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Stella doppia
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E-book350 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Genere: sentimentale, Italia, attuale, mistero (no rosa)

Adele è oramai una pianista affermata, nata con una rara forma di sindrome di Down a mosaico, ha quasi trent'anni e vive con i suoi genitori. Un'estate, di ritorno dalle vacanze, inizia a fare un sogno ricorrente e per scacciarlo via dalla mente lo mette per iscritto, dandogli la forma di un racconto. Intanto, in un'altra città, Christian vive un'apatica vita familiare, ha una figlia che adora e un bel giorno anche lui inizia a fare un sogno ricorrente che lo getta in confusione. Seguendo il consiglio di un amico lo trascrive in un racconto, riuscendo finalmente a liberarsene.
Come in una favola moderna Christian incontra Adele e subito tra i due nasce un profondo affetto, sentimento ostacolato dall'eccessiva protezione che i conoscenti della ragazza le concedono. Adele e Christian scopriranno di amarsi, ma oltre al principe dei sentimenti c'è dell'altro che li unisce, perché i racconti scritti nascondono una verità mai raccontata.
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2018
ISBN9788828307037
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    Anteprima del libro

    Stella doppia - Cosimo Vitiello

    significa

    Primo Capitolo

    1

    Adele fu distratta da uno schiamazzo di bambini, distolse l’attenzione dal libro e spinse lo sguardo lontano, là dove il vociare persisteva. Attraverso i pini alti e stretti che circondavano la radura, riusciva a malapena a intravedere il mare, pur avvertendone il salmastro; i bambini invece erano forme indistinte che si rincorrevano e si perdevano tra le ombre dei fusti.

    Adele seguì con la mente la gioia della gioventù, la fece propria, per un lungo tempo fu presa dal desiderio di correre e divertirsi a quel modo. Qualcuno lanciò un urlo di gioia, lei vide un corpo di donna muoversi veloce verso il mare, seguito da un’ombra alta e robusta. Fu un attimo sufficientemente lungo da sviare di nuovo la sua attenzione, poi l’evento scemò in lontananza. Un venticello caldo smosse gli ombrelloni sulla battigia, ed ecco che i loro colori vivaci fecero capolino tra gli alberi rompendo il monotono chiarore pomeridiano, catturando di nuovo l’interesse della ragazza. Ebbe l’impressione che una mano invisibile dipingesse con forti colori contrastanti su quella tela scura, indistinta nel chiarore, una tela a strisce discontinue.

    I bambini a un certo punto si allontanarono urlando a più non posso incuranti della controra. Poco dopo anche la brezza perse vigore, regalando quel tratto di spiaggia al silenzio, allo sciabordio. Adele fu colpita da un mancamento, un improvviso svuotamento di sensazioni, che subito sfumò, lasciandola sola con il suo libro, poggiato sulle gambe scure.

    Si volse intorno. Lo spazio esiguo nella pineta raccoglieva quelli che come lei desideravano un po’ di riparo, almeno nel pomeriggio. A due passi c’era una sdraio con una vecchia signora grassoccia, ronfava. Tina si chiamava, aveva fatto la sua conoscenza appena arrivata alla spiaggia libera, giorni addietro. Più in là, una coppia di anziani giocava a carte in silenzio; erano seduti a un tavolino da picnic dall’equilibrio precario. Riconobbe i coniugi Gargiulo. Dall’altro lato, quasi alle sue spalle, vide un signore supino su una stuoia, aveva un cappello di paglia sulla faccia, ma avrebbe scommesso fosse il marito di Tina, Ubaldo.

    Infine il bel signore non tanto vecchio, sempre da solo, che non mancava mai di sorriderle con educazione, accompagnando il saluto con un gesto di cortesia. Anche ora le inviò un sorriso, abbassando il giornale che leggeva, ma non era il sorriso di sempre, se n’era accorta. La madre le aveva raccomandato di stare lontana da quel tizio, Adele non capiva il perché: le pareva una brava persona, sempre piena di attenzioni nei suoi riguardi. Lei non mancava mai di ascoltare i suoi genitori, e anche quella volta, contro la sua volontà, distolse lo sguardo. Si rimise nella posizione iniziale, abbassando la testa sul libro, concentrandosi.

    Dopo alcune pagine lasciò perdere definitivamente. Quindi vagò con gli occhi guardando avanti, tentando di scorgere i genitori attraverso gli alberi che delimitavano la spiaggia. Non era facile, di ombrelloni ce n’erano un bel po’. Credette di vederli al limitare destro e rimase in attesa, in attenta attesa che la madre la raggiungesse lì al fresco. Intanto che aspettava si rese conto di essersi scocciata di stare in vacanza, non ne poteva più di trascorrere le mattine a provare su un piano elettrico e interi pomeriggi a far niente. Non vedeva l’ora di tornare a casa sua e di suonare il pianoforte senza indossare le cuffie, che le davano un fastidio tremendo. Meno male che quello era l’ultimo giorno.

    Terminato il periodo di vacanza in Sardegna, Adele aveva sperato di tornare a casa, ma era stato un pensiero inutile; suo padre voleva a tutti i costi concludere gli ultimi giorni di agosto a Montalto. Quando l’aveva annunciato, una sera piovosa in cui furono addirittura costretti a indossare un maglioncino, sua madre esultò estasiata all’idea. Lei no, lei non voleva altro che tornarsene a casa. Sulla nave i genitori non fecero che ricordare quanto stettero bene a Montalto, sulla spiaggia libera, tanti anni prima, quando lei era ancora una bambina e il suo successo come pianista lontano dai pensieri di tutti. Ma erano cose che a lei non interessavano. Suo padre insisteva che un po’ di noia le avrebbe fatto bene. Lei si sforzava di crederci anche se in cuor suo non ne era tanto convinta.

    Da settembre l’attendeva un lungo periodo di studio con il suo maestro, per preparare la scaletta dei brani da eseguire, e perfezionare alcuni passaggi prima della tournée in Europa. Adesso che la vacanza era finita tutti quei giorni senza far nulla le sembrava fossero stati una gran perdita di tempo.

    Trascorsero alcuni minuti, durante i quali attese invano l’arrivo della madre. Scocciata, decise di raggiungere l’ombrellone dei genitori di sua iniziativa, cosa che le generava in corpo sempre una sorta di fastidio. Raccolse il libro e il cappellino e si avviò su gambe incerte verso la spiaggia, abbandonò con riluttanza la fresca pineta per poggiare i piedi sulla sabbia rovente. Individuato con certezza l’ombrellone, con lunghi saltelli lo raggiunse, riparandosi sotto il cono d’ombra. Suo padre leggeva con gli occhiali poggiati sulla punta del naso, le rivolse un rapido sorriso per tornare subito alle sue pagine.

    L’agitazione della ragazza svegliò la madre che si era appena appisolata.

    «Tesoro,» disse la donna con cipiglio «che ci fai qua al caldo?». Un pensiero le attraversò la mente. «Mica qualcuno ti ha importunata! Quel tizio che ti sorride sempre?» Si drizzò sulla sdraio e fece scorrere lo sguardo lungo la spiaggia libera: del maniaco, come l’aveva definito lei dopo i primi incontri, neanche l’ombra. «Questa volta non mi sto zitta» disse a denti stretti.

    «Mamma, che dici? Mi sono scocciata, tutto qui: fa così caldo. Non possiamo andarcene via subito? Ho nostalgia del mio pianoforte.»

    Suo padre, vecchio generale in pensione che portava scritti in faccia i suoi trascorsi di comandante, sfilò gli occhiali e le rivolse uno sguardo compassionevole. Amava così tanto quella sua figlia particolare, dolce e affettuosa, che il primo impulso fu di accontentarla. Poi i suoi rigidi principi presero il sopravvento, allora indurì lo sguardo, ma solo un poco. «Ma tesoro, che differenza fa ora o domattina? E poi, avevamo deciso di cenare a quel ristorantino sul mare. Non ricordi?»

    «Già.» Adele si morse un labbro.

    Il vecchio generale scambiò uno sguardo d’intesa con la moglie, e, dato che lui non poteva in nessun modo fare la parte del buono, lasciò che fosse lei a parlare.

    Sofia, da poco in pensione anche lei, dopo una intera esistenza a insegnare lettere alle scuole di mezza Italia, sempre rincorrendo il marito nelle sue missioni, adottò un tono languido, contrariato nei confronti dell’uomo, e gli rispose come in una vecchia scenetta di avanspettacolo: «Paolo, non essere sempre così rigido, nessuno ci obbliga a mangiare fuori stasera. Non è vero, tesoro? Potremmo comprare della pizza e mangiarcela sul terrazzo, in fondo anche dalla nostra terrazza abbiamo una splendida vista sul mare. Che ne dici, Adele cara?»

    La ragazza annuì con un impeto iniziale che ben conoscevano i suoi genitori, al pensiero di trascorrere un’altra notte lontano da casa, poi subito si acquietò.

    Capendo cosa passava per la testa della figlia, Sofia emise un sospiro di pazienza. Dovette dar fondo a tutte le sue forze, perché starsene distesa in spiaggia era la cosa che più le piaceva in assoluto.

    «Facciamo così, ora ce ne andiamo a preparare i bagagli, così domattina partiamo prima possibile e torniamo nella nostra casa in campagna. Va bene?»

    Va bene mamma, disse Adele. La ragazza manifestò il suo entusiasmo saltando al collo della madre come una bambina, baciandola e scompigliandole i capelli. Paolo, che anche lui un po’ ne aveva abbastanza di quella lunga estate, sospirò di sollievo. Divertito, attese con ansia la sua dose di abbracci e baci.

    Quando fu il turno del marito, Sofia ripose la faccia felice e adottò quella circospetta, scrutando di nuovo la spiaggia in cerca del suo maniaco. Le vacanze avevano trasformato Adele, l’avevano resa ancor più donna. I capelli avevano preso una tonalità scura di biondo, e la pelle s’era fatta levigata e bruna come quella di una quindicenne, benché di anni ne avesse ventinove oramai. Sospirò a quel pensiero.

    Aveva capito che la sua bambina era diventata una donna appetibile per gli uomini una sera di alcuni giorni prima, mentre cenavano in una pizzeria del centro; un signore con la barba non smetteva di toglierle gli occhi di dosso. Lei, da madre apprensiva, si era così infuriata che stava per alzarsi e dirgliene quattro. Il mascalzone era in compagnia di moglie e figlia, e non si preoccupava affatto del suo comportamento inopportuno. Era riuscita a mangiare un pezzo di pizza solo quando i tre avevano abbandonato il locale, e dopo aver controllato che nessun altro avesse adocchiato Adele.

    Adele è una ragazza particolare, si diceva Sofia, ultimamente sembrava che nessuno se ne accorgesse, ed era quello il motivo per cui aveva deciso di tenerla d’occhio più del necessario. Lei sapeva che gli uomini hanno in mente solo una cosa, senza badare a chi si trovano davanti. In passato, molte volte aveva dovuto stringere le maglie intorno a suo marito, per non vederselo portar via dalla prima che si trascinava a letto. Quanta pazienza ci voleva per tirare avanti, disse tra sé.

    2

    Durante la notte Adele fece di nuovo quel sogno, lo stesso che l’aveva accompagnata durante tutta la breve vacanza a Montalto Marina. Non era un vero incubo, anzi, avrebbe potuto considerarlo un brutto sogno come ne aveva fatti tanti, se non fosse che lo rifaceva tutte le notti, tanto che lo ricordava fin nei minimi particolari. A volte le tornava in mente anche durante il giorno, quando se ne stava sdraiata al fresco della pineta a leggere. Non ne aveva parlato con nessuno, era convinta che appena rientrati a casa tutto sarebbe tornato alla normalità, e che non era per niente necessario far preoccupare i genitori per una cosa così stupida. E allora, quell’ultima notte, non si preoccupò più di tanto di averlo rifatto, il sogno, giacché di lì a qualche ora avrebbero finalmente lasciato l’appartamento al mare.

    La prima cosa che fece appena rientrarono nella loro casa in campagna fu di rotolarsi sull’erba con Max, un Bracco a pelo lungo, marrone, che ogni volta che lei ricompariva da una lunga assenza le faceva un sacco di moine, quasi per l’intera giornata. Adele aveva sempre avuto un cane nella sua vita, Max era un cagnone giovane, prima di lui era sua madre a scorrazzare per casa allietandole la vita, perché di amiche ne aveva avute poche, anzi, nessuna. Ora che era famosa tutti la conoscevano, ma lei faticava sempre tanto a ricordare dove avesse visto quel tizio, o quella tipa.

    Max differiva dalla madre per un pelo più scuro e lucido, e soprattutto per due macchie bianche, una proprio in mezzo al petto, l’altra alla zampa anteriore destra. Quando era ancora un cucciolo, Adele non riusciva a staccarsi da lui, ogni sera sua madre doveva costringerla a farlo uscire da sotto le coperte. Divenuta famosa, con i primi soldi guadagnati, insieme ai risparmi dei genitori, avevano comprato quella bella casa in Toscana con un gran podere intorno, dove suo padre Paolo e soprattutto Max trascorrevano la maggior parte del tempo. Se fosse per Adele non sarebbe mai uscita dalla sua casa in campagna, dove, tra le altre cose, poteva suonare il pianoforte senza disturbare nessuno, anche per una intera giornata, volendo.

    Mentre lei rincorreva Max tra le piante da frutto, suo padre Paolo leggeva la posta arretrata, seduto in veranda al riparo dal sole ancora caldo. Sofia lo raggiunse con una brocca di limonata fresca e si sedette con lui, deliziandosi osservando Adele giocare con il cane come se avesse ancora dieci anni. A vederla così graziosa un po’ le si intenerì il cuore, al pensiero che la sua povera figlia non potesse avere una vita normale, come tutte le altre ragazze della sua età.

    «A che pensi?» le chiese Paolo, nonostante intuisse cosa l’angustiava. A volte anche a lui passava per la mente la stessa preoccupazione, ma era un pragmatico, per natura e per esigenza, quindi badava sempre poco a quei tipi di pensieri.

    «Lo sai a cosa penso. Guarda quanto è bella.»

    «Sì, hai fatto proprio una bella figlia.» Sorrise.

    «L’abbiamo fatta. Ma non puoi negare, mio caro Paolo, che non è come tutte le altre. Bisogna guardarle sempre le spalle. Il mondo non è proprio un posto piacevole, sai?» Fece una breve pausa. «Per niente piacevole» ripeté.

    «Conosci perfettamente il mio pensiero, maestrina mia. Solo il tempo potrà dire come si evolveranno i fatti. Adele è un’artista affermata, giovane, con molti anni ancora da vivere. E forse un giorno troverà chi le vorrà bene, al di là del suo…»

    «Non dirlo nemmeno! Nessuno le metterà mai le mani addosso, mio bel generale. Nessuno!» e fissò un punto lontano, con l’atteggiamento distaccato di chi non ammette repliche.

    Paolo era consapevole che buttarsi in quella discussione non serviva a nulla, come credeva che, davanti a un grande amore, nulla potesse niente, nemmeno la tenacia di sua moglie. Va bene, mia cara, disse infine, ma solo per farla contenta.

    Nel pomeriggio Adele si dedicò al pianoforte, con Max che le gironzolava intorno chiedendole con la lingua penzolante di uscire a giocare per i campi. La mattinata l’aveva dedicata a lui, ma il pomeriggio era fermamente intenzionata a togliersi quel fastidioso prurito alle mani che le veniva quando stava lontana dal suo pianoforte. Talvolta arrivava a sognarlo la notte e quello sì che era un incubo. Ignorando Max, si mise seduta e iniziò subito con Czerny. La preparazione con il maestro iniziava l’indomani e senza la presenza dell’anziano professore si dedicava a ciò che più le piaceva. Al suono forte dello strumento Max dovette cedere e si accucciò sulla stuoia messa da una parte apposta per lui.

    Il suono si propagò per tutta la casa, le finestre aperte permisero alla melodia di eludere i muri e spargersi per tutto il campo, arrivando fino al padre, intento a estirpare l’eccesso di erba infestante nella striscia del suo orto. Anche Manuel, l’aiutante filippino, dovette fermarsi al suono che giungeva dalla casa.

    «Mi mancava, signor Paolo» disse. «Più di tutto mi mancava la musica della signorina.»

    «Già. Fra poco ripartiremo di nuovo per l’Europa» disse con rammarico il generale, pensando alla sua terra, fermandosi un attimo e volgendo la testa verso la casa.

    «Ma a Natale starete qui con noi, non è vero?»

    «Certo Manuel. Su, diamoci da fare» e si piegarono di nuovo tra le piante, trastullati dalle dolci note della ragazza.

    Suonare per Adele era come prendersi una rivincita sulla vita, sempre vissuta saltando da un medico all’altro, nel vano tentativo di arginare i problemi che la sua sindrome portava. Dopo un lungo periodo in una clinica di Benevento, per curare i gravi problemi di udito che aveva fin dalla nascita, grazie all’insegnante di sostegno che le voleva un gran bene, scoprirono il suo talento per la musica, e da lì tutto ebbe un senso. Quando poi, da grande, capì che il suo modo di suonare affascinava le persone, ecco che anche la sua anomalia genetica, che portava indelebilmente disegnata in faccia, le parve di poco conto. Doveva comunque sottostare a numerosi controlli periodici, di ogni genere, ma tutti le dicevano che era fortunata, tanti nelle sue condizioni non stavano bene come lei. A queste parole Adele non poteva che amare ancora di più la sua vita e di conseguenza la musica che generava con le mani. Tuttavia, trovava sempre grosse difficoltà a capire le persone, alcuni amici dei suoi genitori avevano un modo di esprimersi così complicato che a volte cercava aiuto nella madre.

    La madre era anche colei che ciclicamente le diceva di non fidarsi di nessuno – come il bell’uomo alla spiaggia libera –, specie di chi le sorrideva troppo o di chi tentava di toccarla. In fondo all’animo Adele desiderava invece che ci fosse qualcuno che la toccasse, l’accarezzasse come talvolta vedeva nei film o, arditamente, venisse baciata come leggeva nei suoi romanzi d’amore.

    La musica aveva la capacità per la ragazza di ovattare tutto quanto, rendere il resto non necessario, superfluo, insignificante, del tutto irrilevante. Il trascorrere del tempo rallentava. Diveniva un tutt’uno con il pianoforte, il suo pianoforte, e le mani un’estensione mobile della melodia che portava dentro.

    Ciò nonostante, adesso, dopo molti giorni senza aver toccato il pianoforte, sentiva di non riuscire a dare il meglio di sé, a esprimersi come avrebbe voluto. C’era un pensiero che le si insinuava nella testa, come non era mai accaduto, stranamente affiorava proprio quando la sua attenzione richiedeva la massima energia. Ed era il sogno fatto di continuo la scorsa settimana. Non disturbava affatto l’esecuzione, però sentiva di non metterci tutta se stessa, come se ci fosse un debole ostacolo tra le mani e la tastiera.

    Non diede molto peso alla cosa, anche perché caparbia com’era riuscì a ridurlo a un effimero disturbo di riflessione, come quando da piccola soffriva di leggeri dolori ai pollici e l’ignorava applicandosi allo studio delle pentatoniche, più semplici da ricordare e, soprattutto, da eseguire.

    Quella notte non fece il sogno che l’aveva assillata per giorni, ne fu contenta la mattina. La giornata era splendida e trascorse le prime ore in frenetica attesa dell’arrivo del maestro. Ripassava alcuni semplici esercizi quando si trovò a pensare di nuovo al sogno. Si fermò un istante, chiedendosi se non fosse il caso di parlarne con la madre.

    3

    Il maestro che la seguiva fin dai primi esordi era un vecchio amico di famiglia, in passato aveva diretto numerose orchestre nei più famosi teatri di mezzo mondo. Paolo lo conobbe proprio in una delle sue rappresentazioni estere, allora era di stanza all’ambasciata di Abu Dhabi e ospitarono il direttore d’orchestra nella loro casa, per tutto il tempo che si fermò negli Emirati. Era un omino piccolo e magro, con pochi capelli e un principio di gobba, si chiamava Oddone Ragonese, un nome importante e altisonante, ma per tutti quelli che lo conoscevano era il maestro.

    Già quando scese dall’auto si accorse del tocco troppo incisivo della sua allieva e, quando Sofia gli disse che Adele era in splendida forma, riuscì a rispondere solo con un mugugno, pensando al lavoro che l’aspettava per rimettere in riga la ragazza. Oddone si diresse difilato nella stanza del pianoforte, Max rizzò la testa senza muoversi dalla stuoia. Adele appena lo scorse gli si gettò al collo salutandolo con calore.

    «Su signorina, su» la scostò con garbo. «Vedo che ti sei messa già al lavoro, bene, bene», sistemò la borsa su una sedia e ne estrasse dei documenti. «Questa è la scaletta che abbiamo concordato prima delle vacanze.»

    «Me la ricordo.»

    Lui osservò un momento la ragazza, fermandosi a pensare. La trovava cambiata, e non era solo l’abbronzatura, forse aveva perso anche qualche chilo. Si soffermò sui suoi capelli: quella volta avrebbe fatto di tutto per convincere Sofia a disfare la frangetta. Ormai Adele era una donna, era ora che se ne accorgesse anche la madre, dopotutto aveva quasi trent’anni! Perfino quel vestitino da damigella era colpa della madre, per non parlare dell’assenza totale di trucco: no, pensò Oddone, così non può andare.

    Mise via i propositi per dopo e disse: «Avevo pensato di inserire un nuovo pezzo,» annunciò «credo ne sarai felice. Una sonata di Czerny. Cosa ne pensi?».

    «Sul serio?» La ragazza mutò espressione, le pareva di essere in una di quelle situazioni delle quali non riusciva a capire il significato. «È uno scherzo? Lo sa che mi piace tanto Czerny. Gliel’ho chiesto tante volte!»

    «La prima tappa estera sarà Vienna» continuò lui, sistemando alcuni spartiti sul pianoforte. «Pensavo fosse carino iniziare con un omaggio a un compositore viennese, e che a te piace molto» finì con un sorriso.

    «Evviva!» E lo abbracciò di nuovo.

    «Suvvia signorina, cosa sono queste smancerie. Però,» a questa parola Adele smise immediatamente di agitarsi «ho scelto una sonata veloce e desidero che tu ti impegni al massimo. Eccola, è la nona» e indicò un blocco di fogli sul ripiano.

    «La conosco!» disse lei, e si mise a suonarla.

    «No, no, no, no, signorina. Questa la studieremo oggi pomeriggio, ora fammi sentire l’esercizio che stavi eseguendo prima che arrivassi. E composta sulla panchetta, mi raccomando. Schiena diritta. Via!»

    Come immaginava suonava che sembrava un’altra, non l’Adele che conosceva. La lasciò fare, senza intervenire. Si mise di fronte, in coda al lungo strumento, osservandola in viso, e non riconobbe la fisionomia, i tratti che assumeva nel massimo dell’impegno. Era come pensierosa, non concentrata. Che fosse innamorata? Si chiese con orrore Oddone.

    Nei giorni che seguirono dovette ricorrere a tutta la sua esperienza per riportare Adele a una condizione quasi normale, le mancava solo di migliorare i crescendo, che nella sonata di Czerny abbondavano, per ritenersi soddisfatto.

    A ridosso del fine settimana la ragazza ancora non aveva raggiunto la perfezione che la caratterizzava prima delle vacanze, e allora il venerdì pomeriggio, ignorando i nuvoloni che si ammassavano verso nord, Oddone prese Adele per una mano e la portò fuori, nel regno di Paolo.

    Il vecchio generale osservò la scena da lontano, dopo aver gettato un’occhiata al cielo carico si chiese se non fosse un azzardo. Sofia aiutava il marito nell’ingrato compito di accudire l’orto, la donna non vedeva l’ora di sbrigarsi e vedendo Adele avvicinarsi si incupì.

    «Hanno smesso di provare» fece Paolo, ficcando la piccola zappa nel terreno, alzandosi con una smorfia di dolore.

    «L’ultima volta è stata quando Adele non voleva partire» disse preoccupata Sofia, togliendosi un attimo il cappello e asciugandosi il sudore dalla fronte.

    Oddone trascinò la ragazza verso il campo degli ulivi carichi dei loro frutti, nel verso opposto all’orto. Era quello un vasto appezzamento ben ordinato e pulito, proprio come piaceva al proprietario. Oddone iniziò il discorso raccontando della sua giovinezza, del perché avesse scelto la strada della musica e dei tanti paesi stranieri che aveva visto. Poi passò a dire quanto erano fortunati loro due a essersi appassionati all’arte della musica, allo studio dei classici e, soprattutto, al pianoforte, il magnifico strumento dalla estesa gamma sonora. Le disse che doveva essere sempre grata al Signore per averle fatto dono di una dote così grande. E per nulla al mondo doveva rinunciare a perseguire il volere di Dio, anzi, la grande capacità che le era stata concessa andava costantemente praticata, al fine di migliorarla e rendere così felice il creatore di tutti. L’uomo navigò nella sua memoria intervallando la morale religiosa alle sue esperienze di vita, parlando con il tono di voce pacato che da sempre lo caratterizzava, e la ragazza in silenzio.

    Adele ascoltava affascinata il discorso che le veniva fatto, un discorso udito già altre volte in passato ma che sempre la lasciava esterrefatta. Al solito le riusciva ostico decifrare alcuni passaggi, era più propensa a seguire i racconti di terre lontane, di gente dalla lingua straordinaria che viveva un’altrettanta vita straordinaria. Il maestro aveva viaggiato tanto nella sua lunga vita e aneddoti ne aveva da riferire a volontà. Quando invece Oddone si addentrava in arzigogolate prosopopee lei si perdeva, concentrandosi a quel punto sul tono della sua voce, così caldo e tranquillizzante che sarebbe stata ad ascoltarlo per tutta la notte, anche se non capiva un accidente.

    Comunque alla fine, quando oramai le nuvole basse minacciavano l’intera valle e un vento freddo correva tra gli olivi, Adele non riuscì a capire dove volesse andare a parare il maestro. Si era azzittito da qualche minuto e lei si sentì un poco a disagio.

    «Dimmi, mia cara,» proferì infine Oddone «c’è un pensiero nella tua

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