell’indice mentre il suo amico parla, ma non in modo ansioso. Lentamente, come se fosse un gesto che fa mentre pensa, o forse mentre ascolta. Le unghie sono corte e ben modellate. A giudicare dalle mani suppongo che lavori in un ufficio ma, a giudicare dal fisico, credo che il suo hobby sia la palestra.

    L’indice esercita ancora una lenta frizione contro il pollice e oh, Cristo santo, in questo momento sto immaginando qualcosa di completamente diverso.

    Ho bisogno di scopare.

    «Hai bisogno di scopare», dice Payton nel preciso momento in cui lo sguardo dell’uomo si sposta dal bancone ai miei occhi. Muoio almeno diecimila volte, ma Payton non sa che sono appena morta, così continua a blaterare che bisogna trovare qualcuno da farmi baciare prima di potercene andare. Gli occhi di Mister Perfetto sono ancora sui miei.

    «Lo farò io», dice lui.

    Oh, mio Dio. Fermi tutti, sta parlando con me? Sta succedendo davvero? Senza dubbio ho sentito male. Ho frainteso. Sta parlando a qualcuno dietro di me o al barman oppure al tipo inglese ubriaco. Do uno sguardo veloce alle mie spalle per vedere chi c’è. Non c’è nessuno.

    «Lo farò io», ripete, e per un istante il mio cervello va in corto circuito. Decisamente sì, ecco cosa penso. Decisamente sì. Dove lo faremo? Non voglio farlo qui, sarebbe strano. Non credo che dovremmo andare a casa sua, è un perfetto sconosciuto. Potrebbe venire lui da me. Sì. Payton potrebbe andarsene da Target o da qualche altra parte e lasciarci un po’ di privacy. Chissà se gli dispiacerà che ho soltanto un letto singolo. Sapevo che avrei dovuto comprarne uno più grande ma costava di più e la mia stanza è minuscola e mi serviva spazio per la macchina da cucire. Porca puttana, sta succedendo. Quest’uomo, che è troppo sexy per poterlo guardare direttamente, vuole fare sesso con me. Sbatto gli occhi e poi, con un sorrisetto stampato in viso, lui conclude: «Ti bacerò io».

    Oh.

    Giusto. Non è che possa essere talmente preso da me – una ragazza qualsiasi in un bar – da voler fare sesso solo perché ha sentito dire dalla mia amica che ho bisogno di scopare. Scema. Sono proprio un’idiota. Quasi.

    «Lei accetta», dice Payton, e mi spinge giù dallo sgabello. Sul serio, mi dà realmente una spintarella, simile a quella che immagino diano le madri ai loro figli per esortarli a uscire dalla porta di casa il primo giorno di scuola.

    L’uomo si gira sullo sgabello e lo vedo che mi scruta, adesso che sono in piedi. I suoi occhi percorrono lentamente le mie gambe nude e vorrei uccidere Payton per avermi trascinato in questo bar. Abbiamo trascorso il fine settimana a traslocare nel nostro nuovo appartamento e pensavo che saremmo uscite solo per prenderci un hamburger, perciò indosso un paio di shorts di jeans e una canottiera. Avrei dovuto immaginarlo. Appena abbiamo lasciato l’appartamento, Payton ha insistito che ci serviva dare un’occhiata al movimento della zona, ed eccomi qui con un paio di shorts e le ginocchia nodose a guardare un uomo che sembra gestire il mondo e che mi squadra dalla testa ai piedi.

    Piego un ginocchio e batto il piede sul pavimento mentre mi chiedo se stia per cambiare idea, ma poi si alza. Presumo che stia per ridurre la distanza tra noi e baciarmi proprio qui davanti a tutti, ma non lo fa. Si ferma, invece, di fronte a me. Per incontrare i suoi occhi devo inclinare indietro la testa perché è più alto di me di una trentina di centimetri. Gli arrivo al massimo alle spalle.

    Porta jeans e mocassini, oltre a quella camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti. Sospetto che le sue scarpe costino più di qualsiasi cosa io possegga. A dire il vero, lo stesso vale anche per i pantaloni e la camicia. Combatto l’impulso di ficcarmi le mani nelle tasche posteriori, e il suo sguardo mi imbarazza mentre parla.

    «Come ti chiami?»

    «Lydia».

    «Lydia», ripete, i suoi occhi nei miei. Sentirgli pronunciare il mio nome deve farmi l’effetto di un qualche tipo di preliminare perché il cuore sta per uscirmi dal petto. La sua voce è bassa e dolce, autorevole e sensuale da morire. «Non qui», dichiara e mi prende la mano.

    La sua pelle è calda e il semplice contatto fisico mi fa venire la pelle d’oca. Poi inizia a camminare, la mia mano stretta nella sua mentre si fa strada per attraversare il bar.

    «Brady, mi serve il tuo ufficio per qualche minuto», grida a una persona dietro il bancone. Non si preoccupa di aspettare una risposta, e un attimo dopo ci ritroviamo soli.

    La prima cosa che noto è che l’ufficio è più carino di quanto mi aspettassi di trovare in un bar. Davanti a me un’ampia scrivania ordinata e pulita con sopra un computer portatile chiuso e una sola penna poggiata lì accanto. Un sofà di pelle Chesterfield addossato alla parete dall’aspetto costoso, ma consumato.

    La seconda cosa che noto è il silenzio. Non avevo pensato che il locale fosse eccessivamente rumoroso, ma dall’altro lato di una porta chiusa mi rendo conto di quanto silenzio ci sia senza il tintinnio del ghiaccio e il rumore sordo delle bottiglie. Con solo il nostro respiro e il battito del cuore che mi pulsa nelle orecchie.

    Ma non ho altro tempo da dedicare alle considerazioni perché si è voltato verso di me e mi ha sollevato il mento con l’indice. Okay, un’altra considerazione. Ha un odore fantastico. Ha l’odore di qualcuno sul quale vorrei sdraiarmi, nascondendo la testa sul suo petto mentre lui si arrotola qualche ciocca dei miei capelli fra le dita. So che tecnicamente non è un odore, ma fidatevi di me su questo. Il suo odore sa di biancheria pulita e spezie e virilità. Ho voglia di arrampicarmi su di lui.

    Con le palpebre socchiuse, sposta lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra e viceversa con tranquilla sicurezza. Non mi rendo conto che sto trattenendo il respiro finché lui non me lo ricorda. La sua espressione è un misto di eccitazione e divertimento.

    Prendo fiato e mi inumidisco le labbra con la lingua. Mi trattengo dal saltellare sulle punte dei piedi, ma a malapena. C’è un accenno di sorriso sulle sue labbra mentre mi prende la mascella con una mano e con l’altra raggiunge il mio punto vita. Le sue dita sono così calde attraverso il sottile tessuto della canottiera, ho quasi la sensazione che mi tocchi direttamente. Poi china la testa verso di me e mi bacia.

    Dolcemente.

    La mano sui fianchi rimane ferma. La pressione delle dita è salda, sicura. Un inutile ma piacevole ancoraggio perché non intendo andare da nessuna parte. Poso le mani sul suo petto, eccitata dalla sensazione del tessuto a contatto con le dita. Dalla solidità del suo corpo, dai muscoli e dal calore.

    Le sue labbra abbandonano le mie, ma solo quanto basta per fargli inclinare appena la testa prima di premerle di nuovo sulla mia bocca. Il pollice mi accarezza la guancia e io mormoro o mugolo in risposta, non so quale tra le due cose, ma sono ricompensata con un altro soffice bacio mentre le sue labbra persuadono le mie ad aprirsi. La barba sembra ispida sulla mia pelle e non fa che eccitarmi ancora di più. Quella leggera frizione consente alla mia attenzione di focalizzarsi sulle sue labbra, sul suo vigore, sulla forza dell’effetto che ha su di me. Mi morde il labbro inferiore e poi mi bacia ancora, la pressione ancora più decisa, le nostre lingue si incontrano, le mie ginocchia vacillano e il mio cuore batte all’impazzata.

    Quando si tira indietro, deve sostenermi perché mi sono talmente appoggiata a lui che senza il suo supporto sarei caduta. Mi sembra che mi manchi il respiro, come se avessi appena fatto una corsa intorno all’edificio. A parte lasciar scorrere il pollice sul labbro inferiore, sembra imperturbabile. Fa un passo indietro e lentamente fa un altro esame accurato della mia persona squadrandomi dalla testa ai piedi e mi chiedo cosa veda. Vede forse una donna dalla quale è attratto? O una ragazza che ha baciato tanto per farle un favore? Sembra darsi un contegno cento volte più di me.

    «Hai avuto il tuo bacio. Ora puoi tornartene a casa, brava ragazza».

    Due

    Lydia

    Trascorriamo il fine settimana a smembrare una valanga di scatole di cartone usate per il trasloco da trasportare fuori, nel cassonetto della differenziata del nostro condominio. Facciamo un salto da Target per articoli di vario tipo e da WinCo per provviste di generi alimentari. Scopriamo Del Taco per la prima volta e proviamo praticamente di tutto dal loro men ù a meno di un dollaro. Tutto questo mentre rivivo quel bacio nella mia mente ancora e ancora e ancora.

    Domani inizierò il mio primo lavoro. Be’, ovviamente non proprio il primo. Ho già fatto qualche lavoro, molti a dire il vero. Lavoretti estivi, lavori dopo la scuola, lavori part-time.

    Ma domani è il mio primo lavoro a tempo pieno, dopo la laurea. È una cosa importante, giusto? Un rito di passaggio, il primo giorno della mia vita da adulta.

    Sono sorpresa anch’io che sia a Las Vegas.

    In un casinò.

    Eppure a quanto pare nei casinò ci sono un sacco di lavori da fare, specialmente in quelli di lusso nuovi di zecca che non hanno ancora aperto. Il Windsor darà lavoro a cinquemila persone non appena aprirà verso la fine del mese, e io sono una di queste.

    Mi sono laureata in risorse umane perché sono un’assistente nata. Adoro aiutare le persone. Anche Payton ama aiutare le persone, ma si è specializzata nel marketing perché alla lsu¹ non esiste una laurea in organizzazione di feste. Parole sue, non mie. Lei adora aiutare le persone a divertirsi, mentre a me piace aiutare gli altri con cose tipo assicurarsi che le loro tasse vengano pagate in tempo. Da piccola, ero quel tipo di bambina che compilava ogni riga del modulo per l’ordine dei biscotti delle Girl Trooper e metteva la X esattamente al centro della colonna in modo che non ci fosse assolutamente confusione tra un ordine di biscotti con gocce di cioccolata e quello di biscotti alla menta. Quindi, ovviamente, ero super spassosa.

    Prima del college non conoscevo Payton, ma una volta mi raccontò di essere stata cacciata dalle Girl Trooper. Qualcosa che riguardava uno schema piramidale dei distintivi. Non seppi mai tutta la storia perché involontariamente ammisi di essere rimasta nelle Girl Trooper fino alla fine del liceo e lei rise così tanto che incrociò le gambe e alla fine cadde.

    Ormai cerco di tenere questa chicca per me. Voglio dire, non era una roba che avrei condiviso volontariamente, mi è semplicemente scappato quando una volta mi ha accennato qualcosa riguardo le Girl Trooper. E le Girl Trooper per me hanno riempito un vuoto materno, essendo cresciuta in una casa senza altre donne all’infuori di me. Ma comunque, con le Girl Trooper ho spaccato. Ho venduto tremilaseicento confezioni di biscotti nell’ultimo anno.

    Non vi preoccupate, sicuramente lo terrò per me.

    Il punto è che amo seguire le regole. Adoro essere precisa e mettere i puntini sulle i, per questo le risorse umane mi si addicono alla perfezione. Ho passato le ultime due estati a fare tirocini nelle risorse umane, per questo non è una situazione totalmente nuova per me. Ed è un lavoro da principiante, ovviamente, ma sono entusiasta di essere impiegata nel campo che io stessa ho scelto.

    Quando è saltata fuori l’idea di trasferirci a Las Vegas, credo che Payton avesse immaginato che saremmo andate a vivere in un grattacielo della Strip, ma sono riuscita a convincerla che vivere sulla Strip non è propriamente fattibile per due ragazze che dovranno pagare debiti studenteschi per circa dieci anni, perciò ci ritroviamo a Henderson. Meglio nota come periferia. Il nostro appartamento è grande. Abbiamo una palestra e una piscina e un parco per i cani e dei campi di bocce. Io non ho un cane e non conosco nessuno che giochi a bocce, che in realtà non so neanche cosa siano, ma è bello averli a disposizione. L’agente immobiliare ne era davvero entusiasta quando siamo venute a vedere questa casa. Inoltre, Del Taco è talmente vicino che potrei andarci a piedi se volessi. Probabilmente non ho voglia di farlo quando fuori ci sono quasi trentotto gradi, ma forse in autunno lo farò. La cosa più importante è che si trova a circa venti minuti di macchina dal lavoro e condividendo un appartamento con due camere da letto è abbordabile.

    Anche Payton verrà a lavorare al Windsor dato che siamo state entrambe tanto fortunate da essere assunte durante una fiera del lavoro che si è tenuta all’università durante l’ultimo anno. Sono cresciuta in uno stato della Bible Belt², il Tennessee, e ho studiato in un altro, la Louisiana, per questo non avrei mai immaginato di trasferirmi nel centro del peccato, ma eccomi qua. E finora è proprio come qualsiasi altro posto. Normale, davvero. Bello. Inoltre, nel Nevada non ci sono imposte sul reddito, perciò posso lavorare sulla restituzione di quell’enorme prestito studentesco molto più in fretta. Doppia vittoria.

    Il pensiero torna a venerdì sera. Al bar. A quel tipo.

    Brava ragazza.

    Perché mi sono eccitata così tanto quando quel tipo mi ha definita una brava ragazza? Quel tipo. È così che devo ricordare l’uomo più attraente che abbia mai baciato, o che probabilmente bacerò mai, perché non so il suo nome. Facile, no? Il momento più normale e educato per ottenere quell’informazione sarebbe stato quando lui mi ha chiesto il mio. Ma io l’ho fatto? No. Ero troppo distratta dall’idea che stava per baciarmi per pensare di chiedergli il nome.

    È egoista, vero? Ero talmente concentrata sull’idea di avere le sue labbra sulle mie che non gli ho neanche chiesto come si chiama. Non che abbia importanza. Mi ha baciata in tutta fretta e mi ha congedato, giusto? Le sue parole di commiato echeggiano continuamente nella mia testa. Ora puoi tornartene a casa, brava ragazza. Era una cosa paternalistica da dire, ma il suo tono non lo era affatto. Era burbero. Profondo. Rauco. Sexy da morire.

    Sono stufa di fare la brava. L’unico tipo di bravura al quale sono interessata con quell’uomo è stare inginocchiata, con le labbra intorno al suo cazzo mentre mi dice quanto sono brava. Brava ragazza, dovrebbe sussurrare, e allora sì che mi piacerebbe. Almeno mi piace nella mia immaginazione. Mi piace un sacco. C’è qualcosa di molto attraente nel sentirsi dire brava quando sei molto, molto volgare. O quando stai pensando di essere volgare, nel mio caso.

    Devo essere la più zoccola tra le non-zoccole di tutto il paese. Sono un’aspirante zoccola, il che è proprio triste, no?

    Ho trascorso gli anni dell’università aspettando di innamorarmi del ragazzo perfetto. No, è una bugia. Non sono delusa, il ragazzo perfetto non esiste. Questo lo so, davvero. Ma mi aspettavo di innamorarmi di qualcuno per cui ne valesse la pena. A cui valesse la pena dare la mia verginità. Cosa? Di certo, non penserete che l’abbia data via alle superiori. Ero molto impegnata al liceo, con i biscotti e tutto il resto. Non per vantarmi o altro, ma quei biscotti mi hanno fruttato un viaggio in Costa Rica. D’accordo, erano due settimane di lavoro nel servizio civile, quindi non era proprio una vacanza al mare o qualcosa del genere, ma era meglio di niente.

    In ogni caso, al liceo non ero quella interessata ai ragazzi. So che molti ragazzi delle superiori non rispettavano le regole e uscivano di nascosto per andare alle feste, ma io non ero interessata. Le feste mi sembravano pericolose. Alle feste accadevano brutte cose. Come socializzare. Minorenni dediti al bere. Entrambe cose inquietanti. Le cose belle succedono quando studi e lavori duro e dedichi il tuo tempo al volontariato per aiutare gli altri.

    Laurearmi all’università da vergine non era nei miei piani. Neanche lontanamente. Il mio essere puritana arriva solo fino a un certo punto. Mi aspettavo che mi sarei conquistata il distintivo per la perdita della verginità con l’avvicinarsi della laurea.

    Avevo immaginato me stessa come il tipo di ragazza che sposa il proprio fidanzato del college, un matrimonio due mesi dopo la laurea.

    Ma non è andata così.

    Non mi immaginavo certo come il tipo di ragazza che si sarebbe eccitata per un estraneo in un bar. Proprio no. Ma quell’uomo sta risvegliando qualcosa in me. Desiderio, suppongo. Non era stato solo il bacio, era lui. Per la verità l’avevo osservato tutta la sera, la mia immaginazione aveva perso il controllo al pensiero delle cose che poteva farmi. Le cose che volevo mi facesse.

    Come ho detto, un’aspirante zoccola. Altrimenti chi se ne starebbe a sedere immaginando un estraneo che la profana in un bar?

    Lunedì mattina entro nel parcheggio del Windsor, il mio stomaco è pieno di farfalle eccitate per il mio primo giorno di lavoro. Payton sta venendo in macchina per conto suo perché è in un altro gruppo di orientamento e non sapevamo se avremmo finito allo stesso orario o meno.

    Quindi sono sola, proprio come una vera adulta. E lo sono. Sono un’adulta. Rido così forte che devo mordermi la parte interna della guancia per controllarmi. Non che sia necessario, sono da sola in macchina, per cui nessuno può vedermi sghignazzare come un’idiota.

    Tamburello le dita sul volante mentre seguo i cartelli che indicano l’area di parcheggio dei dipendenti all’interno del garage. Il resort aprirà tra meno di un mese e i nuovi impiegati inizieranno in blocco nelle prossime quattro settimane. Io sono stata assunta per la gestione, il che significa che non devo occuparmi dell’accoglienza degli ospiti. Sparirò nel settore aziendale del resort al quale non si pensa mai. Risorse umane, legale, marketing, informatico, contabilità: è tutto all’interno, fuori dal campo visivo.

    Trovato uno spazio libero, parcheggio e controllo nuovamente il rossetto nello specchietto retrovisore, poi chiudo la macchina e prendo nota mentalmente del posto dove

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