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Conosco il tuo segreto
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E-book377 pagine5 ore

Conosco il tuo segreto

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Info su questo ebook

Dall'autrice del bestseller La casa delle bugie

Un grande thriller

Lei è perfetta. Ma suo marito può veramente fidarsi di lei?

Clare ha deciso di prendersi una pausa. Il suo è stato un anno difficile e ora vuole rimettersi in sesto. Quale migliore occasione di una vacanza in una splendida villa sulla costiera amalfitana, insieme a tutta la famiglia?
Il marito, Dan, ha molto da farsi perdonare, eppure giura che ha intenzione di restare per sempre al suo fianco. Ma Clare può fidarsi davvero di lui?
L’arrivo di suo fratello Jamie, dopo anni di viaggi all’estero, la rassicura. Questa volta, però, Jamie non è solo. Ha portato con sé la sua novella sposa, una donna che nessuno ha mai incontrato prima. Ella è l’esatto contrario di Clare: affascinante, determinata, sicura di sé. E conosce un segreto su sua cognata, qualcosa che, se rivelato, potrebbe sconvolgere l’intera famiglia. Ma c’è qualcuno che farà tutto il possibile per assicurarsi che la verità non venga mai fuori…

Perfetto per i fan di Jane Shemilt e Angela Marsons

Un thriller imperdibile

«Mi sembra di averlo letto in apnea: toglie il fiato!»

«Un finale pazzesco, impossibile da indovinare. Ho adorato ogni pagina di questo thriller psicologico.»

«L’ho letteralmente divorato in meno di ventiquattr’ore. Scritto talmente bene che fa venire voglia di urlare.»

«L’autrice riesce a entrare sotto la pelle del lettore, insinuando il dubbio in ogni parola. Un capolavoro di suspense.»

«Sue Watson sa come far crescere la tensione. Correrete a leggere gli altri suoi libri, proprio come ho fatto io.» 
Sue Watson
È nata e ha studiato a Manchester per poi trasferirsi a Londra, dove ha scritto per tabloid e riviste femminili. Successivamente ha lavorato come produttrice televisiva per la BBC. Ora vive nel Worcestershire con il marito e la figlia e si dedica a tempo pieno alla scrittura. La Newton Compton ha pubblicato Coincidenze che fanno innamorare, La casa delle bugie e Conosco il tuo segreto.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2021
ISBN9788822746665
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    Anteprima del libro

    Conosco il tuo segreto - Sue Watson

    EN.jpg

    Indice

    Prologo

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Capitolo ventuno

    Capitolo ventidue

    Capitolo ventitré

    Capitolo ventiquattro

    Capitolo venticinque

    Capitolo ventisei

    Capitolo ventisette

    Capitolo ventotto

    Capitolo ventinove

    Capitolo trenta

    Capitolo trentuno

    Capitolo trentadue

    Capitolo trentatré

    Capitolo trentaquattro

    Capitolo trentacinque

    Capitolo trentasei

    Capitolo trentasette

    Capitolo trentotto

    Epilogo

    Una lettera da parte di Sue

    Ringraziamenti

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    2856

    Della stessa autrice:

    La casa delle bugie


    Questa è un’opera di finzione. I nomi, i personaggi, i luoghi,

    le organizzazioni, gli eventi e gli avvenimenti sono frutto

    dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio.

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta,

    memorizzata su un qualsiasi supporto o trasmessa in qualsiasi forma e

    tramite qualsiasi mezzo senza un esplicito consenso da parte dell’editore.

    Titolo originale: The Sister in Law

    Copyright © Sue Watson 2019

    First published in Great Britain in 2019

    by Storyfire Ltd trading as Bookouture

    Sue Watson has asserted her right to be identified

    as the author of this work.

    Traduzione dalla lingua inglese di Vittorio Ambrosio

    Prima edizione ebook: aprile 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-4666-5

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma

    Sue Watson

    Conosco il tuo segreto

    OMINO.jpg

    Newton Compton editori

    A Sharon Beswick, mia amica e compagna del Nord,

    che vive troppo lontano, sotto un sole più caldo.

    Prologo

    Guardai la piscina, cercando di dare un senso alla scena che avevo davanti agli occhi. Una nuvola di capelli biondi si apriva e richiudeva come un paracadute dorato sulla superficie dell’acqua. Il corpo galleggiava sotto un cielo blu accecante.

    Se l’estate scorsa avessi saputo cosa sarebbe successo, sarei partita comunque? È una domanda che mi faccio, a volte. Avrei portato lo stesso la mia famiglia in quella villa bianca baciata dal sole, là dove poi sono venuti a galla segreti in grado di far crollare intere esistenze, nel caldo avvolgente e implacabile della costiera amalfitana? Ma come potevo prevedere che un potere maligno, trasportato dalla brezza insieme all’odore dei limoni, sarebbe penetrato nelle nostre vite trasformandole per sempre?

    È passato un anno eppure ricordo ogni dettaglio. Il suo profumo di salsedine e limone, la sua pelle luminosa come l’oro, e il modo in cui rideva, gettando la testa all’indietro e scoprendo i denti bianchissimi. Mi capita ancora di sentire la sua voce, mielosa e sdolcinata anche mentre diceva cose orribili. A volte mi sembra di vederla, mi appare di sfuggita in una corsia del supermercato, o poco più avanti di me mentre sono in fila alla posta, o ancora nelle fredde mattine d’autunno al parco. Scivola in silenzio tra le ombre degli alberi, e poi d’un tratto mi si para davanti, avvolgendomi in un sudario di terrore e senso di colpa. Mi riporta a ciò che è accaduto. Riesce a trovarmi, riesce sempre a trovarmi.

    Dovunque io vada, so già che sarà lì ad aspettarmi: mia sorella, per il tempo di un’estate, la mia nemesi, la donna che ha cambiato tutto.

    Capitolo uno

    Era appena un anno fa, ma mi sembra passata una vita. Mentre percorrevamo in macchina una strada magnifica sulla costa italiana, sentivo lo stress che mi lasciava poco a poco, e sventolava alle mie spalle come un lungo e morbido foulard. Il pensiero del pericolo non mi sfiorava nemmeno la mente, mentre abbandonavo le mie angosce alle nuvole bianche e purissime dove i detriti del tran tran quotidiano venivano inglobati e digeriti. Perfino la paura che negli ultimi tempi mi stringeva di tanto in tanto la bocca dello stomaco svaniva lentamente.

    Dan era accanto a me e i bambini dormivano sul sedile posteriore. Ricordo di aver pensato: Tutto ciò di cui ho bisogno è qui con me, in quest’auto, e nessuno può portarmelo via. Quella pausa ci serviva, ed ero emozionata al pensiero di passare del tempo insieme, come ogni famiglia dovrebbe poter fare: due intere settimane di puro e semplice divertimento, senza preoccupazioni. Non vedevo l’ora di giocare con i bambini, mangiare tonnellate di pasta e stendermi sotto il sole bollente. Ma soprattutto aspettavo il momento in cui io e Dan avremmo potuto starcene a parlare di tutto e niente, e godere soltanto della reciproca compagnia, ricordando l’uno all’altra perché stavamo insieme.

    Mi voltai a guardare fuori dal finestrino. «Bisogna lavorarci, su un matrimonio: le migliori unioni non capitano per caso», mi aveva detto mia suocera. E aveva ragione. Joy aveva sempre ragione.

    Dan stava di nuovo schiacciando un po’ troppo sull’acceleratore. Tenevo stretto il sedile con una mano e la cintura di sicurezza con l’altra, ma non dissi nulla. Non volevo rovinare il momento, così provai a concentrarmi sul riverbero del calore sull’asfalto. Avrei voluto supplicarlo di rallentare, i nostri figli che dormivano lì dietro erano un carico troppo fragile e prezioso. Le stradine tortuose non erano abbastanza larghe per far passare più di una macchina. Trattenni il fiato mentre sfrecciavamo su per una collina, allontanandoci dal mare scintillante. Riuscii a non dire nulla sulla sua guida spericolata, non volevo sentirmi una guastafeste, una moglie noiosa e petulante. L’esatto opposto della mogliettina sexy e spensierata che avevo intenzione di essere.

    Ma dopo quindici anni di matrimonio non avevamo bisogno di parole per comunicare, così quando si voltò a guardarmi colse all’istante la paura nei miei lineamenti.

    «Direi che non ti piace andare a centosessanta all’ora sulle stradine costiere a strapiombo», disse con un sorriso. «Strano!».

    «No che non mi piace», risposi ricambiando il sorriso. Poi gli diedi un colpetto sul braccio e aggiunsi: «E non è per niente strano! Anche se siamo in Italia, tu non sei un pilota Ferrari e questa strada non è un circuito da corsa».

    «Be’, lasciami sognare un po’». Sorrise lanciandomi uno sguardo furbetto, e poggiò una mano sul mio ginocchio.

    «Occhi puntati sulla strada e mani sul volante, prego!», dissi fingendomi indignata. Ma non gli scostai la mano e assaporai la sua attenzione. Con tre bambini al di sotto dei dieci anni, una palpatina al ginocchio era il massimo dei preliminari che potevamo concederci, ma ero certa che questa vacanza avrebbe rimesso tutto a posto.

    Mi voltai a osservare i tre visini perfetti e angelici sul sedile posteriore, e fui investita come sempre da una valanga d’amore travolgente.

    «Incredibile che ci stiano facendo la cortesia di dormire tutti insieme», dissi. «Questa pace è meravigliosa, ma mi sembra tutto troppo tranquillo».

    «Ancora per poco. Tra un po’ arriveremo alla villa e si sveglieranno. Godiamoci la quiete». Questa volta aveva gli occhi fissi sulla strada. «Mi sto già pregustando tutto: una piscina enorme, litri e litri di vino, cielo azzurro senza confini. Rincorrerli prima di andarci a fare un bagno», e con la testa accennò ai bambini. Quando finalmente iniziò a usare i freni, mi venne la nausea.

    «Dovresti rallentare ancora un po’, Dan». La mia voce voleva essere spensierata, ma era avvolta dal panico. Dan non era mai stato un amante della velocità, mi sembrava una novità pericolosa. Sembrava pericoloso lui. Stava forse diventando uno di quegli uomini di mezza età che cercano il brivido in ogni aspetto della vita? Per un attimo pensai al marito della mia amica Jackie, che prima si era concesso un’auto sportiva e poi aveva lasciato la moglie per un’adolescente.

    Alla fine Dan rallentò e riuscii a rilassarmi e a godermi la vista fantastica, mentre ci arrampicavamo sempre più in alto seguendo la strada.

    Come sempre, avremmo trascorso le vacanze con i genitori e il fratello di Dan. Quest’anno avrebbe segnato una svolta, perché Joy e Bob, i miei suoceri, avevano deciso di lasciare l’impresa di famiglia, e non sarebbero tornati al lavoro dopo le due settimane di vacanza. Dan lavorava per loro da vent’anni, ma adesso, in occasione del pensionamento dei genitori, il fratello minore Jamie si era fatto avanti e aveva deciso di punto in bianco di tornare a casa e unirsi alla ditta, come la chiamava lui.

    Nei suoi trentacinque anni di vita, Jamie non aveva mai fatto parte della piccola agenzia che operava nella compravendita di immobili e terreni nei sobborghi di Manchester. Era troppo impegnato a visitare il mondo, e durante le sue brevi permanenze a casa incantava tutti raccontando storie colorite – e con ogni probabilità esagerate – dei suoi viaggi in Nepal, Thailandia, Africa, sulle coste australiane o nei campi della morte in Cambogia. In pratica tutto quello che non aveva fatto Dan. Lui, appena finita la scuola, era entrato nell’agenzia, e si era occupato di tenerla a galla negli ultimi anni a costo di enormi sacrifici. Nel frattempo, i genitori avevano viziato l’altro figlio e gli avevano concesso qualsiasi libertà, salvo lanciargli un’occhiata di affettuoso rimprovero ogni volta che iniziava a parlare della sua ultima avventura.

    «Quello spirito libero di mio figlio non metterà mai la testa a posto», amava dire Joy, ma quella frustrazione affettata non riusciva a mascherare il suo orgoglio. Durante i viaggi di Jamie la madre sentiva molto la sua mancanza, ma era al settimo cielo ogni volta che lui la chiamava con FaceTime mostrandole la meta esotica di turno. E non perdeva mai occasione di propinare a chiunque le foto che il figlio postava su Instagram, anche a chi non era affatto interessato.

    «Non riesco a capire questa inversione di rotta. Perché mai Jamie dovrebbe abbandonare tutto e venire a lavorare con me alla Taylor’s? Durerà poco». Dan meditava a voce alta mentre eravamo in macchina diretti alla villa.

    «Mmm, niente spiagge, cibi esotici, donne bellissime in bikini… Povero, come farà mai?». Il pensiero delle foto di Jamie, sempre piene di cieli azzurri, mari cristallini e corpi da sfilata di moda, mi fece sospirare.

    Capivo bene il sottile risentimento di Dan: era difficile non considerare alquanto egoistico lo stile di vita del fratellino, anche perché i genitori erano stati costretti a prestargli dei soldi in più di un’occasione. I Taylor, secondo la definizione di Joy, erano una famiglia agiata. Non erano ricchi sfondati, e Dan aveva tutti i motivi per non accettare di buon grado che i genitori mettessero mano al portafoglio per aiutare il fratello. Ma Jamie era ancora il bimbo di Joy, e sia lei che Bob avrebbero fatto qualsiasi cosa per i figli. Joy sentiva molto la mancanza del minore quando lui era via, e se non la chiamava o non le scriveva per qualche giorno si metteva a spulciare tutte le sue pagine social in cerca di ogni minima informazione. «Posso ritrovare il mio Jamie su Instagram ogni volta che voglio», amava ripetere, come se l’unico scopo di quel profilo fosse farla stare tranquilla. Il più banale scatto di Jamie su una spiaggia cambogiana la riempiva di meraviglia, e andava in estasi quando lui si ripresentava alla porta di casa. «Ma la foto dice che sei qui!», esclamava mostrando il telefonino, al che lui le spiegava che era stata pubblicata giorni prima, e il siparietto si concludeva con Joy che rideva scuotendo la testa, incredula delle magie che il mio Jamie riusciva a compiere online. Di sicuro aveva già capito benissimo anche senza spiegazioni, ma era tutto parte del gioco che metteva in scena con i suoi ragazzi: un modo di farli sentire speciali, perfino superiori. Con Joy non si poteva mai avere la certezza di chi stesse giocando con chi, ma non ho dubbi che, sebbene le piacesse fare la parte dell’ingenua, fosse quasi sempre lei a tenere le redini.

    «Ieri ho parlato con tua madre prima di partire, dice che la villa è bellissima. Loro sono arrivati verso le otto di sera», dissi. Poi aggiunsi con aria malinconica: «Spero solo che riescano a rilassarsi e a distendersi un po’». Per me era un sogno irrealizzabile. Oltre a essere un’infermiera e una mamma a tempo pieno, curavo anche il sito della Taylor’s, cosa che a volte mi sembrava un secondo lavoro a tutti gli effetti. Di conseguenza, le mie giornate non prevedevano momenti di relax neanche quand’ero a casa, ma mi ero ripromessa di non fare assolutamente nulla nelle due settimane di vacanza. Il sito poteva aspettare.

    «Ti immagini papà e mamma insieme per tutto il giorno, da pensionati? Lei non gli permetterebbe di riposarsi un minuto». Dan sorrise a quel pensiero, scuotendo la testa.

    «Sarà costretto a fare avanti e indietro dal supermercato per comprare pomodori secchi, cetriolini o qualsiasi altra cosa tua madre decida di servire a pranzo alle sue amiche quel giorno», aggiunsi.

    Dan mi lanciò una rapida occhiata e scoppiammo a ridere, complici.

    «Non hanno molto in comune, vero? A volte mi chiedo di cosa parlino, i tuoi genitori».

    Con un’alzata di spalle, Dan rispose: «Di cosa parla una qualsiasi coppia?».

    Sentii un piccolo tonfo al cuore a queste parole. Era così che vedeva noi due, come una qualsiasi coppia? Ci considerava come i suoi genitori, due persone sposate da tempo con quasi nulla in comune? Ma prima che mi potessi perdere in questi pensieri sgradevoli, Dan affrontò a tutta velocità una curva a gomito.

    «Per favore, rallenti?», gli dissi. «Ci sono i bambini, che ti prende?».

    Mi accorsi che stringeva i denti in un ghigno appena accennato, ma alla fine rallentò.

    Per arrivare dall’aeroporto di Napoli alla villa, secondo il navigatore, avremmo impiegato poco più di un’ora. Eravamo passati dal traffico della città allo spettacolo di un mare calmo e scintillante, e ora continuavamo a scalare la ripida collina lungo una strada costeggiata di vigneti. Le foglie di vite di tutte le sfumature di verde giocavano a nascondino con il sole.

    Di tanto in tanto scorgevamo tra gli alberi il mare brillante alla luce del tramonto. Che splendore… Ricordo il brivido di emozione che mi attraversò al pensiero delle due settimane che stavano per iniziare. Non vedevo l’ora di fare un bagno con Dan e i bambini, cucinare piatti squisiti con Joy e passare lunghi pomeriggi a prendere il sole tutti insieme. Con tutti gli impegni che avevamo di solito, sarebbe stata un’occasione unica per chiacchierare, stare più tempo con i piccoli e anche con i genitori di Dan. Sarebbe stato fantastico, proprio quello che ci serviva. I miei obiettivi principali per quella vacanza erano far prendere confidenza a Freddie con l’acqua e insegnare ad Alfie a nuotare.

    Mio padre l’aveva fatto con me, alla piscina pubblica. Ci andavamo ogni sabato pomeriggio, e una volta, l’estate dei miei nove anni, riuscii a fare una vasca intera. Mi ricordo di essermi sentita come un’atleta olimpionica, con i piedi staccati dal fondo, le braccia che mulinavano e mi spingevano sempre più avanti, e mio padre che faceva il tifo per me. L’inverno successivo, il suo camion sbandò su una strada ghiacciata e se lo portò via.

    Mamma non si riprese mai dopo la sua morte, e le nostre vite cambiarono dalla sera alla mattina. A nove anni la mia infanzia era già finita, e passai il decennio successivo a raccogliere i cocci del suo lutto inconsolabile, fino a che non morì anche lei. La causa ufficiale fu il cancro, ma sapevo bene che in realtà era stato il suo cuore infranto a ucciderla. Così a diciannove anni mi ritrovai orfana, sola, senza uno straccio di famiglia. Finché non conobbi Dan e i Taylor.

    Capitolo due

    Una vocina dal sedile posteriore interruppe il filo dei miei pensieri. Con i suoi nove anni, Violet era la più grande dei tre, cosa che l’aveva resa responsabile, sensibile e un po’ ansiosa. «Siamo arrivati?». Il sole le illuminava i lunghi capelli biondi, e prima di risponderle restai un attimo a osservarla: la mia piccolina stava diventando grande.

    «Ci siamo quasi, tesoro», disse Dan per rassicurarla.

    «Nonna e nonno sono già lì?»

    «Certo». Mi voltai per sorriderle, e la trovai persino più pallida e ansiosa del solito, forse per il piccolo trauma di essersi risvegliata in un posto sconosciuto. «Sono arrivati ieri. Nonna dice che la villa è meravigliosa. Bimbi, bimbi…», sussurrai toccando la gamba di Alfie. «Sveglia, ci siamo quasi».

    Alfie, di quattro anni, si stiracchiò ancora mezzo addormentato, ma Freddie, che di anni ne aveva appena due, non era ancora in grado di affrontare senza problemi un insolito risveglio in macchina, e scoppiò a piangere. «Piantala!» sbottò Alfie, al che Violet si intromise con un «Piantala tu!», dando il via a un litigio che esasperò ancora di più il piccolo Freddie. Che gioia avere tre figli… Finché si divertivano ed erano contenti, sapevano ripagarmi con una montagna di gioia e di meraviglia, ma al minimo accenno di stanchezza si abbandonavano ai capricci, e non facevano altro che punzecchiarsi a vicenda.

    Sognavo cinque minuti di pace, il lusso di riuscire a leggere un capitolo intero di un libro o il miraggio di poter andare in bagno da sola. Al solo pensiero, provavo un fremito di desiderio.

    Provai a offrire parole di conforto ai piccoli passeggeri: «Manca pochissimo! Ditemi un po’: cosa vedete dal finestrino?». I bambini iniziarono a urlare a caso nomi di alberi e montagne. Quando Alfie si inventò di aver visto un dinosauro, Violet gli disse che era solo un povero stupido e ne nacque un nuovo litigio.

    «Ottimo lavoro, Clare», mi prese in giro Dan.

    «Chiamami quando saprai fare di meglio!», risposi facendogli la linguaccia. Lui se ne accorse con la coda dell’occhio e si mise a ridere. Alla fine dissi con dolcezza: «Su, ragazzi, ora basta», e contravvenendo alle regole di qualsiasi blog su come essere bravi genitori, mi lanciai in vaghe promesse di bagni in piscina e coni gelato che attendevano chi si fosse comportato bene in macchina. Ogni ostilità cessò di colpo, e Violet informò i fratelli che avrebbe scelto un gelato alla fragola con i confettini. Alfie le suggerì il gusto rana spiaccicata, e l’idea lo fece piegare in due dalle risate. Violet gli rispose spiegandogli con grande serietà: «Non esiste un gusto così, scemo».

    Sorrisi e tornai a guardare fuori dal finestrino, osservando un gruppetto di giovani donne in shorts. Fu un tuffo al cuore realizzare che, a quarantun anni suonati, potevo benissimo essere la madre. Invidiavo la loro bellezza fresca e rilassata, nonché il loro tempo libero, un bene che non si apprezza davvero finché non si hanno figli. Una volta ero come loro, mentre adesso non avevo neanche più un momento per depilarmi le gambe. Era finita l’epoca delle cerette all’inguine in vista delle vacanze, dei trattamenti esfolianti in ogni parte del corpo, delle creme autoabbronzanti e dei vestitini estivi. In effetti, però, almeno sulle gambe avrei dovuto depilarmi. Mi sembrava quasi di sentire la voce di Joy. Era stata lei a dirmi: «Prendersi cura del proprio aspetto è il più bel regalo che una donna può farsi. E anche a suo marito». Intendeva di certo darmi un consiglio materno, e apprezzai il suo tentativo, ma le dritte di Joy in campo matrimoniale erano a dir poco datate. Speravo davvero che il mondo fosse ormai abbastanza evoluto da non consentire che i sentimenti di un partner potessero essere intaccati da qualche pelo un po’ più lungo sulle gambe. Mi chiesi se Dan se ne sarebbe anche solo accorto. Ne dubitavo, e la cosa non costituiva una priorità neanche per me. Malgrado i consigli di Joy per essere una perfetta bambolina, nessuna moglie era mai morta per non essersi depilata o per non aver usato il rossetto. Per quelle due settimane di vacanza, non avevo alcuna intenzione di perdere tempo prezioso a truccarmi o a tirarmi via i peli. E se questo significava essere sciatta, be’, sarei stata sciatta.

    Finalmente arrivammo al ripido vialetto di ghiaia della villa. Stretto tra il mare e le montagne, il grande edificio a tre piani doveva aver avuto un passato glorioso, ma l’intonaco alle pareti era ormai in gran parte sgretolato a causa della lunga esposizione alla salsedine.

    Saltai fuori dall’auto non appena Dan tirò il freno a mano, e camminai verso gli alberi per dare un’occhiata al panorama. L’atmosfera ribolliva ancora del calore del giorno, soprattutto per il contrasto con l’aria condizionata della macchina, ma dalla costa in basso arrivava una leggera brezza che odorava di salsedine e pini. Il giardino era incorniciato tutto intorno da cipressi, e più in là si intravedevano le luminose piastrelle turchesi della piscina. Ancora oltre, si apriva una vista spettacolare del mare al tramonto, frammentata da milioni di sfumature blu e oro.

    Desideravo vivere quei primi istanti da sola, accogliere dentro di me tutto ciò che vedevo, respirare quell’aria pura e serena immaginando le gioie che mi attendevano. Mentre Dan aiutava i bambini a scendere dall’auto, catturai quel momento e lo trattenni, lasciandolo sedimentare. Come una farfalla che viene a posarsi sul tuo palmo. Solo che poi volò via, scomparendo in quello che ancora restava della luce del giorno.

    Dopo circa un minuto e mezzo di pace, comunque un record personale, i miei figli tornarono all’attacco. «Mamma, mamma…»; «Mamma posso prendere…»; «Ma avevi detto che potevamo…»; «L’avevi promesso…». Ed eravamo appena arrivati.

    Richiamata dalle voci squillanti dei bambini, d’improvviso apparve Joy, cipria e rossetto appena ripassati. Bob la seguiva placido con un grande sorriso stampato sulle labbra.

    «Benvenuti! Che bello che siate tutti qui», disse Joy abbracciandoci. Profumava di rose fresche.

    Bob, come sempre, si dimostrò caloroso e affabile. Mentre ci stringeva non riusciva a non ripetere il solito «Fantastico, fantastico». Sul suo viso traspariva l’enorme gioia di avere di nuovo la famiglia accanto.

    «Clare, vieni con me, le valigie lasciamole agli uomini di casa. Ti mostro il giardino», insisté Joy, afferrandomi per il gomito. Passammo sotto un’arcata di foglie mentre Bob dava una mano a Dan con i bagagli.

    I bambini ci seguirono saltellandoci intorno. Le voci dei due uomini che mettevano a confronto le strade che avevano preso per arrivare fin lì si affievolivano man mano che io e Joy proseguivamo nel grande giardino immerso nel crepuscolo. Presi in braccio Freddie e dissi a Violet di stare attenta che Alfie non finisse nella piscina, mentre Joy mi mostrava incantata la buganvillea che ricopriva la porta d’ingresso decorata con piastrelle di maiolica. «Che colore magnifico!», aggiunse con un profondo sospiro. Espressi anch’io la mia meraviglia. Mentre i bambini correvano come impazziti a bordo piscina, Joy mi parlò di cosa avremmo mangiato e delle gustosissime ricette che aveva scoperto dall’ultima vacanza che avevamo fatto insieme, l’anno prima. Entrambe avevamo la passione per la cucina, e amavamo discutere di ricette e analizzarle passaggio per passaggio. Era una cosa che ci aveva legate. Un tempo lo facevo con mia madre, e a suo modo Joy ne aveva raccolto il testimone. «Non potrò mai essere tua mamma, ma proverò a non farti sentire sola senza di lei», mi aveva detto il giorno del mio matrimonio. Quelle parole mi avevano fatto piangere, ma lei era lì, pronta a evitare che mi si sciogliesse il trucco porgendomi un fazzolettino. Proprio come una mamma. Negli anni a seguire aveva mantenuto la promessa, e ogni volta che avevo sentito il bisogno di una voce amica, lei era sempre stata lì, la madre di cui avevo bisogno.

    «Questa sera preparo un risotto», disse mentre passeggiavamo nel giardino. Pronunciò la parola risotto con un perfetto accento italiano, come non aveva mai fatto prima. Di sicuro doveva averla sentita da un cameriere al ristorante, la sera precedente. Joy era un camaleonte. Essendo cresciuta in una famiglia piuttosto povera, l’ambizione era nel suo DNA, e a volte sembrava tenersi a cavallo di due mondi. La sua vita pareva divisa in maniera netta tra passato e presente. Bob era il suo fidanzatino squattrinato dei tempi dell’adolescenza che alla fine era riuscito a darle la vita che lei pensava di meritare, aprendole le porte di un mondo del tutto diverso. Nonostante non fossero ricchi da far schifo, era innegabile che avessero compiuto un enorme balzo nella scala sociale. Una villetta indipendente nel Cheshire, porta a porta con i calciatori del Manchester United, non vale meno di una reggia per chi viene dalle case a schiera di periferia.

    Negli anni, Joy era riuscita a trasformarsi, camuffando le proprie radici con guardaroba di abiti di sartoria, e ascoltando con attenzione le altre donne eleganti che frequentava per emularne intonazione, vezzi e idee all’antica. Nel mondo di Joy, gli uomini avevano solo due funzioni: fare soldi e sollevare oggetti pesanti. Tutto il resto era roba per noi ragazze. Nel frattempo Bob era stato troppo impegnato a fare soldi per imparare a indossare una cravatta o perdere il suo accento del Nord, ma in un modo o nell’altro ce l’avevano fatta.

    «Maaamma, possiamo fare il bagno?», urlò Violet dal lato opposto della grande piscina.

    «Tesoro, non sono sicura che…».

    «Eddaaai», mi interruppe. Gli altri due, come ispirati dalla sorella, presero a frignare.

    Ero troppo stanca per litigare, desideravo soltanto che quella prima sera alla villa scivolasse via senza problemi, per cui mi arresi nel giro di pochi secondi.

    «Va bene», sospirai alzando gli occhi al cielo. Poi mi rivolsi a Joy: «Scusa, devo andare a dare un’occhiata ai bambini». Avevo addosso un jeans e una T-shirt, e pensai che mi sarebbe bastato fare qualche risvolto ai pantaloni per bagnarmi un po’ i piedi a bordo piscina, tenendo i miei figli nel lato dove l’acqua era più bassa.

    Ma Joy intervenne con una punta di risentimento: «Ma, cara, non credi sia un tantino tardi per fagli fare il bagno?». La domanda retorica presupponeva che io mi limitassi a essere d’accordo e a comunicare ai bambini che avevo cambiato idea. Era passata una vita da quando Joy aveva avuto dei figli piccoli, e a volte sembrava aver dimenticato che infrangere una promessa rischiava di far scoppiare la terza guerra mondiale. Sapevo bene quanto Joy potesse diventare petulante davanti a una disobbedienza, ma mi spaventava molto di più il quadro di tre bimbi sul punto di iniziare a piangere tutti insieme per la delusione.

    Era evidente che la nonna, che di sicuro era già pronta per il consueto gin tonic, considerasse tutta la scenetta soltanto un fastidio. Nei pomeriggi di vacanza, il suo mantra era: «Non è mai troppo presto per un drink. Da qualche parte nel mondo è già l’ora dell’aperitivo!». Sebbene provasse a mascherarlo, le sue labbra serrate come se avesse succhiato un limone la tradivano. Nella sua testa aveva già composto un quadretto ideale con il sole che baciava i capelli biondi dei suoi nipotini incorniciandoli in un’aureola di luce. Aveva già pianificato che cenassero con noi, docili e obbedienti, per poi filare a letto senza opporre nemmeno la più debole resistenza. Purtroppo per lei, i bambini avevano piani ben diversi.

    Joy era gentile e carina, ma a volte sembrava che nessuno di noi riuscisse a essere all’altezza delle sue aspettative, perfino gli amati nipoti. Non era così che aveva programmato il nostro arrivo. Incrociò le braccia e strinse forte, quasi come se temesse che lasciando la presa sarebbe stata costretta a gettarsi anche lei in piscina. Povera Joy, brutto colpo. I nostri appuntamenti da ragazze in vacanza contavano molto per lei, come per me del resto, ma gli uomini erano ancora alle prese con i bagagli, e finché non fosse apparso Dan o i bambini non fossero stati al sicuro dentro casa, spettava a noi controllarli. Per quanto lo desiderassi, non potevo ancora essere la sua compagna di bevute. Intanto, dall’altro lato della piscina, Alfie si stava già spogliando.

    «Alfie, no, non da quella parte!», dissi. «È troppo profondo. Vieni qui». Mi diressi verso di lui, rivolgendo a Joy uno sguardo di scuse. Lei sorrise, ma il suo sopracciglio alzato esprimeva un certo disappunto. «Aspetta, Alfie… Smettila!», urlai, ma lui continuò a togliersi i vestiti, lanciandoli in aria neanche fosse Magic Mike. Provai a fare la voce grossa per fargli capire chi comandava: «Se non vieni subito sul lato basso della piscina, ti spedisco dritto in camera!».

    «No!», urlò lui, per poi adottare un approccio diverso, iniziando a piagnucolare: «Maaamma…».

    «Avevi promesso che potevamo farci il bagno», intervenne Violet, terminando la frase del fratello dall’altra parte del giardino.

    «Non avete neanche dato un’occhiata in giro. Non vi piacerebbe vedere com’è la casa all’interno?», si inserì Joy con un appello a Violet, che non si fece ingannare dallo sfacciato tentativo di distrazione e non rispose. Joy provò la strada della minaccia: «Io e la mamma ce ne andiamo dentro». Immagino sperasse che i bambini avrebbero preferito ammirare gli interni decorati della villa piuttosto che tuffarsi in piscina. Certo, come no.

    Alfie, ormai completamente nudo, era in equilibrio precario sul bordo, mentre Violet aspettava me dal lato meno profondo. Forse una parte di me avrebbe davvero preferito entrare in casa con Joy e osservare con meraviglia le bellezze della villa, con in mano un gin tonic ghiacciato impreziosito da una fetta di limone appena tagliata. Ma, maledizione, mio figlio di quattro anni era in piedi davanti a due metri d’acqua.

    «È un po’ tardi, Clare,

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