L’Odissea in cucina
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Anteprima del libro
L’Odissea in cucina - Anna Rita Zara
Premessa
Parlami, o Musa, dell’uomo versatile e scaltro
Che andò tanto a lungo vagando dopo che ebbe
Distrutto la sacra rocca di Troia. Egli le città
Di molti uomini vide e ne conobbe i costumi e soffrì
Molte traversie in mare …
(Omero, Odissea. Libro I)
L’Iliade e l’Odissea, poemi tradizionalmente attribuiti a Omero, personaggio non meno leggendario degli eroi da lui cantati, costituiscono la base su cui si è costruita la letteratura greca e da questa quella latina e occidentale. Sono entrambi poemi epici, in quanto privilegiano i legami con la tradizione, idealizzano il passato e collegano gli avvenimenti umani con il mondo divino. Hanno tuttavia una visione diversa dell’epos: mentre l’Iliade ruota intorno a un episodio del decimo anno della guerra di Troia, l’Odissea narra le peripezie del viaggio di ritorno di Ulisse a Itaca dopo la caduta della città, e la sua riunione con la famiglia dopo aver ucciso gli uomini che hanno tentato di usurpargli il regno e di prendersi sua moglie. I Greci micenei, protagonisti di entrambi i poemi, sono stati identificati con gli Achei.
L’Iliade e l’Odissea fanno parte di un quadro epico più grande, il Ciclo Troiano, anteriore a entrambi, e la loro scrittura, certamente preceduta da una lunga trasmissione orale, è stata strutturata per la prima volta in senso organico ad Atene nel VI sec. a.C. e più tardi dai grammatici alessandrini che li hanno divisi in 24 libri ciascuno.
L’Iliade e l’Odissea, ed è questo il fatto essenziale, sono capolavori assoluti del genere epico, grazie ai quali non solo esiste un vastissimo repertorio di documenti, ma è stata approfondita la conoscenza dell’uomo nelle sue componenti psicologiche, sociali e fantastiche.
L’Odissea, in esametri come l’Iliade, inizia con il viaggio di Telemaco, il giovane figlio di Ulisse alla ricerca del padre, e prosegue con le avventure incontrate da Ulisse durante il viaggio di ritorno alla sua terra e l’uccisione dei pretendenti di sua moglie che avevano invaso la sua casa; essa è la madre di ogni percorso romanzesco, e tutti i suoi personaggi, umani e divini, uomini e donne, sono archetipi, in cui possiamo ritrovare noi stessi.
Le donne che vi compaiono passano il loro tempo a tessere e a cantare: Calipso, Circe e Penelope per svariate circostanze sono donne sole, ma accomunate dalla tessitura e dall’aver condiviso un uomo trattenuto accanto a sé solo per poco tempo. Anche la virtuosa Arete, la regina dei Feaci, brava massaia e madre felice, si dedica già di buon mattino alla tessitura, ma sua figlia Nausicaa, che sogna l’amore, ha smesso per il momento di tessere: il corredo è ormai pronto, è tempo di andare a nozze.
Gli uomini fanno la guerra, compiono spedizioni per terra e per mare, mentre loro, le donne, rimangono a casa, ma anch’esse a loro modo viaggiano, perché davanti al telaio non tessono solamente le stoffe, ma intrecciano labirinti di pensieri e compiono viaggi nell’infinito dell’immaginario. La divisione del ruolo maschile e femminile nasce da questa linea di demarcazione: gli uomini affrontano e domano la natura, le donne sono la natura, si mimetizzano con essa, e mentre tessono inseguono sogni con le loro canzoni. Il mondo maschile e femminile trova la sua ricomposizione e la sua unità nella presenza di Atena, la dea onnipresente nel poema, che protegge sia la tessitura che la guerra, sia l’ordine domestico che l’ordine del regno, sia la giustizia che l’ingegno.
Come ogni capolavoro, anche l’Odissea ha avuto e continua ad avere tante chiavi di lettura, ma credo che finora non ne sia stata considerata una attraverso il cibo, sebbene ve ne siano numerosi riferimenti. E come potrebbe essere altrimenti? Ulisse, il mitico viaggiatore, che conosce tanti popoli, che scopre tante terre, sopravvive solo se trova il cibo, che rappresenta non soltanto l’alimento necessario al corpo, ma delinea il grado di civiltà e di benessere di ogni popolazione che gli capiti d’incontrare.
Ulisse rifiuta il cibo degli dèi, come rifiuta il cibo tabù delle mandrie del Sole o la droga dei mangiatori di loto; si difende dal cibo adulterato da Circe per mezzo del quale la maga trasforma gli uomini in animali; incontra esseri giganteschi come i Lestrigoni e i Ciclopi, che praticano il cannibalismo. Ma nelle sue avventure conosce anche l’ospitalità generosa di Eolo, il signore dei venti, quella regale e munifica del re dei Feaci e quella ricca di calore umano e di rispetto di un umile porcaro.
Le peregrinazioni di Ulisse non terminano con l’Odissea: la profezia vaticinatagli dall’indovino Tiresia nel Regno dei Morti, lo vede pellegrinare ancora per mare, finché non avrà trovato un popolo che non conosce il sale, senza il quale il cibo non ha sapore. Il suo apporto alla civiltà è dunque quello di far conoscere il sale, che certo possiamo anche considerare come una metafora: Ulisse dovrà portare ai suoi simili la smania di viaggiare, di conoscere altri luoghi e altre genti, ovvero il sale della vita. Così è stato. Attraverso il tempo Ulisse ha infatti incarnato l’esploratore del mondo e dei