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Melagrana e cocci di bottiglia
Melagrana e cocci di bottiglia
Melagrana e cocci di bottiglia
E-book263 pagine4 ore

Melagrana e cocci di bottiglia

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Info su questo ebook

Una casa sospesa, nella dolcezza sfrontata dell'estate.
Tra risse, corse spericolate, rave e disastri non solo naturali, l'amore farà capolino nelle vite di Leo e Noa.
"Leo pensò che doveva aver avuto paura, ma non se lo ricordava. Rammentava di aver allargato le braccia e sentito il vento che quasi lo portava via, di aver gridato per l’eccitazione e chiuso gli occhi, affidandosi completamente a Noa. Erano stati dei pazzi. Pazzi per le caramelline, per l’adrenalina. Pazzi d’amore."
Una storia contrastata, scanzonata, irriverentemente romantica.
"Noa, smettila di parlarmi con gli occhi e apri la bocca. Delle parole tenere non ti bruceranno la lingua come l’acqua santa."

Questo libro contiene scene di sesso.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2016
ISBN9788822858849
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    Anteprima del libro

    Melagrana e cocci di bottiglia - Lisa Arsani

    Capitolo  1

    "Io sono Core. E tu come ti chiami?

    Leandro le rispose la magica creatura.

    "Leandro, ti prego, narrami del luogo da cui vieni…

    I due fanciulli cominciarono a conversare e le ore si trasformarono in un battito di ciglia. Core si accorse che era molto tardi e doveva fare ritorno a casa. Si scambiarono la promessa d'incontrarsi la sera seguente. E così fecero anche il giorno successivo, e quello dopo ancora, perché più parlavano e si guardavano più i loro giovani cuori si innamoravano.

    Passarono le settimane. Core, spinta dalla curiosità, gli chiese di poter visitare il luogo incantato dove lui viveva. Leandro evitò di risponderle. Ma il giorno dopo si presentò portando un frutto misterioso, dello stesso colore dei suoi capelli.

    E’ una melagrana. Se vuoi vedere il bosco oltre il fiume devi mangiare uno di questi. Aprì il pomo coriaceo e le offrì uno degli innumerevoli chicchi. Core osservò quel piccolo rubino e lo mise in bocca.

    E non dovrai mai raccontare a nessuno quello che vedrai. 

    Core giurò solennemente, ma le meraviglie che vide nel bosco fatato furono tali che non riuscì a mantenere la promessa. Svelò tutto al suo migliore amico, che conosceva fin da bambina e nel quale riponeva la massima fiducia. Ma il ragazzo, segretamente innamorato e geloso di lei, riferì tutto ai genitori di Core. Loro la rinchiusero in casa per impedirle di incontrare ancora il suo amato.

    Trascorsero i giorni. Non vedendola più, Leandro si arrischiò ad uscire dal fiume e si inoltrò nel bosco che cingeva la casetta di Core. I parenti della fanciulla, nascosti tra gli orbachi, lo colsero di sorpresa e colpendolo con delle pietre cercarono di catturarlo. Leandro fortunatamente riuscì a scappare e si gettò in acqua.

    Core, allarmata dalle urla del suo innamorato, fuggì da casa. Anche se non riusciva a vederlo e non aveva con sé un chicco di melagrana, si tuffò nel fiume per raggiungere Leandro nel bosco magico. Non appena il suo corpo toccò l’ acqua questa cominciò ad intorbidirsi e gonfiarsi. Ben presto Core fu risucchiata da un gorgo spaventoso. Nessuno dei suoi familiari si buttò per salvarla. Leandro invece, che aveva raggiunto la riva opposta ed era gravemente ferito, non appena udì le grida di Core si gettò nuovamente tra i flutti e la portò in salvo nel bosco incantato.

    Lì, circondati da incantevoli melograni sempre fioriti e ricchi di frutti rossi e preziosi, Core e Leandro vissero a lungo felici e innamorati.

    - Leandro… - mormorò la bambina che aveva ascoltato la favola con occhi sgranati.

    Stella, seduta sul bordo del letto, le sorrise e carezzò dolcemente i capelli. La piccola si rannicchiò ancora di più contro di lei.

    La luce tenue dell’abat-jour e le note soavi del Notturno pervadevano la stanza.

    - Cristal, adesso è ora di dormire…

    La bimba, che a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti, le prese la mano e la implorò: - Stella, sono sveglia… Raccontala di nuovo…

    - La prossima volta, va bene?

    - No, per favore… Ancora una, solo una… Mi fai vedere il disegno? - Cristal cercò di afferrare il pesante libro di fiabe per ammirare, come faceva sempre, la bella illustrazione che ritraeva i due innamorati sotto un soffice e vaporoso melograno in fiore. Stella, con un sorriso e un sospiro, appoggiò la schiena alla testiera del letto. Subito la piccola le mise la testolina in grembo e l’aiutò a sfogliare le pagine del racconto.

    - Una volta sola e poi si dorme…

    Cristal emise un gridolino di soddisfazione. E Stella ricominciò a leggere ad alta voce, scandendo bene le parole.

    C’era una volta, ed è ancora così, una vallata erbosa, grande e splendente, circondata da un fiume placido e cristallino che la separava da un bosco incantato, fiorito ogni giorno dell’anno. Si diceva fosse abitato da bellissime creature capaci di grandi magie, che però nessuno aveva mai visto. Infatti, ogni volta che un abitante della vallata cercava di tuffarsi nel fiume o di solcare le sue acque, queste da calme e trasparenti si facevano cupe e cominciavano a ribollire, e grossi e pericolosi gorghi impedivano di attraversarle.

    Come ogni giorno sul far del crepuscolo la bella Core, che abitava con i genitori in una linda casetta vicina al fiume, passeggiava lungo la sponda quieta contemplando, rapita, il cielo e la natura circostante. Quella sera Core era molto stanca. Aveva aiutato i genitori nei campi fino a tardi. Si sdraiò nell’erba fresca proprio sulla riva, gli occhi rivolti al cielo sereno che cominciava ad imbrunire. Senza accorgersene si addormentò e nel sonno la sua mano scivolò dentro l’acqua, che però rimase chiara e tranquilla.

    Una goccia di tempo e dalla superficie affiorò una mano dalle belle dita affusolate che sfiorarono quelle della fanciulla. Core si svegliò. Si guardò attorno con la sensazione di non essere sola, ma non vedendo nessuno se ne tornò a passi lenti verso casa, voltandosi indietro di tanto in tanto perché le sembrava di essere osservata.

    Quella notte Core sognò di tuffarsi nel fiume silenzioso e di vedere una figura alta e snella emergere dai flutti.

    Il giorno dopo attese con impazienza il tramonto. Si recò presso la riva e aspettò. Ancora una volta ebbe la netta impressione di non essere sola. Prese coraggio e lentamente si immerse nel fiume, che rimase calmo e trasparente. Con l’acqua che le accarezzava la gola, attese a lungo. Brividi di freddo cominciavano a farla tremare quando una voce dietro di lei la fece trasalire per la paura. " Non abiti le profondità del fiume e non sei una ninfa del bosco. Perché l’acqua non ti respinge?

    Core non riuscì a rispondere. La voce apparteneva ad un ragazzo, un bellissimo ragazzo dagli splendenti capelli fulvi imperlati d’acqua che, dopo essere uscito dal fiume, la osservava incuriosito seduto sulla sponda.

    Non sai parlare? le domandò, perplesso.

    Certo che so parlare! gli rispose Core, contrariata. "E’ solo che mi hai spaventata!

    Il ragazzo, che continuava a guardarla, aveva insoliti occhi verdi molto allungati e la pelle diafana, quasi trasparente. Perché l’acqua non ti respinge? le chiese nuovamente.

    "Non lo so, è la prima volta che succede, forse perché ci sei tu…

    Lo vide farsi pensieroso.

    Da dove vieni? gli domandò Core, curiosa. "Non ti ho mai visto da queste parti. E io conosco tutti.

    " Vengo dal bosco oltre il fiume. Sai, è strano, tu non dovresti vedermi né sentirmi…

    E invece ti vedo e ti sento benissimo ribatté, spavalda. "Io sono Core…

    Stella smise di leggere. Cristal era sprofondata nel sonno. La donna depose piano il volume sul comodino e spense lo stereo. Controllò l’ora sull’orologio alla parete. Si alzò con cautela per non disturbare la bambina e le rimboccò la copertina leggera.

    All’ improvviso nella stanza silenziosa riecheggiò il campanello di casa, che per fortuna non svegliò la piccola. Stella uscì lentamente dalla camera e si trovò davanti uno spettacolo a cui aveva assistito già molte altre volte. Suo marito Giorgio che in mezzo al salotto sorreggeva Nausica, la madre di Cristal, ubriaca al punto da non reggersi in piedi.

    - Nausica, tua figlia sta già dormendo. Abbassa la voce per favore… - le sussurrò gentilmente Giorgio.

    - Voglio portarla a casa, portami Cristal! - lo ignorò lei continuando a strillare.

    Stella, scura in volto, si avvicinò cercando di zittirla, l’indice premuto sulle labbra. - Si è appena addormentata. Dovevi passare a prenderla almeno quattro ore fa… - la rimproverò aspramente. - Non sei andata al lavoro, vero?

    Nausica, colta in fallo, arrossì per la rabbia e con un calcio fece cadere il tavolino da caffè.

    Stella, esasperata, l’agguantò per un braccio. - Ma non vedi in che stato sei? Non te la lascio in queste condizioni…

    - Voglio portare mia figlia a casa! - ripeté la ragazza con ostinata irragionevolezza.

    - Devo avvertire tuo cugino? - la minacciò Stella sapendo di andare a colpo sicuro. Nausica, infatti, sbiancò e si mise a piagnucolare. - Vengo a prenderla domattina… - mormorò tirando su col naso.

    - Sì, sì va bene. Ora Giorgio ti riaccompagna a casa. Hai bisogno di dormire…

    La donna salutò con un bacio il marito e dopo che lui e Nausica se ne furono andati entrò piano nella camera degli ospiti. Gli occhietti di Cristal erano aperti e la fissavano, allarmati, da sopra la coperta. - Ho sentito la voce della mamma…

    - Sì, tesorino. Le ho detto che stavi già dormendo e passa a prenderti domattina. - Le sue parole sembrarono averla confortata solo in parte. - Ti va se ti leggo un’altra fiaba?

    Un bocciolo di sorriso le spuntò sul faccino.

    - Quale vuoi sentire? - le chiese Stella con dolcezza.

    - La melagrana magica - rispose Cristal senza esitazioni. - Mi fa fare i bei sogni…

    Stella le diede un bacino delicato e sdraiandosi accanto a lei cominciò a raccontare.

    Capitolo  2

    Faceva ancora buio, ma all’orizzonte il cielo era già simile ad un petalo di rosa. Leo, con le cuffiette nelle orecchie e il cappuccio della felpa calato sulla testa, aveva appena cominciato a correre lungo la ciclabile che fiancheggiava il viale diretto al porto. Inalava a fondo l’aria fresca, insieme resinosa e salmastra, ed espirava vigorosamente per regolarizzare il respiro. Quel profumo era una delle cose di cui aveva sentito la mancanza negli ultimi due anni, da quando si era lasciato completamente assorbire dalla sua nuova vita a Milano. Gli allenamenti, il lavoro nei weekend, le amicizie…

    Lo sguardo di Leo oscillava dalle piccole figure alate dei gabbiani che solcavano il cielo alle sue Mizuno che, agilmente, schivavano le buche e i dossi dell’ asfalto spaccato dalle radici dei pini marittimi. Dopo aver parcheggiato la Vespa, Leo aveva incrociato solo una macchina che sfrecciava nella direzione opposta ed un nonnetto arzillo su una Graziella carica di cassette vuote, impilate l’una sull’altra. Probabilmente stava andando a comprare il Carlino fresco di stampa e poi al mercato, per attaccare bottone con gli ortolani e i vongolari e attardarsi nella spesa quotidiana. Passandogli accanto il vecchietto l’aveva scrutato con una punta di sospetto, ma Leo l’aveva salutato con un sorriso cordiale e il ciclista aveva subito ricambiato, continuando a pedalare spedito verso il porto. Proprio perché a quell’ora la strada era deserta, Leo notò subito il gruppetto di motorini che, in lontananza, zigzagavano tra le due corsie del viale, dirigendosi verso di lui. Allungò i muscoli della schiena e cominciò ad aumentare il ritmo della corsa, buttando ogni tanto un occhio alla combriccola di centauri. Malgrado la vulcanica Ride on time sparata nelle orecchie, Leo sentiva gli schiamazzi dei ragazzi in avvicinamento. Molto probabilmente di ritorno da una nottata alcolica in discoteca. Alzò lo sguardo e li inquadrò a meno di venti metri da lui. Riconobbe alcuni suoi vecchi compagni di scuola. Abbassò il volume della musica per capire cosa stavano blaterando. Improvvisamente due motorini, con una manovra azzardata accompagnata da imprecazioni e risatacce, superarono il cordolo di cemento che separava la ciclabile dalla strada.

    - Sfigato! - berciarono i piloti sfrecciandogli accanto e cercando di tirargli giù il cappuccio. Leo scartò appena in tempo per non essere urtato e con un balzo atterrò in mezzo alla sterpaglia e alla sabbia. - Teste di cazzo! -  gli tuonò contro respirando affannosamente. Il cappuccio gli era scivolato sulle spalle e l’ Mp3 finito a terra. Si piegò per raccoglierlo e poi si passò lentamente le mani tra i capelli rossi, che gli ricadevano scarmigliati sul viso, cercando di riprendere il controllo dopo lo spavento. Vide la coppia di idioti, poco distanti, girarsi e fissarlo stupiti. Lo avevano riconosciuto. Poi la voce strozzata di una ragazza dietro di lui lo fece voltare. - Leo!! Oddio! - Aveva i lineamenti distorti dalla paura. - Ma siete fuori?!! - gridò indirizzata ai pazzi alla guida. In risposta i due, storditi dalla baldoria, biascicarono qualcosa di incomprensibile e si allontanarono sgommando sulla pista ciclabile.

    - Dio mio… Stai bene Leo? - La ragazza si era avvicinata e gli toccò delicatamente la spalla. Leo guardò quegli occhioni spalancati che conosceva bene. Se anche aveva bevuto, di sicuro lo spavento le aveva fatto passare la sbronza.

    C’erano altri tre scooter fermi sul ciglio della strada, con i motori accesi. In sella tre ragazzi e due ragazze che li stavano fissando. Un paio sghignazzavano, alticci, coprendosi la bocca con la mano. Leo sorrise. - Sì, Nausica, sto bene, non ti preoccupare…

    - Non so cosa dire… Li conosci, sai cosa combinano quando sono strafatti… Non sapevano che eri tu… - La voce di lei era mortificata, ma lamentosa. Inoltre, il suo accampare delle scuse per quel comportamento criminale e il fatto che la caviglia cominciasse a fargli male, accese involontariamente di rabbia la risposta di Leo.

    - Cristo santo, sono pericolosi! Cos’è, se ero un altro mi passavano di nuovo sopra ridandomi dello sfigato?

    Nausica ammutolì e abbassò gli occhi.

    Una voce alla loro destra strappò il silenzio. - Beh, un po’ sfigato lo sei. Chi cazzo corre alle cinque del mattino?

    Leo conosceva bene anche quella. Beffarda e graffiata. Si voltò verso il suo proprietario.

    - Fanculo Noa… - lo apostrofò cercando di trattenere l’arrabbiatura. Vide le braccia nervose del ragazzo irrigidirsi e le nocche sbiancare, mentre stringeva le manopole del motorino. Trascorse un attimo dove gli unici rumori erano gli stridii dei gabbiani e i motori accesi.

    - Zucca vuota, ti va bene che sono stanco morto e l’ecstasy di Schizzo mi ha fatto venire un gran mal di testa… - La voce di Noa era una piatta minaccia. Aveva lo sguardo duro fisso su Leo, ma la bocca piegata in una smorfia annoiata. Si sfregò gli occhi con una mano e con l’altra scacciò infastidito le dita della ragazza seduta dietro di lui, che gli stava massaggiando le tempie. - Nausica, muovi il culo. Dobbiamo trovare quei due coglioni prima che si schiantino contro un pino o che investano un altro sfigato… - Noa rimarcò intenzionalmente l’ultima parola e il suo ghigno annoiato divenne ferino.

    Nausica rivolse a Leo un debole sorriso e saltò a cavalcioni di una Vespa azzurra, dietro ad un armadio con un improbabile tatuaggio maori sul braccio. I tre piloti sgasarono quasi all’unisono e in un attimo sparirono dalla vista.

    Per un po’ Leo rimase fermo sulla pista a raccogliere i pensieri, poi scrollò la testa, come per liberarsi dell’accaduto. Ruotò alcune volte la caviglia, che per fortuna aveva smesso di dolergli, si infilò nuovamente le cuffiette e riprese a correre, godendosi lo spettacolo dell’alba che si impossessava del cielo.

    - Quella ragazza mi preoccupa… E la sua povera bambina... Aahhh… - esclamò Giorgio, mentre con un vecchio ferro da calza alleviava il prurito che lo tormentava sotto il gesso.

    - E' solo molto giovane, vedrai che con il tempo diventerà più responsabile e comunque vuole un mondo di bene a Cristal... - obiettò Stella sorridendogli e scuotendo la testa, benevola. - Devi vederla Leandro - continuò rivolgendosi al figlio e infilandosi in bocca un altro biscotto. -  E' così carina che la mangeresti di baci e curiosa come una scimmietta. Ti fa sbellicare dalle risate. Perché non chiami Nausica e passate un po’ di tempo insieme? E' un peccato che vi siate persi di vista... Tu, lei e tua sorella eravate un gran trio. Aspetta, ho il suo numero sul cellulare perché le tengo spesso la bimba… -  Si alzò e cominciò a frugare nella borsetta.

    Leo, stravaccato sulla sedia, allungò le gambe chilometriche sotto il tavolo facendo attenzione a non urtare Catcher, il figlio prediletto di Giorgio e Stella, orgoglioso discendente della Città dei Gatti Neri, eccezionale dispensatore di fusa e cacciatore di lucertole. La recente comparsa della mostruosa ingessatura paterna lo aveva reso piuttosto nervoso e reattivo.

    Leo ingollò una fetta di pane spalmato di marmellata e si mise ad osservare i suoi genitori. Aveva sentito molto la loro mancanza negli ultimi due anni. Erano entrambi alti, slanciati e con i capelli chiari, ma la loro somiglianza finiva lì. Suo padre era bonario, di poche parole, pratico e riflessivo. Al contrario sua madre era una gran chiacchierona, impulsiva e forse a volte un po’ frivola. Un’ inguaribile ottimista. Se la casa le fosse caduta in testa ma avesse risparmiato il servizio buono sarebbe stata comunque contenta.

    - Eccolo qui! - esclamò Stella, trionfante.

    Leo tirò fuori il cellulare dalla tasca e aspettò che la madre gli dettasse il numero. - Le mando un messaggio, le dico di far un salto in gelateria oggi pomeriggio insieme a… - esitò un istante, dispiaciuto di non ricordare il nome della bambina.

    - Cristal! - gli rammentò sua madre sorridendo sotto i baffi per via del nome inusuale della piccola.

    - Adesso vado un po’ in spiaggia. Mi faccio una nuotata e vedo se c’è qualcuno con cui fare una partitina… - annunciò Leo stiracchiandosi.

    - Torni per pranzo? Verso l’una…

    - Ok. Grazie ma’. Ci vediamo dopo. - Leo si tirò su dalla sedia e con un balzo si mise in piedi.  -Papà…- gli disse stampandogli un bacetto affettuoso sulla testa, che per fortuna non sembrava intenzionata a perdere i folti capelli. - Se continui a grattarti così, quando ti toglieranno il gesso non sapranno se la frattura è guarita perché non ci sarà più la gamba…

    Il padre, senza smettere di fregarsi, rise e lo salutò.

    Capitolo  3

    Leo lanciò uno sguardo all’orologio appeso al muro color puffo dello Sweet Sea, la gelateria di suo padre. Erano quasi le cinque. Il locale si era appena svuotato. Un gruppo di ragazzini che Leo aveva servito pochi minuti prima, ora stazionava sulle panchine davanti alla gelateria, in un caos di risate e suonerie di cellulari. Leo li osservava, indulgente, con i gomiti appoggiati al bancone e le mani sotto il mento. Fischiettò seguendo la melodia di Baby I love your way che stava passando alla radio.

    Sentì un rumore metallico alle sue spalle. Fece una smorfia e si tirò su, stirando lentamente la schiena. Si voltò verso la macchina delle granite responsabile dello stridio. Il giorno prima si era inspiegabilmente fermata un paio di volte. La fissò senza osare metterci le mani. Doveva dirlo a suo padre. Era lui che per mestiere si occupava di ingranaggi difettosi e riparazioni.

    Dietro di sé udì il saluto argentino di Nausica. Leo si girò con un sorriso, che scomparve subito quando si accorse che con lei c’erano anche suo cugino Noa e il suo solito broncio. Teneva in braccio un angioletto che, stando alla descrizione di Stella, doveva essere Cristal. La bimba era avvinghiata a Noa, le braccine e le gambette ancorate al corpo snello del ragazzo. Fissava con occhi luccicanti le onde colorate di gelato morbido e goloso.

    - E questa bella signorina chi è? - domandò Leo con voce caricaturale per attirare l’attenzione della piccola.

    Cristal alzò gli occhi su di lui e lo squadrò, interdetta. - Perché parli strano?

    Leo scoppiò in una risata e così anche Nausica. Noa, invece, sembrava scocciato e ansioso di andarsene. Leo, guardandolo, si chiese perché si fosse disturbato a venire, visto che non era neanche stato invitato.

    - Leo, lei è Cristal - la presentò Nausica.

    - Cristal -  le fece lui piegandosi verso il basso. - Sei pronta per una bella scorpacciata di gelato?

    La bimbetta annuì convinta.

    - Ma solo i bambini grandi possono farlo. Dimmi un po’, tu quanti anni hai?

    - Cinque! - rispose pronta sollevando la manina aperta.

    - Sì, e la lingua di una di dieci… - disse la madre dandole un buffetto sulla guancia.

    - Mamma - le sussurrò Cristal tirandole la maglietta, con gli occhi fissi sui capelli di Leo. - Ha la testa colorata come la Cocca... - Questa volta le sue parole non suscitarono l’ilarità solo di Nausica, ma inaspettatamente anche di Noa.

    - E chi sarebbe questa Cocca? - chiese Leo alla bimba.

    - La mia gallina… - rispose lei e continuando a fissarlo aggiunse: - Ma sembri anche una giraffa… - Fece una risatina e nascose il  volto nella curva della spalla di Noa.

    - Allora, quali gusti vuoi? - le domandò Leo ridendo. 

    Cristal non rispose. Incollò di nuovo lo sguardo sulle vaschette di gelato dietro la vetrina, le iridi azzurre che sfavillavano e si muovevano a destra e a sinistra in preda all’indecisione. 

    - Dai, Crissi. Panna e fragola come al solito… - la incalzò la madre, spazientita.

    - Nooo - piagnucolò la piccola. - Voglio un gelato diecigusti!

    - Ma se non sai neanche contare fino a dieci… - la punzecchiò Noa mostrando un inedito sorriso che gli addolcì il volto.

    - Leo - tagliò corto Nausica ignorando la figlia che stava cominciando a piantare uno dei suoi soliti capricci. - Panna e fragola vanno bene. Grazie.

    Leo non le diede retta e, paletta in una mano e panierina nell’altra, si rivolse a Cristal. - Allora, principessa, dieci gusti hai chiesto e dieci gusti avrai. Fragola?

    La bimba assentì con la testolina fissandolo sbalordita, mentre Leo ne metteva una piccola quantità nel contenitore.

    - Un po’ di panna e banana? - Aspettò la risposta affermativa della bambina, che gli fece un bel sorriso.

    Leo continuò per almeno un minuto ad ammonticchiare palline colorate fino ad ottenere il desiderato gelato diecigusti. Una vera opera d’arte astratta edibile. Compiaciuto, la consegnò nelle

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