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Un genocidio culturale dei nostri giorni: Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena
Un genocidio culturale dei nostri giorni: Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena
Un genocidio culturale dei nostri giorni: Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena
E-book270 pagine3 ore

Un genocidio culturale dei nostri giorni: Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena

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Info su questo ebook

Il Nakhichevan ha avuto a lungo un ruolo molto importante nella storia e nella cultura dell’Armenia, in particolare nell’ambito della nascita del commercio armeno in epoca moderna. Attualmente, però, la millenaria presenza armena è stata completamente cancellata in questa regione che costituisce una repubblica autonoma dell’Azerbaigian. Non solo, infatti, gli armeni hanno completamente cessato di vivere nel Nakhichevan, ma il loro imponente patrimonio artistico – in particolare le celebri croci di pietra (khachkar) di Giulfa, ma anche le numerose chiese – è stato completamente distrutto dalle autorità azere negli ultimi decenni. Ed è altissimo il rischio che lo stesso possa avvenire nel Nagorno-Karabakh ormai anch’esso privo della sua popolazione armena.
LinguaItaliano
Data di uscita7 feb 2024
ISBN9788881955039
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    Anteprima del libro

    Un genocidio culturale dei nostri giorni - Antonia Arslan

    Frammenti di un discorso mediorientale

    Collana diretta da Antonia Arslan

    Una collana svelta, che offre diversi punti di vista e diverse illuminazioni – del passato e del presente – per ottenere un po’ della luce che ci è necessaria per affrontare il complesso e terribile mosaico mediorientale, grondante di sangue, di odio e di speranze troppo spesso deluse.

    Conflitti che generano altri conflitti, bagliori di ottimismo, primavere che presto si spengono, misteriose alleanze: prima di tutto occorre capire, e per capire bisogna conoscere le storie, le atmosfere, gli uomini di questi paesi così vicini e così lontani, che affondano le radici in un passato scomparso ma hanno bisogno di un futuro non insanguinato.

    1. Laura Mirakian, Siria, perché. Lettere da Damasco, prefazione di Antonia Arslan

    2. Jean Jaurès, Bisogna salvare gli armeni. Discorsi alla Camera dei deputati francese in difesa degli armeni, a cura di Paolo Fontana

    3. Claude Mutafian, Metz Yeghérn. Breve storia del genocidio degli armeni, a cura di Antonia Arslan. Nuova edizione aggiornata

    4. Hasan Cemal, 1915: genocidio armeno

    5. Simone Zoppellaro, Armenia oggi. Drammi e sfide di una nazione vivente, prefazione di Antonia Arslan

    6. Simone Zoppellaro, Il genocidio degli yazidi. L’isis e la persecuzione degli «adoratori del diavolo», prefazione di Riccardo Noury

    7. Pierpaolo Faggi, L’albicocco, la vite, il melograno. A piedi attraverso l’Armenia, introduzione di Antonia Arslan

    8. Vittorio Robiati Bendaud, La stella e la mezzaluna. Breve storia degli ebrei nei domini dell’Islām, nota introduttiva di Antonia Arslan

    9. Siobhan Nash-Marshall, I peccati dei padri. Negazionismo turco e genocidio armeno, nota introduttiva di Antonia Arslan

    10. Taner Akçam, Killing orders. I telegrammi di Talat Pasha e il Genocidio Armeno, a cura di Antonia Arslan

    11. Rafael de Nogales, Quattro anni sotto la Mezzaluna, a cura di Fabrizio Pesoli, prefazione di Antonia Arslan

    12. Yitzhak Reiter, Dvir Dimant, Il Monte del Tempio. Ebraismo, Islām e la Roccia contesa, postfazione di Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud, traduzione a cura di Vittorio Robiati Bendaud

    13. Stefan Ihrig, Giustificare il genocidio. La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismarck a Hitler, a cura di Antonia Arslan, prefazione di Siobhan Nash-Marshall

    14. Un genocidio culturale dei nostri giorni, Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena a cura di Antonia Arslan e Aldo Ferrari

    Frammenti di un discorso mediorientale

    14

    Crediti delle immagini presenti nel saggio di Marco Ruffilli: immagini 1, 2, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 su concessione di Argam Ayvazian; immagini 3, 4. Fotografie di Aram Vruyr, Պատմամշակութային արգելոց-թանգարանների և պատմական միջավայրի պահպանության ծառայություն, Հայաստան/Service For The Protection Of Historical Environment and Cultural Museums-Reservations. State Non-commercial Organization, Armenia, ԳԳ 70, Ա. սև 1/1411 e 1/1402. https://hushardzan.am/en/; immagine 9 da H. PETROSYAN, The Culture of Julfa Khachkars and their Repatriation Movement, in L’arte armena. Storia critica e nuove prospettive/Studies in Armenian and Eastern Christian Art 2020, a cura di A. Ferrari, S. Riccioni, M. Ruffilli, B. Spampinato, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia (Eurasiatica, 16), pp. 181-203: p. 193, fig. 12.

    © 2023 Edizioni Angelo Guerini e Associati srl

    via Comelico, 3 - 20135 Milano

    https://www.guerini.it

    e-mail: info@guerini.it

    Prima edizione: novembre 2023

    Ristampa: V IV III II I 2023 2024 2025 2026 2027

    Publisher Giovanna Gammarota

    Copertina di Donatella D’Angelo

    Printed in Italy

    ISBN 978-88-8195-503-9

    Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org.

    Versione digitale realizzata da Streetlib srl

    INDICE

    IL TRISTE DESTINO DI UNA REGIONE ABBANDONATA

    di Antonia Arslan e Aldo Ferrari

    ANCHE LE PIETRE MUOIONO.

    LA DISTRUZIONE DI MONUMENTI, SITI STORICI E MEMORIE CULTURALI ARMENE IN NAXIǰEWAN: UN MODELLO PER IL NAGORNO-KARABAKH PASSATO SOTTO IL CONTROLLO DELL’AZERBAIGIAN?

    di Martina Corgnati

    I CANTI DEL GOŁT‘N

    di Alessandro Orengo

    IL NAXIǰEWAN TRA URARTU E GLI ARSACIDI:

    UNA PROSPETTIVA ARCHEOLOGICA SU OĞLAN QALA E GLI ALTRI SITI DELL’AREA

    di Roberto Dan e Priscilla Vitolo

    L’ARTE ARMENA DEL NAXIǰEWAN

    di Marco Ruffilli

    LA DIOCESI ARMENO-CATTOLICA DI NAXIǰEWAN E I SUOI RAPPORTI CON ROMA NEL XVII SECOLO

    di Paolo Lucca

    VIAGGIATORI-SCRITTORI EUROPEI NEL NAXIǰEWAN: VOCI DA UN MONDO PERDUTO

    di Alessia Boschis

    ZAKʽARIA DI AGULIS:

    UN MERCANTE ARMENO DEL NAXIǰEWAN

    di Nicoletta Pilon

    IL NAXIǰEWAN DI LUIGI VILLARI.

    di Aldo Ferrari

    AKRAM AYLISLI. UNO SCRITTORE LIBERO

    di Gian Antonio Stella

    LA VOCE DELL’AUTORE

    di Akram Aylisli

    IL TRISTE DESTINO DI UNA REGIONE ABBANDONATA

    di Antonia Arslan e Aldo Ferrari

    Questo volume riunisce alcuni articoli di studiosi differenti per età e specializzazione, ma animati da un comune obiettivo: mostrare come la piccola e quasi sconosciuta regione del Nakhichevan¹ – attualmente Repubblica autonoma del Naxçivan, all’interno dell’Azerbaigian – sia stata per millenni parte integrante del territorio e della cultura dell’Armenia. Un obiettivo scientifico, certo, ma anche e forse soprattutto morale, di fronte al vero e proprio genocidio culturale² compiuto dalle autorità dell’Azerbaigian, che hanno distrutto negli ultimi decenni l’intero patrimonio artistico armeno di questa regione, già in precedenza svuotata della sua popolazione originaria.

    Un genocidio culturale, di cui si parla veramente troppo poco, forse anche per l’importanza crescente dell’Azerbaigian nell’approvvigionamento energetico di molti Paesi, a partire dal nostro. Non si può peraltro dimenticare la chiara condanna espressa dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2022 sulla distruzione del patrimonio culturale nel Nagorno-Karabakh a proposito del fatto «che negli ultimi 30 anni l’Azerbaigian ha causato la distruzione irreversibile del patrimonio religioso e culturale, in particolare nella Repubblica autonoma del Naxçivan, dove sono state distrutte 89 chiese armene, 20.000 tombe e oltre 5.000 lapidi»³. Inoltre, in maniera assolutamente corretta il Parlamento europeo collega – sin dal titolo – la sua presa di posizione alla concreta prospettiva – o certezza – che questa politica distruttiva di Baku nel Nakhichevan possa ripetersi anche nel Nagorno-Karabakh (Artsakh in armeno). E non si può tacere la situazione disperata del patrimonio artistico armeno in Turchia, dove al genocidio fisico è seguito e continua a seguire quello culturale⁴.

    Gli autori di questi articoli si sono concentrati sull’antichità urartea, quindi pre-armena, del Nakhichevan (Roberto Dan); sulla antica tradizione lirica del distretto di Gołʽtn, che faceva parte del Nakhichevan (Alessandro Orengo); sull’arte armena di questa regione, sulla sua specificità e sulla recente distruzione (Martina Corgnati e Marco Ruffilli); su alcuni aspetti delle sue dinamiche religiose, in particolare riguardo al rapporto tra la Chiesa Apostolica Armena e quella Cattolica (Paolo Lucca); sul significato del Nakhichevan nella nascita della rete commerciale armena in epoca moderna (Nicoletta Pilon); sui racconti di alcuni dei viaggiatori che hanno attraversato questa regione dal Medioevo a oggi (Alessia Boschis e Aldo Ferrari).

    Si è inoltre ritenuto opportuno riportare anche la Prefazione di Gian Antonio Stella e la Postfazione di Akram Aylisli alla traduzione italiana del suo romanzo Sogni di pietra (Guerini e Associati, Milano 2015), in cui questo importante scrittore azero, originario del proprio del Nakhichevan, parla in maniera indimenticabile delle chiese armene che ora non esistono più. È un quadro certo incompleto, ma che consente al lettore di accostarsi a una cultura tanto interessante quanto poco conosciuta; una cultura condannata purtroppo alla distruzione da parte di un Paese che da un lato si riempie la bocca di retorica multiculturale e dall’altro annienta per intero il patrimonio artistico di un popolo, cercando in questo modo di sopprimerne anche la memoria.

    Il volume non comprende nessun articolo dedicato alla cultura turco/azera della regione, ma non certo perché si voglia negare la sua importante presenza a partire dall’invasione selgiuchide nell’XI secolo. Il punto è che dopo secoli di coesistenza armeno-turca, la regione è diventata monoetnica e monoculturale per scelte precise e distruttive delle autorità di Baku. Scelte che si riflettono persino nelle guide turistiche, che omettono qualsiasi riferimento al patrimonio armeno della regione, dalla quale proviene tra l’altro la famiglia Aliyev, che ha dato due presidenti consecutivi, padre e figlio, all’Azerbaigian.

    La necessità di mantenere viva la memoria della millenaria presenza degli armeni in Nakhichevan deve inoltre essere collegata anche al rischio concreto che – dopo la vittoria nella guerra del 2020 e il violento attacco militare condotto nel settembre del 2023 – l’Azerbaigian possa ripetere nel Nagorno-Karabakh (Artsakh) la stessa politica di svuotamento etnico e genocidio culturale condotta nel Nakhichevan. Senza dimenticare, purtroppo, che nel discorso politico di Baku sempre più spesso l’intero territorio della Repubblica d’Armenia viene ormai definito «Azerbaigian occidentale» e quindi politicamente rivendicato. Un esempio inquietante di tale discorso è costituito dal volume, di notevole pregio estetico, pubblicato in russo e inglese nel 2010, il cui titolo può essere tradotto con Il khanato di Erevan. La conquista russa e l’insediamento degli armeni nel territorio dell’Azerbaigian settentrionale. Questo volume, curato dall’Accademia delle Scienze di Baku, oltre a presentare una notevole quantità di fatti storici in maniera ampiamente distorta, nell’ottica propagandistica e autoreferenziale ormai consolidatasi in Azerbaigian, compie un ulteriore e pericolosissimo passo in avanti. Non si limita infatti a sostenere, in maniera sostanzialmente erronea, che i territori dell’antico khanato di Erevan – che in pratica coincidono con quelli dell’odierna Repubblica armena – sono da sempre parte integrante dell’Azerbaigian e che l’insediamento degli armeni avvenne solo in seguito alla conquista russa nell’Ottocento. L’aspetto più preoccupante di questo volume, dedicato alla «indimenticabile memoria del grande figlio del popolo azerbaigiano, il capo di tutta la nazione Heydar Aliyev», è costituito dall’incipit, firmato dal figlio, Ilham Aliyev, attuale presidente della Repubblica. Vi si afferma infatti che «Erevan fu consegnata all’Armenia […] ma la maggior parte della popolazione del suo khanato era azerbaigiana. […] Perciò, dal punto di vista storico, questa terra è nostra»⁵. E non si tratta solo di una rivendicazione storica. Il volume si chiude infatti con queste minacciose parole: «Il popolo azerbaigiano continuerà a lottare per liberare le sue terre occupate dagli armeni, perché ha imparato bene la lezione della storia: la terra natia non deve essere regalata; chi la regala resterà senza Patria»⁶.

    È evidente che la liberazione delle «terre occupate dagli armeni» può avvenire solo scacciando e sterminando questi ultimi che – occorre ricordarlo? – hanno già subito questa sorte cento anni fa da parte dei Giovani Turchi nella maggior parte del loro territorio storico. Questa retorica non deve essere sottovalutata: viene da parte di un Paese che grazie alle imponenti rendite petrolifere sta conducendo un’offensiva diplomatica su scala globale per rafforzare la propria posizione internazionale. In particolare, dopo l’esito vittorioso della guerra del 2020, il presidente Aliyev e diversi funzionari azeri hanno ripetuto e amplificato queste rivendicazioni; in primo luogo – evidentemente – per indurre l’Armenia a riconoscere ogni loro pretesa sul Nagorno-Karabakh, e inoltre per acconsentire alla realizzazione del corridoio meridionale che secondo gli accordi dovrebbe consentire il collegamento tra l’Azerbaigian e il Nakhichevan⁷. Tuttavia, l’enorme sproporzione tra le forze dei due Paesi (uno dei quali appoggiato anche dalla Turchia) e il sostanziale disimpegno della Russia dal suo tradizionale ruolo di protezione dell’Armenia, non consente di escludere la prospettiva più pessimista.

    In una situazione di questo tipo, il presente volume costituisce quindi non solo un importante contributo scientifico alla conoscenza della millenaria presenza storica e culturale degli armeni nel Nakhichevan, ma anche uno strumento per contrastare la deriva espansionista di Baku, che rappresenta una minaccia reale non solo nei confronti del Nagorno-Karabakh (Artsakh), ma della stessa Armenia.

    Non è sempre stato così. La velenosa atmosfera che attualmente intossica qualsiasi tentativo di pacificazione ragionevole, fino al paradossale blocco, nel dicembre 2022, da parte di sedicenti ambientalisti – del corridoio di Lachin, l’unica strada rimasta che congiungeva l’enclave armena in Artsakh con la stessa Armenia, è in gran parte frutto della politica dei governanti azeri dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica. A titolo esemplificativo, ci è sembrato opportuno ricordare tre storie particolarmente significative, anche perché i protagonisti sono azeri.

    La prima, alla quale si accennava prima, riguarda il celebre scrittore pluripremiato Akram Aylisli. Il romanzo Sogni di pietra fu pubblicato da lui in russo – su una rivista – anche per evitare un’indesiderata pubblicità in patria: ma questa precauzione non gli servì a nulla. Sul suo capo si abbatté ogni possibile biasimo e censura, con minacce e manifestazioni popolari, fino al licenziamento (suo, della moglie e del figlio) e alla privazione del suo status di «Scrittore del Popolo». A fine marzo 2016 non riuscì a venire all’Università di Venezia per presentare la traduzione italiana, bloccato all’aeroporto di Baku con la risibile accusa di avere, lui ottantenne, malmenato un giovane poliziotto; e lo stesso è accaduto nell’autunno 2020, quando fu invitato dal PEN e dalla Columbia University a New York, in occasione dell’uscita della traduzione inglese della trilogia Addio, Aylis (di cui Sogni di pietra fa parte). Aylisli vive ancora oggi in stretto isolamento: in sostanza, è dimenticato…

    Una storia terribile è quella di Gurgen Margaryan. Ufficiale dell’esercito armeno, nel 2004 prendeva parte a corsi di lingua organizzati per un programma della NATO in un’accademia militare a Budapest, insieme ad altri soldati di moltissime nazioni. Una notte, all’improvviso, l’ufficiale azero Ramil Safarov penetrò nella stanza in cui l’armeno dormiva e lo uccise con un’ascia, colpendolo ripetutamente con grande violenza. Al processo che seguì, Safarov dichiarò che era sua intenzione eliminare anche l’altro armeno che partecipava al programma, ma purtroppo aveva trovato la porta della sua stanza chiusa a chiave. Condannato al carcere a vita, fu consegnato dal governo ungherese a quello azero nel 2012, dietro assicurazione che sarebbe rimasto in prigione, ma nel suo Paese: invece, all’arrivo a Baku fu ricevuto con tutti gli onori, promosso e variamente gratificato. Il fatto destò un certo scandalo, ma venne presto dimenticato…⁸.

    La terza storia è molto recente, ed è stata pubblicata in Italia nel 2022⁹: una scrittrice azera, Sabina Nurakhmedova, racconta in prima persona la vita di una giovane donna, Azadeh, che nasce in una complicata famiglia mista, di cui fa parte anche un armeno: dall’infanzia a Baku e la giovinezza in Kazakhistan, fino all’approdo finale in Italia. Ma i vivaci personaggi che appaiono nel libro appartengono a tante etnie diverse, e sono tutti cittadini della bella città di Baku, coi suoi quartieri antichi e le sue strade piene di gente e di vita: c’è una nonna matriarca e figli diversissimi fra loro ma uniti da un forte senso di appartenenza e di comunità; ci sono realtà e storture di un Paese ex sovietico, con la sua corruzione spicciola e la rassegnazione fatalista del popolo, c’è il sogno di una sia pur modesta libertà da raggiungere e il mito dell’Occidente. Il libro è un’appassionata cronaca della crescita e delle scelte di una persona comune, fuori dagli schemi di contrapposizione politica ed etnica che avvelenano il suo Paese, fino a non poterli più sopportare; ma è anche un’equilibrata denuncia della follia della guerra e dell’odio fra Azerbaigian e Armenia. Ed è particolarmente interessante perché riflette sul modo in cui quest’odio viene freddamente coltivato e diffuso.


    ¹ Nella prefazione, nel titolo e nel frontespizio del volume si usa la grafia Nakhichevan invece che quella Naxiǰewan, basata sulla traslitterazione scientifica, che viene invece utilizzata nel resto del volume.

    ² All’origine del concetto di genocidio culturale occorre collocare la figura del giurista Raphael Lemkin (1900-1959) che propose di includere il patrimonio artistico nella definizione dei crimini contro l’umanità, aggiungendo al «crime of barbarity consisting in the extermination of racial, religious or social collectivities», quello di «vandalism, consisting in the destruction of cultural and artistic works of these groups». Si veda R. Lemkin, «Genocide as a Crime under International Law», American Journal of International Law, vol. 41, n. 1, January 1947, pp. 145-151 (p. 146).

    ³ Si può leggere il testo della Risoluzione all’indirizzo https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2022-0080_IT.html

    ⁴ Si veda al riguardo A. Ferrari, L’Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo, Salerno Editrice, Roma 2019.

    ⁵ Traduco dall’edizione russa, Irevanschoe chanstvo. Rossijskoe zavoevanie i pereselenie armjan na zemli Severnogo Azerbajdžana, Institut Istorii imeni A.A. Bakikanova Nacional’ noj Akademii Nauk Azerbajdžana, Baku 2010, p. 5.

    Ibidem, p. 586. Questo volume è stato anche tradotto in italiano da parte di un editore compiacente: Il Khanato di Irevan, Istituto A. Bakhikanov ANAS, Eurasian books, Roma 2015.

    ⁷ L. Broers, Augmented Azerbaijan? The return of Azerbaijani irredentism, 5 agosto 2021, https://eurasianet.org/perspectives-augmented-azerbaijan-the-return-of-azerbaijani-irredentism.

    ⁸ Tuttavia il 13 settembre 2012 l’Assemblea plenaria del Parlamento europeo ha votato una risoluzione di condanna dell’Azerbaigian sul caso Safarov (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-7-2012-0356_IT.html?redirect). Inoltre, nel maggio 2020, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Azerbaigian per la gestione dell’estradizione di Safarov. Si veda al riguardo l’articolo di A. Saburtalo, La Corte di Strasburgo condanna Baku, 3 giugno 2020, https://www.eastjournal.net/archives/106485.

    ⁹ S. Nurakhmedova, Storia di Azadeh, Oltre Edizioni, Sestri Levante (Genova) 2022.

    ANCHE LE PIETRE MUOIONO. LA DISTRUZIONE DI MONUMENTI, SITI STORICI E MEMORIE CULTURALI ARMENE IN NAXIǰEWAN: UN MODELLO PER IL NAGORNO-KARABAKH PASSATO SOTTO IL CONTROLLO DELL’AZERBAIGIAN?

    di Martina Corgnati

    Premessa

    L’etnocidio o genocidio culturale è un aspetto delle pratiche genocidarie che consiste, in base a una definizione semplice e largamente condivisa, nella «acculturazione forzata imposta da una società dominante a una più debole, la quale in tal modo vede rapidamente crollare i valori sociali e morali tipici della propria cultura e perde, alla fine, la propria identità e unit໹.

    Di questo programma costituisce naturalmente parte integrante la distruzione sistematica delle tracce culturali e storiche che un gruppo umano, una stirpe, popolo o nazione, imprime sul territorio che abita: tracce che non solo ne testimoniano la presenza passata, presente o entrambe, ma che costituiscono spesso un patrimonio artistico di notevole rilevanza in base a criteri condivisi dalla comunità internazionale che si interessa di valorizzazione e conservazione dei beni culturali. Sono beni culturali «le cose immobili e

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