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Keep calm e diventa vegano
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E-book270 pagine2 ore

Keep calm e diventa vegano

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Perché sempre più persone diventano vegane? Quella del veganismo è una moda passeggera o il frutto di una consapevolezza profonda che implica un cambio di stile di vita? 

In questi ultimi anni il dibattito imperversa sui media e sui social, e mentre c’è chi cerca di demonizzare la dieta vegetale, le fila di chi ha a cuore gli animali, il futuro del pianeta e la propria salute si ingrossano in modo esponenziale. Medici e nutrizionisti si affrontano a colpi di studi scientifici, il popolo del web si scontra con toni accesi, e intanto le aziende si organizzano per attrarre quella che non è più una nicchia di mercato, ristoranti e bar si attrezzano per venire incontro alle richieste, sempre maggiori, di chi ha intrapreso una scelta di vita. Ma allora perché il vegano viene considerato come un hippie, un estremista appartenente a una setta e, nel migliore dei casi, l’amico pesante che è meglio non invitare a cena? Tra riflessioni, informazioni e curiosità, un libro agile per saperne di più sul mondo dei vegani e una filosofia di vita che potrebbe cambiare la sorte di milioni di esseri viventi e del nostro pianeta.

• Vegetariani e vegani: quasi 5 milioni di italiani hanno già deciso
• Cosa mangia, come si veste e come vive un vegano?
• Quali sono le ragioni del veganismo?
• L’antispecismo e i movimenti per i diritti degli animali
• la dieta vegana: pregiudizi e verità scientifiche
• l’allevamento intensivo: quando l’industria rompe il patto con la natura
Martina Donati
Lavora nell’editoria da vent’anni, vive a Firenze con suo figlio Nilo di undici anni, vegano. Aderisce al pensiero antispecista e ha uno stile di vita il più possibile cruelty free.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2015
ISBN9788854187641
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    Anteprima del libro

    Keep calm e diventa vegano - Martina Donati

    Specismo e antispecismo

    Il termine specismo (e di conseguenza il suo contrario, l’antispecismo) è stato coniato da un medico inglese negli anni Settanta, Richard Ryder che, lo mutuò dai termini razzismo e sessismo per indicare un pregiudizio basato su differenze fisiche moralmente irrilevanti.

    Il trattamento che riserviamo al nostro cane e gatto, per esempio, non è certo lo stesso di quello che mettiamo in pratica con la mucca e il maiale (eppure la mappatura del DNA di quest’ultimo ha evidenziato somiglianze genetiche con l’uomo veramente incredibili, ma nonostante ciò non è cambiato il suo primato come animale più mangiato nel mondo). In Europa con la Direttiva 2010/63/UE è stato vietato l’uso di primati come animali da laboratorio, quindi le scimmie antropomorfe non vengono più utilizzate perché ritenute, per aspetto esteriore e struttura anatomica, troppo somiglianti all’uomo (anche se con possibilità di deroghe).

    In contrapposizione allo specismo, si è sviluppato quindi il movimento dell’antispecismo, che è proprio la negazione del modello antropocentrico che afferma la superiorità di una specie rispetto a un’altra. Già Pitagora invitava ad astenersi dal mangiare animali, e gli storici si riferiscono a lui come al primo sostenitore della dieta vegetale in Occidente.

    Con radici ben piantate in secoli di storia, attualmente i più famosi filosofi esponenti di questa corrente di pensiero sono tre americani: Peter Singer, Tom Regan e Gary L. Francione.

    Peter Singer, è considerato il pioniere del movimento per il riconoscimento dei diritti animali. Il suo saggio del 1975, Liberazione animale. Una nuova etica per il trattamento degli animali, ha contribuito alla diffusione del termine specismo. Singer è senz’altro debitore di Jeremy Bentam, filosofo e giurista inglese che alla fine del Settecento aveva già riformulato la dottrina filosofica dell’utilitarismo nella quale il bene di un individuo, se ben realizzato, deve equivalere al bene di tutti gli esseri viventi. L’idea fondante alla base della teoria di Singer è che la questione della superiorità dell’uomo sugli altri esseri senzienti si ferma di fronte a dolore, sfruttamento e sofferenza, rispetto ai quali gli esseri viventi hanno tutti gli stessi diritti. Il fatto che per secoli gli animali non umani siano stati considerati una specie inferiore e quindi a completa disposizione dell’uomo non può essere una concezione accettabile né inamovibile: «Ciò che una generazione trova ridicolo, viene accettato da quella che segue e a quella che segue ancora verranno i brividi solo al pensiero di quello che la prima ha fatto», afferma Singer. Non è forse vero che solo il pensiero del commercio di schiavi fa ribollire i nostri animi di individui del terzo millennio? Non ci viene la pelle d’oca a pensare che le donne godano del diritto di voto solo da settant’anni? La morale cambia con l’evolvere delle società, è un processo lungo, ma, fino ad oggi, si è dimostrato inarrestabile.

    Tom Regan ha scritto numerosi libri di filosofia sui diritti degli animali. Nominato per il Premio Pulitzer, il suo testo più famoso rimane I diritti animali, che ha influenzato in modo significativo i moderni movimenti animalisti. Regan, nei suoi numerosi interventi afferma che tutti gli esseri viventi e senzienti, che lui chiama «soggetti di una vita», hanno un valore intrinseco, che è la vita stessa, che va rispettata in modo assoluto; perciò hanno diritti fondamentali: poter vivere secondo le proprie caratteristiche, non soffrire, essere rispettati, essere liberi. Per usare le parole di Regan: «…si sta verificando un progressivo allargarsi della coscienza morale che ci spinge a uscire non solo dai confini della nostra etnia o razza, ma anche da quelli della nostra specie, fino ad abbracciare tutti gli esseri viventi, animali, piante e la natura in genere». Durante una sua visita in Italia è stato intervistato dal «Corriere della Sera» a proposito del suo percorso in difesa dei diritti degli animali e alla domanda: «Lei è sempre stato un difensore dei diritti degli animali?», ha risposto: «No, mi spiace ammetterlo ma non è così. Non solo mangiavo carne, ma ho anche lavorato come macellaio. Ho fatto a pezzi animali, ho tagliato a fette la loro carne fredda perché questo era un desiderio crudele che avevo in me. So bene cosa vuol dire trattare gli animali come fossero blocchi di legno. Ma nel tempo mi sono reso conto che questo era un grande errore. Un passo alla volta, ho cominciato a interessarmi a quello che accadeva agli animali. Ed è stato un po’ come mettere una pentola di acqua sul fuoco: piano piano ho cominciato a bollire. Fino a che un giorno mi sono svegliato e mi sono scoperto un difensore dei diritti degli animali. Questo è il mio percorso e dico che se ci sono arrivato io possono arrivarci tutti».

    Tra i tre filosofi contemporanei che maggiormente si sono occupati della questione dei diritti animali, la figura più controversa è quella di Gary L. Francione: accademico e filosofo, anche lui statunitense, ha fondato venticinque anni fa, insieme alla collega e moglie Anna E. Charlton, il primo corso universitario dove si studiano i diritti degli animali alla Rutgers School of Law, ed è stato molto attaccato negli anni passati per le sue teorie considerate oltranziste ed estremiste, come l’approccio abolizionista. Francione è diretto nell’affermare, in molte delle sue numerose pubblicazioni, che il parametro al quale fare riferimento per l’attribuzione del diritto fondamentale a non essere trattato come bene di proprietà altrui, consta nell’avere una natura senziente, cioè la capacità di condurre una vita attraverso i sensi. Quindi tutti gli animali che possono provare privazione, dolore o paura dovrebbero essere rispettati e trattati in modo eguale, senza distinzione di specie, razza o caratteristiche che li avvicinino all’essere umano.

    Chiunque abbracci l’antispecismo come movimento filosofico, politico e culturale è chiamato alla lotta, alla partecipazione in prima persona. La liberazione animale è una battaglia e, anche se nasce come esigenza personale, come percorso spirituale autonomo, è auspicabile che, come ogni battaglia per la liberazione degli oppressi che si sia combattuta nella storia, confluisca in un movimento composto dal maggior numero di aderenti possibile. Questo forse serve a spiegare la forma di propaganda che molti antispecisti mettono in atto e che viene da taluni duramente criticata, quasi come fosse una setta, una religione. Mutatis mutandis, sarebbe stato ben strano se durante gli anni della liberazione dalla schiavitù o dal nazismo, si fossero sentite frasi tipo: «No, non mi associo a voi, sono contrario alla schiavitù, il mio percorso individuale mi porta a decidere di non possedere degli schiavi, ma rispetto chiunque voglia averne»; o anche: «Mi dispiace ma non posso unirmi a voialtri nella liberazione degli ebrei dai campi di sterminio, io non sono un nazista e non ammazzerei mai un ebreo, ma rispetto chi lo fa».

    Perché alcuni dicono che mangiare meno carne aiuta il processo di riduzione della fame nel mondo?

    Avere un atteggiamento compassionevole nei confronti degli animali coincide con l’esigenza di considerare le necessità dei tanti, troppi, esseri umani che non riescono ad accedere a un’alimentazione adeguata. Ci sono intere aree del pianeta dove il problema centrale è la scarsità di risorse alimentari, e la scelta vegana potrebbe avere importanti ripercussioni nella lotta alla fame nel mondo. Solo pensare all’enorme dispendio di acqua e cereali che serve per alimentare gli animali, che finiranno nei piatti di una minoranza di abitanti della Terra, è un atto di onestà intellettuale. Ci sono organizzazioni internazionali che si occupano da decine di anni di portare aiuti alle popolazioni afflitte dalla fame e attuare politiche per debellare questa enorme piaga, che forniscono dati e stime inquietanti dei danni derivati dall’allevamento intensivo. È vero che il trend è positivo, e infatti secondo i dati 2015 della FAO è sceso a circa 800.000 il numero delle persone che soffre la fame, ma sia l’Organizzazione mondiale della sanità, che la stessa FAO e la Banca mondiale (non pericolosi movimenti sovversivi!) da tempo esprimono preoccupazione per il crescente impatto della zootecnia sul pianeta. Basterebbe riconvertire parte delle colture destinate a nutrire animali da reddito all’alimentazione umana per ottenere un forte contributo alla risoluzione del problema e offrire un futuro a chi adesso non ce l’ha.

    Il percorso è ancora lungo ma occorre incamminarci adesso.

    Lo sfruttamento, il dolore e le sofferenze che patiscono gli animali per mano dell’essere umano sono tante, e non sempre è facile guardare cosa di cela dietro la bandiera della cultura, delle tradizioni e del vecchio alibi del si è sempre fatto così.

    Oltre alle crudeli condizioni in cui vengono allevati gli animali destinati a fini alimentari, ci sono attività ludiche e di intrattenimento (che affondano la loro storia in epoche dove anche la vita di un uomo poteva avere ben poco valore) dove si utilizzano gli animali senza alcun riguardo per le loro caratteristiche naturali, calpestando concetti come libertà e benessere. Una di queste è senz’altro la tradizione della corrida, una battaglia crudele e squilibrata a favore del torero (che nonostante ciò, a volte, rimane ferito o ucciso). Nessuno sta negando che vi siano testimonianze di tauromachie già nell’antica Grecia o il fatto che sia stata un rito sacrale nei secoli passati, ma questo non può condizionare il nostro senso morale attuale. Anche se non possiamo rimanere indifferenti alla potenza della scrittura di Hemingway in Morte nel pomeriggio, ciò non toglie che debba essere tenuta in vita una tradizione ingiusta o crudele. In Spagna sono moltissime le feste popolari dove gli animali hanno la peggio e si stima che il numero dei tori morti ogni anno si aggiri sui 30.000 esemplari. Non solo, gli allevatori di tori da corrida, spettacolo in calo di spettatori e rimasto, secondo molti, una sterile attrazione per turisti, vengono abbondantemente finanziati dalla UE, nonostante la percentuale degli spagnoli contrari si attesti sul 70%. Oggi per fortuna qualcosa sta cambiando: la Catalogna nel 2012, a partire da un’iniziativa popolare, ha abolito le corride, e il partito del Podemos, che alle amministrative del 2015 ha guadagnato la guida di molte città spagnole, pare abbia in programma l’abolizione di spettacoli sanguinari. Il nuovo sindaco di Madrid, Manuela Carmena, ha detto: «Non un solo euro di soldi pubblici sarà speso nelle arene».

    Purtroppo lo sfruttamento e la sofferenza animale si nascondono anche dietro manifestazioni apparentemente innocue come il circo, gli

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