Il ladro di orfani
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Un bestseller internazionale
Mentre le bombe di Hitler piovono sull’Inghilterra provata dalla guerra e assediata dal nemico, Ruby Shadwell subisce una perdita devastante: tutta la sua famiglia viene uccisa durante il blitz di Coventry. Sola e con la città nel caos, Ruby è però determinata a sopravvivere. Non intende arrendersi senza lottare. Ed è un incontro fortuito con un monello di strada, il piccolo Tommy, a fornirle l’occasione di cui ha bisogno. Lei ancora non lo sa, ma la sua vita sta per cambiare. Non solo grazie a Tommy, ma anche per merito del sergente canadese Jean-Paul Clayton. Jean-Paul è affascinato dalla determinazione di Ruby e dal suo carattere indomito e vuole aiutarla, ma lei ha paura di aprirgli il suo cuore: non potrebbe sopportare un’altra perdita.
Può l’amore fiorire tra le rovine? O la guerra porterà via con sé anche l’ultima possibilità che Ruby ha per essere felice?
Quando tutto sembra perduto la speranza sopravvive e l’amore fiorisce tra le macerie
«La voglia di leggerlo non ti abbandona fino all’ultima pagina.»
«Un must per gli appassionati di romanzi storici sulla seconda guerra mondiale.»
«Il libro più commovente e bello che ho letto quest’anno.»
«Quando un’autrice sa regalare tutte queste emozioni vuol dire che ha un grande talento.»
Glynis Peters
È una scrittrice di romanzi storici. Vive con il marito in una località sul mare dell’Essex e ama pescare, decorare biglietti d’auguri e ricamare. La Newton Compton ha pubblicato La bambina con la valigia di cartone e Il ladro di orfani.
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Anteprima del libro
Il ladro di orfani - Glynis Peters
Prologo
Coventry, 25 dicembre 1938
La tavola, imbandita di verdure fresche e costolette di manzo, riempiva la stanza. Sulle sedie intorno a essa c’erano le sue persone preferite. Ruby Shadwell le guardò mangiare e chiacchierare del Natale precedente, quando al tavolo c’erano altri due anziani della famiglia, il nonno paterno e quello materno.
Anche se erano stati entrambi amati, erano anche ricordati per la loro visione cupa della vita. Quel giorno nessuno sbatteva sul tavolo per avere silenzio, e Ruby si rilassò sulla sedia. Sua nonna aveva elogiato i suoi genitori per quel banchetto; i suoi fratelli avevano l’acquolina in bocca mentre il padre tagliava la carne sul vassoio e la madre, bellissima nel suo vestito nuovo, faceva avanti e indietro dalla cucina. Ruby osservò la sua famiglia per tutta la giornata. Suo padre, educatissimo con la suocera e molto amichevole con i bambini, le aveva fatto i complimenti, e Ruby l’aveva addirittura visto baciare sua madre sulla guancia. Aveva programmato la giornata in modo minuzioso e non venne sprecato neanche un minuto.
Dopo pranzo giocarono a sciarada e la sera intonarono canzoni natalizie vicino al camino. Restarono seduti in silenzio quando sua sorella minore, Lucy, recitò una poesia, e sorrisero quando suo fratello finse di russare alla fine, guadagnandosi uno scappellotto leggero da parte del padre.
Anche Santo Stefano sarebbe stato un giorno di riposo e il padre aveva promesso loro una giornata come quella di Natale.
Ruby preferiva di gran lunga leggere un buon libro piuttosto che trapiantare o raccogliere verdure da vendere nel negozio di famiglia, ma non riusciva a credere che suo padre avrebbe mantenuto la promessa. Anche se l’atmosfera nella stanza era allegra, gli adulti erano avvolti da una nube di malinconia.
La guerra incombeva, ma durante la loro giornata speciale non se ne parlò. Non appena i più piccoli si addormentarono, però, gli adulti tornarono a esprimere la loro preoccupazione per Hitler e il suo desiderio di controllare l’Europa.
A quattordici anni, Ruby capiva cosa volesse dire affrontare una guerra. I suoi nonni e suo padre ne avevano già combattuta una, e lei stessa aveva visto uomini mutilati o che avevano problemi respiratori per il gas inalato all’epoca. Sapeva che quando si limitava ad ascoltare in silenzio, suo padre tendeva a dimenticarsi della sua presenza ed esprimeva le sue opinioni sull’attualità. Quel giorno non la deluse e lei assorbì ogni sua parola. Dietro l’angolo li attendevano giorni bui, ne era consapevole, ma il quando dipendeva dai politici in patria e all’estero. La famiglia Shadwell poteva solo sperare che l’equilibrio della loro vita non venisse alterato.
Toronto, Canada, 25 dicembre 1938
Jean-Paul Clayton junior guardava suo padre immergere il negativo nella soluzione. La loro camera oscura ospitava molti negativi gocciolanti in attesa di mostrare ciò che i due uomini avevano catturato con i loro obiettivi.
La fotografia era la sua passione e il passatempo del padre; quando Jean-Paul aveva accennato di volersi licenziare dalla banca per occuparsene a tempo pieno, i suoi genitori non l’avevano presa bene. A diciannove anni, nonostante la tentazione di ribellarsi, aveva seguito il loro consiglio: avrebbe continuato a guadagnare, creando nel frattempo un portfolio con i suoi lavori che lo avrebbe aiutato in futuro a intraprendere quella carriera.
Scartò il regalo dei suoi, una prova del fatto che capivano la sua impazienza. Ora possedeva uno degli ultimi modelli di macchina fotografica e un biglietto per viaggiare in tutto il Canada. Con la notizia che l’Europa si preparava alla guerra, i suoi genitori volevano che vivesse un’avventura durante le vacanze estive. Sua sorella ricevette gioielli, e quel dono la rese felice quanto lui lo era del suo, ma Jean-Paul sapeva che il suo regalo non sarebbe mai passato di moda. Una macchina fotografica avrebbe sempre catturato la vita attraverso l’obiettivo, e lui non intendeva perdersene neanche un momento.
Capitolo uno
Coventry, 15 novembre 1940
Ruby Shadwell fissò la strada, sbatté le palpebre incredula e poi guardò di nuovo nel buio, verso un enorme cratere fumante. Un raggio del sole nascente balenò da dietro una nuvola e si posò sui frammenti di vetri rotti, facendole capire cosa c’era sotto. L’epicentro dell’orrore.
Il posto in cui i suoi genitori e i suoi due fratelli si sedevano per godersi la cioccolata accanto al camino, come facevano tutte le sere. Ruby ne era sicura: nonostante l’allarme antiaereo, non avevano cambiato la loro routine.
Anche se si fossero trovati nel rifugio Anderson in fondo al giardino, la scena davanti a lei sarebbe stata la stessa. Devastazione totale. I suoi familiari erano rimasti schiacciati come formiche sotto il piede di un umano.
Dal cielo cadevano fiocchi di un bianco sporco. Allungò una mano. Non era neve, ma qualcosa simile alla cenere del caminetto di casa loro. Una casa che però non c’era più.
Ruby si strinse forte tra le braccia, affondando le dita nel cappotto di lana che indossava fino a sentire la carne. A sedici anni, non riusciva a ricordare di aver mai provato un dolore tanto profondo, neanche quando il suo caro nonno era mancato. Incapace di assimilare l’immensità del disastro, restò immobile a fissare il cratere nella speranza che si trattasse di un sogno. Avrebbe perfino accettato un incubo, uno in cui la sua famiglia sarebbe risalita in superficie. Di nuovo nella sua vita.
Il suo corpo, provato dal gelo di novembre e dal vento dell’Est, era rigido e ammaccato.
Sentì la pioggia su viso e si asciugò; la pelle era irritata per il freddo, ma lei era incapace di andarsene dal luogo che un tempo era casa sua. Come si era arrivati a tanto?
Mentre stava tornando a casa da Lammas Road, Ruby aveva visto la prima bomba cadere; a quel punto una sentinella le aveva afferrato il braccio e l’aveva portata di corsa nel rifugio pubblico sotto il Radford Common.
Qualcuno aveva detto che erano le 19:12 quando le sirene della città avevano iniziato a suonare. Avevano superato di corsa un gruppo e si erano diretti al rifugio, con la sentinella che gridava loro di accelerare il passo. Un’anziana era inciampata e la sentinella aveva lasciato Ruby per aiutare lei. Il nemico aveva attaccato mentre le sirene ancora suonavano. Ruby aveva urlato quando una bomba era caduta sui tetti di una via vicina.
Una paura più forte di quella dell’uomo nero l’aveva spinta ad andare avanti – le veniva la nausea a pensare che era lontana dal conforto della sua famiglia. I polmoni le bruciavano per l’aria fredda della sera, e quando era arrivata nel rifugio, in mezzo a sconosciuti e a qualche viso familiare, erano cadute altre bombe. Troppe da contare, troppe da ignorare.
Tutti erano in attesa che suonasse il cessato allarme. Non era successo, ma le rassicurazioni e il bussare delle sentinelle della protezione antiaerea al termine dell’attacco erano state un enorme sollievo. Mentre li faceva uscire dal rifugio, un addetto avvisava tutti di stare attenti agli incendi e alle bombe inesplose, e spiegava che non c’era più elettricità.
Ruby era avanzata nella fila e una volta fuori era rimasta sbigottita. Le bombe nemiche si erano dimostrate potenti e distruttive: avevano raso al suolo Coventry. Le persone con cui era stata nel rifugio gridavano sgomente, molte si erano accasciate sulle ginocchia, ma la maggior parte aveva urlato e si era precipitata verso la propria casa. Ruby era tornata indietro: la sua famiglia era sicuramente preoccupata e doveva tornare su Radford Road e poi a casa per rassicurarli che era ancora viva.
Più si spingeva verso il centro di Coventry, più le strade distrutte la disorientavano. Una volta ritrovati i punti di riferimento, Ruby si era diretta verso Eagle Street facendosi strada nel buio, almeno in teoria; la città era infatti illuminata dalle fiamme degli incendi e la luna risplendeva. Non aveva problemi a vedere, anche se forse avrebbe preferito muoversi nell’oscurità. Più vedeva, più aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare vicino a casa sua, e che i suoi timori diventassero presto realtà. Si era fatta talmente tante domande che a un certo punto aveva creduto che sarebbe impazzita. Bombe. Crateri. Morte. Stava davvero guardando il risultato di un’azione umana? Se solo fosse rimasta a casa… La testa le pulsava.
A un certo punto era caduta e aveva sbattuto la testa. Quando si era ripresa, aveva capito di aver perso ore. Tempo prezioso. Ma anche se non avesse perso i sensi, Ruby ora sapeva che il risultato non sarebbe cambiato. Undici ore o undici giorni, non faceva differenza. Ora era lì, e sapeva di non essere pazza.
La sua famiglia era morta.
Si toccò la ferita dietro la testa e fece una smorfia. Allontanò le dita e le guardò, ma non c’era sangue. Ruby fece il giro del cratere, sperando di notare dei segni di vita – un movimento o un grido d’aiuto. Di vedere qualcosa, qualsiasi cosa potesse suggerirle che i suoi genitori o i suoi fratelli erano ancora vivi. Ma solo devastazione e oscurità facevano eco al suo collage di ricordi. Ricordi di una vita felice. Di una casa messa in ginocchio da uomini adulti dentro delle macchine. Ruby non aveva mai compreso lo scopo di quella guerra, per quanto suo padre cercasse di spiegare loro il motivo per cui era necessaria.
Ripensò a quando suo fratello di nove anni, capelli scuri e occhi nocciola, con le ginocchia sempre sbucciate, calze della misura sbagliata e gambette sottili che spuntavano dai pantaloncini, aveva annunciato che sarebbe diventato un soldato e avrebbe combattuto per la patria. La madre aveva riso e gli aveva detto di andare a lavarsi le mani e fare colazione. Gli erano caduti gli incisivi, e nelle sue risposte o nelle affermazioni impertinenti spesso pizzicava la
S
. Proprio quella mattina l’aveva presa in giro perché aveva i mutandoni che le cascavano. James, che portava il nome del padre, era un’anima affettuosa. La loro sorella dodicenne, Lucy, era una ragazzina seria e tranquilla, sempre con un libro in mano. Il suo amore per gli animali, soprattutto i gatti, frustrava i loro genitori, perché ogni giorno portava a casa un micio per sfamarlo. Lucy li aveva supplicati di tenerne uno ma il padre l’aveva proibito, scuotendo la testa: avevano già la più grande collezione di animali di tutta Coventry che girava nel viottolo dietro casa, non potevano ospitarne anche dentro.
Com’era potuta sparire così all’improvviso l’energia vivace della sua famiglia? E in un modo tanto crudele? Pensieri dolorosi iniziarono a scavare nel profondo e Ruby li fece vagare liberi, finché un senso di nausea non la attanagliò.
Niente più passeggiate al parco; niente più nascondino, con suo fratello che sbirciava tra le dita aperte; non avrebbe più ascoltato la voce delicata di Lucy recitare una poesia o quella della madre che intonava uno o due versi di una canzone alla radio. Niente più loro. Ruby non avrebbe più usato il termine noi
per riferirsi alla sua famiglia.
Quel buco oscuro la fissava di rimando, facendosi beffe delle sue lacrime, spezzandole il cuore ogni volta che abbassava lo sguardo, speranzosa.
Anche la luce del sole aveva smesso di cercare di rallegrare l’atmosfera e si era nascosta dietro le nuvole, rifiutandosi di abbellire una vista tanto orrenda. Ruby tremò e barcollò di lato. Con un ultimo sguardo in quell’abisso scuro, vacillò tra i mattoni. Doveva saltare? E se no cos’altro fare? Come avrebbe potuto sopravvivere da sola?
Delle urla le riempirono le orecchie. Una fanciulla in lontananza chiamava la madre, ma Ruby restò inchiodata dov’era. Quella bambina non era un suo problema. Il senso di colpa la travolse. Avrebbe dovuto fare in modo che lo diventasse? Sarebbe dovuta andare via da quel posto – dalla tomba della sua famiglia – perché lì non c’era nulla in grado di darle la minima speranza che potessero essere vivi. Se non avesse portato quei vestiti ormai piccoli all’amica di sua madre in Lammas Road, sarebbe stata con la sua famiglia a godersi l’affetto, le risate. Ruby si sentì ancora più in colpa. Avrebbe dovuto trovarsi lì. Era colpa di sua madre. La sua mente produceva giustificazioni e accuse così velocemente che non riusciva neppure a concentrarvisi. Alla fine si fermò e fece un respiro profondo per controllare le sue emozioni.
Che differenza avrebbe fatto? Sarebbe morta invece di trovarsi a fissare il centro del pianeta. In ogni caso, sarebbe stata da sola. Non provava niente. Perché non provava niente? Perché non stava piangendo? Lentamente, la paura si fece strada nelle sue vene. Ora sentiva qualcosa. Si sentiva sola. Sua madre non l’avrebbe più rimproverata perché non piegava i vestiti. Suo padre non l’avrebbe più sgridata per essere rincasata dieci minuti più tardi del solito; non avrebbe mai più sentito le sue prediche. Ruby sapeva che suo padre amava tutti loro, ma faceva fatica a esprimere i suoi sentimenti. Stava bene quando li faceva ridere, ma ora Ruby si rese conto che le sue vedute cupe erano causate dai continui discorsi sulla guerra, e si chiese se gli fosse passato per la mente che quel Natale poteva essere l’ultimo insieme. Nel caso, aveva avuto ragione. E lei gli era grata per essersi sforzato tanto: la sua famiglia di rado si divertiva tutta insieme, ma quando succedeva il mondo diventava un bel posto, anche con l’Inghilterra in guerra.
Ruby si strinse nel cappotto, sentendosi gelare, quando si rese conto che non avrebbe mai più sentito le loro voci e le loro risate. Arrivò l’incredulità.
Non poteva essere. Forse là sotto c’era ancora vita. Doveva lottare per loro. L’attività di famiglia, la Drogheria Shadwell, il posto in cui aveva lavorato giorno e notte, non c’era più.
«Qui! La mia famiglia! Sono quaggiù!», gridò.
«Allontanati da lì, ragazzina. È pericoloso», tuonò una voce maschile sovrastando i tanti suoni che riecheggiavano nella città.
Ruby si voltò per vedere chi aveva parlato, e l’elmetto saltò fuori da un enorme buco nel terreno. L’uomo gettò mattoni e tegole da una parte. Il suo viso paffuto era lucido per il sudore, e dal naso e dalla bocca uscivano nuvolette bianche mentre lavorava.
«Vattene. Non ci sono sopravvissuti lì sotto. Mi dispiace che siano i tuoi, tesoro, ma devi andare via. Trova un posto sicuro. Non andare in città, la situazione lì è brutta. Molto brutta. Quelle fiamme…», indicò un’area tra il rosso e l’oro, «è la cattedrale. Lì non c’è speranza». Abbassò la testa, la sua voce era gentile ma decisa. Ruby non disse nulla, ipnotizzata dalla carne che dondolava sotto il mento dell’uomo – un dettaglio che le ricordò sua madre. Quell’uomo era l’opposto di suo padre, che sua madre aveva spesso definito pelle e ossa, e Ruby aveva preso da lui. Il tizio ripeté le indicazioni e riprese a spostare detriti, e Ruby scrollò le spalle. Dov’è sicuro?
, pensò. Come sarebbe stata al sicuro senza i suoi genitori a guidarla?
«Vattene via, ragazzina. Non c’è niente che puoi fare, è un disastro. Va’ in un rifugio. Mettiti in salvo. Segui lei». Un uomo con l’uniforme della Home Guard gridava e faceva cenni col capo a una donna che aveva un bambino in braccio, ma Ruby lo ignorò.
Restò a guardarlo mentre spostava tubi e mattoni dall’entrata di una casa che era rimasta in piedi.
Un forte sibilo sovrastò tutti i rumori lì vicino, seguito da un’esplosione assordante che la fece finire per terra. Ruby cadde all’indietro, lontana dal cratere. Era un segno: era arrivato il momento di andarsene.
A qualche metro da lei, l’uomo che l’aveva incoraggiata a fuggire gemette. Ruby si alzò. Prima che riuscisse a raggiungerlo, il tizio era in piedi e si puliva le mani sui pantaloni.
«Sei ancora qui?», disse, muovendosi verso di lei, porgendole le mani. Ruby notò la melma ancora attaccata e non mosse le sue.
Restò in silenzio, le gambe si rifiutavano di muoversi.
«Una ragazza qui ha bisogno di cure. Qualcuno può aiutarla? C’è una famiglia intrappolata in questa casa e non posso andarmene».
Ruby lo ascoltò berciare richieste e istruzioni. Rappresentava la vita. Doveva stargli vicino, ascoltare la sua voce al di sopra delle sirene e delle urla. Fece un passo verso di lui.
«Gas!», gridò qualcuno alle loro spalle, e l’uomo si girò in quella direzione. Poi tornò a rivolgersi a Ruby, preoccupato.
«Stanno per scoppiare i tubi. Vattene via, ragazzina, quante volte te lo devo dire? Scappa. Sei tra i fortunati. Scappa».
Ruby lo fissò. Fortunata? La considerava fortunata? Non sapeva quello che aveva visto? Non capiva?
Sentì un sibilo e l’uomo la spinse all’indietro. «Vattene! Subito!».
Poi corse verso l’edificio davanti a loro. Ruby sentì una donna che gridava aiuto mentre un’altra esplosione le vibrava nelle ossa. Il rumore fu talmente forte che si portò le mani alla testa, ma il suono continuava a entrarle nei timpani. Si accucciò per non svenire. Guardò verso l’edificio proprio mentre esplodeva. L’uomo non ricomparve. La donna smise di chiedere aiuto. Ancora una volta, Ruby era sola.
Dove doveva andare? Mentre si guardava intorno, tutto ciò che provava era disperazione. Non aveva mai subìto una perdita così grande, e il suo cuore batteva all’impazzata.
Si rimise in piedi e fece un giro completo su sé stessa. Aveva i polmoni pieni di fumo, gli occhi le pizzicavano e lacrimavano, ma riusciva ancora a vedere l’inferno in terra. Negli anni aveva sentito abbastanza sermoni da immaginarlo, e ora ci si trovava proprio dentro. Era attanagliata da pensieri talmente potenti che non riusciva a comprenderli tutti. Cosa ci si aspettava da lei, ora?
Doveva saltare nella fossa? Oppure vivere? Saltare o vivere? Quelle parole le rimbalzavano nella testa, poi si chinò da una parte, scossa dai conati. Osservò ancora un po’ i sopravvissuti recuperare i cadaveri, poi si ricordò di sua nonna.
Nonna! Dev’essere terrorizzata
.
Respirando il più a fondo possibile, riprese il controllo delle sue emozioni e si orientò. Ignorò la fame e si affrettò verso Kirby Road, dove abitava la nonna. Ci mise il doppio del tempo per percorrere il solito tragitto di mezz’ora a causa di tutte le deviazioni, e le dolevano i polpacci. Svoltò su Kirby Road e vide che anche lì erano cadute delle bombe. La strada non sembrava più quella che conosceva: comignoli distrutti, posate, stoviglie e vestiti erano sparsi ovunque. Come anche nella sua strada, l’acqua sgorgava dalle tubature rotte e andava ad aggiungersi al disastro.
Si fece lentamente strada, arrivando al punto dove secondo i suoi calcoli doveva trovarsi la casa della nonna. Un altro cratere. La scena che aveva davanti era molto simile a quella da cui se n’era appena andata. La nonna non l’avrebbe mai più salutata con le braccia aperte e un enorme sorriso; anche lei aveva subìto la furia delle bombe di Hitler.
«Scusi», gridò a una donna in uniforme che stava portando un anziano fuori da un edificio ancora in piedi; come Ruby sapeva, prima era casa sua. Aveva il braccio fasciato con quelle che sembravano strisce di lenzuolo.
«Fred?», disse, e guardò l’anziano più da vicino. Lui e sua nonna si scambiavano spesso prodotti dei loro orti. Sembrava diverso: più vecchio e fragile.
«Non sta bene. Dire che è sotto shock sarebbe un eufemismo. Devo farlo aiutare. Puoi venire con noi», disse la donna.
«Qui c’era qualcuno?», chiese Ruby, indicando il terreno vuoto di sua nonna.
«Se c’era, non è vivo, tesoro. Non ce l’hanno fatta in molti su quel lato della strada. Mi dispiace. Prova alla tenda medica, non si sa mai. Ma ti avverto, non sperarci troppo. Altrimenti, va’ all’officina del gas. È lì che…».
Ruby fece un cenno con il mento per indicare che aveva capito e per evitare che dicesse a voce alta ciò che stava per dire. La donna le rivolse un sorriso debole, il suo sguardo era carico di compassione.
«Forza, Fred, andiamo via prima che si faccia troppo buio».
Ruby fece un cenno del capo per ringraziare e trattenne le lacrime.
«Vieni con noi?».
Scosse la testa e diede una pacca sul braccio dell’anziano per rassicurarlo. «Mi stia bene, Fred», gli disse.
«Niente. Non c’è più niente», disse lui, senza dare segno di averla riconosciuta, e continuando a ripetere quelle parole mentre si allontanavano.
Stordita, Ruby sentì l’impulso travolgente di scappare da tutto ciò che aveva visto, nascondersi in una siepe del Radford Common finché non fosse tutto finito – la sua esistenza o la guerra, quella che si fosse conclusa prima. Ma c’era ancora la possibilità che sua nonna fosse viva. Non aveva altra scelta: doveva andare a vedere se c’erano notizie dell’ultima sopravvissuta della sua famiglia. Strinse i pugni contro le orecchie per escludere i suoni metallici e umani che rimbombavano intorno a lei. Ancora una volta lo stomacò le brontolò per la fame, e sentiva la lingua secca. Il fumo si fece sempre più denso e i suoi sensi furono aggrediti da odori indicibili; sentì il cuore batterle forte nel petto e, per qualche secondo, credette che sarebbe svenuta.
Ricomponiti. La nonna potrebbe avere bisogno di te. Potrebbe essere ancora viva
.
Mentre si faceva strada tra le tende mediche e le baracche erette in fretta e furia per fornire cibo e informazioni vicino al centro della città, Ruby parlava tra sé e sé, costringendo le gambe a continuare a muoversi.
Cercò sua nonna per oltre un’ora. Alla fine, trovò il suo nome in un elenco di morti. La richiesta di vedere il corpo fu gentilmente respinta per il suo stesso bene. Ruby uscì dall’obitorio improvvisato e, con il cuore pesante, si diresse verso il Redford Common con l’intenzione di raccogliere le idee. Doveva pensare, lontano dagli orrori a cui aveva assistito, e sperava che la camminata di mezz’ora aiutasse. Il suo fratellino e i suoi amici avevano costruito dei nascondigli nel parco, e per qualche ora Ruby aveva intenzione di utilizzarne uno. Mentre guardava la città si fece buio, ma gli incendi continuavano a divampare. Ruby dubitava che esistesse una fiamma abbastanza forte da riuscire a riscaldarla. Guardò verso il cielo e vide un gruppo di stelle. Cinque. Era forse la sua famiglia, stretta insieme, che brillava per dimostrarle amore? Erano di nuovo insieme – i suoi genitori, suo fratello, sua sorella e sua nonna? Ci rifletté mentre continuava a guardare. Una nuvola scura passò davanti alle stelle: ancora una volta, la luce per Ruby si era spenta.
Capitolo due
16 novembre 1940
Una Ruby infreddolita allungò le gambe e le sfregò per scaldarle. Era nata con la gamba sinistra più corta della destra, e odiava il senso di debolezza e i crampi che le venivano quando camminava troppo. Quel giorno le faceva un male atroce, ma sapeva che starsene seduta non avrebbe alleviato il dolore. Massaggiò le gambe, pregandole di non tradirla.
Fu attraversata da un brivido quando sentì un forte scoppio. Avevano sopportato un’altra lunga notte di esplosioni di edifici e tubature del gas, che erano proseguite fino al nuovo giorno. Nella città riecheggiavano urla infinite. Quel bombardamento era stata la cosa più crudele che si potesse pensare di infliggere a Coventry.
Ruby si sentiva sporca, non si lavava da tanto, e aveva bisogno di cibo e acqua. Strisciò fuori dal nascondiglio angusto e si diresse verso il rifugio pubblico. All’entrata erano seduti cittadini esausti. La fissarono, ma sapeva di essere invisibile per