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Ho sognato una storia d'amore
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Ho sognato una storia d'amore
E-book187 pagine2 ore

Ho sognato una storia d'amore

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Info su questo ebook

"Ho sognato una storia d'amore" è la storia di un amore difficile ma possibile, nato da un incontro dove i protagonisti si "riconoscono" anche se non si erano mai incontrati prima. Come se avessero già vissuto insieme in altre vite, in altri luoghi, in altri tempi.

Maya e Phil, nonostante la differenza di età, si amano da subito, senza falsi moralismi e incuranti del giudizio degli altri. Si amano di un amore intenso, che a volte metterà a dura prova entrambi e a volte li farà volare, come gli amanti di Chagall.
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2018
ISBN9788827810781
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    Anteprima del libro

    Ho sognato una storia d'amore - Tonia Montesion

    sognare.

    Capitolo 1

    Voglio andare qui

    «Ecco, questo è mio figlio, Maya, te lo affido.»

    La madre di Phil lo spinse nella stanza quasi con violenza e sbarrando la porta con il suo corpo, senza dargli alcuna possibilità di fuga.

    Maya squadrò con un solo colpo d’occhio quel ragazzo e pensò: Bello e dannato. Poi si soffermò un po’ più a lungo sulla sua figura, notò i pantaloni a vita bassa e i capelli alla moda, un po’ lunghi e tagliati in modo da incorniciare il viso, come la maggior parte dei ragazzi. Ma l’ispezione non finì lì: arrivò dritta ai suoi occhi, due braci ardenti che la fissavano con ostilità e un barlume di curiosità.

    Per un attimo eterno si perse in quegli occhi infiniti, dove ti veniva voglia di andare oltre l’orizzonte.

    Ritornando alla realtà di due sconosciuti che la stavano osservando perplessi disse: «Ciao, Phil, vieni ti faccio accomodare nel mio studio.» Poi con determinazione salutò la madre, facendole intendere che non c’era più bisogno di lei.

    Quando chiuse la porta del suo studio sentì l’imbarazzo di Phil riempire la stanza.

    Con la grazia innata, che considerava un dono ereditato da sua nonna, Maya si sedette nel piccolo salotto della stanza. Non aveva mai voluto la classica scrivania, per non creare ostacoli tra lei e i suoi pazienti e gli sorrise dolcemente, cercando le parole per farlo rilassare.

    Phil continuava a farle l’occhiolino e Maya se ne uscì con la battuta più infelice che potesse trovare: «Smettila di strizzare l’occhio, non sono una tua conquista. Mi sembri un bulletto di campagna!»

    Immediatamente pensò: Perfetto! Se volevi conquistarti la sua fiducia, hai trovato il modo per ottenere l’effetto contrario!

    Capì subito che Phil era permaloso.

    D’altronde il suo era stato un esordio veramente infelice. Doveva assolutamente rimediare.

    «Phil, scusami, raccontami un po’ di te», disse con la voce più suadente che riuscì a sfoderare.

    «Posso darti del tu anch’io?»

    «Certo.»

    «Cosa ti devo dire? Che è mia madre che mi ha costretto a venire? Sai che mi ha portato anche da un mago? Prima che tu perda tempo ti dico che bevo e non mi tira più. Non credo che tu possa fare molto.»

    «Quanti anni hai?» disse Maya cercando di prendere tempo per individuare una breccia che le permettesse di arrivare a lui.

    «Diciannove, ma vissuti intensamente. Non mi sono fatto mancare nulla, ho rischiato anche di morire», rispose Phil strizzando nuovamente l’occhio.

    Maya avrebbe voluto abbracciarlo, ma capì che sarebbe stato un passo falso. Il suo intuito la avvisò che probabilmente lui era stato poco coccolato: doveva andarci cauta.

    «Dovrai fidarti di me», gli disse. «Forse posso aiutarti, ma mi dovrai ascoltare, anche quando ti sembrerà strano il percorso che ti proporrò. Che altro puoi dirmi di te?»

    Lo sentì irrigidirsi. Gli occhi socchiusi e lo sguardo tagliente, la voce roca di chi fuma troppo: «Mi sembra di averti detto le cose più importanti, il motivo per cui mia mamma mi sta trascinando da uno psicologo all’altro passando per i maghi: bevo e non mi tira più.»

    Maya sentì che quella meravigliosa voce roca da uomo vissuto tentava di coprire l’imbarazzo e lo sconforto di un ragazzo spaurito e disorientato.

    Le venne di nuovo il desiderio di abbracciarlo e, non potendolo fare per non spaventarlo, rimase immobile ad osservarlo mentre dalla sua bocca uscivano parole di conforto e l’anima cominciava a riconoscerlo.

    Passò qualche minuto e Phil cominciò ad agitarsi sul divanetto. Maya pensò che volesse andarsene. Cercò velocemente di elaborare una frase che lo fermasse: non poteva neanche pensare di non vederlo più.

    Si accorse che non stava andando via, ma cercava qualcosa in una delle tasche dei jeans. Finalmente tirò fuori un fogliettino spiegazzato, dall’aria vissuta e che doveva avere preso residenza in quei pantaloni.

    Phil glielo mostrò dicendo: «Ecco, mi piacerebbe andare qui.»

    Maya prese quel pezzo di carta stropicciato e lesse: «Auroville – India» e per poco non cadde dalla poltroncina.

    «Vuoi andare in India?» gli chiese con un filo di voce.

    «Voglio andare ad Auroville. Ho comprato degli incensi che vengono prodotti lì, così mi sono informato su internet e ho visto che è una città futurista, dove vivono tutti in armonia e ognuno ha la possibilità di mantenersi utilizzando i propri talenti.»

    «È chiamata la città sperimentale e si trova nel sud dell’India», disse lei, «basata sulla visione di Sri Aurobindo, un famoso guru indiano. È stata fondata nel 1968 da Mirra Alfassa nota con il nome di Mère (la Madre), la sua compagna spirituale. La città ha la forma di un mandala ed è intesa per essere un luogo universale, dove uomini e donne di ogni nazione, di ogni credo, di ogni tendenza politica possono vivere in pace e in armonia. Perché vuoi andare lì?»

    «Perché mi dà un senso di libertà», rispose Phil sospirando. «Vivo in una cittadina provinciale dove la frenesia, il ritmo della grande città non arriva. Tutto è immobile. L’unica via di scampo è bere, così non pensi. Se pensi muori ogni giorno un po’.»

    Maya lo lasciò sfogare, sentiva che cominciava a fidarsi di lei.

    Gli aveva dimostrato che conosceva Auroville, adesso voleva stupirlo.

    «Sai, Phil, l’anno scorso sono stata in India e voglio ritornarci. Se vuoi quando decido di partire puoi venire con me e andremo anche ad Auroville.»

    Incontrò il suo sguardo che stupito la squadrava per capire chi aveva davanti.

    Gli occhi, quegli occhi mai dimenticati, le stavano chiedendo di non mentirgli.

    Lei, senza parlare, gli rispose con i suoi occhi penetranti e cangianti, che in quel momento erano verdi, il colore di quando era felice.

    Capitolo 2

    Per te potrei morire

    Maya non aveva bisogno di guardare la sua agenda per sapere quando Phil sarebbe dovuto tornare. Come uno tsunami sentiva l'onda anomala attraversarle il corpo, spazzarle ogni altro pensiero e creare dentro di lei quel vuoto che la preparava alla tempesta di emozioni. Era così. Non poteva farci niente.

    Phil era riuscito a scalfire quella sua corazza di donna che non aveva bisogno di nulla, che si era costruita il suo personale mondo, fatto solo di lavoro, studio e pochissime amicizie, per allontanarsi dal pericolo di provare nuove emozioni.

    In un solo incontro lui era andato dritto al nucleo più protetto del suo essere, quel cuore che non si agitava più da molto tempo. La sua mente razionale avrebbe voluto farla ragionare, metterla in guardia, e Maya l'ascoltava pazientemente, per poi mandarla a quel paese.

    Il cuore aveva voglia di esplorare, il suo battito era come un canto mai dimenticato.

    Aprì la porta e se lo trovò davanti, da solo questa volta.

    Bello, deliziosamente sfacciato e stranamente arrendevole.

    «Che cosa facciamo oggi? Come pensi di potermi aiutare?» chiese Phil andando dritto nel suo studio, come se fosse il padrone di casa.

    Maya lo segui e sorrise beandosi della visione di quelle spalle larghe e immaginò come poteva essere trovarsi avvolta dalle sue braccia con la testa sul suo petto. In quel momento decise che doveva insegnargli ad abbracciare e fargli provare la gioia di essere abbracciato. In fondo, pensò, faceva parte del percorso terapeutico.

    Phil si accomodò sul divanetto e Maya davanti a lui, vestita di bianco, che era il suo colore preferito quando lavorava, i capelli rossi corti che in quel momento avrebbe voluto lunghissimi e i suoi quarantasei anni portati con la leggerezza di una ventenne.

    Si sedette composta come richiedeva il suo ruolo anche se avrebbe voluto rannicchiarsi o assumere la posizione del loto, così comoda per lei che praticava yoga da anni e, nel frattempo, utilizzando la lentezza dei suoi movimenti per pensare, gli disse: «Oggi inizieremo un percorso dove tu non dovrai fare molto. Ti prenderò per mano e terremo tutti e due gli occhi chiusi. Hai mai sentito parlare di bioenergia?»

    «Mi affascina questa cosa. Soprattutto per il fatto che non devo parlare e non devo ascoltare frasi che ho già sentito troppe volte. Non so perché ma mi ispiri fiducia e poi sono curioso. Ma che razza di psicologa sei?»

    «Alternativa. Oltre a psicologia ho studiato anche medicina olistica.»

    Maya per un attimo lo guardò di sfuggita ed esultò dentro, pensando che stava catturando la sua attenzione. Fuori restò impassibile.

    «Bene», disse, «come vedi in questa stanza c'è un lettino. Sdraiati lì, io mi siederò accanto e ti terrò per mano. Tutto qui. Dovrai tenere gli occhi chiusi, ascoltare il tuo respiro e le tue sensazioni. Staremo così per un po'. Ti dirò io quando potrai riaprire gli occhi. È una tecnica che lavora sul riequilibrio dei chakra. Sai cosa sono?»

    «Qualcosa ho letto. Sono sette punti energetici, mi pare.»

    «Per semplificare sì, è così. Approfondiremo meglio nei prossimi incontri.»

    «Sai, Maya, mi sento a casa in questa stanza. Non so perché, forse per l’arredamento che ha tutte le sfumature del beige e del marrone e che sono i miei colori preferiti o magari per il senso di tranquillità che tu e questo posto mi trasmettete. Non vedevo l'ora di tornare. Mi sdraio?»

    «Sì, Phil», rispose lei che per lo stupore non riuscì a dire altro.

    Così, per la prima volta, si presero per mano e chiusero gli occhi. Il resto lo fecero le loro anime. Si riconobbero. Avevano viaggiato annullando il tempo e lo spazio per rincontrarsi.

    Per una frazione di secondo Maya aprì gli occhi e guardò il volto di Phil: gli occhi chiusi dalle ciglia lunghe, il profilo delicato del suo naso e i capelli un po' scomposti.

    Richiuse gli occhi sapendo che non avrebbe mai dimenticato quel momento.

    «Ok, Phil, fai tre respiri profondi e quando vuoi riapri gli occhi.»

    Maya ritornò ad essere professionale, composta fuori e scompigliata dentro.

    «Come stai?» gli chiese.

    Phil aprì gli occhi e la guardò in modo strano, come se si accorgesse di lei per la prima volta. La guardò, come se nel giro di pochi minuti avesse fatto un viaggio lunghissimo e avesse compreso. La guardò con amore e le disse: «Sai, Maya, io per te potrei morire.»

    Nessuno le aveva mai parlato così, nessuno l'aveva mai guardata così.

    Gli occhi di Phil, quegli occhi ardenti che conoscevano il mondo, stavano esplorando il suo dolore guardandola con la passione di un cavaliere pronto a stendere il suo mantello per non farla camminare nel fango.

    In quel momento Maya comprese che non poteva essere una terapeuta per lui, ma non voleva perderlo.

    «Phil, è molto forte quello che hai detto», gli disse con dolcezza.

    «È la verità», rispose lui con determinazione.

    «Lo so. Ne sono sicura. Ed è per questo che non posso continuare la terapia con te.»

    Lo vide irrigidirsi, chiudere gli occhi e contrarre la bocca come un bambino che sta per piangere ma vuole soffocare la sua emozione.

    «Perché?» le disse con un filo di voce. «Adesso che cominciavo a fidarmi di te? Perché?»

    «Perdonami, Phil. Non ho finito. Esserci incontrati è un dono. È come se ci fossimo semplicemente ritrovati, chissà quante volte le nostre anime si sono incontrate. Ciò che proviamo l'uno per l'altra non mi permette di essere la tua tutor. Non ho quel distacco emotivo che il mio ruolo richiede, quindi continueremo a vederci qui nel mio studio, ma sarò per te un punto di riferimento come un’amica più grande e che quindi ha più esperienza e ti può aiutare in un momento di crisi. Ed è per questo che non dovrai pagarmi.»

    «Che culo!» il sorriso di Phil illuminò la stanza in penombra e continuò: «Non solo posso vederti quando voglio, non devo neanche pagarti!»

    Maya pensò che quel ragazzo era davvero una sfida: lei era nata in una grande città e cresciuta in una famiglia dove aveva imparato che la cultura, l'arte e il buon gusto erano importanti, anzi fondamentali come bagaglio personale. Lui era nato in una piccola città di campagna e cresciuto con l'idea che il denaro

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