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Patto italiano
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E-book154 pagine2 ore

Patto italiano

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Info su questo ebook

Il risveglio dal sogno di una notte può essere più dolce della notte stessa. Se la magia, al sorgere del sole, invece di dissolversi resta a scaldare il cuore.
Il mondo del gossip è in subbuglio: sembra davvero che la ex top model Lydia Powell abbia derubato Happy Holidays, la famosa organizzazione benefica infantile. E Cristiano Andretti lo spera con tutte le sue forze. Eccola lì, finalmente, la possibilità di vendicarsi dell'unica donna che lo abbia mai rifiutato: restituirà lui il denaro mancante all'organizzazione se lei accetterà le sue condizioni. E il solo pensiero di Lydia alla sua mercé lo ripaga già dell'umiliazione subita. Alla fine, però, scoprirà che lei non è la perfida arrampicatrice sociale che credeva.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788830513976
Patto italiano
Autore

Lynne Graham

Lynne Graham vive in una bellissima villa nelle campagne dell'Irlanda del Nord.Lynne ama occuparsi della casa e del giardino, soprattutto nel periodo che lei considera il più magico dell'anno, il Natale.

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    Anteprima del libro

    Patto italiano - Lynne Graham

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Mistress Bought and Paid For

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2006 Lynne Graham

    Traduzione di Anna Vassalli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-397-6

    1

    Cristiano Andretti, magnate del software, era sul ponte del proprio yacht. Costruito seguendo le sue precise istruzioni, il Lestara era considerato il panfilo più fantastico mai varato; un palazzo galleggiante, dotato di due piste d’atterraggio per gli elicotteri, un cinematografo, una piscina e un’imbarcazione per raggiungere la costa, ricoverata a poppa e tirata a lucido. Eppure Cristiano non era del tutto soddisfatto.

    I suoi ospiti, nel frattempo, parlavano del panfilo in tono reverenziale.

    «Incredibile...»

    «Un livello di lusso mai visto...»

    «La palestra e il campo da pallacanestro sono davvero fantastici...»

    «L’area panoramica dello scafo mi fa impazzire...»

    «Sessanta membri d’equipaggio... Devi sentirti come un re...»

    L’aria distaccata, lo sguardo perso sul mare, Cristiano si domandò se aveva invitato gli ospiti a bordo solo per sentirsi dire ciò che, ormai, non lo interessava più. Da qualche tempo solo acquisizioni praticamente impossibili o sport estremi riuscivano a scuoterlo dall’apatia. Nato nella ricchezza, aveva scoperto che poche esperienze rispondevano alle promesse iniziali.

    «Sai l’ultima...» domandò Jodie Morgan con l’accento nasale snob, scuotendo Cristiano dalle proprie fantasticherie, «... su Lia Powell?»

    Si irrigidì nel sentire quel nome, e la risatina della donna si accentuò.

    «Se ne parla in tutta Londra. Pensi che si adatterà alla prigione?»

    «Di chi stai parlando?» intervenne Philip Hazlett.

    «Quella Powell... quell’indossatrice che se l’è filata con Mort Stevens. La sua carriera è finita quando si è saputo che lui consumava droga, ed è sparita dalla circolazione» ricordò Jodie al fidanzato con tono allegro. «Un paio di mesi fa ha orchestrato un ritorno sulla scena impegnandosi in un’opera di beneficenza...»

    «Sì, mi pare di ricordare che abbia allestito una sfilata di moda per un’organizzazione benefica, mi sembra fosse l’Happy Holidays, e ha combinato di tutto» la interruppe Philip cercando di chiudere il discorso.

    Indifferente al richiamo tacito, Jodie proseguì imperterrita, ignara del fatto che l’argomento potesse essere sgradito. «Lia ha convinto le sue ex colleghe indossatrici a sfilare gratis, ma il bello è che si è intascata tutto il denaro raccolto per quei poveri bambini!»

    Un lampo d’ira attraversò lo sguardo di Cristiano. In un certo senso lo divertiva il timido tentativo di Philip di ridurre al silenzio Jodie. Evidentemente la giovane non era al corrente della sua breve storia con Lia Powell. In un secondo tornò indietro di diciotto mesi, al primo sguardo rivolto a Lia Powell durante una sfilata. Sottile e sinuosa, avanzava come una principessa, i capelli ramati che le accarezzavano il viso delizioso. Gli immensi occhi azzurri l’avevano stregato quando erano stati presentati, ma il suo sorriso era stato uno sfoggio d’indifferenza. Abituato a riscuotere subito interesse e attenzione, Cristiano era rimasto intrigato, il desiderio acceso da quella sfida imprevista, curioso di scoprire fino a che punto si sarebbe spinta in quel gioco che, ne era certo, era ingenuamente volto ad aumentare il suo interesse.

    Ma, stranamente, aveva sottovalutato l’ambizione del suo obiettivo. Benché al momento non ne fosse consapevole, non era l’unico soggetto ricco e appetibile all’orizzonte di Lia, e lei andava in cerca di qualcosa di meglio di una breve storia. Dopo una manciata di appuntamenti l’aveva invitata nella sua casa di campagna per il fine settimana, e in quell’occasione Lia aveva fatto sfoggio di pudore verginale, rifiutando di dividere la sua suite. All’alba del giorno successivo, in ogni caso, lei era sparita con uno dei suoi ospiti: una rockstar dissoluta, con il doppio dei suoi anni, nota per la dispendiosa abitudine di sposare donne giovanissime. Quando Mort Stevens l’aveva allegramente presentata alla stampa come la nuova fidanzata, Lia doveva essere convinta di aver afferrato la migliore opportunità in termini economici. Sfortunatamente per lei, il destino le aveva mandato all’aria tutti i piani.

    Con un cenno Cristiano chiamò l’efficiente segretaria, sempre pronta a ricevere istruzioni. Mentre gli ospiti pranzavano sul ponte, si era trasferito in ufficio, intento a raccogliere le informazioni che gli servivano. Una chiamata discreta all’editore di un quotidiano nazionale gli aveva rivelato la tipica frase dei giornali, vale a dire che Lia forniva alla polizia informazioni utili alle indagini. Ma ben presto tutti avrebbero saputo la verità. E chi avrebbe simpatizzato per una donna accusata di derubare dei poveri bimbi bisognosi?

    Un crudele sorriso di soddisfazione increspò le labbra perfette di Cristiano. Era consapevole che questa nuova fonte di energia scaturiva dalla frustrazione. In compenso la noia si era dissipata. Si diceva che la vendetta fosse un piatto che andava gustato freddo, ma lui era più che infervorato. Diciotto mesi prima Lia Powell aveva giocato alla verginella per stare lontana dal suo letto e l’aveva ingannato, con estrema impudenza, sotto il suo stesso tetto. Era l’unica donna che si fosse mai rifiutata a lui, andandosene senza voltarsi indietro. E Cristiano sapeva che il motivo di quell’attrazione che gli serpeggiava in corpo era da attribuirsi a quel comportamento.

    In materia di sesso si conosceva perfettamente. Era molto più accorto del suo ultimo patrigno, che si era rovinato la vita per un’attrazione senza speranza per una donna senza cuore. Aveva ben poche illusioni nei confronti di Lia Powell. Era una persona meschina e senza morale. Ma era anche stupenda, ricordò con freddezza, e al prezzo della libertà sarebbe potuta essere sua. Non aveva dubbi in proposito. Qualsiasi ente di beneficenza avrebbe preferito una cospicua donazione a un dispendioso e inopportuno procedimento penale. Lui avrebbe potuto comprare il perdono per Lia Powell. Avrebbe potuto comprare lei. Non aveva mai pagato per il sesso. La voleva fino a quel punto? In quel momento scoprì che il pensiero di avere Lia sotto le lenzuola accanto a sé lo eccitava come ben di rado gli era successo. Sarebbe stata alla sua mercé, disposta a fornirgli sesso ogniqualvolta lui ne avesse avuto voglia, senza complicazioni.

    Riconobbe di aver ben poca tolleranza per quanto riguardava le donne, infatti era noto per la brevità delle sue relazioni. Ma in quel caso si sarebbe trattato di qualcosa di diverso, di qualcosa d’insolito e stimolante. Avrebbe incaricato i suoi legali di stendere un accordo in modo che Lia fosse costretta a soddisfare ogni sua più segreta fantasia.

    Il giovane avvocato rivolse a Lydia uno sguardo preoccupato. «Non posso tirarla fuori dai guai se lei non vuole aiutarsi.»

    Lydia chinò il capo. «Lo so...»

    «Deve pensare a sé» consigliò cauto.

    «No, se comporta far incolpare mia madre» ribatté Lydia tesa. «Tutto questo non ha niente a che fare con lei e non voglio che sia coinvolta.»

    «Ma come cofirmataria degli assegni, è coinvolta» le fece notare l’avvocato. «Ovviamente la polizia vorrà sentire anche lei.»

    Lydia non commentò. Nell’interrogatorio lungo e snervante, la polizia le aveva chiesto più volte dove fosse sua madre, Virginia Carlton, e nessuno le aveva creduto quando aveva risposto di non saperlo; e a lei non importava. Dopotutto, anche se l’avesse saputo avrebbe protetto sua madre tacendo il suo domicilio. Era decisa a fare in modo che Virginia non pagasse per gli errori della figlia.

    Si presentò un poliziotto e l’avvertì che, benché fosse libera sotto cauzione, sarebbe dovuta tornare alla stazione di polizia tra quattro giorni per un altro interrogatorio. Inoltre, mentre stendevano alcuni documenti, avrebbe dovuto attendere in una cella. Il cuore di Lydia si strinse, l’avvocato protestò, ma non ci fu nulla da fare.

    Non appena la porta della cella venne chiusa, Lydia fu scossa da un violento tremito e si accasciò sul lettino stringendosi le braccia intorno al corpo per trovare coraggio. Non aveva senso cedere al panico; avrebbe solo peggiorato la situazione. Gli ingranaggi della giustizia si erano messi in movimento per perseguirla e punirla, e se fosse stata giudicata colpevole sarebbe stata rinchiusa in prigione; tanto valeva abituarsi a una cella. Il denaro dell’Happy Holidays si era volatilizzato e lei non poteva restituirlo. La convinzione di essere l’unica da biasimare per questo stato di cose la colpì come un pugno allo stomaco.

    Incassò le spalle, oppressa dal senso di colpa. Era una sensazione familiare. Le cose andavano sempre male e pareva che fosse puntualmente colpa sua...

    Quando aveva dieci anni era sopravvissuta a un incidente con la barca nel quale suo padre e il fratello minore erano morti. Sua madre, Virginia, ne era rimasta sconvolta. «È colpa tua!» l’aveva accusata furiosa. «Chi è stato a insistere per andare su quella maledetta barca? Tu li hai uccisi. Tu!»

    E benché altri parenti avessero cercato di calmare la donna in preda a una crisi isterica, lei sapeva bene che quello che le aveva buttato in faccia era solo la tragica realtà. In seguito, quando l’attività avviata da suo padre era andata a rotoli e il loro confortevole tenore di vita era cambiato in breve tempo, sapeva di esserne la responsabile. Era stato un vero sollievo, qualche anno dopo, scoprire di essere in grado di restituire una certa agiatezza alla madre. Tra i quattordici e i ventun anni, infatti, lei era riuscita a racimolare una piccola fortuna come indossatrice.

    Ma purtroppo, riconobbe Lydia affranta, era diventata egoista, stupidamente egoista. E poco previdente. Odiava sfilare, e una brutta esperienza e un cuore spezzato l’avevano convinta ad abbandonare il mondo della moda per provare a progettare giardini. Da quel momento tutto quanto era andato a rotoli, e tutto era da attribuire a quella sventata decisione...

    Ancora col terrore di trovarsi davanti i fotografi che l’avevano assediata davanti alla polizia, Lydia fu fatta uscire dalla cella e accompagnata in parlatorio. Grazie a Dio l’unica persona che mostrò il minimo interesse nei suoi confronti era una bruna tutta curve, seduta sulla panca. Sua cugina Gwenna si alzò aggrottando la fronte nel notare il suo viso segnato. Eppure era sempre straordinariamente bella, tanto bella da togliere il fiato.

    «Gwenna?» Lydia non riusciva a credere che la cugina si fosse accollata l’imbarazzo di raggiungerla alla stazione di polizia. «Non saresti dovuta venire...»

    «Non essere sciocca» la rimproverò Gwenna in gallese, mettendosi al fianco della cugina per accompagnarla alla macchina, sfidando i flash che la accecavano. «Sei di famiglia... e dovrei forse lasciarti sola? Ti accompagno a casa.»

    Lydia era troppo commossa per la presenza di Gwenna per trovare le parole giuste in gallese, una lingua che solo di recente aveva riscoperto, quindi si limitò a deglutire il nodo che le serrava la gola e salì sulla vecchia auto. Da ragazzina era spesso stata ospite della cugina quando i suoi genitori erano

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