Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il ritorno di Baccarat: Rocambole IX
Il ritorno di Baccarat: Rocambole IX
Il ritorno di Baccarat: Rocambole IX
E-book326 pagine4 ore

Il ritorno di Baccarat: Rocambole IX

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Senza più l'aiuto di sir Williams, Rocambole sembra aver perso il favore della sorte, proprio mentre era sul punto di portare a termine i suoi piani.
Il matrimonio con Conception viene rimandato, ma soprattutto Baccarat è finalmente venuta a capo dell'intrigo ed è decisa a trovare il vero marchese de Chamery per smascherare Rocambole e infliggergli la meritata punizione…
Con questo volume, che Ponson du Terrail aveva pensato come l'epilogo della saga, la carriera criminale di Rocambole giunge a conclusione.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2021
ISBN9791280243249
Il ritorno di Baccarat: Rocambole IX

Correlato a Il ritorno di Baccarat

Titoli di questa serie (64)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa di azione e avventura per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il ritorno di Baccarat

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il ritorno di Baccarat - Pierre Alexis Ponson Du Terrail

    rocambole9_cover.jpgCopertina

    59

    Dello stesso autore nella collana Aurora:

    L'eredità misteriosa. Rocambole vol. 1

    I drammi di Parigi. Rocambole vol. 11

    Il Club dei Fanti di Cuori, parte prima Rocambole vol. 111

    Il Club dei Fanti di Cuori, parte seconda Rocambole vol. 1v

    La vendetta di Baccarat. Rocambole vol. v

    Una figlia di Spagna. Rocambole vol. v1 La contessa Artoff. Rocambole vol. v11

    La morte del selvaggio. Rocambole vol. v111

    Pierre Alexis Ponson du Terrail, Il ritorno di Baccarat

    (Rocambole vol. IX) 1a edizione Landscape Books, aprile 2021

    Collana Aurora n° 59

    © Landscape Books 2021

    Titolo originale: Les Exploits de Rocambole - La revanche de Baccarat

    Nuova edizione italiana a cura di Guido Del Duca

    www.landscape-books.com

    ISBN 979-12-99403-24-9

    Realizzazione a cura di WAY TO ePUB

    Ponson du Terrail

    Il ritorno di Baccarat

    Rocambole IX

    Riassunto degli episodi precedenti

    Rocambole, sotto la guida del mentore sir Williams, muto e cieco ma sempre prodigo di diabolici consigli, riesce a eliminare il terzo pretendente alla mano della figlia del ricchissimo duca de Sallandrera, Conception. Il marchese de Chàteau-Mailly infatti muore di carbonchio, apparentemente contagiato dal suo cavallo preferito.

    La morte del marchese de Chàteau-Mailly è seguita a breve distanza da quella di Venture, che, avendo scoperto i piani di Rocambole, aveva cercato di ostacolarlo denunciandolo presso il marchese e alleandosi con lui in cambio della promessa di una cospicua rendita. Venture aveva anche cercato la complicità di maman Fipart, desiderosa di vendicarsi di Rocambole che aveva precedentemente cercato di strangolarla e annegarla nel fiume, senza però riuscirvi. Ma Rocambole scopre il complotto ordito a suo danno e si libera in un sol colpo di maman Fipart, strangolandola lui stesso, di Venture, facendolo uccidere da Zampa, e infine di quest’ultimo, tramortendolo. Ma Zampa non è morto, bensì impazzito e in questo stato cade nelle mani della polizia.

    Frattanto Baccarat, avendo udito che nella capitale vive un medico mulatto, il dottor Samuel Albot, in grado forse di guarire la follia del marito, ritorna precipitosamente a Parigi. Essa riceve la visita di Roland de Clayet, che viene a chiederle perdono per averla infamata: la donna che egli credeva fosse la contessa Artoff, e di cui era stato l’amante, è invece Rebecca, sorella naturale della contessa, la quale concede il perdono alla povera peccatrice.

    Messasi in contatto con il dottor Albot, Baccarat scopre che il marito è stato avvelenato con una polvere sottratta al dottore stesso da un suo cliente, il marchese de Chamery. Il dottore promette a Baccarat di guarire la follia del conte e frattanto, con il permesso della polizia, si prende cura di Zampa e riesce a guarirlo. Zampa rivela allora al dottore e a Baccarat altri particolari sulle imprese del marchese de Chamery. Baccarat non ha più dubbi, il marchese de Chamery e Rocambole sono una persona sola.

    Rocambole, appoggiato da Conception stessa, innamorata di lui, riesce a ottenere la mano della fanciulla, dopo essersi prodigato in una coraggiosa lotta con un orso per salvare la vita del duca de Sallandrera.

    Nel castello di Haut-Pas, in Franca Contea, sta per celebrarsi il matrimonio di Conception e del falso marchese de Chamery. Ma Rocambole, prima di iniziare la sua nuova vita come genero di un Grande di Spagna, vuole sbarazzarsi dell’ultimo testimone della sua turbolenta esistenza. Dopo una breve lotta con la sua coscienza, uccide sir Williams facendolo precipitare dalla terrazza del castello. Ma una strana paura invade l’animo di Rocambole dopo quest’ultimo delitto; privo dell’appoggio di sir Williams, egli ha paura….

    Intanto Baccarat e il dottor Albot sono in viaggio per la Franca Contea…

    I.

    Circa due mesi dopo gli avvenimenti che abbiamo raccontato, una vettura di posta, partita da Orléans alle dieci di sera del giorno prima, percorreva, alle cinque del mattino, nel bel mezzo della Touraine, la strada imperiale che da Tours conduce alla piccola città di G…. A tre leghe da questa cittadina, modesta sottoprefettura situata lontano da ogni stazione ferroviaria, si trovava l’Orangerie, quella proprietà feudale dove, diciotto anni prima, la marchesa de Chamery, madre del defunto Hector de Chamery e della signorina Andrée Brunot, aveva reso l’ultimo respiro.

    La carrozza, che correva veloce, portava due persone che ben conosciamo: il visconte Fabien d’Asmolles e il marchese Frédéric-Albert-Honoré de Chamery, che altri non era se non il nostro eroe Rocambole.

    Coloro che qualche mese prima avevano visto il brillante avventuriero firmare, con mano ferma e col sorriso sulle labbra, il contratto di matrimonio con la signorina Conception de Sallandrera, avrebbero ora stentato a riconoscerlo.

    Rocambole era diventato l’ombra di se stesso: pallido, con lo sguardo mesto e l’aria preoccupata, il falso marchese sembrava essere in preda a una tristezza mortale. In una specie di prostrazione dolorosa, guardava in giro come chi ormai è indifferente a tutto.

    Il visconte teneva nella sua la mano del marchese e lo guardava con compassione.

    «Povero Albert», disse a un tratto, «sai che mi spaventi?»

    «Io?», fece Rocambole, che a queste parole aveva trasalito. E si sforzò di sorridere. «Io?», ripeté, «io, ti spavento?»

    «Proprio così».

    «E perché mai?»

    «Da due mesi la tua tristezza mi è incomprensibile».

    «Eppure è facilmente spiegabile», mormorò Rocambole.

    «Non mi pare».

    «Tu sai che io amo Conception».

    «Lo so benissimo e so che la sposerai fra tre settimane».

    Rocambole scosse la testa.

    «Ho un presentimento», disse a voce così bassa che Fabien lo sentì appena.

    «Povero Albert», riprese il visconte, «hai il sistema nervoso come quello di un bimbo e non sai reagire alle fatalità».

    «Le fatalità!», mormorò Rocambole con un accento di terrore. «Non dire questa terribile parola che mi spaventa».

    «Fratello mio», continuò il visconte commosso, «ti credevo più forte, più coraggioso e più preparato ai rovesci della fortuna. Rovesci, poi! Come se un avvenimento imprevisto potesse essere considerato tale! È una cosa del tutto normale che, purtroppo, ha fatto rimandare di sei mesi il giorno della tua felicità. Certo è molto doloroso che proprio la mattina in cui si sarebbe dovuto celebrare il tuo matrimonio, il padre di Conception sia stato fulminato da un colpo apoplettico che ha reso orfana la figlia costringendola a togliersi l’abito bianco nuziale per vestire a lutto. È realmente terribile che in quella casa, in cui la stessa sera dovevano risuonare le note dell’orchestra per il ballo di nozze, siano avvenute due disgrazie mortali: prima il duca e poi quel tuo povero marinaio cieco, rimasto vittima dell’uragano e della sua infermità. Ma, amico mio, ti pare che sia proprio il caso di perdersi di coraggio?»

    Rocambole sospirò e non rispose.

    «È evidente che Conception non poteva sposarsi l’indomani dei funerali del suo povero padre», continuò Fabien, «e perciò è stato necessario rimandare il matrimonio, secondo il costume spagnolo. Ma essa ti ama più che mai: non è forse vero che, da quando è andata con sua madre nel castello di Sallandrera per la tumulazione del duca, non è passato giorno che tu non ricevessi da lei una lettera lunga e affettuosa?»

    «È vero», disse il falso marchese, sempre triste e con aria sognante.

    «Ma tuttavia tu sei triste e continuamente preoccupato; trasalisci al minimo rumore, hai il sonno agitato e spesso proferisci durante il sonno delle parole senza senso. Vi sono giorni in cui Blanche ed io temiamo per la tua salute».

    «Io soffro», mormorò Rocambole.

    «Ma sei pazzo, amico mio. Ormai l’ora della tua felicità è vicina».

    «Chi lo può mai sapere?» disse il falso marchese con un accento di angoscia e di terrore.

    A un tratto alzò la testa e sforzandosi di sorridere aggiunse:

    «Dimmi, tu non sei superstizioso, vero?»

    «Io? Neppure per sogno».

    «Sei ben fortunato!»

    «Che cosa vuoi dire, fratello mio?»

    «Senti», disse Rocambole, che parve fare uno sforzo su se stesso e ritornare l’uomo d’altri tempi, il bandito audace e scettico, sempre fiducioso nell’avvenire, sordo agli avvertimenti del destino; «sentimi bene: non per niente ho passato la mia giovinezza nelle regioni tropicali fra gente superstiziosa. Ho finito col credere ciecamente alla buona e alla cattiva sorte».

    «Pazzo!» disse sorridendo Fabien.

    Ma Rocambole proseguì:

    «Nella notte fatale che ha preceduto la morte del signor de Sallandrera e durante la quale il mio povero marinaio Walter Bright è precipitato dalla piattaforma del Haut-Pas, ho fatto un sogno strano…».

    «Che cosa hai sognato, dunque?»

    «Avevo appena preso sonno, quando fui risvegliato da uno strano rumore. Un uomo coperto da un sudario bianco venne a sedersi ai piedi del mio letto. Era Walter Bright. Ma non quel Walter Bright che tu hai conosciuto, povero cieco vittima dell’atrocità dei selvaggi; era il Walter Bright di una volta, dall’aspetto franco, dallo sguardo mite, dagli occhi azzurri e dal sorriso leale. Mi si avvicinò e disse: Ora che sono morto, posso predirti l’avvenire… E con la mano mi indicò, attraverso la finestra aperta, una stella che brillava fra le nubi. Ma fu un attimo: la stella sembrò staccarsi dalla volta celeste, precipitò e si spense».

    «Ebbene», disse Fabien, che non poté reprimere un sorriso, «che cosa ti dice questo sogno?»

    «Quella stella è la stella del mio destino».

    «Che follia!»

    «Ho il presentimento che non sposerò mai Conception».

    «Povero Albert», disse il visconte, «se tu non fossi innamorato, saresti pazzo da legare. La condizione in cui ti trovi è frutto del dolore da te provato per il rinvio del tuo matrimonio, rinvio reso necessario dalla morte del duca. Son sicurissimo che sposerai Conception, la quale – prima che passino due mesi – sarà divenuta marchesa de Chamery». Queste parole furono dette da Fabien con tale accento di convinzione, che un po’ di speranza si accese nel cuore di Rocambole.

    «Che Dio ti ascolti!», disse.

    E sorridendo soggiunse: «Però è certo che un briciolo di follia devo averlo, per rattristarmi tanto senza ragione».

    «Fortunatamente la guarigione è prossima, e, nel frattempo, cerca di mostrarti calmo e coraggioso, finché non avrai raggiunto la meta».

    «Te lo prometto, amico mio. Ora dimmi: resteremo molto tempo all’Orangerie?»

    «Diamine!…», rispose Fabien, «ti posso dire che non abbiamo molto da fare. Fra noi ci si intende troppo bene perché vi debbano essere difficoltà per la divisione di questa terra. Da quando sei tornato dalle Indie tu non ci sei ancora stato e io ho trovato la scusa di nostri comuni interessi per poterti portare con me».

    «Ah!», fece Rocambole.

    «Ma ho seguito il consiglio del tuo medico, il dottor Samuel Albot».

    A sentir questo nome Rocambole trasalì.

    «Il dottore, che ti ha visto diverse volte dopo il nostro ritorno a Parigi, l’altro giorno mi ha preso in disparte e mi ha consigliato di condurti per qualche tempo lontano dalla città, ritenendo che il cambiamento d’aria ti avrebbe fatto bene. Allora io ti ho prospettato la necessità – nel comune interesse – di un viaggio all’Orangerie».

    «Caro Fabien!», disse Rocambole, stringendo le mani al visconte. In quel momento il falso marchese sembrò essere ritornato alla spensieratezza d’altri tempi.

    «Dopo tutto», disse in tono frivolo, «il dottore ha forse ragione; l’impazienza mi fa star male ed è la causa dei miei foschi pensieri. Ma voglio essere più forte del tempo e aspetterò sorridendo l’ora della mia felicità».

    «Me lo prometti?»

    «Te lo prometto».

    «Dove diavolo siamo?», disse il visconte che voleva distrarre a tutti i costi colui che credeva suo cognato e che amava teneramente.

    Mise la testa fuori dallo sportello e Rocambole lo imitò. Erano forse le cinque e mezzo di un mattino d’aprile; il cielo era senza nubi. La carrozza correva in mezzo al verde e, sul fondo, si scorgevano i tetti d’ardesia della piccola città di S…, illuminati dai primi chiarori dell’alba. Era sabato. Lo stradone brulicava di contadini, che a piedi, sui carretti, o a cavallo di muli, di asini e di cavalli si recavano alla fiera. Man mano che la vettura si avvicinava alla città, la folla si faceva più fitta e sembrava ansiosa di andare più in fretta.

    Per entrare in città si percorreva un grande viale fiancheggiato da tigli, che conduceva direttamente al piazzale della fiera. Già qualche centinaio di metri prima, il postiglione aveva dovuto far andare al passo i cavalli, per evitare di investire qualcuno di quella folla, che andava facendosi sempre più compatta. A un certo punto la vettura dovette fermarsi; il cameriere salto giù da cassetta e si avvicinò allo sportello.

    «Signore», disse, «non si può più andare avanti».

    «Perché?» domandò sorpreso Rocambole.

    «Perché fra poco ci sarà un’esecuzione capitale e perciò tutte le strade sono sbarrate».

    A sentir parlare di esecuzione capitale, Rocambole rabbrividì.

    «Ah!», disse Fabien, «capisco ora il perché di questa folla. La fiera soltanto non avrebbe attirato tanta gente».

    Il falso marchese e il visconte Fabien videro attraverso il vetro anteriore della loro carrozza, a cento metri di distanza, i due bracci rossi della ghigliottina, verso la quale – tenuta a bada da un cordone di gendarmi a cavallo – si protendeva palpitante e avida di emozioni una folla stranamente rumoreggiante, accorsa da tutte le parti per veder cadere una testa umana nella cesta del patibolo.

    Fabien diede ordine di voltare i cavalli, ma il cameriere gli fece notare che ormai non era più possibile, perché dietro di loro la folla era ancora più fitta. Non restava dunque che attendere.

    «Ah!» disse il visconte, «che cosa orribile ci tocca vedere!»

    Rocambole, pallido come uno spettro, s’era appoggiato allo sportello per non vedere la macchina del supplizio… Proprio lui che, quando era figlio adottivo di maman Fipart, mostrava tanto desiderio di assistere a quel sanguinoso spettacolo! Ma, pur non vedendo, non poteva fare a meno di ascoltare: una donna che, per non perdere nessun particolare della terribile rappresentazione, era salita sul mozzo di una ruota della carrozza, diceva a un’altra che accanto a lei stava sulla punta dei piedi per vedere meglio:

    «Ormai non dovrebbe tardare; è stata fissata per le sei».

    «Ma che cosa ha fatto?», domandò un contadino appollaiato sul suo asino.

    «Ha ucciso una donna che gli aveva fatto da madre».

    «Farabutto!», disse una voce dalla folla.

    La donna che aveva parlato per prima continuò: «L’ha strangolata!…. Una povera vecchia che aveva ancora pochi giorni da vivere».

    A questo bizzarro accostamento, il falso marchese si sentì drizzare i capelli in testa e battere il cuore con violenza.

    «Quanti anni ha il condannato?» domandò il contadino.

    «Ventotto».

    Rocambole prese a tremare.

    «Eccolo, eccolo!», si cominciò a un tratto a gridare da tutte le parti.

    E questa folla immensa, che fin allora aveva pestato i piedi per l’impazienza e il cui vociare sordo era simile al rumore del mare in tempesta, a un tratto tacque; quell’oceano di teste divenne immobile, come di pietra.

    Nello stesso tempo, mentre il visconte Fabien d’Asmolles aveva chiuso gli occhi e pregava mentalmente per il disgraziato che andava alla morte, Rocambole, tentato inutilmente di imitarlo, si sentì costretto da una forza irresistibile a fissare il patibolo, mentre la fronte gli s’imperlava di sudore, il suo corpo era scosso da un forte tremito nervoso e il cuore sembrò cessare di battere.

    Fortunatamente per lui, il visconte, che teneva gli occhi chiusi, non poté accorgersi di nulla. Intanto sul palco del patibolo, fin allora rimasto sgombro, salirono i due aiutanti del boia, seguiti dal condannato, sul cui viso smorto, nonostante il terrore, brillava un lume di gioventù. Aveva la testa bionda con i capelli tagliati corti e il collo nudo, bianchissimo. Salì lentamente gli scalini del patibolo, sostenuto dal carnefice e dal cappellano della prigione.

    Per qualche secondo, il falso marchese fissò il suo sguardo torvo su quell’uomo ancora giovane, ma più vicino all’eternità di un vecchio carico d’anni; lo vide in piedi fra il prete, che gli portava un crocifisso alle labbra e gli parlava del Cielo, e il terribile giustiziere che stava per dar corso alla legge.

    A un tratto l’uomo fu spinto in avanti verso l’asse, che, rovesciandosi, ne portò il collo sotto la mannaia.

    Un raggio del sole mattinale si riflesse sull’acciaio lucido della lama e accecò come un lampo gli occhi del marchese, mentre l’attrezzo scendeva sul collo del condannato con un rumore sordo, cui rispose l’immenso brusio della folla. Mentre la testa cadeva, staccata dal busto, Rocambole – quasi fosse stato abbattuto da un colpo della stessa mannaia – stramazzò svenuto sul fondo della carrozza.

    II.

    Lasciamo il falso marchese de Chamery svenuto nella carrozza e riportiamoci a Parigi, tornando indietro di qualche giorno.

    Accanto al caminetto del suo appartamento di rue de la Pépiniere, verso le nove di sera, la contessa Artoff stava conversando col dottor Samuel Albot.

    Il dottore sembrava molto preoccupato e la contessa, che era rimasta in silenzio per qualche minuto, disse a un tratto: «Sapete dottore, che oggi sono passati due mesi precisi da quando partii per la Franca Contea col signor Roland de Clayet?»

    «Sì, signora».

    «Da allora voi avete osservato fedelmente la consegna da me impostavi di non farmi mai nessuna domanda».

    «Certo, la vostra volontà è per me un ordine, signora».

    «Vedete, dottore, una donna che – come me – è stata coinvolta in tante vicende strane e terribili, ha bisogno, per agire con sicurezza, di ripiegarsi su se stessa a meditare i suoi piani di azione e di non confidarli neppure alle persone di cui ha assoluta fiducia, finché non sono pronti per essere messi in atto».

    Il dottore si inchinò in segno di assenso.

    «Oggi», proseguì Baccarat, «credo che sia venuto il momento di raccontarvi quello che ho fatto e di dirvi ciò che conto di fare per conseguire il nostro scopo».

    «Vi ascolto, signora».

    «Vi racconterò dunque nei più minuti particolari il mio viaggio nella Franca Contea, dove il nostro giovane Roland, che io ho messo, per così dire, agli arresti, si trova tuttora».

    La contessa si adagiò più comodamente nella poltrona e proseguì: «Come sapete, quando il signor de Clayet e io partimmo da Parigi, prendemmo la carrozza.

    Vi è pur noto che in quell’occasione mi vestii da uomo; avevo l’aria di un giovanotto di diciott’anni e mi feci passare per il segretario di Roland.

    Il castello, dove poco prima era morto il cavaliere de Clayet lasciando il nipote erede universale, dista tre leghe passando dallo stradone e una lega e mezzo prendendo una scorciatoia attraverso il bosco, dal castello di Haut-Pas.

    Dopo quaranta ore di viaggio arrivammo a Clayet. Ero partita senza un programma stabilito, con la sola informazione – d’altronde di enorme importanza – che il marchese de Chamery era andato alla tenuta di Haut-Pas, dove già si trovavano il visconte e la viscontessa d'Asmolles e il signor de Sallandrera con la moglie e la figlia.

    Ero convinta che Rocambole e il marchese de Chamery fossero la stessa persona, ma non ne avevo quella certezza che a qualunque costo era necessario ottenere.

    La sera stessa del nostro arrivo dissi a Roland: È necessario che voi andiate dal signor d’Asmolles.

    Ma, disse lui, non siamo più in buoni rapporti da quando ho fatto quella parte odiosa.

    Troverete il pretesto di parlare d’affari. Vostro zio dovrà pur averne avuti con lui.

    In realtà, disse lui, l’anno scorso mio zio acquistò da lui un mulino, che non è ancora stato pagato.

    Benissimo, andate dunque a trovarlo.

    A quale scopo?

    Lo condurrete qui insieme al marchese. È necessario che io lo veda.

    Non avete paura che vi riconosca?

    Non mi vedrà: mi nasconderò e così vedrò senza essere vista.

    Da quando ha avuto la prova del torto che mi aveva fatto, Roland mi obbedisce ciecamente. Quel giovane, fino allora così spensierato, sembrava invecchiato di dieci anni. Farò come volete, mi disse. Quando devo partire?

    Domani mattina.

    L’indomani all’alba Roland, col fucile in spalla, si incamminò a piedi verso il castello di Haut-Pas. Mentre attraversava un’abetaia che da Clayet si estende fino a Haut-Pas, incontrò un bracconiere, col quale era andato a caccia diverse volte.

    Signor Roland, gli disse, avete perso l’occasione di una bella caccia!

    Quando è stato?

    L’altro ieri, sabato.

    E dove mai?, domandò Roland.

    A Ravin-Noir. Il signor d’Asmolles e suo cognato, il marchese de Chamery, con uno spagnolo – credo un duca – sono andati a caccia dell’orso.

    Perbacco!, esclamò Roland. E chi è che ha ucciso l’orso?

    Il marchese. Quello sì che è un temerario!

    E il bracconiere descrisse il combattimento – degno dell’epica omerica – di Rocambole con l’orso. Poi soggiunse: Anche il matrimonio è stato deciso.

    Che matrimonio? fece Roland, rabbrividendo.

    Quello del marchese con la figlia dello spagnolo.

    Ah!, esclamò Roland, la cui emozione sfuggì al bracconiere. E quando avrà luogo il matrimonio?

    La promessa del matrimonio è stata resa pubblica ieri alla messa delle undici e perciò penso che il matrimonio si farà oggi stesso.

    Roland m’ha confessato che, dall’emozione, per poco non lasciò cadere il fucile; tuttavia riuscì a dominarsi e proseguì per il Haut-Pas.

    Naturalmente la notizia che aveva avuto lo costrinse a riflettere e a modificare completamente il programma che io gli avevo abbozzato il giorno prima.

    Non è possibile che un miserabile come il marchese de Chamery,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1