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La contessa Artoff: Rocambole VII
La contessa Artoff: Rocambole VII
La contessa Artoff: Rocambole VII
E-book306 pagine3 ore

La contessa Artoff: Rocambole VII

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Info su questo ebook


Proseguono le macchinazioni di Rocambole, sotto le mentite spoglie del marchese de Chamery, per sposare la ricchissima Conception de Sallandrera.
Tolto di messo don Josè d'Alvar, il promesso sposo della bella spagnola, Rocambole si trova davanti un nuovo ostacolo. Il duca de Chateau-Mailly, altro pretendente di Conception, per far breccia nel cuore di lei può fare affidamento su un'alleata che finora ha sempre trionfato: la contessa Artoff, ossia Baccarat.
LinguaItaliano
Data di uscita14 feb 2020
ISBN9788899403867
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    Anteprima del libro

    La contessa Artoff - Pierre Alexis Ponson Du Terrail

    48

    Dello stesso autore nella collana Aurora:

    L'eredità misteriosa. Rocambole vol. 1

    I drammi di Parigi. Rocambole vol. 11

    Il Club dei Fanti di Cuori, parte prima Rocambole vol. 111

    Il Club dei Fanti di Cuori, parte seconda Rocambole vol. 1v

    La vendetta di Baccarat. Rocambole vol. v

    Una figlia di Spagna. Rocambole vol. v1

    Pierre Alexis Ponson du Terrail, La contessa Artoff

    (Rocambole vol. VII) 1a edizione Landscape Books, febbraio 2020

    Collana Aurora n° 48

    © Landscape Books 2020

    Titolo originale: Les Exploits de Rocambole - Une fille d'Espagne pt. 2

    Nuova edizione italiana a cura di Guido Del Duca

    www.landscape-books.com

    ISBN 978-88-99403-86-7

    Realizzazione a cura di WAY TO ePUB

    www.waytoepub.com

    Ponson du Terrail

    La contessa Artoff

    Rocambole VII

    Riassunto degli episodi precedenti

    Rocambole, nei panni di un gentiluomo inglese, torna in Francia dopo anni di esilio forzato. Durante il viaggio, la nave che lo riporta in patria naufraga e lui si salva a nuoto assieme a un giovane ufficiale di marina, il marchese de Chamery, che torna a Parigi dopo esservi stato portato via da bambino a causa di un intricato dramma familiare. Il giovane torna per riabbracciare la madre e la sorella e per raccogliere una cospicua eredità.

    Ricostruita la vicenda leggendo i diari del marchese, Rocambole abbandona il giovane su un isolotto deserto e qualche mese dopo si presenta in casa Chamery in tempo per raccogliere l'ultimo respiro della vecchia marchesa e per benedire il matrimonio della presunta sorella Blanche con il visconte d'Asmolles.

    Qualche mese dopo il suo arrivo a Parigi, Rocambole (ora per tutti marchese di Chamery) incontra casualmente in un baraccone di fiera il suo antico mentore sir Williams. Mutilato, quasi completamente cieco e orrendamente tatuato, colui che un tempo era Andrea de Kergaz viene ora esibito come un capo tribù australiano. Rocambole se lo fa cedere dai girovaghi e lo accoglie nel suo appartamento affidandolo alle cure di un medico creolo.

    Nel frattempo, Rocambole si dedica alla realizzazione di un altro progetto: sposare Conception, figlia e unica erede di un nobile spagnolo, il duca de Sallandrera. Ma sulla strada del falso marchese sorgono numerosi ostacoli dovuti a una lunga e tenebrosa storia di delitti nella famiglia Sallandrera.

    Il duca, per espiare antiche colpe, ha giurato di dare in sposa la figlia al nipote, don Pedro d'Alvar. Il fratello di quest'ultimo, don José, ha però ordito un complotto per sbarazzarsi di don Pedro e sposare Conception. Con la complicità della sua amante, la zingara Fatima, riesce a far contagiare don Pedro da una misteriosa lebbra, e lo sfortunato giovane viene relegato a Cadice dove finirà per spegnersi fra atroci tormenti

    Conception, che odia don José, si rivolge al falso marchese de Chamery – che le fa discretamente la corte – raccontandogli tutta la storia. Rocambole, grazie anche al casuale ma provvidenziale intervento della cortigiana Banco, che fa perdere la testa a don José, e all'aiuto del cameriere di quest'ultimo, Zampa, ordisce un piano per suscitare il furore geloso di Fatima.

    Durante un ballo in maschera Rocambole, dopo aver somministrato un veleno alla zingara, le mostra don José in dolce colloquio con Banco. La tragedia si compie: don José cade sotto il pugnale di Fatima, la quale a sua volta muore dopo pochi istanti fulminata dal veleno.

    I.

    Il marchese de Chamery, il quale aveva dormito con il castello dei Sallandrera come guanciale, si svegliò verso le dieci del mattino dicendosi: Mi vien voglia di canticchiare quella filastrocca sui castelli della Spagna…

    Per accompagnare don José all’ultima dimora, si vestì accuratamente di nero, poi salì da sir Williams.

    Il cieco non aveva ancora preso conoscenza della lettera di Conception.

    Rocambole gliela lesse e sir Williams rimase ad ascoltare con molta attenzione.

    Poi prese la lavagnetta e scrisse: È evidente che abbiamo fatto più del necessario. La signorina Conception ti ama già e don José, l’ostacolo più serio, è passato a miglior vita. Ma…

    Il cieco si fermò, apparentemente immerso in una profonda riflessione e giocherellando con il gessetto.

    «Ma?», domandò Rocambole.

    Sir Williams riprese a scrivere: Il duca de Sallandrera è un Grande di Spagna, può contare su una rendita fra i settecento e gli ottocentomila franchi e tale patrimonio verrà ulteriormente accresciuto dall’eredità di don Pedro e don José.

    «Un bel gruzzoletto», commentò Rocambole che stava leggendo da sopra la spalla di sir Williams.

    Il cieco proseguì. Il marchese de Chamery, pur essendo un gentiluomo, è evidentemente di nobiltà inferiore rispetto ai Sallandrera…

    «Perdinci, caro zio», sbottò Rocambole con l’indignazione di un autentico titolato, «lo sapete che siamo stati a Malta?»

    Un sorriso indulgente e sarcastico al tempo stesso si dipinse sul volto sfigurato dell’infermo.

    Sir Williams proseguì con il gessetto: Inoltre il marchese de Chamery dispone soltanto di settantacinquemila franchi di rendita… una sciocchezza!

    «Bah», replicò Rocambole, «se Conception mi ama davvero…»

    Ma il duca de Sallandrera avrà certamente delle mire più ambiziose. È quindi necessario che sondi accuratamente il terreno con la bella spagnola, al fine di appurare se per caso non è stata chiesta in matrimonio da qualche altro gentiluomo.

    «In effetti qualcuno si è fatto avanti», rispose Rocambole.

    Ah, scrisse il cieco, e chi?

    «Una nostra vecchia conoscenza».

    Sarebbe?

    «Il giovane conte de Chàteau-Mailly, diventato duca e immensamente ricco dopo la morte dello zio, quel vecchio barone il quale, senza di noi, avrebbe sposato l’attempata profumiera, madame Malassis… ve ne ricordate?»

    , rispose il cieco con un cenno del capo.

    «Ma il duca è stato rifiutato».

    Il che era plausibile, scrisse sir Williams, quando don José era vivo, ma ora che è morto, fra un mese o due…

    E aggiunse queste parole, che sottolineò accuratamente: c’è pericolo!

    «Oh, esclamò Rocambole, «il pericolo è anche da un’altra parte».

    E dove?

    «Come vi ho già detto, caro zio, Baccarat intratteneva rapporti amichevoli con la famiglia del duca».

    Sentendo quel nome, il viso di sir Williams si contorse in una smorfia di collera.

    «Dunque», proseguì Rocambole, «dal momento che abbiamo imboccato questa strada, andremo fino in fondo. Da quando sono a Parigi, Baccarat, diventata la contessa Artoff, come sapete, ha vissuto all’estero. È partita all’inizio dell’autunno scorso per la Russia e dovrebbe tornare all’inizio del mese prossimo. Diciamo che potrebbe capitare qui da un momento all’altro. Per quanto mi riguarda, ho già incontrato almeno una decina di persone che hanno conosciuto il visconte di Cambolh e il marchese don Inigo de los Montes. Sono talmente cambiato che nessuno mi ha riconosciuto nei panni del marchese de Chamery, ma ho paura di Baccarat».

    Hai ragione, scrisse il cieco.

    «Dunque, Baccarat e suo marito hanno conosciuto due anni fa il duca de Sallandrera e la sua famiglia alle terme di Wiesbaden; il conte Artoff ha stretto amicizia con il duca e, benché Baccarat abbia il tatto di non accompagnare mai suo marito nelle grandi occasioni viene amichevolmente ricevuta a palazzo Sallandrera. Anzi, la duchessa e Conception le sono molto affezionate».

    Maledizione…, mimò sir Williams digrignando i denti.

    «E proprio il conte Artoff ha presentato a palazzo il giovane duca de Chàteau-Mailly».

    Sir Williams aggrottò la fronte.

    «Come vedete, caro zio», puntualizzò Rocambole, «ancora una volta la vostra sfortuna ci perseguita perché proprio voi avete messo in contatto tutta questa gente».

    Sir Williams sospirò.

    «Baccarat e il conte ritorneranno alla carica e quella donna diabolica, che ci ha già battuto una volta, potrebbe farlo anche una seconda se non prenderemo le nostre precauzioni».

    Il cieco digrignò di nuovo i denti.

    «Di conseguenza, amico mio, non c’è tempo da perdere. Non biasimo il vostro odio per quella brava persona di monsieur de Kergaz, vostro fratello, ma sono del parere che per il momento dovreste accantonare qualsiasi progetto di vendetta che, peraltro, ci ha sempre portato male. Se vi foste occupato meno di quel filantropo di fratello per concentrarvi un po’ di più su Baccarat, certamente avreste ancora la lingua e gli occhi. Forse», concluse Rocambole con crudele ironia, «vi sareste ritirato in provincia con la piccola Sarah, che avrebbe finito per amarvi. Comunque, se volete, potremmo mettere a punto un piano che non mi sembra mente male, e vi assicuro che mi piacerebbe proprio darti Sarah in premio per la tua saggezza».

    Sir Williams esprimeva, con i gesti e con l’atteggiamento, una gioia feroce.

    Rocambole guardò l’orologio.

    «Ne riparleremo stasera», disse. «Sono le undici, vado al funerale di Don José. Non ne posso fare a meno, visto che erediterò la sua fidanzata».

    Il falso marchese lasciò sir Williams in preda alla terribile sovraeccitazione destata in lui dal ricordo della piccola ebrea, prima e misteriosa causa di tutte le sue sventure, ma per la quale aveva conservato l’amore violento e furioso di una belva.

    Il visconte d’Asmolles stava aspettando il cognato per presenziare con lui alla mesta cerimonia.

    I due giovani salirono su una vettura listata a lutto, imbrigliata da due magnifici cavalli neri, alle cui staffe pendevano due lacchè vestiti di nero dalla testa ai piedi.

    «Amico mio», gli disse il visconte vedendo l’espressione di Rocambole il quale aveva creduto opportuno assumere un’aria costernata, «sei davvero un’anima nobile, pronto a piangere un rivale con il cuore di un amico».

    Rocambole non replicò.

    A mezzogiorno in punto il carro funebre uscì dal cortile del palazzo dei Sallandrera situato, come si sa, in rue de Babylone, già gremita da un’infinità di carrozze. La prima che comparve dietro il carro funebre era occupata dal duca de Sallandrera e un prete spagnolo, confessore della duchessa.

    Il duca aveva l’aspetto distrutto di colui che vede la tomba richiudersi sulle spoglie del suo unico figlio.

    Quando il corteo ebbe raggiunto la chiesa della Madeleine, tutti i presenti rimasero impressionati dal suo estremo pallore e dal tremito che gli sconvolgeva le membra.

    Una frase sinistra circolò fra la folla: «Al duca restano meno di tre mesi di vita. È stato ucciso dal medesimo fendente che ha colpito don José».

    Durante la cerimonia funebre. Rocambole e il cognato rimasero dietro la schiera degli inservienti, in prossimità degli uomini del duca che avevano trasportato la bara dal carro nella basilica.

    Il falso marchese de Chamery non aveva scelto quella postazione senza uno scopo preciso.

    Aveva difatti pensato che fra i diversi domestici del duca de Sallandrera presenti alle esequie, ci sarebbe stato senz’altro il cameriere personale di Conception, quel ragazzo nero con il quale aveva già avuto dei contatti.

    Sperava pertanto di sorprenderne un gesto o un segnale da cui dedurre a che ora e dove gli sarebbe stato possibile incontrarsi con la signorina de Sallandrera.

    Rocambole aveva visto giusto.

    Quando arrivò il momento in cui ogni partecipante avrebbe dovuto cospargere il catafalco di acqua benedetta, fu proprio il nero ad aiutarlo e nel frattempo il falso marchese capì che furtivamente gli stava passando un foglietto.

    Dopo l’assoluzione, il cadavere di don José, destinato a essere trasferito in Spagna, fu calato in una fossa provvisoria mentre portavano via, privo di sensi, quell’uomo di ferro che si chiamava don Paez, duca de Sallandrera.

    Un’ora dopo, rientrato a casa. Rocambole lesse a sir Williams il biglietto che gli aveva fatto avere il nero.

    Il biglietto era del seguente tenore:

    Amico mio,

    partiamo domani per Sallandrera. Mio padre, mia madre e io accompagneremo le spoglie di don José de Alvar, destinato a essere tumulato nella tomba della famiglia Sallandrera.

    Non posso e non voglio partire senza incontrarvi. Stasera a mezzanotte fatevi trovare alla porticina che si affaccia sul boulevard des Invalides.

    «Che cosa ne pensate, caro zio?», chiese Rocambole.

    Sir Williams scrisse: Bisogna andarci…

    «Certamente! Ma che cosa ne dite della lettera?»

    Dico, scrisse il cieco, che farai bene a conservare tutti questi biglietti. Se capitasse qualcosa, se la signorina Conception ti dimenticasse in Spagna, se sposasse il duca de Chàteau-Mailly o un altro sciocco qualunque, potrai metterli nel cesto di fiori della sposa: produce sempre un certo effetto.

    «Briccone», sussurrò Rocambole, il quale si attardò ancora qualche minuto a parlare con il vecchio, gli promise di tornare dopo essere rientrato da palazzo Sallandrera e andò a concludere la giornata a Tallershall, dove alle due si sarebbe tenuta un’asta di cavalli. Il marchese uscì dall’asta alle cinque e mezza, si trasferì sul boulevard e andò a vedere un lavoro di Alfred de Musset alla Comédie Française.

    La rappresentazione di rue Richelieu e un paio di sigari fumati nella galerie d’Orleans condussero il marchese fino all’ora dell’appuntamento che gli aveva dato la signorina de Sallandrera. A mezzanotte precisa, si trovava alla porticina che si affacciava sul boulevard.

    Poiché aveva piovuto per tutta la giornata, invece di uscire in calessino, il marchese si era servito di una carrozza coperta che lasciò all’inizio del boulevard des Invalides, risalendolo a piedi.

    Mentre stava per bussare due colpetti discreti alla porticina, questa si aprì e il nero lo prese per mano. «Venite», gli disse.

    Come la prima volta, gli fece attraversare prima il giardino, poi la serra e successivamente imboccare la scaletta di servizio che portava al secondo piano del palazzo.

    Conception lo stava aspettando nello studio. Il vasto locale era a malapena rischiarato da una sola lampada, che la ragazza aveva coperto con un lume.

    Vuole nascondermi il pallore e l’emozione, pensò Rocambole, vanesio come sempre.

    Tuttavia, anche se si ingannava, si ingannava soltanto a metà perché la signorina de Sallandrera, quando lui entrò, era così commossa da non avere la forza di alzarsi dalla poltrona.

    Senza dubbio Rocambole aveva accuratamente meditato gesti, parole e atteggiamento. Procedendo dalla soglia alla porta, finse di essere estremamente imbarazzato, prese a balbettare come un bambino e se ne restò lì impalato, come se non osasse mettersi a sedere.

    Quell’emozione che lui simulava così bene, la ragazza la provava veramente. Il cuore le batteva così forte, si sentiva così oppressa dall’angoscia che, per un attimo, non fu in grado di pronunciare una sola parola.

    «Ah», disse alla fine, facendo un violento sforzo su se stessa, «quanto ho sofferto in questi due ultimi giorni!»

    Rocambole le prese la mano.

    «Non avete sofferto da sola», disse.

    Sospirò e tacque.

    «Mademoiselle», riprese Rocambole, dando l’impressione di star recuperando una certa sicurezza, «sono venuto a portarvi l’assoluzione che la vostra lettera sembra chiedermi. Non abbiate alcun rimorso per la dipartita di quel miserabile di don José. Non siamo stati noi a ucciderlo, ma Dio! E Dio è giusto!»

    «Ah, signore», sussurrò la giovane, «ho paura che abbiamo ucciso anche mio padre!»

    «No, mademoiselle, no. Arriverà anche il momento in cui la Provvidenza si occuperà senza dubbio di aprire gli occhi che piangono gli assassini come piangono le vittime…»

    Rocambole, persuasivo come sempre, fece capire alla signorina de Sallandrera che la morte di don José era stata soltanto una insufficiente espiazione dei numerosi misfatti compiuti, della sua vita infame e dissoluta, poi le dipinse il quadro dell’orribile esistenza a cui sarebbe stata condannata al fianco di quel miserabile. E poiché il marchese era eloquente e appassionato nell’esprimere la sua opinione. Conception non tardò a farsi convincere.

    Alla fine Rocambole terminò con la seguente frase a effetto: «Se c’è qualcuno da commiserare, mademoiselle, forse sono coloro o colui che vi vedono allontanare… forse per sempre».

    «Oh, no», protestò la ragazza con vivacità, «torneremo a Parigi».

    «Veramente?»

    «Prima che sia trascorso un mese».

    Rocambole si appoggiò una mano sul cuore, come se la felicità lo soffocasse.

    «Mio padre», proseguì Conception, «ormai aborrisce la Spagna e desidera stabilirsi definitivamente in Francia. Torneremo, signore».

    Il marchese cadde in ginocchio e, fingendo di lasciarsi trasportare da un eccesso di passionalità, osò portarsi alle labbra le mani della ragazza.

    La signorina de Sallandrera le ritrasse subito, ma gli disse senza collera: «Proprio in questa stanza, signore, il giorno in cui mi sono confidata con voi, in cui voi vi siete nobilmente eretto mio protettore, vi ho promesso: Salvatemi e vi sarò riconoscente. E se il mio cuore, già tanto provato dal dolore, è morto a un nuovo amore…»

    La voce le si spense sulle labbra. Era forse il ricordo di don Pedro? O forse cominciava a leggersi in fondo all’anima e ad accorgersi di amare il marchese?

    Rocambole le riprese le mani e stavolta lei non le ritrasse. Il giovanotto vi posò un bacio ardente.

    «Mio Dio», esclamò la signorina de Sallandrera, visibilmente turbata, «andatevene, signore… ma aspettate il mio ritorno. Fra un mese sarò di nuovo a Parigi».

    Rocambole obbedì, si rimise in piedi ma continuò a stringere le mani della ragazza fra le sue e con una voce commossa che scese fino in fondo al cuore di Conception, le disse: «Mademoiselle, vi amo… vi amo, e se alberga un’unica paura nel mio cuore, è quella di essere soltanto un povero gentiluomo francese, che può contare unicamente su un patrimonio normale, con un nome quasi oscuro e indegno di accostarsi a quello nobilissimo dei Sallandrera».

    «Signore», rispose semplicemente Conception, «tutti i gentiluomini sono uguali e né principi né re saprebbero crearne. I re dispensano titoli, ma è soltanto il tempo che consacra le stirpi e la vostra è antica quanto la mia».

    Rocambole si profuse in un inchino.

    I due giovani avevano rotto il ghiaccio.

    Il falso marchese de Chamery aveva chiaramente formulato il seguente pensiero: Aspiro all’onore di ottenere la vostra mano, ma temo di non essere né abbastanza nobile né abbastanza ricco.

    Al che Conception aveva risposto ancora più chiaramente: Siete troppo umile, e vi consento di sperare.

    Da questa prima confessione, i due giovani passarono ben presto a delle promesse, a dei giuramenti…

    Conception si lasciò sfuggire il suo segreto. Non disse a Rocambole di amarlo, tuttavia il pupillo di sir Williams ottenne il permesso di scrivere delle lettere che sarebbero state ricevute in segreto e che avrebbero avuto una risposta personale.

    Era trascorsa già un’ora e ci volle il suono secco del pendolo per mettere termine a questo primo abboccamento notturno.

    «Mio Dio», esclamò Conception, «andatevene subito, vi supplico».

    «Di già!», esclamò Rocambole, fingendo una stupita ritrosia.

    «Mio padre non si corica mai prima delle due e ogni tanto ha lo schiribizzo di venirmi a trovare. Se vi trovasse qui, saremmo perduti».

    «Addio… me ne vado…», sussurrò Rocambole, sempre meravigliosamente commosso.

    «Fra un mese… arrivederci».

    La ragazza lo accompagnò fino in fondo al corridoio, gli porse di nuovo la mano che lui coprì di baci, poi lo lasciò bruscamente, tornò a chiudersi nello studio, nascose la testa fra le mani e scoppiò in lacrime.

    «Mio Dio, mio Dio», mormorò, «sento già di amarlo!»

    II.

    Rocambole uscì dal palazzo dei Sallandrera dalla porticina del giardino, con il passo trionfante di un console romano che sale i gradini del Campidoglio.

    «Conception mi ama!», sussurrò fra sé e sé, «e, con l’aiuto del diavolo, credo che morirò nei panni di un Grande di Spagna. Prospettiva niente male, parola mia!»

    Così riflettendo, il pupillo di sir Williams arrivò al boulevard des Invalides, a quell’ora deserto. Cadeva una pioggerellina fitta e sferzante.

    Rocambole cominciò a camminare ad andatura spedita, puntando verso la banchina, dove aveva lasciato la vettura. Ma, a due terzi di tragitto, la sua attenzione venne attirata da delle grida, da delle parole smozzicate e non tardò a scorgere due persone impegnate in un violento alterco.

    Oh, oh, pensò, dal momento che ultimamente pare sia destinato a interpretare il ruolo di angelo protettore, mettiamoci all’opera!

    Affrettò il passo e non tardò a rendersi conto che, di quelle due persone, una era una donna, l’altro un uomo che la stava strattonando e le

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