Allettante scommessa: Harmony Destiny
Di Joanne Rock
5/5
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Info su questo ebook
Tatiana Doucet è abituata a trattare con atleti sexy e arroganti da tutta la vita, essendo figlia di un allenatore di football, ma il quarterback Jean-Pierre Reynaud è di tutt'altra razza, sul campo e... sotto le lenzuola. La loro avventura di una notte, però, rischia di complicarsi quando lui, dopo un anno, ricompare nella sua vita e le propone un'allettante scommessa per evitare uno scandalo. Per sua fortuna, Tatiana nasconde un asso nella manica.
Joanne Rock
Laureata in letteratura inglese, prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura di romanzi sia storici sia contemporanei ha lavorato in televisione e in pubblicità, ed è stata attrice, fotomodella e persino insegnante.
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Allettante scommessa - Joanne Rock
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1
«Bella partita, Reynaud.» Il cronista che seguiva i New York Gladiators aspettava con un microfono in mano mentre l'attaccante, Jean-Pierre Reynaud, entrava nella sala stampa al Coliseum Sports Complex.
Jean-Pierre era preparato alle domande del giornalista dopo la terza vittoria di seguito in casa. Fuori dalla sala stampa, migliaia di tifosi stazionavano nel Coliseum's Coaches Club, in attesa di vedere i giocatori alternarsi nel rispondere alle domande della stampa. Era un posto dove i tifosi potevano rilassarsi e bere qualcosa al bar mentre il traffico si diradava alla fine della partita del sabato sera contro il Philadelphia.
Dopo aver agganciato il minuscolo microfono al risvolto della giacca con la mano destra, la stessa che poco tempo prima aveva effettuato il passaggio vincente, Jean-Pierre salutò la folla con un rapido cenno. L'elevato prezzo dei biglietti per accedere all'esclusivo Coaches Club non impediva ai tifosi di portare vistosi cartelli o di chiedere autografi, ma gli addetti alla sicurezza si assicuravano che tutto filasse liscio. Jean-Pierre avrebbe rilasciato un'intervista e sarebbe stato fuori da lì in meno di mezz'ora, in tempo per salire su un aereo privato e raggiungere New Orleans. Doveva occuparsi di alcuni affari della famiglia Reynaud, tuttavia era anche sua intenzione osservare con discrezione la squadra del fratello, i New Orleans Hurricanes, prima della tanto propagandata resa dei conti in campo tra fratelli: la dodicesima settimana del campionato. Dei quattro fratelli Reynaud, il maggiore, Gervais era il proprietario degli Hurricanes. Il secondo per età, Dempsey, ne era l'allenatore. E Henri Reynaud, noto in tutta la Lega come il Bayou Bomber, guidava l'attacco eseguendo lanci da record con un braccio destinato a diventare leggendario.
Mostrarsi all'altezza di quel retaggio? Un gioco da ragazzi. Giusto?
Dannazione.
Come membro più giovane della famiglia più ricca della Louisiana e comproprietario dell'impero di trasporti marittimi dei Reynaud, al pari dei fratelli, Jean-Pierre aveva ereditato la passione per il gioco dal padre e dal nonno. Anche se lui era il giocatore che ai giornali di New Orleans piaceva chiamare il voltagabbana della Louisiana, per aver osato fare carriera fuori dallo stato in cui era nato... nonché fuori dalla sfera d'influenza della sua famiglia. Tuttavia dal momento che nessun club della Lega Nazionale di football aveva mai assegnato il ruolo di primo attaccante a due giocatori, e Jean-Pierre non era tipo da giocare all'ombra di un fratello, se ne infischiava di quello che dicevano gli opinionisti. Quando i Gladiators gli avevano fatto un'offerta, era stato felice di accettarla... una volta ripresosi dallo shock, naturalmente.
Il capo coach dei Gladiators, Jack Doucet, era un nemico dei Reynaud dai tempi di una lite scoppiata tra le loro famiglie. All'epoca, Jack era il braccio destro di una squadra texana di proprietà del nonno di Jean-Pierre, e la rottura era stata non solo astiosa, ma aveva anche interrotto il breve idillio di Jean-Pierre con la figlia di Jack, quando loro si erano trasferiti dall'altra parte del paese.
Di conseguenza, era rimasto sorpreso quando la squadra di Jack gli aveva offerto un contratto.
New York era un palcoscenico abbastanza grande per dimostrarsi degno del retaggio della famiglia, ma non lasciava spazio ai fallimenti.
Nessuna squadra della Lega era sotto i riflettori più dei Gladiators, i quali distribuivano il più alto numero di tessere stampa ai media. E se lui, Jean-Pierre, non fosse riuscito a tenere sveglio il loro interesse? Avrebbe perso tifosi e spazio sui giornali, a favore del secondo club newyorchese della Lega, quello con il quale era costretto a dividere lo stadio nei fine settimana.
Aveva imparato a gestire la stampa con la stessa bravura con cui gestiva la sua posizione in campo, e non era disposto a perdere la popolarità che si era guadagnato da quando era arrivato nella Grande Mela.
«Sei pronto?» gli chiese un tizio della radio di New York mentre il numero degli intervistatori intorno a lui si moltiplicava.
Jean-Pierre annuì, scostandosi dalla fronte i capelli ancora umidi prima di raddrizzarsi la cravatta. La rapida doccia dopo una partita riusciva a stento a cancellare in lui l'energia. I suoi muscoli restavano caldi ancora a lungo, soprattutto perché si presentava alle interviste in giacca e cravatta. La giacca gli pesava sulle spalle come una pila di coperte di lana dopo due ore in campo a scansare placcaggi.
Intorno a lui calò il silenzio. Le porte erano state chiuse. Aspettando che gli sparassero la prima domanda, Jean-Pierre sbirciò i tifosi. Tutt'intorno, gli enormi schermi televisivi, che di solito trasmettevano la partita, ora riprendevano ciò che avveniva in sala stampa. Il suo sguardo vagò verso il punto in cui si trovava il proprietario della squadra, il quale conversava a un'estremità del bar con una manciata di celebrità.
E proprio nel momento in cui aveva più bisogno di concentrarsi, fu allora che la vide.
La figlia del capo coach, Tatiana Doucet.
Esasperante. Sexy. E del tutto off-limits.
Un'impulsiva notte di sesso aveva rovinato qualsiasi opportunità di recuperare la loro amicizia. Tuttavia, dannazione, gli bastava guardarla perché il suo corpo prendesse fuoco in un modo che triplicava il calore residuo del tempo passato in campo.
Si allentò la cravatta e la osservò, incapace di distogliere lo sguardo da lei.
Alta e snella, indossava uno di quegli abiti che mettevano in mostra le gambe chilometriche. Anche se il resto del vestito era accollato, con maniche lunghe fino ai polsi, la quantità di pelle nuda che partiva da metà coscia era sufficiente a bloccare il traffico. Intorno ai capelli aveva una sciarpa di seta, senza dubbio per tenere a bada la massa di riccioli castano scuro che le sfioravano le spalle. Riccioli nei quali ricordava di avere affondato le mani mentre faceva il sesso migliore della sua vita. Lei se ne stava in fondo alla sala, in prossimità di un'uscita, come se volesse tenersi pronta a fuggire.
Comprendeva bene quella sensazione.
Il pugno al torace per averla solo vista era stato così violento che gli sfuggì la prima domanda; le parole erano un ingarbugliato rumore di fondo nella sua testa. Quanto tempo era passato da quando lei si era fatta vedere a una partita dei Gladiators?
Jean-Pierre non aveva più posato gli occhi su di lei da quella sconsiderata notte passata a strapparsi i vestiti di dosso.
Ignorando l'irritante afflusso d'aria nei polmoni per aver scorto la donna alla quale un tempo teneva molto – una donna che aveva barattato l'anima per amore della sua professione di avvocato – Jean-Pierre si concentrò sull'uomo che reggeva il microfono.
«Vuoi ripetermi la domanda?» Agganciando il tacco della scarpa alla sbarra di metallo della sedia, si sforzò di mettersi comodo e di rilassarsi come faceva sempre, anche se il cuore gli batteva forte e gli era salita la temperatura.
Le risatine che serpeggiarono tra i giornalisti gli fecero capire di essersi lasciato sfuggire qualcosa. Era pressato dalla folla e i microfoni erano sempre più vicini.
Nell'aria, l'improvvisa tensione era tangibile.
«È senza dubbio una domanda alla quale non puoi essere preparato» disse il giornalista sorridendogli. «Devo però chiederti cosa ne pensi del commento che Tatiana Doucet mi ha fatto un minuto fa, e cioè che non scommetterebbe contro il Bayou Bomber quando, la dodicesima settimana, affronterete la squadra di tuo fratello?»
Le parole andarono a segno. Con violenza. E rischiarono di farlo cadere dalla sedia.
Tatiana aveva detto una cosa simile? Insinuando che avrebbe scommesso contro i Gladiators, la squadra allenata da suo padre? O, più precisamente, che avrebbe scommesso contro Jean-Pierre?
Suo padre avrebbe avuto una crisi di nervi per quel commento. Non solo perché insinuava che qualcuno nella sua famiglia avrebbe scommesso su una partita... era categoricamente proibito farlo. Jack Doucet avrebbe anche dato in escandescenze per il fatto che la sua stessa figlia stava facendo pubblicità in favore della squadra avversaria.
Tuttavia, Jean-Pierre non dedicò neanche un'occhiata per controllare come aveva reagito il capo coach. Era da troppo tempo che concedeva interviste per farsi sorprendere impreparato due volte di fila. Non intendeva permettere ai media di metterlo in imbarazzo per un commento avventato che Tatiana doveva aver fatto senza curarsi di chi poteva essere in ascolto. Per limitare i danni, sparò la prima giustificazione che il suo cervello partorì.
«La mia ipotesi è che la signorina Doucet vorrebbe incentivare i Gladiators e spingerci a giocare al meglio, anche se questo significa piazzare qualche amichevole punzecchiatura.» Il modo in cui esibì il più disinvolto dei suoi sorrisi era degno di un Academy Award, considerando il modo in cui lei gli aveva appena dato un calcio nei denti.
Dieci reporter fecero le loro domande contemporaneamente, e la cacofonia era tale per cui riusciva difficile capire cosa dicessero. Finirono per dare spazio al reporter del New York Post, un anziano irascibile che metteva in fuga qualsiasi giornalista non fosse già attivo ai tempi della macchina per scrivere.
«Suvvia, Reynaud» ringhiò, con un'espressione acida sul volto mentre prendeva appunti. «A me non sembra proprio che stesse scherzando. Quando nemmeno la figlia del coach crede in te...»
«Ehi. Puoi fermarti qui» lo interruppe Jean-Pierre, non disposto a permettergli di agitare le acque con quel genere di domande. «Tatiana e io siamo andati a scuola insieme e la conosco bene. Vi assicuro che stava scherzando.» Malgrado le sue assicurazioni, avvertì che l'agitazione serpeggiava nella sala. Quel commento era del tipo che avrebbe offuscato partite. Squadre. Interi campionati. E non intendeva permettere che una battuta superficiale rubasse le luci della ribalta al duro lavoro dei Gladiators.
«Anzi» proseguì, senza mai lasciare che quel suo falso sorriso vacillasse, «Tatiana verrà con me a New Orleans, come ospite della famiglia Reynaud. È impaziente di rivedere la Louisiana.»
Jean-Pierre guardò nella direzione dove lei era stata fino a poco prima, Tatiana però era scomparsa. Senza dubbio aveva voluto sottrarsi a domande inevitabili. O a rispondere al padre.
Oppure di incontrarsi con lui? Sì, quello lo agitava più di quanto avrebbe dovuto. Tuttavia, non poteva negare che lei gli mancasse.
Quando erano adolescenti, Tatiana aveva frequentato per due anni una scuola privata a mezz'ora dalla proprietà della famiglia Reynaud. Di conseguenza, durante quel periodo era stata spesso ospite della sua casa sulle sponde del lago Pontchartrain.
Il silenzio che seguì quell'annuncio avrebbe potuto essere comico se Jean-Pierre non ne avesse avuto bisogno per prepararsi ad affrontare il secondo round di domande, che non avevano niente a che vedere con la partita che aveva appena giocato. Comunque, per un secondo li aveva lasciati tutti di stucco.
«Ospite della famiglia o tua?»
Un reporter non aveva ancora finito di parlare che già risuonava la domanda successiva.
«Non ti disturba che lei, l'inverno scorso, abbia perseguito un tuo ex compagno di squadra per molestie sessuali?»
«È invitata al matrimonio di tuo fratello?»
I reporter si parlavano uno addosso all'altro, sparando domande a destra e a manca, ma questa volta Jean-Pierre riuscì ad afferrarne alcune.
Non aveva nessuna intenzione di discutere delle settimane durante le quali lui e Tatiana si erano trovati seduti sui lati opposti di un tribunale mentre lei sfruttava tutte le sue doti di avvocato per vincere una causa civile contro uno dei suoi vecchi amici. Quanto al matrimonio, Gervais intendeva sposare una principessa a New Orleans, nella settimana durante la quale né i Gladiators né gli Hurricanes giocavano. Dal momento, però, che Gervais e la sua fidanzata avevano fatto il possibile per non divulgare i particolari, anche quella domanda sarebbe rimasta senza risposta. A Jean-Pierre, comunque, non importava lasciare che la stampa deducesse che Tatiana sarebbe stata sua ospite per quell'evento.
A quel riguardo, avrebbe dovuto assicurarsi che lei fosse al suo fianco alle nozze del fratello. Non c'era verso che l'interesse dei media per loro si spegnesse senza seri sforzi da parte di entrambi. Il loro focoso passato doveva passare in secondo piano perché non poteva permetterle di danneggiare la sua carriera.
Conoscendo la politica di quel mondo, doveva immaginare che un commento simile fosse fuori luogo. Adesso avrebbe dovuto collaborare per spegnere l'incendio che aveva appiccato. Dio solo sapeva perché l'avesse fatto, dal momento che era cauta nella vita privata come lo era in tribunale.
«Ci sono domande che vorreste farmi a proposito della partita?» chiese Jean-Pierre, ritenendo di aver dato loro materiale sufficiente per confutare il commento di Tatiana.
Quando il suo sguardo percorse la sala, notò che sia Jack sia sua figlia erano scomparsi. Non c'erano dubbi che lui le stesse facendo vedere i sorci verdi in privato. D'altronde, il vecchio aveva sempre dato la precedenza al football sulla famiglia. Era il tipo giusto per il quale giocare, questo però non faceva di lui un buon padre.
Jean-Pierre rispose a qualche altra domanda prima