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La via principale - Volume secondo
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E-book351 pagine5 ore

La via principale - Volume secondo

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Info su questo ebook

Non troverete Gopher Prairie nelle carte geografiche. Né la sua Main Street. Neppure se provate a cercarla con il satellite con Google earth. Ma è come se ci fosse. Perché la sua Main street, la sua Via Principale "è la continuazione di qualunque Via Principale di qualunque città (…). La Via Principale è l’apice della civiltà. Perché questa Ford potesse sostare davanti al magazzino Bon Ton, Annibale invase Roma ed Erasmo scrisse nei chiostri di Oxford."
Quando apparve nelle librerie americane, La via principale suscitò grande scalpore; nessun romanzo prima di allora aveva osato mettere in discussione la bellezza della vita middle class provinciale americana, criticando l'ipocrisia che sta alle fondamenta della Cittadina.
Gopher Prairie - cittadina immaginaria - si sente un po' Vienna un po' Parigi, si sente l'ombelico del mondo e l'erede naturale dell'Inghilterra Vittoriana, seppure è uno sputo di villaggio attraversato da una comunissima Via Principale. Architettura terrificante in un paesaggio desolato, un po' come quei piatti agglomerati che scorgi dal finestrino del treno mentre passi per la nebbiosa pianura padana.
E proprio in queste piccole comunità rurali del midwest americano, dove gli immigrati erano scandinavi e tedeschi, Lewis snida l'insorgere di un temibile virus, il Virus del Villaggio, provincialismo mentale prima che geografico.
In questo villaggio prova a combattere la sua personale battaglia la giovane Carol, cittadina dal brillante futuro che si trova a sposare un onesto dottore di campagna.
Carol non si arrende al virus, non si accontenta di qualche gossip, o di entrare nel club delle pettegole giocatrici di bridge, non si accontenta del solito refrain da provinciali incalliti conservatori; vuole dibattere, vuole cambiare, vuole costruire.
E intorno a Carol sfilano perfide bacchettone come la vedova Bogart o zia Bessie, la 'rivoluzionaria superficiale' Juanita Haydock - effervescente, irriverente; ma alla fine crudele come le altre se non di più - e la 'rivoluzionaria parziale' Vida Sherwin, maestra del villaggio con istinti riformatori ma che non osa mai più di tanto.
Carol è decisamente sola contro Gopher Prairie, e scoprirà che nella vita ciò che conta non è vincere, ma continuare a combattere.
Romanzo che fa pensare, una lettura che sa appassionare.
LinguaItaliano
Data di uscita1 nov 2019
ISBN9788833260822
La via principale - Volume secondo
Autore

Sinclair Lewis

Sinclair Lewis (1885-1951) was an American author and playwright. As a child, Lewis struggled to fit in with both his peers and family. He was much more sensitive and introspective than his brothers, so he had a difficult time connecting to his father. Lewis’ troubling childhood was one of the reasons he was drawn to religion, though he would struggle with it throughout most of his young adult life, until he became an atheist. Known for his critical views of American capitalism and materialism, Lewis was often praised for his authenticity as a writer. With over twenty novels, four plays, and around seventy short stories, Lewis was a very prolific author. In 1930, Sinclair Lewis became the first American to receive the Nobel Prize for literature, setting an inspiring precedent for future American writers.

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    Anteprima del libro

    La via principale - Volume secondo - Sinclair Lewis

    cover.jpg

    Sinclair Lewis

    LA VIA PRINCIPALE

    Volume secondo

    Maree

    KKIEN Publishing International

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Ed. orig.: Main street, 1920.

    Traduz. di Bruno Volli

    Prima edizione digitale: 2019

    ISBN 9788833260822

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    Table Of Contents

    CAPITOLO DICIOTTESIMO

    CAPITOLO DICIANNOVESIMO

    CAPITOLO VENTESIMO

     CAPITOLO VENTUNESIMO

    CAPITOLO VENTIDUESIMO

    CAPITOLO VENTITREESIMO

    CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

    CAPITOLO VENTICINQUESIMO

    CAPITOLO VENTISEIESIMO

    CAPITOLO VENTISETTESIMO

    CAPITOLO VENTOTTESIMO

    CAPITOLO VENTINOVESIMO

    CAPITOLO TRENTESIMO

    CAPITOLO TRENTUNESIMO

    CAPITOLO TRENTADUESIMO

    CAPITOLO TRENTATREESIMO

    CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO

    CAPITOLO TRENTACINQUESIMO

    CAPITOLO TRENTASEIESIMO

    CAPITOLO TRENTOOTTESIMO

    CAPITOLO TRENTANOVESIMO

    CAPITOLO DICIOTTESIMO

    Si affrettava verso la prima riunione del comitato per la lettura della produzione da scegliere. Il suo romanzo della giungla era dileguato, ma ne conservava un fervore religioso, uno slancio ancora informe d’aspirazioni, la fede nella possibilità di creare la bellezza per suggestione.

    Un lavoro di Dunsany sarebbe stato troppo difficile per Gopher Prairie; ella perciò sarebbe venuta a un compromesso e l’avrebbe iniziata Shaw, e precisamente con Androclo e il leone, pubblicato da poco.

    Il comitato era composto di Carol, Vida Sherwin, Guy Pollock, Raymie Wutherspoon e Juanita Haydock, esaltati dall’idea di essere contemporaneamente artisti e gente pratica. Erano ospiti di Vida nel salotto della pensione della signora Elisa Gurrey con le incisioni di Grant in Appomattox, il cestino di vedute stereoscopiche e le macchie misteriose sul tappeto sudicio.

    Vida era una fervida sostenitrice della diffusione della cultura, ma ancor più dei sistemi per favorire l’efficienza. Suggerì una « regolare revisione degli affari » e la lettura dei verbali come facevano alle riunioni del Thanatopsis; ma poi che non vi erano verbali da leggere e nessuno sapeva che cosa fosse una « regolare revisione degli affari » in fatto di letteratura, dovettero rinunciare all’efficienza.

    Carol, come presidente, disse con molta cortesia:

    — Qualcuno di voi ha qualche idea sulla produzione che daremo per prima? — E aspettò che prendessero un’aria vacua e mortificata per cavar fuori il suo Androclo.

    Guy Pollock, invece, rispose con sconcertante prontezza:

    — Le dirò: poi che vogliamo cercar di fare qualche cosa di veramente artistico e non soltanto perdere il tempo giocherellando, credo che dovremmo dare un classico. Che ne direste della Scuola delle maldicenze?

    — Ma... non crede che sia stato dato già molte volte?

    — Già, forse è vero.

    Carol era pronta a intervenire: « Che ne direste di Bernard Shaw? », quando quel traditore seguitò: — Allora perché non dare un dramma greco... per esempio l’Edipo re?

    — Ma, non credo che...

    Vida Sherwin intervenne:

    — Sono certa che sarebbe troppo difficile per noi! Io ho portato una cosetta molto divertente.

    E tese un sottile fascicoletto grigio intitolato La suocera di McGinerty, Carol lo prese, incredula. Era il genere di farsa presentata nei cataloghi scolastico-educativi come: « Commedia tutta da ridere, 5 uom, 3 don., durata 2 ore, rappresenta interno, particol. adatta per parrocchie e feste scolastiche ».

    Carol guardò quell’oggetto scabroso, poi Vida, e si accorse che costei faceva sul serio.

    — Ma questa è... è... insomma soltanto una... Ma Vida, io credevo che tu apprezzassi... ebbene, sì, l’arte!

    Vida sogghignò:

    — L’arte! Oh, sì, mi piace l’arte! È molto bella. Ma in conclusione che importa che genere di commedia daremo pur che si cominci? Quello che importa davvero, e di cui nessuno ha parlato, è: che cosa faremo del denaro, se ci riuscirà di raggranellarne almeno un pochino? Credo che sarebbe molto carino offrire alla Scuola Superiore una collezione completa delle letture di viaggi di Stoddard!

    Carol gemette:

    — Vida cara, perdonami, ma questa farsa... Dunque, vorrei che si desse qualche cosa di veramente distinto... per esempio l’Androclo di Shaw. Nessuno di voi l’ha letto?

    — Io, — disse Guy Pollock. — È molto bello.

    Allora, straordinario a dirsi, Raymie Wutherspoon parlò:

    — Anch’io. Ho letto tutte le commedie e tutti i drammi della Biblioteca Pubblica per prepararmi a questa riunione. E... Ma non credo che lei abbia capito tutte le idee antireligiose che vi sono in quest’Androclo, signora Kennicott: ritengo che la mente femminile sia troppo innocente per capire questi scrittori immorali. Certo non voglio criticare Bernard Shaw, so che è molto famoso fra tutti quei pezzi grossi di Minneapolis, però... a parer mio è assolutamente scandaloso! Le cose che dice! Ebbene, sarebbe molto arrischiato offrirlo ai nostri giovani. Mi sembra che un dramma che. non lascia la bocca dolce e non ha qualche cosa da dire non è altro che... altro che... Be’, insomma, qualunque cosa sia, non è arte. Perciò... ho trovato un bel dramma che è una cosa come si deve, e ci sono anche delle scene tanto comiche, io ridevo da me solo leggendole. È intitolato II cuore di sua madre, e si tratta di un giovane all’università che si mette in mezzo a un sacco di liberi pensatori e sbevazzatoci eccetera eccetera, ma alla fine l’influenza di sua madre...

    — Oh; che sciocchezze, Raymie! — proruppe Juan ita Haydock, beffarda. — L’influenza di sua madre, figurarsi! Facciamo qualche cosa di classe, dico io. Credo che potremo benissimo comprare i diritti della Ragazza di Kankakee, che è uno spettacolo vero e proprio, e che tiene il cartellone da dieci mesi a Nuova York!

    — Andrebbe bene davvero, se non costasse troppo... — rifletté Vida.

    L’unico voto contrario alla Ragazza di Kankakee fu quello di Carol.

    Detestò la Ragazza di Kankakee ancor più di quanto avesse preveduto. Era la storia d’una ragazzotta di campagna che riusciva a scagionare il fratello d’una accusa di falso, diventava segretaria di un miliardario di Nuova York e consigliera, mondana della moglie di lui, e dopo un ben concepito discorso sulla disgrazia di avere troppi soldi sposava il figlio del milionario.

    C’era anche un fattorino che era una macchietta.

    Carol capiva che Juanita Haydock ed Ella Stowbody aspiravano entrambe al ruolo principale: lo concesse a Juanita. Questa le dette un bacio e con l’esuberanza di una nuova stella presentò al comitato esecutivo la propria teoria:

    — Quello che vogliamo in una commedia è che sia piena di spirito e di pepe. Per questo gli scrittori americani mettono nel sacco tutti quegli scocciatori europei.

    Ecco la lista dei personaggi, scelti da Carol e confermati dal comitato:

    John Grimm, milionario......……..Guy Pollock

    Sua moglie………………………….Sig. na Vida Sherwin

    Suo figlio ……………………………Dott. Harvey Dillon

    Suo concorrente……………………Sig. Raymon T. Wutherspoon

    Amica della signora Grimm………Sig. na Ella Stowbody

    La ragazza di Kankakee......………Signora Juanita Haydock

    Suo fratello………………………….Dott. Terence Gould

    Sua madre...........................……….Signora Maud Dyer

    Stenografa………………………Sig. na Rita Simmons

    Fattorino d’ufficio…………………Sig. na Myrtle Cass

    Cameriera in casa Grimm....………Signora Carol Kennicott

    Regia: Signora Kennicott

    Fra le lamentele secondarie vi fu quella di Maud Dyer:

    — Va bene, lo capisco benissimo che sembro tanto vecchia da poter passare per la madre di Juanita anche se lei ha otto mesi più di me, ma non mi fa punto piacere che se ne accorgano tutti quanti e...

    Carol supplicò:

    — Oh, mia cara, tu e Juanita dimostrate la stes-sis-si-ma età, ma io ti ho scelta perché hai una così bella carnagione che starà tanto bene con i capelli bianchi, e sai che con una parrucca bianca e la cipria chiunque dimostra subito il doppio della propria età, ed io voglio che la mamma sia molto carina.

    Ella Stowbody, la declamatrice professionista, certa di aver ricevuto una parte secondaria per una combutta di invidie e di gelosie, alternava sorrisi di sprezzo e sospiri di cristiana rassegnazione.

    Carol insinuò che lo spettacolo si sarebbe molto avvantaggiato di alcuni tagli, ma poiché tutti gli attori, tranne Vida, Guy e lei stessa, gemevano per la perdita d’una sola riga, fu ridotta al silenzio e cercò di consolarsi dicendosi che dopo tutto si poteva ottener molto con la direzione e la messa in scena.

    Sam Clark aveva scritto al compagno di scuoia Percy Bresnahan, presidente della Velvet Motor Company di Boston, annunciandogli in termini entusiastici la fondazione della Filodrammatica. Bresnahan mandò un assegno di cento dollari; Clark ne aggiunse venticinque è portò i fondi a Carol gridando affettuosamente:

    — Ecco qua! Questo vi permetterà di mettervi in piedi a meraviglia.

    Essa affittò per due mesi il secondo piano del municipio. Durante tutta la primavera i filodrammatici si entusiasmarono sul proprio talento in quello squallido stanzone. Lo ripulirono togliendo di mezzo stendardi, urne elettorali, manifesti e sedie senza gambe; poi dettero l’attacco al palcoscenico. Era un palcoscenico molto ingenuo. Sorgeva alquanto rialzato sul pavimento, è vero, e aveva un sipario movibile su cui era dipinto l’annuncio pubblicitario d’un farmacista morto da dieci anni: ma senza di ciò non sarebbe stato possibile prenderlo per un palcoscenico. Da una parte e dall’altra si aprivano due camerini, uno per gli uomini e uno per le donne. Le porte dei camerini erano anche di accesso al palcoscenico, sì che molti cittadini di Gopher Prairie erano stati iniziati alla vita romantica dal l’intraveduto baleno delle spalle nude della prima donna.

    V’erano tre scenari: un bosco, un « interno povero » e un «interno ricco », quest’ultimo utilizzabile anche per uffici e stazioni ferroviarie e come sfondo per il quartetto svedese di Chicago. V’erano tre gradazioni di luci: piena, mezza e buio pesto.

    Era questo l’unico teatro di Gopher Prairie. Veniva comunemente chiamato l’Opera. Un tempo, compagnie erranti se ne servivano per rappresentarvi Le due orfanelle, Nellie la bella modella e Otello, con numeri di varietà negli intervalli; ma ormai il cinema aveva spodestato il teatro zingaresco.

    Carol progettava. d’essere pazzamente moderna nella messa in scena dell’ufficio, del salotto dei Grimm e dell’umile casa » presso Kankakee. Per la prima volta, qualcuno di Gopher Prairie aveva il coraggio rivoluzionario di usare scene chiuse con pareti intere: le stanze dell’Opera avevano ancora ai lati le quinte: cosa che semplificava di molto la regia poiché il fellone poteva sempre svignarsela dinanzi all’eroe camminando traverso le pareti. 

    Gli abitanti dell’« umile casa » avevano il dovere di essere amabili e intelligenti. Carol aveva immaginato per loro una scena semplice e d’una calda tonalità. Vedeva benissimo l’inizio dello spettacolo: tutto buio tranne le alte scranne e la pesante tavola di mezzo, illuminate da un raggio dall’esterno: il punto luminoso centrale doveva essere una lucida brocca di rame colma di primule. Meno chiaramente immaginava il salone dei Grimm come una serie di alte e fresche arcate bianche. Quanto al modo di produrre quegli effetti, non ne aveva la minima idea.

    Ella si accorgeva che, a dispetto dei giovani scrittori entusiasti, il teatro non era spontaneo, comprensibile e terra terra come l’automobile e il telefono. Scoprì che l’arte più semplice richiedeva una raffinata preparazione. Scopri che mettere insieme uno scenario perfetto era difficile come trasformare tutta Gopher Prairie in un giardino georgiano.

    Lesse tutto quello che potè trovare sulla messa in scena; comperò vernici e tavole di legno compensato; prese in prestito senza scrupoli mobili e drappi; obbligò Kennicott a farsi falegname; si dibattè specialmente col problema delle luci. Nonostante le proteste di Kennicott e di Vida indebitò il Circolo mandando a prendere a Minneapolis un piccolo riflettore, un piccolo proiettore, un regolatore per oscuramento e lampadine azzurre e ambrate: e con l’ebbrezza d’un pittore nato, libero per la prima volta di sguazzare fra i colori, trascorse estatiche serate a dipingere con le luci.

    Soltanto Kennicott, Guy e Vida l’aiutavano.

    Escogitarono il modo di agganciare le tavole in modo di formare delle pareti: attaccarono alle finestre tendine color croco: annerirono la stufa di latta, infilarono un grembiule e scoparono. Gli altri capitavano al teatro tutte le sere, ed erano molto saputi e superiori. Avevano preso in prestito da Carol il manuale di scenotecnica e usavano un vocabolario estremamente specializzato.

    Seduti su un cavalletto Juanita Haydock, Rita Simmons e Raymie Wutherspoon guardavano Carol che  cercava di trovare il punto giusto per attaccare un quadro sulla parete del primo atto.

    — Non per vantarmi, ma credo che farò un effettone, al primo atto, — confidò Juanita. — Vorrei però che Carol non si desse tanta importanza. Di vestiti non capisce niente. Volevo indossare un amore di vestito che ho, rosso fiamma, e le ho detto: Quando entro, non sarebbe un colpo negli occhi se mi fermassi sulla soglia con quell’abito rosso? , ma lei non me lo vuole permettere.

    La giovane Rita convenne con lei.

    — È talmente presa da tutti quei particolari della montatura del palco che non vede più il quadro come insieme. Mi sembra che sarebbe bello fare una scena d’ufficio come quella di Piccola, ma mia!. L’ho vista a Duluth: ma lei non vuole starmi nemmeno a sentire.

    Juanita sospirò:

    — Volevo fare un discorso come l’avrebbe fatto Ethel Barrimore se avesse recitato una cosa come questa (Harry ed io l’abbiamo sentita a Minneapolis, avevamo un amore di posti, proprio in prima fila, e so che potrei imitarla benissimo), ma Carol non ha dato nemmeno ascolto al mio suggerimento. Non voglio aver l’aria di criticare, ma credo che Ethel ne sappia più di lei in fatto di recitazione!

    — Sentite un po’, credete che Carol ci azzecchi a mettere un proiettore dietro il camino nel secondo atto? — rincalzò Raymie. — Io le ho suggerito anche che sarebbe bello avere un panorama dietro la finestra, nel primo atto, e sapete che mi ha risposto? Sì, sarebbe bello anche avere Eleonora Duse come prima attrice, ha detto, Ce a parte il fatto che al primo atto è sera, lei è un gran tecnico", ha detto. Devo dire la verità che mi è sembrata molto sarcastica. Io ho letto molto e so che potrei costruire un panorama se non volesse far tutto lei.

    — Già, e un’altra cosa. — (Juanita. ) — Credo che il clima scenico non risponda all’inizio del primo atto.

    — E perché adopera soltanto un proiettore a pistola?

    — Che è un proiettore a pistola? — proruppe Rita Simmons.

    I due sapientoni guardarono dall’alto in basso tanta ignoranza.

    Carol non si risentì delle loro critiche, non si curò della loro improvvisa sapienza finché la lasciarono combinare le scene a suo talento: le liti scoppiarono alle prove. Nessuno voleva capire che le prove erano impegni veri e propri, come il bridge o le riunioni della Chiesa episcopale. Arrivavano allegramente mezz’ora dopo o si presentavano schiamazzando dieci minuti prima, ed erano così suscettibili che quando Carol protestava, borbottavano che si sarebbero ritirati. Telefonavano:

    — Credo che stasera sarà meglio che non esca: temo che l’umidità risvegli il mio mal di denti, — oppure:

    — Non posso venire stasera, Da ve vuole che prenda parte al poker.

    Quando, dopo un mese di fatiche durante il quale almeno i nove decimi della compagnia erano presenti, quando quasi tutti avevano imparato la parte e alcuni parlavano come esseri umani, Carol provò un fiero colpo accorgendosi che Guy Pollock e lei stessa erano mediocri attori, e Raymie Wutherspoon era invece un attore eccellente! Nonostante la sua capacità di immedesimarsi nei personaggi, ella non riusciva a controllare la voce, ed era seccata di dover ripetere cinquanta volte le sue poche righe. Guy si tirava i morbidi baffi, prendeva un’aria sciocca e trasformava il signor Grimm in un fantoccio imbambolato. Raymie invece, nella parte del fellone, non pativa di repressioni: teneva alta la testa con un piglio pieno di carattere e il suo sogghigno era mirabilmente satanico.

    Ci fu una serata in cui Carol sperò di poter presentare veramente una recita: una prova durante la quale Guy rinunciò a sembrare mortificato.

    Da quella sera in poi, tutto andò a rotoli.

    Nessuno ne poteva più. — Ormai sappiamo la parte abbastanza bene: perché farcela venire a noia? — si lamentavano tutti. Cominciarono a fare mille sciocchezze; a giocare con le luci sacrosante, a ridere quando Carol cercava di trasformare la sentimentale Myrtle Case in un faceto fattorino; a recitare di tutto tranne che La ragazza di Kankakee. Dopo aver sciorinato alla peggio la propria parte, il dottor Gould suscitò grandi applausi con una parodia dell’Amleto. Perfino Raymie perdette la sua ingenua fede e cercò di convincerli che sapeva fare un numero di vaudeville.

    Carol arringò la compagnia:

    — Statemi a sentire: basta con queste sciocchezze. Dobbiamo metterci a lavorare sul serio.

    Juanita capeggiò l’ammutinamento:

    — Senti un po’ Carol, non ti dare tanta importanza. Dopo tutto, facciamo questa recita per divertirci, e se ci divertiamo con un sacco di sciocchezze...

    — Già, — debolmente.

    — ... Tu hai detto una volta che la gente a Gopher Prairie non sa godere la vita, e adesso che ci divertiamo vuoi farci smettere!

    Carol rispose, sobria:

    — Come posso fare per spiegarvi quel che voglio dire? È come la differenza che passa fra guardare la pagina comica d’un giornale e un quadro di Manet. Io voglio che ci si diverta, naturalmente; però... credo che presentare una recita per quanto è possibile perfetta sia più divertente ancora. — Era stranamente esaltata: parlava con sforzo, guardando non la comitiva ma i disegni scarabocchiati sul rovescio delle quinte da attori dimenticati. — Non so se possiate comprendere quanto sia divertente fare una cosa bella: l’orgoglio che ne deriva, la santità.

    I presenti si scambiarono un’occhiata incerta. A Gopher Prairie non è di buon gusto pensare alla santità tranne in chiesa, fra le dieci e mezza e mezzogiorno, la domenica.

    — Ma se vogliamo riuscirci, dobbiamo lavorare: dobbiamo imporci il controllo di noi stessi.

    Gli altri erano insieme divertiti e imbarazzati. Come affrontare quella pazza? Un po’ mortificati si misero a provare. Carol non udì Juanita che, dinanzi a tutti, protestava con Maud Dyer:

    — Se questa chiama divertimento e santità sudare sulla sua stupida commedia... be’, io proprio no!

     Carol assistette all’unico spettacolo di attori veri e propri che passò da Gopher Prairie quella primavera. Era una compagnia ambulante che presentava « eleganti drammi nuovi sotto la tenda ». Gli attori infaticabili suonavano la grancassa e vendevano i biglietti; fra un atto e l’altro cantavano canzoni romantiche sulla luna di giugno e spacciavano lo specifico del dottor Wintergreen per « Tutte le Malattie del Cuore, dei Polmoni, dei Reni, dello Stomaco e degli Intestini ». Rappresentarono Nell la pioniera, dramma a lieto fine degli Ozarks, con J. Witherbee Boothby che straziava l’animo degli spettatori gridando:

    — Voi non vi siete portato bene con la mia piccina, signor Cittadino, ma vi accorgerete che là, fra quelle montagne, vi sono persone oneste e tiratori scelti!

    Gli spettatori seduti sulle panche sotto la tenda rappezzata ammiravano la barba e il lungo fucile del signor Boothby; battevano i piedi nella polvere allo spettacolo della sua prodezza; urlarono quando il commerciante scimmiottò l’uso del lorgnon delle signore cittadine guardando traverso una frittella infilata in una forchetta; piansero senza ritegno sulla piccola Nell del signor Boothby, la quale nella vita privata era Pearl, la legittima sposa del detto signore; e quando il sipario calò ascoltarono rispettosamente la conferenza del primo attore sullo Specifico del dottor Wintergreen per la cura dei vermi, illustrata da orribili cose pallide raggomitolate entro bottiglie piene di alcole giallastro.

    Carol scosse il capo. « Juanita ha ragione, io sono una sciocca. La santità del teatro! Bernard Shaw! Il solo dubbio a proposito della Ragazza di Kankakee è che sia troppo raffinata per Gopher Prairie! ».

    Cercava di consolarsi con paroioni banali, presi dai libri: « l’istintiva nobiltà delle anime semplici », « ci vuole soltanto l’occasione per apprezzare le belle cose » e « robusti esponenti della democrazia ». Ma quelle frasi ottimistiche non s’imponevano come le risate del pubblico ai lazzi del buffo: — Sì perbacco, sono un tipo sciccoso! — Avrebbe voluto rinunciare a tutto, alla recita, al Circolo Filodrammatico, alla città. Mentre usci

     va dalla tenda e s’avviava con Kennicott per la polverosa strada primaverile sbirciava quello sparpagliato villaggio di legno e sentiva che non poteva, assolutamente non poteva star lì nemmeno un giorno e una notte ancora.

    Fu Miles Bjornstam che le ridette fiducia: lui, e il fatto che i posti per la Ragazza di Kankakee erano venduti fino all’ultimo.

    Bjornstam « discorreva » con Bea, seduto sugli scalini della porta di dietro, tutte le sere. Una volta borbottò a Caroli

    — Spero che offra un bello spettacolo a questo borgo. Se non ci riesce lei, c’è da giurare che non ci riuscirà nessuno.

    Era la grande serata: la serata della recita. I due camerini erano pieni d’artisti pallidi, sconvolti, tremanti. Del Snaffing, il barbiere che si riteneva uno specialista come Ella Stowbody per aver partecipato una volta a una scena di massa alla rappresentazione di una compagnia semipermanente di Minneapolis, li truccava dimostrando il suo disprezzo verso i dilettanti con bruschi: — Fermo! Come pretende che le faccia gli occhi se continua a dimenarsi? — Gii attori lo supplicavano:

    — Oh, Del, mi metta un po’ di rosso nelle narici, a Rita gliel’ha messo... Perdinci al mio viso non ha fatto niente!

    Erano estremamente del mestiere. Esaminavano la scatola del trucco di Del Snaffing, fiutavano il cerone, correvano ogni momento a mettere un occhio al forellino del sipario, tornavano indietro a ispezionare le loro parrucche e i loro costumi, leggevano sulle pareti a calce dei camerini le scritte scarabocchiate a matita: « Compagnia Comica Flora Flanders », e: « Che porcheria di teatro », e si sentivano colleghi di quegli svaniti commedianti.

    Caroi, elegantissima in tenuta di cameriera, stimolava con le buone il personale volontario a finire di metter su’ la scena del primo atto, gemeva a Kennicott, il maestro delle luci: — Per amor del cielo, non dimenticare il cambiamento di tono nel secondo atto! — correva fuori per chiedere a Dave Dyer che stava ai biglietti se non fosse possibile aggiungere qualche sedia, ammoniva la terrorizzata Myrtle Cass a non rovesciare il cestino della carta straccia quando Grimm la chiamava: — Ehi tu, Reddy.

    L’orchestra di Del Snaffin (piano, violino e cornetta) cominciava ad accordare, e tutti coloro che si trovavano dietro la magica linea del proscenio erano paralizzati dal terrore. Carol si diresse barcollando verso il foro del sipario. C’era tanta gente e tutti guardavano con tanto d’occhi...

    Nella seconda fila vide Miles Bjornstam, ma senza Bea: solo. S’interessava proprio dello spettacolo! Era un buon segno. Forse quella serata avrebbe convertito Gopher Prairie alla bellezza cosciente.

    Si slanciò nel camerino delle signore, rianimò Maud Dyer mezza svenuta della paura, la spinse fuori delle quinte e ordinò che si alzasse il sipario.

    Il sipario cominciò ad alzarsi con molta incertezza, barcollò, tremò, ma arrivò in cima senza imbrogliarsi... almeno quella volta. Allora ella si accorse che Kennicott aveva dimenticato di spegnere le luci nella sala. Qualcuno, in prima fila, rideva.

    Si slanciò dietro la quinta di sinistra, girò ella stessa l’interruttore e fulminò Kennicott con uno sguardo così feroce che quegli indietreggiò spaventato.

    La signora Dyer strisciava fuori sul palcoscenico immerso nella penombra. Lo spettacolo era cominciato.

    In quello stesso istante Carol capì che era una brutta commedia recitata in modo abominevole.

    Incoraggiandoli con mendaci sorrisi, guardava andare a rotoli tutte le sue fatiche. La messa in scena sembrava ingenua e nuda, l’illuminazione comune; Pollock tartagliava e si tirava i baffi, mentre avrebbe dovuto essere un tirannico magnate; Vida Sherwin, nelle vesti della timida moglie di Grimm, chiacchierava col pubblico come se questo fosse la sua scolaresca d’inglese alla Scuola Superiore; Juanita, nel ruolo principale, sfidava il signor Grimm come se ripetesse la lista delle cose che doveva ordinare dal droghiere; Ella Stowbody dichiarava: — Gradirei una tazza di tè, — come se declamasse:

    « Deh, signor mio, del vostro duolo ascoso - Parte fate anche a me »; e il dottor Gould corteggiava Rita Simmons urlando: — Perdinci-tu-sei-una-ragazza-meraviglioooosa!

    Myrtle Cass, nella parte del fattorino, fu tanto compiaciuta degli applausi dei parenti, poi tanto agitata dai commenti di Cy Bogart sui suoi pantaloni, che non sapeva nemmeno uscire dalla scena. Solo Raymie, imperterrito, si dedicava completamente al proprio ruolo.

    E che il suo giudizio fosse esatto, Carol lo capì quando, dopo il primo atto, Bjornstam se ne andò e non tornò più.

    Fra il secondo e il terzo atto raccolse la compagnia e disse, supplichevole:

    — Vorrei sapere una cosa, prima che ci si separi. Che stasera si vada bene o male, non è che l’inizio. Ma vogliamo che sia davvero un inizio? Quanti di voi si impegnano a riunirsi intorno a me, al più presto, domani stesso, per gettare le basi d’una nuova rappresentazione da dare a settembre?

    Tutti la guardarono con tanto d’occhi e annuirono alla protesta di Juanita:

    — Direi che basti una recita, per ora! Stasera ce la caviamo che è un amore, ma ricominciare... Mi sembra che avremo tutto il tempo di riparlarne in autunno. Carol! Spero che tu non voglia fare insinuazioni poco simpatiche. Credo bene che tutti questi applausi dimostrino che il pubblico trova che tutto va d’incanto.

    E allora Carol capì tutta l’estensione della sua sconfìtta.

    Mentre il pubblico si disperdeva, udì B. J. Gougerling il banchiere che osservava a Howland il droghiere:

    — Ebbene mi pare che si siano portati splendidamente: proprio come artisti veri e propri. Ma questo genere di spettacoli non mi piace un gran che. Meglio un bel cinema con incidenti automobilistici e assalti di banditi e un po’ di spirito d’iniziativa, e senza tutti questi discorsi sconclusionati!

    E allora Carol capì che senza dubbio sarebbe stata sconfitta di nuovo.

    Stanca e abbattuta, non se la prendeva con loro, artisti e spettatori. Lei, lei sola era da biasimare per aver cercato di intagliare disegni e sculture nel solido ed onesto abete casalingo.

    — È la più umana delle mie sconfitte. Sono battuta dalla Via Principale. Devo andare avanti... Ma non posso!

    Non fu molto sollevata dai commenti dell’Intrepido.

    «... sarebbe impossibile fare una distinzione fra gli attori, dato che tutti dettero così bella prova di sé nella difficile esecuzione di questa celebre commedia di Nuova York. Guy Pollock non avrebbe potuto essere più a posto nella parte del vecchio milionario, per la sua fine interpretazione del burbero personaggio; la signora Juanita Haydock, la fanciulla venuta dal West per sventare i piani degli imbroglioni dì Nuova York, fu una visione di bellezza e di padronanza scenica. La signorina Vida Sherwin, la notissima insegnante della nostra Scuola Superiore piacque come signora Grimm, il dottor Gould era perfettamente a posto nella parte del giovane innamorato (attente, ragazze, ricordate che il dottore è scapolo! È fama che sia un vero campione, quando si tratta di tradizionali quattro salti in famiglia). Rita Simmons nel personaggio della stenografa era bella come un quadro e la signorina Ella Stowbody rivelò il lungo e intensivo studio del teatro e delle arti affini compiuto  nelle scuole dell’East con la bella finitezza data alla propria parte.

    «...

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