I nostri cibi e i loro ingredienti nascosti. Dalle antiche massaie alle nanotecnologie alimentari
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Anteprima del libro
I nostri cibi e i loro ingredienti nascosti. Dalle antiche massaie alle nanotecnologie alimentari - Giuseppe Minervini
Nardo.
BREVE STORIA DELL’ALIMENTAZIONE
Come in ogni settore della vita umana non si può affrontare e capire in modo esauriente un argomento se non se ne conosce un minimo della sua storia, pertanto non si può parlare di tipologie di cibo, ingredienti alimentari, additivi, ed altri temi connessi se prima non si rappresenta un quadro storico dell’alimentazione. È raro parlare di storia dell’alimentazione e ancora più raro, a parte gli addetti al settore, trovare gente che ne sia interessata, tuttavia è un tema molto interessante in sé e per di più ci aiuta a capire meglio la nostra società e ad apprezzare meglio ciò che mangiamo. Per questi motivi è raccomandabile leggere i preziosi saggi dedicati a questo settore.
Introduciamo umilmente dunque una breve panoramica storica sull’alimentazione umana. È un corso di eventi avvincente che oltre alla mente stimola le papille gustative e di riflesso anche il nostro stomaco. Tuttavia il percorso che ha fatto e sta facendo l’umanità per trovare il modo di alimentarsi oltre ad essere suggestivo è faticoso e ricco di insidie. Si pensi per esempio ai rischi che correvano i primi uomini, consapevolmente ed inconsapevolmente, nel procacciarsi il cibo e si pensi alle problematiche attuali quali la sovralimentazione o la sottoalimentazione presenti in alcune zone del mondo e, infine, alla sicurezza alimentare. Il percorso dell’alimentazione umana è importante e accompagna la nostra evoluzione, esso influisce profondamente sulla nostra salute nonché sulla nostra sopravvivenza, è ricco di temi interessanti ed è anche cultura. Per cui si spera che ciascuno di noi non trascuri un tale patrimonio ma anzi lo coltivi sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista pratico dell’atto vero e proprio del cibarsi … senza però commettere troppi peccati di gola.
Per avere un’idea del mutamento dei pasti nel corso della storia della specie umana diamo uno sguardo alle tappe più salienti della sua evoluzione.
Al giorno d’oggi il pasto degli uomini primitivi vi potrà sembrare di certo fuori moda e poco attraente se considerate che essi dovevano cibarsi di quello che riuscivano a trovare evitando quello che era tossico o velenoso. Nella loro dieta⁴ vi erano insetti (per esempio formiche, cavallette e termiti) ma anche uova di uccelli, tuberi o radici, il tutto era mangiato crudo perchè non si faceva ancora uso del fuoco. Già dalla preistoria, quindi, gli uomini dovettero iniziare a studiare delle strategie alimentari, come è ben spiegato nella Storia dell’alimentazione di Flandrin e Montanari (1999).
Dopo la scoperta del fuoco e dell’esordio di agricoltura e allevamento gli uomini iniziarono ad alimentarsi anche con cereali e carne cotti. Per la verità l’agricoltura, anche se di grande utilità ai fini della nutrizione, si diffuse molto lentamente in tutto il pianeta e fu adottata piuttosto tardi rispetto alla semplice attività di raccolta e solo nell’età dei metalli l’uomo introdusse nella dieta anche la frutta e gli ortaggi rinvenuti nel territorio in cui risiedeva.
Dopo la nascita delle prime civiltà umane si abbandona il semplice e rudimentale atto del cibarsi e si delinea anche la funzione sociale dei banchetti. Intanto dal 4000 a. C., epoca di egiziani e babilonesi, i pasti si arricchiscono di vari cibi, alcuni mangiati tal quali altri più elaborati o abbinati fra loro, quali formaggio, legumi, nuovi tipi di frutta e, essendo ormai conosciuto l’uso del sale, anche pesce sotto sale. Il miele era usato come dolcificante, cipolle, porri e agli erano usati come condimenti. Naturalmente bisogna considerare che il cibo di cui potevano approvvigionarsi gli uomini dipendeva molto dalla loro posizione nel ceto sociale. Intanto parallelamente al progredire delle prime arti culinarie si fecero alcuni progressi tecnici che consentirono di passare dal primitivo bastone per lo scavo alla zappa e all’aratro di legno.
Nel 1000 a. C. le pietanze erano regolarmente lessate o arrostite, si usava un po’ più spesso la carne e si beveva vino
ricavato dalla fermentazione dell’orzo, del miele e delle mele. Si coltivava il grano con cui venivano cotti numerosi tipi di pane, e si mangiavano zuppe di farro o legumi, selvaggina, olive, uva passa, fichi e pesce fritto, lesso o sotto sale. Gli etruschi inserivano nella loro dieta la polenta, le verdure cotte o crude ed anche castagne e conserve sotto aceto. Infine, chi era molto ricco poteva deliziarsi con capitoni, spigole ed orate.
Intorno al X secolo d. C. i romani introdussero ancora altri tipi di ingredienti da usare per i loro pranzi, ma condivano i cibi con un gusto tutto loro: funghi con miele, pesche marinate, piccioni con datteri, pepe e miele.
Ma poi arrivò il periodo delle invasioni barbariche e in quella difficile fase storica ci si nutriva fondamentalmente con selvaggina, formaggi, pane, verdure e frutta e si faceva grande uso di spezie che venivano aggiunte a cibi e bevande sia per nascondere i cattivi sapori che come antibatterici. Tra le bevande andava per la maggiore quella che oggi conosciamo come birra. Gli invasori una volta insediatisi definitivamente contrapposero il loro modello alimentare, fondato solo sulla caccia e sulla raccolta, a quello romano più prettamente agricolo e la plebe soffrì ancor più la povertà e la denutrizione. I pasti dei ricchi invece proseguirono regolarmente ma le portate erano servite anche in ordine sparso e cucinate grossolanamente.
Fu questa una fase di regressione sociale e, infatti, il Medioevo rappresenta un periodo veramente buio anche per quel che riguarda l’alimentazione, soprattutto quella dei poveri i quali per esempio, a causa soprattutto delle costrizioni economiche che rendevano raro l’uso del frumento, usavano tutto quello che era sfarinabile per fare il pane. Così usando orzo, miglio, sorgo, vecce, fave, cicerchie, castagne, ed altri legumi venivano prodotti dei surrogati di pane che a volte ne avevano solo una parvenza di affinità esteriore ma erano notevolmente meno gustosi e nutritivi, se non alcuni quasi indigeribili. Da ciò si evince che in questo periodo la vera e urgente necessità, ancora prima del nutrirsi, era quella di sfuggire alla fame! La differenza tra queste due azioni era quello che si sceglieva o piuttosto si subiva come cibo. Ci si nutre solo se si risponde ai bisogni dell’organismo; ci si sfama se si riempie semplicemente lo stomaco (Sentieri, 1993).
Comunque pian piano superato quel periodo critico anche il frumento divenne più popolare. Proprio riguardo a questo sveliamo una curiosità: si dice che (tra il 1200 e il 1300) Marco Polo di ritorno dalla Cina importò la pasta alimentare, ma in realtà questa era già diffusa in quello che viene chiamato oggi il Mezzogiorno d’Italia (Sentieri, 1993).
Solo nel 1400 d. C. le portate diventano più curate e finalmente dal 1500 in poi si può parlare di vera arte nella preparazione dei cibi. Inoltre con la scoperta del nuovo continente giunsero da noi nuove delizie come cioccolato, riso, mais ed altre tipologie di ortaggi fino ad allora sconosciuti (tra cui pomodori, patate, asparagi, ecc.). Si iniziarono anche ad assaporare i primi liquori ed il caffé. Nei secoli successivi la conservazione e la preparazione dei cibi fa ulteriori progressi e sulle tavole appaiono anche marmellate, formaggi di nuove qualità, salumi e salsicce, torte e pasticcini.
Nell’Ottocento grazie ai progressi scientifici nasce la prima industria di lavorazione della barbabietola che permetterà a tutti di avere zucchero sempre a disposizione sulla tavola e grazie ai progressi in campo enologico e caseario i vini ed i formaggi accresceranno ancora la propria qualità. Dal 1900 si trovano nei bar hamburger, pizzette e panini. In questo secolo, tuttavia, in alcune zone del pianeta il progresso tecnologico nell'agricoltura non si era ancora sviluppato o in alcuni casi non lo si volle far sviluppare in modo uniforme e alla fine del XX secolo vigeva un grande squilibrio tra l'agricoltura dei Paesi sottosviluppati e quelli con alto livello di industrializzazione. Tale situazione tuttora non è cambiata.
Al momento in cui scriviamo esistono vari approcci nel modo di sfamarsi e, a causa di varie ed a volte gravi problematiche sociali, non tutti hanno idea di come attuare una dieta equilibrata, altri addirittura, a causa della difficoltà di trovare lavoro, spesso non riescono ad conseguire dei pasti regolari. Eppure sulle nostre tavole e nei luoghi di ristorazione si può trovare anche il cibo più impossibile e siamo anche in grado di fornire agli astronauti dei cibi adatti alla condizione di assenza di gravità. Quello che inoltre è cambiato rispetto ai secoli precedenti è anche il ritmo di vita: già negli anni ’70 si parlava di un ritmo di vita dinamico e moderno
che la società conduceva ogni giorno e questo non permetteva, ieri come oggi, di dedicarsi né alla preparazione di gustose ricette né di quelle meno elaborate, ma più veloci. A questo proposito ne approfittiamo per ricordare Pellegrino Artusi (1820-1911), il famoso gastronomo italiano che scrisse un manuale di cucina, dal titolo "La Scienza in cucina e l'Arte di Mangiar bene". Questo libro dopo un iniziale insuccesso raggiunse la popolarità, tanto da farlo mantenere in stampa ad oltre cent'anni di distanza. Egli scrisse il suo trattato di arte culinaria col presupposto che cucinare era un’arte da coltivare e perfezionare.
⁴ Per dieta
si può intendere l'insieme degli alimenti che un essere umano assume abitualmente. In generale, il termine deriva dal greco e indica lo stile di vita, che associato ad atteggiamenti positivi concorre a una alimentazione sana. Attualmente lo stesso termine si usa scorrettamente nell’italiano popolare per identificare solo le diete dimagranti, ma in realtà esistono anche le diete ingrassanti, quelle degli sportivi, quelle normocaloriche, ecc.
CIBO: CIVILTÀ, CULTURA, SALUTE
Come abbiamo accennato nel precedente capitolo, al tempo dell’impero romano esistevano nei territori europei due modelli alimentari, per così dire contrapposti, che facevano capo a due civiltà l’una delle quali disprezzava l’altra come inferiore e barbara. Il modello alimentare delle popolazioni più nordiche era fondato sul mero sfruttamento delle risorse con le sole attività di raccolta, caccia e pastorizia. Quello della tradizione greca e romana era invece fondato sull’agricoltura e considerato più civile per motivi sia pratici che tecnici. Infatti, con lo sviluppo della agricoltura si era reso necessario creare abitazioni fisse e vicine ai campi coltivati e questo trasformò in stanziali le comunità umane facendo nascere le città.
La città segna una specie di emancipazione dell’uomo, segna un separarsi dalla Natura, la capacità di costruirsi uno spazio tutto suo in cui abitare ed in cui essere anche protetto dai capricci del clima. È già da quel periodo, quindi, che con il mettere a coltura ampie zone di terra l’uomo inizia a modificare il paesaggio. Da segnalare che quell’emanciparsi dalla Natura, quel abbandonarne le regole e svincolarsi dai suoi capricci, quel segnare il terreno con i solchi delle arature, quel modificare il paesaggio talora in modo profondo anche con i disboscamenti, era vissuto da alcune culture del tempo come un gesto di violenza compiuto verso la Terra Madre
, da questo sentimento nacquero i vari rituali di fecondità che avevano lo scopo di espiare tale colpa.
Approfittiamo dei questo ultimo argomento per ricor-dare che attualmente l’Italia ha un preziosissimo patrimonio di storia, cultura e natura. Il suo territorio agricolo ha subito nei secoli, attraverso condizioni di diversità geografica, litologica, climatica e biologica della penisola, una evoluzione in quelle molteplici tipologie di agricoltura ed in quelle pluralità e qualità dei paesaggi rurali che arricchite dalla varietà degli stili dell’architettura rurale regionale sono state ammirate dai viaggiatori di tutto il mondo fin dal secolo XVIII. Non si può, dunque, non sottolineare il ruolo insostituibile degli agricoltori nel determinare la straordinaria ricchezza di forme del paesaggio italiano; essi con l’ingegno e la capacità di adattamento dell’attività produttiva ad ambienti naturali a volte ostili hanno consentito questo accostamento eterogeneo nelle campagne italiane. Una eterogeneità ancora viva nella quale si percepiscono però i segni di una pericolosa riduzione delle caratteristiche identitarie, della tendenza all’impoverimento delle componenti arboree, arbustive ed erbacee, dell’abbandono del pascolo brado e delle colture promiscue.
Ma ritornando al nostro discorso, un’altra importante attività nell’area del Mediterraneo (dove in particolare si usava il frumento) segna la raggiunta maturità
da parte dell’uomo: l’arte di fare il pane. Infatti il pane non esiste in natura, l’uomo se lo crea da sé attraverso una sofisticata tecnologia. Saper fare il pane segna nel contempo un’altra grande conquista: il fabbricarsi il cibo da sé, il non essere più vincolati ad andarsene per la foresta a raccogliere o cacciare quello che si può. Forse proprio da questo momento viene elaborato il concetto di uomo civile
, civile perché costruisce
artificialmente il proprio cibo.
Dunque la capacità di fare il pane segna la conquista della civiltà. Ma a questo punto azzardiamo un dubbio, notiamo che per la società umana nelle attività volte a procurarsi il cibo è costante il passare da un livello di specializzazione già raggiunto ad uno ancora più alto. In sintesi, nella preistoria tutti provvedevano al proprio cibo ma con il progredire della civiltà pian piano alcuni tipi di alimenti sono stati prodotti da gruppi di uomini specializzati (a causa della diversificazione delle attività umane in mestieri). Ora accade che in molte famiglie, o in quel che ne rimane, sempre più spesso ci sono persone che non sanno o non hanno tempo per elaborare i pasti da sé e sono stati costretti a rivolgersi ad un numero sempre minore e sempre più specializzato di preparatori
di cibo. Arriveremo forse al punto in cui il 98% circa della popolazione non saprà più prepararsi il cibo in casa? Nel momento in cui la gente comune perderà le tecniche manuali di preparazione degli alimenti che tipo di civiltà si potrà dire di avere raggiunto? A quel punto, nonostante il progresso tecnologico conseguito, probabilmente ci sarà una regressione della civiltà umana? Alcuni studiosi e per la verità anche uomini comuni sono dell’idea che già ci troviamo in periodo di regressione. Inoltre, come fa notare M. Montanari (professore di Storia dell’Alimentazione all’Università di Bologna), il cibo è cultura. È cultura quando si produce (perché l’uomo crea il suo cibo), è cultura quando si prepara (perché i prodotti di base vengono trasformati), è cultura quando si consuma (perché l’uomo sceglie il proprio cibo in base a criteri economici, nutrizionali, simbolici). Se quindi quel 98% della popolazione perderà la capacità di farsi il cibo fra le mura domestiche avrà perso anche molta parte della sua cultura?
Ma riprendendo in esame il concetto storico della contrapposizione tra modello alimentare barbaro e greco-romano dobbiamo precisare che quando i barbari invasero l’impero romano e ne presero il potere il loro stile alimentare dovette affermarsi per forza di cose tra la popolazione sottomessa. Tuttavia anche il modello alimentare dei vinti, per il prestigio che conservava, conquistò gli invasori per cui i due modelli si integrarono tra loro facendo nascere una nuova cultura alimentare. In tale cultura, conosciuta oggi come europea
, sia la carne che il pane erano cibi degni della stessa importanza. Da quel momento si praticarono sia l’agricoltura sia la caccia che lo sfruttamento delle foreste e da questa integrazione derivò un regime alimentare caratterizzato principalmente dalle varietà delle risorse e dei generi consumati: varietà da cui scaturì la straordinaria ricchezza del patrimonio alimentare e gastronomico europeo, che ancora oggi lo rende unico nel mondo (Montanari, 2007). Sarebbe una tragedia perdere tutto ciò.
Ma il cibo non è pura cultura, dietro di esso (sia nell’età prettamente agricola che nell’età industriale) vi sono scienza e tecnica, le quali si sono espresse in due strategie diversificate: una tesa a differenziare le specie coltivate per farle produrre il più a lungo possibile nel corso dell’anno e l’altra tesa a studiare tecniche efficaci di conservazione dei prodotti vegetali e animali deperibili per poterli utilizzare in un secondo momento. Anche queste tecniche rappresentano un passaggio importante dal punto di vista culturale perché esprimono la capacità dell’uomo di controllare i naturali processi degenerativi dei prodotti freschi.
Un altro aspetto da evidenziare cui a volte non si pensa, perché l’attenzione si è spostata soprattutto su oggetti più voluttuari, è che il cibo è stato anche segno di distinzione sociale. Tra gli altri un elemento importante nello sviluppo dei modelli alimentari è stata la capacità, via via accresciutasi, di avere sulla propria tavola cibi provenienti da paesi lontani. Già nel VI secolo si eleggeva a normale diritto del principe l’avere sulla tavola cibi provenienti da territori molto distanti e per conseguirlo si consigliavano buoni destrieri e buona corsa (Bartolomeo Stefani, capocuoco alla corte dei Gonzaga, XVII secolo) cioè rapidi mezzi di trasporto ed adeguata disponibilità finanziaria. Ma se a quel tempo i cibi esotici erano disponibili solo per pochi e quindi erano segno di prestigio, attualmente con navi, aerei e TIR sono invece disponibili per tutti e tale prestigio è venuto meno. Ora la distinzione tra classi sociali si è spostata altrove: paradossalmente, sul tanto vituperato territorio
, afferma M. Montanari nel suo libro Il cibo come cultura
. Il lato positivo di questo spostamento è che anche persone di spicco, tra le quali ricordiamo scrittori e registi (vedi Ermanno Olmi⁵ convinto sostenitore della cultura salutistica e della coltivazione biologica), si sono accorte dei danni perpetrati al nostro ambiente.
Per restare nell’ottica storica, l’uso del fuoco e le operazioni di cucina non servono solo a migliorare il gusto degli alimenti ma contribuiscono anche alla sicurezza della salute. Varie civiltà (greca, indiana, cinese) elaborarono un pensiero medico e filosofico strettamente legato alle pratiche di cucina. In questa ottica si spiegano le loro indicazioni su come cuocere gli alimenti e su come abbinarli l’uno all’altro. Alcune di tali tecniche si sono conservate e rientrano nell’uso comune di oggi, per esempio chi mai immaginerebbe che i due abbinamenti formaggio con pere e prosciutto con melone sono antiche indicazioni medico-dietetiche? Ricordiamo che in vari secoli di storia si sono succeduti trattati di medicina che hanno assunto la forma, in tutto o in parte, di libri di ricette di cucina. Nei secoli scorsi medico e cuoco erano le due facce di un medesimo sapere.
Approfondendo l’argomento ci si rende conto che il cibo e la salute o meglio il piacere della tavola e la salute hanno un nesso inscindibile. Nesso di cui, al giorno d’oggi, non ci si rende più conto anzi cibo e salute sono percepiti in modo conflittuale a causa di errati modi di vita, di poca cultura in merito o per pubblicità fuorvianti. I dietologi ci dicono che le regole della salute sono anzitutto regole alimentari, tuttavia non intese nel senso restrittivo. Infatti, come già ricordato nella nota 4, possiamo notare come oggi nel linguaggio comune si abbia un concetto distorto del termine dieta
. Questo, ovviamente, non significa che ci si debba abbandonare alla ghiottoneria ma che dietetica, gastronomia e buone regole di vita devono essere in stretta simbiosi.
Ma ci sono anche altre ragioni per le quali oggi si ha una immagine conflittuale fra piacere della tavola e salute? Per esempio in questi anni non c’è quasi più rapporto fra pratiche di cucina, spesa al supermercato, pause al bar e riflessione nutrizionale. Per aiutarci in questa ultima riflessione, tra le altre cose, esistono le etichette alimentari. Questo è uno dei punti su cui il Movimento Consumatori ed altre associazioni di difesa del cittadino insistono, sia nel tentativo di insegnare agli stessi consumatori a leggere le etichette e a saperle interpretare sia agendo sulle istituzioni affinché siano adottati regolamenti sempre più chiari, precisi e al tempo stesso che ne rendano semplice la lettura e veritieri i contenuti.
Dobbiamo poi constatare che l’elevata tecnica di produzione degli alimenti, l’allontanarsi della vita quotidiana cittadina dalla natura, i costumi alimentari a volte molto distratti, i correlati ed emergenti problemi di salute hanno reso doverosi approfonditi studi in biologia, biochimica e scienze dell’alimentazione. Con i risultati di tali studi si possono non solo approntare strategie appropriate da mettere in pratica per migliorare la qualità di vita della popolazione ma anche comunicare migliori regole e stili di vita tramite opuscoli, pubblicazioni, convegni e semplice divulgazione specifica. Notiamo però, che tutti gli approfondimenti su questi temi vengono scritti molto spesso in linguaggio strettamente scientifico in termini di molecole, vitamine, carboidrati, aminoacidi, e così via e questa tendenza paradossalmente ha incrementato nei comuni cittadini il divario tra esperienza sensoriale (gusto e sapore) e concetti nutrizionali, tra esperienza quotidiana ed elaborazione concettuale. Sembra perciò che quanto più ci si allontana dal creare con le proprie mani gli alimenti e dall’elaborare in prima persona le portate da mettere sulla nostra tavola tanto più ci si allontana dai concetti nutrizionistici divenendo facili prede di errori personali, pubblicità scorrette e frodi alimentari. Non