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E-book2.302 pagine23 ore

Tutti i libretti d'opera

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Info su questo ebook

A cura di Piero Mioli
Introduzione di Gustavo Marchesi
Edizioni integrali

Fuorché la musica, tutto. Il pubblico del teatro di Verdi troverà in questo volume, a parte la musica, le note e la partitura (che sono logico appannaggio specialistico), tutti i testi dei libretti, integrali, e una ricca serie di rubriche volte a introdurre, a saggiare, a documentare, ad accompagnare l’ascolto, come la storia del libretto e dell’opera, gli intrecci, i giudizi di critici e di grandi scrittori, gli interpreti. Chiude e completa questo splendido volume un’appendice del curatore che comprende una storia del dramma e del melodramma, una bibliografia e una discografia verdiane.


Giuseppe Verdi
(1813-1901) prelevò il glorioso melodramma italiano dalle mani di Rossini per portarlo a incredibili vertici di grandezza artistica, culturale, morale, nazionale. Di umili origini, abitò soprattutto a Sant’Agata, non lontano da Roncole di Busseto dov’era nato, e morì a Milano. Compose 28 opere teatrali, molte delle quali continuano a trionfare sui palcoscenici di tutto il mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854147096
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    Anteprima del libro

    Tutti i libretti d'opera - Giuseppe Verdi

    251

    Prima edizione ebook: ottobre 2012

    © 1996, 2009 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4709-6

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Giuseppe Verdi

    Tutti i libretti d’opera

    Oberto conte di S. Bonifacio, Un giorno di regno ossia Il finto Stanislao, Nabucodonosor, I Lombardi alla prima crociata, Ernani, I due Foscari, Giovanna d’Arco, Alzira, Attila, I Masnadieri, Jérusalem (Gerusalemme), Il Corsaro, La battaglia di Legnano, Luisa Miller, Stiffelio, Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata, Les vêpres siciliennes (I vespri siciliani), Aroldo, Un ballo in maschera, La forza del destino, Macbeth, Don Carlos (Don Carlo), Aida, Simon Boccanegra, Otello, Falstaff

    A cura di Piero Mioli

    Introduzione di Gustavo Marchesi

    Edizioni integrali

    Aida

    Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni

    Per la circostanza di 150.000 franchi

    Dopo le fatiche parigine di Don Carlos, diversi dispiaceri acuiscono la «maledizione» del periodo. Muore Antonio Barezzi, provvido suocero e secondo padre, e colpisce Francesco Maria Piave una paralisi che dopo otto anni lo porterà a morte. Almeno, Verdi fa la conoscenza diretta di Manzoni, autore di «uno de’ più gran libri che sieno usciti da cervello umano», e nell’estate del 1869, a S. Agata, riceve la visita di Antonio Ghislanzoni, il prossimo librettista d’Aida che darà poi notizia dell’incontro su diverse riviste milanesi. Ecco dunque Aida, con la sua genesi complessa della quale partecipa anche un episodio poi raccontato da Stefano Sivelli, strumentista presente alla prima. Racconta Sivelli che nell’autunno del ’69 i signori Verdi andarono a Parma ed entrarono in un negozio di terraglie, quando di fuori s’udì tal Paita, venditore ambulante di pere cotte (e «bollenti») che cantava «Boiènt i per còtt, boièènt». Il motivo, la melodia trovò subito l’attenzione del maestro, che fu visto prendere un taccuino dalla tasca e annotar qualcosa. Quando Aida vide la luce al Cairo, fu con grande stupore che Sivelli, ascoltando O tu che sei d’Osiride e pensandoci un po’ sopra, rinvenne la vecchia, popolare aria del Paita. Ma erano parecchi i soggetti che interessavano Verdi, sul finire degli anni Sessanta: con Camille Du Lode s’intratteneva sul Cid di Corneille (poi musicato da Massenet) e sull’Adrienne Lecouvreur di Sardou (poi musicata da Cilea), nonché sul personaggio di Nerone (poi musicato da Boito e Mascagni), e intanto covava anche il comico Tartuffe di Molière. Ma nel novembre del ’69 da Ismail Pascià, il Kedivé d’Egitto, gli giunse la richiesta di un inno per l’inaugurazione del canale di Suez, e se rispose che non usava scrivere musica di circostanza, non fu poi insensibile all’idea di un’opera nuova. Il Kedivé inviò a Parigi un egittologo al suo servizio, Auguste Manette, che si mise in contatto con Du Lode mediante il quale cercare di assicurarsi la collaborazione di Verdi (o di Wagner o di Gounod). Da parte sua, Verdi pensava semplicemente a un opéra-comique, per il teatro cui era stato preposto il fido Du Lode, ma quando ebbe il programmino «egiziano» che il librettista aveva ricevuto da Manette, ne fu subito entusiasta: il 2 giugno del 70 accettò la proposta, fissò alcune condizioni e chiese la bellezza di 150.000 franchi. Sceso a S. Agata, Du Lode scrisse un libretto in prosa francese sul bel soggetto egiziano, sotto il controllo del maestro che ebbe l’idea del finale «avec ses deux scènes superposées». Per un libretto vero, italiano e poetico, Verdi chiese a Ricordi la disponibilità di Ghislanzoni, che s’apprestò a lavorare sopra un testo già provvisto da Verdi di imperiose didascalie come «lirico», «cantabile», «concertato», «recitativo» e altro ancora. Fra il maestro e il poeta s’instaurò allora una fitta corrispondenza, prodiga di indicazioni sulla nascita dell’opera. La composizione finì, ma la guerra franco-prussiana allentò tutti i rapporti. Se poi l’opera non potè andare in scena al Cairo secondo le previsioni, almeno se ne volle cominciare a curare l’allestimento scaligero. Dopo qualche difficoltà relativa alla compagnia di canto, e più d’una difficoltà con l’ombroso Angelo Mariani, alla buon’ora Aida vide la luce, al teatro dell’Opera del Cairo il 24 dicembre del 1871, primadonna soprano Antonietta Pozzoni Anastasi, primo tenore Pietro Mongini (non Fraschini, che non era disponibile), prima donna mezzosoprano Eleonora Grossi, primo baritono Francesco Steller, direttore Giovanni Bottesini. In seguito al grande successo, l’assente compositore si guadagnò il titolo di Commendatore dell’Ordine ottomano.

    Dopo la prima egiziana, s’avvicinava l’ora della prima italiana. All’inizio Verdi pensò ad Antonietta Fricci come Aida e a Teresa Stolz come Amneris, secondo l’antica prassi dell’«altro primo soprano», poi passò la protagonista alla Stolz e l’antagonista a Maria Waldmann, giovane ma non deludente mezzosoprano austriaco. Tenore era Giuseppe Fancelli, gran voce e gran guaio per le musicali pretese di Verdi. «Via quelle ballerine! Via quella gente!... c’è troppo movimento!», ebbe poi a esclamare l’autore all’antiprova generale, con grave disappunto del direttore della scuola di ballo che era Giovanni Casati. Guidata da Franco Faccio, finalmente l’opera salì il palcoscenico della Scala l’8 febbraio del ’72, con successo grandioso e con la conseguenza che molti teatri cominciarono a reclamare la partitura. Verdi rifiutò per un paio d’anni, ma poi dovette ricredersi: e l’opera passò altrove, a Parma e New York, a Cincinnati e Boston, a Berlino e Vienna, fino ai trionfi parigini del 1880 che s’avvalsero della direzione del compositore per cinque recite.

    Tre motivi, un’emozione e due romanze

    E di veri e propri leit-motiv nell’opera ve ne sono tre: uno simboleggia l’amore sublime di Aida ed appare subito all’inizio del preludio che apre l’opera stessa; il secondo è quello del sospetto di Amneris; il terzo è quello grave e cupamente religioso dei sacerdoti.

    Ma tutti e tre questi motivi, più che veri temi nel senso wagneriano del termine, sono richiami a stati d’animo fondamentali del dramma, inseguono come ombre i personaggi (così come nel Rigoletto il tema della maledizione), formano attorno ad essi come un’atmosfera spirituale caratteristica e particolare, ma non diventano mai il personaggio medesimo, non si traducono mai nell’idea fissa. Compaiono nei momenti del dramma in cui il sentimento ch’essi esprimono è più vivo e presente; ma appena la commozione esorbita da quell’unico sentimento che è in loro, appena essa è divenuta esteticamente interessante in sé, al di sopra e al di fuori di qualsiasi causa che possa averla generata, allora il tema si perde per dar luogo a una più libera e forte espressione di dinamica psichica.

    [...]

    Una delle emozioni fondamentali da cui scaturì tanta musica verdiana, e segnatamente quella della Battaglia di Legnano, ha radice nel sentimento bellico che vibrò nei più segreti palpiti di nostra gente durante il lungo periodo del riscatto nazionale, e che nella musica di Giuseppe Verdi era divenuto arma terribile di incitamento. Nell’Aida questo sentimento raggiunge la più completa e alta espressione. Dalle violente e incomposte grida di: «Guerra, guerra» ov’è tutto l’ardore di un’indomabile e fiera volontà; dalle fervide aspirazioni di Radamès che già sente squillare le trombe sul campo e vede dinanzi a sé volare la vittoria possente cinta di lauri, fino all’inno austero e vigoroso: «Su! del Nilo al patrio lido» e al solenne grido: «Ritorna vincitor!» è un continuo esplodere in note di fuoco del più entusiastico e nobile sentimento guerresco.

    Né basta, che più solenne, più alto ancora è l’inno della vittoria, annunziato nella marcia delle sette trombe egizie, pittoresca per effetti sonori, ed esultante da ultimo nel concertato finale del secondo atto ove, con la sicura maestria di cui già il Verdi fe’ prova nel finale primo del Ballo in maschera, egli svolge contemporaneamente ben tre melodie, una di carattere passionale-elegiaco, una sacra e un’altra piena di vigoroso e sostenuto entusiasmo, riuscendo a un effetto complessivo sintetico di grandiosità fonica e di sublimità eroica veramente unico in tutta la produzione musicale.

    Dov’è andato il meyerbeerismo del Don Carlo? Qui c’è grandezza di stile, ma non c’è più gonfiaggine; c’è sonorità ed entusiasmo, ma non c’è più l’enfasi e la pletora; non c’è più Meyerbeer: c’è Verdi!

    (G. Roncaglia, op. cit., pp. 160-163.)

    Ben altra energia ha il monologo di Radamès, «Se quel guerrier io fossi!», scandito peraltro su un prestabilito schema ritmo-melodico; infatti, il naturale indugio sospensivo su i «se» e su «sogno» venne trascurato a favore della ritmica, la quale prolunga oziosamente le sillabe «si avverasse». Squillano le trombe e il primo trombone nella fanfara dell’Allegro vivo, il giovine s’esalta nella previsione del trionfale suo ritorno in Menfi. Poi l’immagine di Aida si sovrappone a quella della guerra, ed il canto diventa soave. Gli archi, succedendo agli ottoni, mollemente sostengono la frase carezzosa ed evocatrice. Ma l’ardore non tarda a rioccupare l’anima del guerriero, che accomuna l’amore dell’armi e quello dell’amata: «Per te ho vinto!». Al grido entusiasta risponde un robusto accordo degli archi; riecheggia la fanfara. Gli accordi si stemperano nei legni, si spengono; un’eco lievissima, in due soli violini con sordina, adduce all’invocazione «Celeste Aida». L’Andantino dà alla frase ampia, spiegata, saliente, e alla sua cadenza decadente, un opportuno moto eccitato (che svanisce se il tempo sia rallentato, come avviene quando il tenore vuol disfogar la voce); l’accompagnamento (pizzicato di archi, due violini in sordina, mentre un flauto melodizza con la voce) indica che la prima parte della romanza non chiede esibizioni di forza, ma soltanto un lieve crescendo nel portamento sulla frase «del mio pensiero tu sei regina». Un breve movimento dei flauti collega la prima alla seconda parte, in cui il desiderio amoroso più s’avviva: «il tuo bel cielo vorrei ridarti...»; un oboe, un fagotto e due flauti iniziano una quasi agreste cantilena; s’aggiungono i violoncelli: «... le dolci brezze del patrio suol...». Un Animando un poco, ma sempre piano, quando tutta l’orchestra sostiene il cresciuto ardore: «un regal serto sul crin posarti». La voce scaglia poi «con entusiasmo» nell’accrescimento strumentale il grido: «ergerti un trono vicino al sol», accento che non vuol essere diluito nel consueto effetto stentoreo sul si bemolle, ma conchiuso nella elegante cadenza che lievemente si riattacca al da capo. Il quale è rinnovato vagamente da un leggerissimo moto dei violini divisi, mentre flauti ed oboi, clarinetti e fagotti e gli altri archi arricchiscono l’accompagnamento di raddoppi e di galanti movenze; e tutto ciò sempre piano. Un lieve sincopato dei violini sorregge il «pianissimo parlante» che riconduce al grido esaltatore; questo ha stavolta il sostegno di tutta l’orchestra, per spegnersi in un p p p p, «vicino al sol», che raramente i tenori eseguono; e la cadenza finale, che spinge la voce al si bemolle, con lievi arpeggi dei soli archi, vuol essere tutta lieve, e spegnersi in un morendo. (Si sa come contravvengono alcuni direttori e i tenori alla prescrizione di Verdi.) Questo canto di Radamès ha certamente una melodica vaghezza.

    […]

    Il tempio di Iside sulle rive del Nilo. Notte lunare. I primi violini iniziano pianissimo con sordina un arpeggiato nell’estensione di tre ottave, che dalla terza battuta è sostenuto dai secondi violini tremolanti in sordina, da pizzicati di viole in sordina, da accordi di violoncelli. Alla quinta battuta di si lieve, mosso, limpido fluire s’aggiunge la cantilena del primo flauto, un’elegante nota elegiaca. Nel tempio un coro invoca Iside. In poche battute è una toccante poesia. Non si cerchi un quadretto di color locale, né si domandi se l’epitalamio risuonasse sì mesto nella liturgia egiziana. Quel che d’esotico è nel vago preludio, quel che di trepido è nelle voci, si riassume nella Stimmung del momento drammatico e ne riflette l’ambascia.

    Ora Verdi attende decisamente allo svolgimento del dramma. Amneris entra nel tempio. Si spengono i canti. Aida è preannunciata dal flauto che riconduce il motivo dell’amore, la cui cadenza è più volte mormorata dalle violenze e dai violoncelli. Ella avanza cauta, nell’attesa di Radamès. Monologo recitativo, interrotto da lunghi silenzi. Che vorrà dirle l’amante? Paventa una tremenda notizia, e nell’immaginaria è atterrita. Un cupo brontolio degli archi. Se mai venisse a darle l’ultimo addio, ella cercherebbe nella morte l’oblio. Con verosimile trapasso psicologico, il pensiero dell’annullamento nella morte riadduce il ricordo del tempo felice e delle cose care. Iniziata dal patetico oboe, la rêverie è sostenuta dal clarinetto e dal flauto. Lievi trilli ed acciaccature fanno più dolce l’agreste cantilena dell’Andante mosso. Ne scaturisce l’evocazione della patria. La soave melodia «O cieli azzurri» è accompagnata da principio dai soli flauti, s’aggiungono i violini; oboe e fagotto dialogano cromaticamente con la voce; tutta l’orchestra interviene sull’ultimo slancio. La seconda strofa riceve nuova vivacità da agili ritmi degli archi; cadenzando, la voce emerge su lievità dell’oboe e del fagotto.

    In questa pagina è un’emozione assai più intensa di quella proposta dalle convenzionali parole. La vocalità delle frasi strumentali e di quelle di Aida è come ricinta da un velo di nostalgia. È questo uno dei pezzi verdiani più minuziosamente ed elegantemente cesellati. Ora ben conosciamo Aida, dolorante per amore e per schiavitù.

    (A. Della Corte, op. cit., pp. 188-204.)

    L’intreccio

    ATTO PRIMO: (1) Antico Egitto, sala nel palazzo del re a Menfi, con colonnati e vista di templi, palazzi, piramidi. Ramfis (basso), il capo dei Sacerdoti, parla con Radamès (tenore), capitano delle guardie: gli etiopi stanno forse per invadere la città di Tebe e poi tutto l’Egitto, e aggiunge che la dea Iside ha appena segnalato il nome del condottiero dell’esercito che ora gli compete di andare a comunicare al re. Radamès rimane solo: vorrebbe essere lui quel condottiero, applaudito da tutta Menfi e fieramente accolto dall’amata Aida, e ad Aida va poi tutto il suo commosso ed esaltato pensiero. L’estasi che gli appare sul volto non sfugge ad Amneris (mezzosoprano), la figlia del Re che lo raggiunge. Amandolo silenziosamente, la principessa lo investiga, lo mette in imbarazzo con qualche allusione, e teme soltanto di avere una qualche rivale. Infatti quando entra Aida (soprano), schiava etiope adibita al servizio di Amneris, Radamès si turba e Amneris comincia a sospettare. Aida piange, perché ha sentito parlare di guerra, ma Amneris chiede se non abbia un’altra ragione di sofferenza, e il rossore della schiava rafforza i suoi sospetti. Preceduto dalle guardie e seguito da Ramfis, dai Ministri, dai Sacerdoti, dai Capitani, da altri egizi, entra il Re (basso), che fa introdurre un Messaggero (tenore): questi racconta e descrive l’invasione dei barbari Etiopi, che stanno per attaccare Tebe alla guida del feroce re Amonasro (mio padre! pensa Aida). Il coro prorompe chiedendo guerra e il Re risponde che all’uopo è già stato designato il comandante dell’esercito, Radamès. Radamès esulta, il Re invoca l’eroismo egizio contro lo straniero ed è ripreso da tutto il coro, Amneris consegna una bandiera al condottiero, Aida piange, tutti gridano guerra ed esortano Radamès a ritornare vincitore. Escono tutti, Aida è sola e ha orrore dell’empia parola che le è sfuggita, che Radamès ritorni vincitore: la respinge, perché Radamès sarebbe vincitore su suo padre e sul suo popolo; ma se a vincere sono i suoi, lei perde il grande amore, e insomma la sua è una disgrazia insopportabile. (2) All’interno del tempio di Vulcano, sempre a Menfi, sotto una luce misteriosa che piove dall’alto, Ramfis sta presso l’altare con i Sacerdoti, mentre dall’interno si sente il canto delle Sacerdotesse e della Grande Sacerdotessa (soprano) che invocano l’immenso dio Fthà. Si introduce Radamès, le Sacerdotesse danzano, sul capo del condottiero si stende un velo argenteo, Ramfis sprona Radamès a combattere sotto la protezione divina, il condottiero prega direttamente il Nume e viene vestito delle armi sacre.

    ATTO SECONDO: (1) Nel suo appartamento, mentre gli Schiavi mori danzano, Amneris è abbigliata dalle Schiave inneggianti a chi sa vincere in guerra e in amore, e lei stessa trepida pensando all’uomo amato. Ma vede giungere Aida e chiede silenzio, in onore al lutto della schiava della quale si dice amica: dopo il dolore, rimane sempre l’amore, e forse Aida ama qualche soldato egizio, e non tutti i soldati sono morti in guerra come il loro duce impavido. Alla notizia Aida grida, per cui Amneris capisce, disdice la notizia e di fronte alla nuova gioia di Aida capisce definitivamente. Allora insiste e minaccia, nella disperazione della fanciulla che vive solo per quell’amore e pure dovrà rinunciarvi. (2) A Tebe, tempio di Ammone a destra, trono a sinistra, in fondo porta trionfale. Col suo seguito entra il Re che siede sul trono, e accanto a lui si pone la principessa entrata con le Schiave e Aida. Il Popolo inneggia all’Egitto, alla dea Iside, al Re, e mentre le Donne cantano i Sacerdoti si rivolgono agli Dei. S’annuncia il vincitore, sfila l’esercito, come ultimo giunge Radamès. Il Re lo accoglie, Amneris gli porge una corona trionfale, lui fa entrare i prigionieri e fra questi si vede Amonasro, vestito da semplice ufficiale e subito riconosciuto da Aida che nel padre riesce a non svelare il re d’Etiopia. Richiestone dal Re, Amonasro si presenta, ha combattuto, ha visto morire il suo sovrano e infine prega clemenza. Mentre Radamès guarda Aida e i due sono osservati da Amneris, tutti auspicano clemenza, tranne Ramfis e i Sacerdoti. Allora Radamès, che il Re s’è offerto di accontentare in tutto, chiede la libertà per i poveri prigionieri etiopi. Ramfis si oppone e poi si arrende a patto che almeno restino Aida e il padre. Il Re accetta, ma poi a Radamès offre la mano di Amneris perché un giorno egli sia re dell’Egitto. Inni generali e gioia di Amneris, ma Aida è disperata, Radamès sa di non poter accettare, Amonasro medita la riscossa.

    ATTO TERZO: (Scena unica) Rive del Nilo, rocce con tempio sulla sommità, palmizi, luminosa notte stellata. Dal tempio risuona un canto alla dea Iside e dal fiume approda una barca che fa scendere Amneris, Ramfis, alcune donne e delle guardie. Il sacerdote accompagna la principessa a pregare tutta la notte, la vigilia delle sue nozze con Radamès, e tutti salgono al tempio. Cautamente e coperta da un velo, entra poi Aida, ad aspettare tremante Radamès che l’ha invitata a un appuntamento, e nell’attesa riva con la memoria al cielo, all’aria, alla splendida natura della patria che purtroppo non rivedrà mai più. Si volge e invece di Radamès si trova davanti il padre, che ha notato il suo rapporto con Radamès e le fa balenare l’idea del ritorno in patria nonché della felicità amorosa. Al progetto della riscossa manca solo una notizia, relativa alla strada che il nemico seguirà, e la notizia può fornirla solo lei, grazie all’amore di Radamès. Alla proposta Aida inorridisce, Amonasro incalza, dipinge gli effetti di un’altra sconfitta, infine respinge Aida che definisce non figlia sua ma schiava dei Faraoni. Allora la fanciulla straziata accetta e si dispone ad accogliere Radamès, mentre Amonasro si nasconde fra le palme. Radamès arriva e comunica ad Aida un suo pensiero, quello di tornare a combattere Vittoriosamente e di meritare un’altra ricompensa dal Re, il permesso di sposare Aida. Aida diffida, consiglia piuttosto di fuggire in Etiopia per vivervi beatamente. Radamès esita, ma la potenza dell’amore lo fa convince e i due s’apprestano a fuggire entusiasticamente. Allora Aida chiede a Radamès come fare per sfuggire l’esercito e Radamès risponde che fino all’indomani le gole di Napata saranno deserte. Finalmente Amonasro conosce il nome del luogo, e lo ridice ad alta voce, uscendo e dichiarandosi re degli Etiopi. Radamès è esterrefatto e grida al suo disonore, e quando Amonasro aggredisce Amneris che esce dal tempio per ucciderla, riesce almeno a fermarlo. Lasciando fuggire Aida e il padre, si arrende a Ramfis.

    ATTO QUARTO: (1) In una sala della reggia, dove la porta di sinistra conduce a un tribunale sotterraneo e quella di destra alla prigione di Radamès, Amneris è accasciata: la rivale è fuggita, il guerriero attende di essere giudicato come traditore ma lei lo ama e cercherà di salvarlo. Lo fa condurre dalle guardie e lo scongiura di discolparsi, ma lui rifiuta, perché la parola ha tradito ma la mente e l’onore sono puri, e poi perché ha perduto Aida.Amneris aggiunge che solo Amonasro è caduto, nella fuga, mentre Aida è libera, ma da Radamès che per questo esulta non ottiene altro che la ferma volontà di morire.Radamès parte circondato dalle guardie e Amneris piange disperata, vedendo passare i terribili Sacerdoti che giudicheranno il prigioniero. Dal sotterraneo, i Sacerdoti pregano il Nume e poi accusano Radamès tre volte, per aver rivelato i segreti della patria allo straniero, per aver disertato la battaglia, per aver violato la fede al re, e davanti al suo ostinato silenzo lo condannano a essere sepolto vivo. Amneris è fuori di sé, investe e insulta i Sacerdoti che ripassano, minaccia Ramfis e infine maledice vigorosamente tutta la schiatta sacerdotale. (2) Compongono la scena due piani, uno superiore che è il luminoso interno del tempio di Vulcano e uno inferiore che rappresenta un sotterraneo.Due Sacerdoti ne chiudono la pietra e Radamès è già sepolto nella sua tomba.Non rivedrà più Aida, ma sente un gemito e vede avanzare un figura, nella quale riconosce Aida stessa. La fanciulla è entrata furtivamente e ora s’appresta a morire con lui: lui non vorrebbe, ma lei quasi vaneggia e vede approssimarsi l’angelo della morte. Si sentono i canti delle Sacerdotesse e dopo un disperato tentativo di aprire la pietra per farne uscire Aida, Radamès si rassegna. I due salutano quella valle di pianti che è la terra e s’apprestano a volare in cielo. Intanto, vestita a lutto, nel tempio è entrata Amneris, che si prostra sulla pietra del sotterraneo e prega e implora pace per l’anima dell’uomo amato.

    PERSONAGGI

    Il Re, Basso

    Amneris, sua figlia, Mezzosoprano

    Aida, schiava etiope, Soprano

    Radamès, capitano delle Guardie, Tenore

    Ramfis, capo dei sacerdoti, Basso

    Amonasro, re d’Etiopia e padre di Aida, Baritono

    Un Messaggiero, Tenore

    Sacerdoti, Sacerdotesse, Ministri, Capitani, Soldati, Funzionarii, Schiavi e Prigionieri Etiopi, Popolo Egizio, ecc., ecc.

    L’azione ha luogo a Menfi e a Tebe, all’epoca della potenza dei Faraoni.

    Nota biobiliografica

    LA VITA

    1813. 10 ottobre, Le Roncole di Busseto (Parma): nasce Giuseppe Verdi, dall’oste e alberghiere Carlo, ventottenne, e Luigia Uttini, filatrice di circa 26 anni.

    1817. Si comincia ad accennare a una disposizione musicale di Giuseppe, che apprende a leggere e scrivere da don Pietro Baistrocchi, parroco, organista e maestro elementare delle Roncole. Secondo la testimonianza di un amico il ragazzo era docile e timido, talvolta irrispettoso.

    1821. Il cembalaro Stefano Cavalletti ripara una spinetta dietro un tasto della quale scrive della «buona disposizione» di Giuseppe a suonare lo strumento. I maestri di musica saranno via via monsignor Paolo Costa (probabilmente), padre Lorenzo Gagliardi e per quattro anni Ferdinando Provesi, maestro di cappella a Busseto, presso la Scuola di Musica municipale di Busseto stessa (per armonia e contrappunto). Studierà poi anche al ginnasio di Busseto diretto dal dotto don Pietro Seletti.

    1822. Morto Baistrocchi, Giuseppe sa già espletare le mansioni del maestro durante la liturgia. Comincia presto a comporre per la Società Filarmonica di Busseto.

    1823. A Venezia, prima rappresentazione della Semiramide di Rossini.

    1828. Compone una sinfonia per Il barbiere di Siviglia di Rossini che si rappresenta a Busseto (ma la notizia non è certa).

    1829. Sostituisce temporaneamente il Provesi, ammalato. Guillaume Tell di Rossini a Parigi.

    1830. A Milano, prima rappresentazione dell’Anna Bolena di Donizetti.

    1831. Prende dimora stabile presso Antonio Barezzi, agiato droghiere, musicofilo, presidente della Società Filarmonica. Bellini fa rappresentare La sonnambula e Norma.

    1832. Ottiene una borsa di studio dal Monte di Pietà di Busseto che, integrata dal benefico Barezzi, gli consente di andare a studiare a Milano. Non viene ammesso al Conservatorio per diverse ragioni: è «straniero», esce dai limiti d’età, è malimpostato al pianoforte e l’istituto è zeppo. Pertanto comincia a studiare privatamente con Vincenzo Lavigna, insegnante di solfeggio al Conservatorio che, oltre a insegnargli il severo contrappunto, lo avvezza all’analisi di partiture classiche e moderne. Una prima descrizione fisica di Verdi risale al momento del passaggio da Busseto a Milano: statura abbastanza alta, capelli castani, fronte alta, sopracciglia nere, occhi grigi, naso aquilino, bocca piccola, barba scura, mento ovale, colorito pallido, volto complessivamente scarno (in più era «vajuolato»). L’elisir d’amore di Donizetti.

    1833. Si ammala di una grave influenza che gli lascia postumi per parecchi anni. Muore Provesi, la cui carica, richiesta da parte di Barezzi, viene polemicamente rifiutata a Verdi. Il quale intanto partecipa variamente alla vita musicale di Milano frequentando la Scala e i Filarmonici (un’orchestra che quasi per caso dirige nella Creazione di Haydn), e prende contatti con certo Antonio Piazza per un libretto d’opera.

    1835. Rientra a Busseto e attende alla composizione dell’opera di cui s’è procurato il testo. A Parigi muore Bellini, dopo la prima dei Puritani. Donizetti rappresenta Lucia di Lammermoor a Napoli.

    1836. Finalmente i sostenitori di Verdi riescono a fargli conferire un incarico ufficiale a Busseto, quello di maestro di musica (che è indipendente da quello dell’organista già assegnato ad altri). Il 4 maggio Giuseppe sposa Margherita Barezzi, figlia di Antonio (il viaggio di nozze ha come meta Milano). Ma la vita della provincia non soddisfa per nulla il giovane. Intanto Meyerbeer rappresenta Les Huguenots.

    1837. Nasce la figlia Virginia. Verdi non riesce a far rappresentare la sua opera a Parma e mediante amici avvia contatti con l’impresario della Scala, Bartolomeo Merelli. Muore Giacomo Leopardi.

    1838. Pubblica Sei romanze per voce e pianoforte. Nasce il figlio Icilio, muore Virginia. Con Margherita va a Milano per un mese.

    1839. Nel febbraio, con la famigliola, Giuseppe si trasferisce definitivamente a Milano, recando uno spartito che comunque è disposto a sistemare secondo l’occasione. Muore anche Icilio. Il 17 novembre la Scala rappresenta con successo Oberto, conte di S. Bonifacio, dramma di Temistocle Solera (quasi certamente) tratto dal vecchio testo di Piazza, musica di Giuseppe Verdi. Il compenso ammonta a 2000 lire austriache. In ottobre Verdi si dimette dall’incarico bussetano. Il bravo di Mercadante.

    1840. Muore Margherita. Distrutta la famiglia, il vuoto circonda lo sfortunato maestro. Il 5 settembre alla Scala cade Un giorno di regno, melodramma giocoso di Felice Romani per la musica di Verdi. Giuseppe decide di non scrivere più, per limitarsi a dare lezioni private e a dirigere. Occasionalmente, vede Merelli che gli rifila un libretto per farlo recedere dal proposito. A Parigi, La favorite di Donizetti.

    1842. L’8 marzo Nabucco, dramma lirico di Solera e terza opera di Verdi, spopola alla Scala (protagonista Giorgio Ronconi, primadonna Giuseppina Strepponi). Verdi comincia a frequentare il salotto di Andrea e Clara Maffei, e a Bologna conosce Rossini.

    1843. Un bel successo ottengono anche I lombardi alla prima crociata, dramma lirico di Solera, l’11 febbraio alla Scala. Don Pasquale di Donizetti a Parigi.

    1844. Il 9 marzo la Fenice di Venezia applaude vivamente a Ernani, dramma lirico di Francesco Maria Piave. Compenso di 12.000 lire austriache. Il 3 novembre l’Argentina di Roma accoglie favorevolmente I due Foscari, tragedia lirica di Piave.

    1845. Nuovo successo scaligero: Giovanna D’Arco, dramma lirico di Solera, e rappresentata il 15 febbraio. Favorevole debutto al S. Carlo di Napoli: il 12 agosto si dà Alzira, tragedia lirica di Salvatore Cammarano. Prima versione del Tannhäuser di Wagner.

    1846. Ancora un’opera per la Fenice: Attila, dramma lirico di Solera, che il 17 marzo piace abbastanza, e sempre più piacerà nelle repliche. Il compenso è di 18.000 lire austriache. Mala salute e riposo forzato.

    1847. L’esordio fiorentino non è molto fortunato: il 14 marzo Macbeth, melodramma di Piave (e Maffei) sale il palcoscenico della Pergola, interpreti principali il baritono Felice Varesi e il soprano Marianna Barbieri Nini. Invece I masnadieri, melodramma di Maffei, incontrano il favore dei londinesi (Her Majesty’s Theatre, 22 luglio). A Londra Verdi conosce Giuseppe Mazzini. E a Parigi aveva incontrato la Strepponi, dando inizio a un rapporto che presto sarebbe divenuto stabile. Il 26 novembre l’Opera di Parigi ospita Jérusalem, il rifacimento francese dei Lombardi alla prima crociata (parole di Alphonse Royer e Gustave Vaéz), con esito medio. Muore Maria Luigia di Parma.

    1848. Verdi torna in Italia e acquista la tenuta di S. Agata, nei pressi di Busseto. Trieste rappresenta Il corsaro, melodramma tragico di Piave (Teatro Grande, 25 ottobre), in assenza però del compositore. A Bergamo muore Donizetti.

    1849. La battaglia di Legnano, tragedia lirica di Cammarano, trionfa all’Argentina di Roma il 27 gennaio, anche per la favorevole cornice civile rappresentata dalla fresca – ed effimera – Repubblica Romana. Dopo una breve parentesi parigina, Verdi prende stanza a Busseto in compagnia della Strepponi. L’8 dicembre il S. Carlo mette in scena Luisa Miller, melodramma tragico di Cammarano, e con successo, Le prophète di Meyerbeer.

    1850. È la volta di Stiffelio, libretto di Piave: rappresentata al Grande di Trieste il 16 novembre, l’opera non riceve accoglienze particolari. Lohengrin di Wagner e Crispino e la Comare dei fratelli Ricci.

    1851. L’11 marzo Rigoletto, melodramma di Piave, riscuote notevole successo alla Fenice di Venezia, protagonista Felice Varesi (dopo varie trattative con la censura). Questioni familiari: infastidito dai pettegolezzi dei bussetani, Verdi va a vivere a S. Agata (la cui villa s’amplierà sempre più). Parte per Parigi, ma il 30 giugno muore la madre.

    1853. Anno molto produttivo. Il trovatore, dramma di Cammarano, nasce all’Apollo di Roma il 19 gennaio, con successo (protagonista Carlo Boucardé). La traviata, melodramma di Piave, fa fiasco alla Fenice di Venezia, il 6 marzo. In autunno Giuseppe e Giuseppina si recano a Parigi.

    1855. Parigi, Esposizione Universale: successo per Les vêpres siciliennes, dramma di Eugène Scribe e Charles Duveyreur (Opera, 13 giugno). La versione italiana va poi in scena a Parma in dicembre, col titolo di Giovanna di Gusman. Secondo una testimonianza, Verdi era allora alto, magro, bruno o castano ma brizzolato di barba, aveva volto scavato e quasi tormentato, occhi chiari e mobilissimi, sorrideva poco e sembrava noncurante e risoluto nello stesso tempo. L’ebreo di Giuseppe Apolloni.

    1856. I vespri siciliani alla Scala.

    1857. Un altro insuccesso alla Fenice ha il nome di Simon Boccanegra, melodramma di Piave, e la data del 12 marzo. Aroldo, opera di Piave sorta dall’adattamento di Stiffelio, va in scena a Rimini, presso il Teatro Nuovo, il 16 agosto, per la direzione di Angelo Mariani.

    1858. Nasce Puccini.

    1859. Il 17 febbraio trionfa a Roma Un ballo in maschera, melodramma di Antonio Somma, primo tenore Gaetano Fraschini (la prima napoletana era stata messa in difficoltà e poi annullata dalla censura e dall’ambiente in parte ostile). Il 29 agosto, in una remota località della Savoia, Giuseppe e Giuseppina si sposano, nella massima riservatezza. In settembre Verdi, eletto rappresentante di Busseto per l’assemblea delle province parmensi annesse al Regno di Sardegna, va in delegazione a Torino. Incontra Cavour, che stima moltissimo. Prima versione del Faust di Gounod.

    1861. Viene eletto deputato al Parlamento del fresco Regno d’Italia. Verso la fine dell’anno parte per Pietroburgo, dove finisce col sospendere l’allestimento dell’opera nuova. È poi a Torino e a Londra.

    1862. Her Majesty’s Theatre, 24 maggio: Luigi Arditi dirige l’Inno delle nazioni, su testo di Boito per la musica di Verdi (ma una marcia era la composizione commissionata per l’apertura dell’Esposizione di Londra). Finalmente al Teatro Imperiale di Pietroburgo va in scena La forza del destino, melodramma di Piave (primo tenore Enrico Tamberlick). Il grande successo del 10 novembre è appena sfiorato da alcune proteste di musicisti russi avanzate nelle ultime repliche.

    1863. Arrigo Boito scrive, recita e pubblica una poesia contro il melodramma italiano contemporaneo. Verdi s’infuria, e risponderà per le rime. Nasce Mascagni.

    1864. Muore Meyerbeer.

    1865. Macbeth, libretto rifatto a cura di Charles Nuitter e Alexandre Beaumont, viene rappresentato al Théâtre Lyrique di Parigi il 21 aprile, con esito mediocre. Verdi smette di essere deputato del Regno e prende in affitto un appartamento a Genova, nel palazzo Sauli. Si rappresentano L’africaine di Meyerbeer e Tristan und Isolde di Wagner.

    1866. Muore il padre di Verdi.

    1867. Buone accoglienze per Don Carlos, opera di Joseph Méry e Camille Du Lode, all’Opera di Parigi, l’11 marzo. Pochi mesi dopo, grande successo per l’allestimento bolognese diretto da Angelo Mariani. Muore Barezzi. Giuseppe e Giuseppina adottano Maria Verdi, figlia di un cugino del maestro.

    1868. Il 30 giugno ha luogo l’attesissimo incontro con Alessandro Manzoni, venerato dal maestro. Muore Rossini e Verdi comunica all’editore Ricordi un suo progetto: che i maggiori musicisti italiani collaborino a una Messa da requiem (le parti saranno composte ma l’iniziativa cadrà). Fiasco della prima versione del Mefistofele di Boito.

    1869. Scala, 27 febbraio: La forza del destino (soprano Teresa Stolz) con un finale nuovo, poi stabile. Ruy Bios di Filippo Marchetti.

    1870. Una rivista milanese espone la trama della prossima opera di Verdi.

    1871. Aida, opera di Antonio Ghislanzoni, celebra l’apertura del Canale di Suez avvenuta due anni prima: il 24 dicembre al Teatro dell’Opera del Cairo, per la direzione di Giovanni Bottesini.

    1872. La Scala ospita Aida. Verdi è molto assiduo con la Stolz, destando il dignitoso risentimento della moglie.

    1873. Nei pressi di Napoli ha luogo l’esecuzione privata di un quartetto d’archi scritto dal maestro.

    1874. Nomina a senatore del Regno. Il 22 maggio l’anniversario della morte di Manzoni è ricordato con la Messa da requiem di Verdi, nella chiesa di S. Marco a Milano (quindi alla Scala).

    1875. Verdi fa causa a Ricordi per certi diritti d’autore non versati. Secondo una testimonianza, in questo periodo Verdi è piuttosto giovanile, ha poche rughe, capelli molto lunghi e appena un po’ grigi, barba corta e un po’ grigia, baffi folti e scuri. Vitalità, energia, fermezza emanano dalla sua persona. Carmen di Bizet. A Bologna rinasce il Mefistofele di Boito.

    1876. È a Parigi, tra aprile e maggio. Prima rappresentazione integrale del Ring des Nibelungen di Wagner. La Gioconda di Ponchielli.

    1877. È a Colonia, in Olanda, a Parigi.

    1878. I Verdi trasferiscono la dimora invernale di Genova a palazzo Doria e compiono due brevi viaggi a Parigi. La figlia adottiva Maria sposa Alberto Carrara, donde la discendenza e l’eredità verdiana.

    1879. Le prime avvisaglie d’Otello: Verdi incontra Boito e riceve il libretto.

    1880. Scala, 18 aprile: si eseguono il Pater Noster e l’Ave Maria.

    1881. Scala, 24 marzo: va in scena il rifacimento di Simon Boccanegra, che col libretto rivisto da Boito raccoglie un successo caloroso (protagonista Victor Maurel). Les contes d’Hoffmann di Offenbach.

    1882. Parsifal di Wagner.

    1883. Muore Wagner. In Verdi, la notizia desta grande impressione.

    1884. La versione italiana di Don Carlos, alla Scala, il 10 gennaio, ha come protagonista Francesco Tamagno e miete grande successo.

    1885. Muore l’amico Andrea Maffei.

    1886. Muore l’amica Clara Maffei. A Modena l’ultima versione di Don Carlos, in cinque atti e in italiano.

    1887. Prima di Otello, dramma lirico di Boito, alla Scala il 5 febbraio, protagonista Tamagno. Accoglienze entusiastiche con risonanza internazionale. Nella descrizione dell’uomo, le rughe son diventate profonde, ma la persona è eretta e l’aspetto lucido, deciso, «un po’ olimpico».

    1888. Il 6 novembre a Villanuova sull’Arda si inaugura un ospedale costruito a spese di Verdi.

    1889. Verdi compera un terreno alle porte di Milano per farvi edificare una casa di riposo per musicisti. Molto liberamente, comincia a lavorare a Falstaff.

    1890. Mascagni rappresenta Cavalleria rusticana.

    1892. Si celebra il centenario della nascita di Rossini e Verdi dirige alla Scala la preghiera di Mosé. Werther di Massenet e Pagliacci di Leoncavallo.

    1893. Scala, 9 febbraio: prima di Falstaff, commedia lirica di Boito. Il protagonista è Maurel, il successo è «di stima».

    1894. In ottobre a Parigi assiste all’edizione francese di Otello e poi riceve la Legion d’Onore.

    1896. Si rappresentano La bohème di Puccini e l’Andrea Chénier di Giordano.

    1897. Compone lo Stabat Mater. Muore la Strepponi, a 82 anni. Verdi ha un crollo, con disturbi particolari alla vista e all’udito.

    1898. Un mortale incidente occorso vicino a casa getta il maestro in grande agitazione. Si stampano i Quattro pezzi sacri.

    1899. L’Opera Pia Casa di Riposo per Musicisti ideata e fondata da Verdi è Ente Morale. Piccolo ma non curvo, incanutito ma non bianco, Verdi ha uno sguardo di «straordinario calore».

    1900. Il 14 maggio Verdi fa testamento, nominando erede universale Maria Verdi Carrara e predisponendo amplissime beneficienze a favore di persone ed enti. Nel novembre si reca a Milano, scendendo al solito Hotel Milan.

    1901. Dopo una settimana di agonia per un ictus cerebrale, il 27 gennaio muore a Milano e il 30 viene sepolto nel Cimitero Monumentale. Il 27 febbraio, scortata – pare – da trecentomila persone, la salma viene traslata nell’oratorio della Casa di Riposo (accanto, le si colloca la salma della Strepponi). In vita, Verdi aveva ricevuto numerosissimi riconoscimenti e decorazioni, fra gli altri dagli ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro, di S. Stanislao, della Rosa, di Francesco Giuseppe, della Madonna della Guadalupa, del Merito Civile di Savoia. Alla sua morte, la maggiore produzione teatrale calcava regolarmente e assiduamente i palcoscenici di tutto il mondo.

    BIBLIOGRAFIA

    Dell’immane bibliografia verdiana si segnalano qui i numerosi riferimenti che si ritengono fondamentali per la consultazione e lo studio del lettore italiano contemporaneo, Seguono notizie sulla provvida edizione critica, sulle pubblicazioni di Ricordi, su qualche utile pubblicazione di testi, sulle iniziative musicologiche dell’Istituto di Studi verdiani di Parma, su varie altre pubblicazioni specifiche. Un elenco di abbreviazioni bibliografiche introduce al corpo della rubrica, che comprende bibliografia e catalogo, iconografia, epistolario, opere di carattere documentario, monografie (con qualche voce enciclopedica), studi e scritti vari e generali (in notevole quantità), studi su singole opere (il procedimento adottato nella stesura è un po’ eterodosso: alcuni importanti volumi collettanei vengono smembrati al fine di fornire dati particolari altrimenti assorbiti nei titoli d’assieme). Quanto all’epistolario, bisogna ricordare che l’Istituto di Parma ha intrapreso la raccolta sistematica di tutto il materiale in fac-simile. Ad ogni buon conto, questo regesto bibliografico muove dalla bibliografia nota operandovi scelte spesso obiettive ma a volte alquanto personali.

    EDIZIONE CRITICA

    Le opere di G. Verdi/The Works of G. Verdi, a cura di P. Gossett (coordinatore), J. Budden, M. Chusid, F. Degrada, U Gunther e G. Pestelli, sei serie per ca. 38 voli. (ca. 76 tomi), partiture e commenti critici (non libretti), Milano – Chicago – London, dal 1983:

    Rigoletto, a cura di M. Chusid, 2 tomi, s. I, vol. 17,1983.

    Ernani, a cura di M. Chusid, 2 tomi, s. I, vol. 5,1985.

    Nabucodonosor, a cura di R. Parker, 2 tomi, s. I, vol. 3,1988.

    Messa da requiem, a cura di D. Rosen, s. III, vol. 1,1990.

    Luisa Miller, a cura di J. Kallberg, 2 tomi, s. I, vol. 15,1991.

    Il trovatore, a cura di D. Lawton, 2 tomi, s. I, vol. 18,1992.

    Alzira, a cura di S. Castelvecchi con la collaborazione di J. Cheskin, 2 tomi, serie I, vol. 8, 1994-97.

    La traviata, a cura di F. Della Seta, 2 tomi, s. I, vol, 19, 1997.

    Il corsaro, a cura di E. Hudson, 2 tomi, serie I, vol. 13, 1998.

    I masnadieri, a cura di R. Montemorra Marvin, 2 tomi, serie I, vol. II, 2000.

    PUBBLICAZIONI GENERALI

    Ricordi ha pubblicato e continua a pubblicare quasi tutti i libretti e gli spartiti delle opere di Verdi:Verdi, Le prime, Milano 2002, raccoglie tutti i libretti delle prime rappresentazioni. Spartito criticamente revisionato è Don Carlos, edizione integrale delle varie versioni in 5 e 4 atti con gli inediti, a cura di U. Günther, Milano 1980. Delle partiture tradizionali, Ricordi rende disponibili Aida, Un ballo in maschera, Falstaff, La forza del destino, Messa da requiem, Otello, Rigoletto, La traviata, Il trovatore.

    In relativa concomitanza con le prime rappresentazioni furono pubblicate le Disposizioni sceniche di Les vêpres siciliennes (1855), Giovanna de Guzmán (1855?), Le trouvère (1857?), Un ballo in maschera (1859), La forza del destino (1863?), Don Carlo (1867, 1884), Aida (1872), Simon Boccanegra (1881), Otello (1887).

    Tutti i libretti di Verdi, introduzione e note di L. Baldacci, Milano 1975-2000, omettono solo alcuni casi di prime versioni e rifacimenti. The complete Verdi libretti, «with international phonetic alphabet transcriptions, word by word translations», 4 voll. a cura di N. Castel, New York 1994 mantengono tutte le promesse. Libretti d’opera italiani dal Seicento al Novecento, a cura di G. Gronda e P. Fabbri, Milano 1997 ripubblicano i libretti di Rigoletto, Il trovatore, Un ballo in maschera e Falstaff. Il primo dei due volumi di Verdi, Libretti. Lettere, oltre a un saggio di P. Gossett contiene Nabucco, Rigoletto, Il trovatore, La traviata, Un ballo in maschera, Macbeth, Aida, Otello e Falstaff.

    «Verdi», bollettino dell’Istituto di Studi verdiani, Parma:

    Un ballo in maschera, nn. 1-3, 1960.

    La forza del destino, nn. 4-6, 1961-66.

    Rigoletto, nn. 7-9, 1966-82.

    Ernani, n. 10, 1987.

    «Quaderni» dell’Istituto di Studi verdiani, Parma:

    Il corsaro, n. 1, 1963.

    Gerusalemme, n. 2, 1963.

    Stiffelio, n. 3, 1968.

    Aida, n. 4, 1972.

    Messa per Rossini, n. 5, 1988.

    La sensibilità sociale di Giuseppe e Giuseppina Verdi, n. 6, 1999.

    Atti dell’Istituto di Studi verdiani, Parma:

    Atti del I Congresso internazionale (Situazione e prospettive degli studi verdiani nel mondo), Venezia 1966, 1969.

    Atti del II Congresso internazionale (Situazione Don Carlos/Don Carlo), Verona – Parma – Busseto 1969, 1971.

    Atti del III Congresso internazionale (Il teatro e la musica di G.Verdi), Milano 1972, 1974.

    Nuove prospettive della ricerca verdiana, Wien 1983, 1987.

    «Studi verdiani», Parma:

    n. 1, 1982; n. 2, 1983; n. 3, 1985; n. 4, 1986-87; n. 5, 1988-89; n. 6, 1990; n. 7, 1991; n. 8, 1992; n. 9, 1993;

    n. 10, 1994-95; n. 11, 1996; n. 12, 1997; n. 13, 1998; n. 14, 1999; n. 15, 2000-2001; n. 16, 2002; n. 17, 2003; n. 18, 2004; n. 19, 2007.

    «Verdi newsletter», New York, pubblicazione annua dal 1973.

    Numeri speciali di riviste:

    «Gazzetta musicale di Milano», «Rivista musicale italiana», 1901.

    «Nuova antologia», 1913.

    «Die Musik», 1913-14.

    «La fiera letteraria», «Melos», «Das Musikleben», «Neue Zeitschrift fur Müsik», «Opera», «La rassegna musicale», 1951.

    Monografie dedicate a opere di Verdi compaiono presso alcune serie di guide operistiche:«Eno opera guide», London-New York; «L’Avant-scène Opéra», Paris; «Opera», UTET, Torino; «Invito all’opera», Mursia, Milano.

    Abbreviazioni e dati delle riviste e delle pubblicazioni di riferimento generale:

    ACM, «Acta musicologica».

    AM, «Analecta musicologica».

    AO, C. ABBATE – R. PARKER, Analyzing Opera. Verdi and Wagner, Barkeley-Los Angeles-London 1989.

    AV, M. MILA, L’arte di Verdi, Torino 1980. C1, Atti del I Congresso cit.

    C2, Atti del II Congresso cit.

    C3, Atti del III Congresso cit.

    DM, L. BIANCONI (a cura di), La drammaturgia musicale, Bologna 1986.

    DO, F. NOSKE, The signifier and the signified. Studies in the operas of Mozart and Verdi, Den Haag 1977 (Dentro l’opera, Venezia 1990).

    LLA, R. PARKER, Leonora’s last act. Essays in verdian discourse, Princeton 1997.

    MA, «Music Analysis».

    MI, L. BALDACCI, La musica in italiano. Libretti d’opera dell’Ottocento, Milano 1997.

    MIO, AA.VV., Il melodramma italiano dell’Ottocento,Torino 1977.

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    PI, E DEGRADA, Il palazzo incantato, Fiesole 1979.

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    M. CONATI, Bibliografia verdiana (1987-88), in SV, 1988-89.

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    ID., Bibliografia verdiana (1991-92), in SV, 1992.

    ID.. Bibliografia verdiana (1992-93), in SV, 1993.

    M. CONATI – M. DI GREGORIO CASATI, Bibliografia verdiana (1993-95), in SV, 1994-95.

    ID., Bibliografia verdiana (1996), in SV, 1996.

    ID.. Bibliografia verdiana (1997), in SV, 1997.

    M. MARICA, Bibliografia verdiana (1998), in SV, 1998.

    ID., Bibliografia verdiana (1999), in SV, 1999.

    ICONOGRAFIA

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    R. PETZOLD, G.Verdi 1813-1901: sein Leben in Bildern, Leipzig 1961.

    M.T. MURARO, Le scenografie delle cinque «prime assolute» di Verdi alla Fenice, in C1, 1969.

    W.WEAVER, A Documentary Study, London 1977 (Verdi. Immagini e documenti, Firenze 1980).

    G. MARCHESI, Sono i posti di Verdi, foto di A. Ceresa, Parma 1983.

    AA.VV., Con Verdi a Casa Barezzi, Busseto 1985.

    M. VIALE FERRERO, Verdi e le prime «disposizioni sceniche», Giuseppe Bertoja, scenografo veneziano (e non), Ancora su Verdi, in SOI5, 1988.

    R. COHEN – M. CONATI, Un élément inexploré de la mise en scène du XIX siècle: les figurini italiens des opéras de Verdi (état de la question), in O&L1, 1990.

    AA.VV., Album per un maestro, Firenze 1991.

    O. JESURUM, Le prime opere di Verdi nella interpretazione scenografica di Romolo Liverani, in SV, 1996.

    P. PETROBELLI – F. DELLA SETA, La realizzazione scenica dello spettacolo verdiano. Atti del congresso internazionale di studi, Parma 28-30 settembre 1994, Parma 1996 (scritti di P. Petrobelli, M.Viale Ferrero, P. Ross, M. Engelhardt, N. Metelista e H. Fedosova, M.T. Muraro, M. Pigozzi, O. Jesurum, N.Wild, G. De Van, E. Sala, G. Agosti e P. Ciapparelli, M. Capra, M. Conati, M. Smith, H.-J. Lederer).

    EPISTOLARIO

    I. PIZZI, Ricordi verdiani inediti, Torino 1901.

    A. PASCOLATO, Re Lear e Ballo in maschera: lettere di G.Verdi ad Antonio Somma, Città di Castello 1901.

    G. CESARI – A. LUZIO, I copialettere di G.Verdi, Milano 1913, Bologna 1979.

    J.C.PROD’HOMME, Unpublished letters from Verdi to Camille du Locle, in «The musical quarterly», 1921.

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    A. DAMERINI, Sei lettere inedite di Verdi a G.C. Ferrarini, in «Il pianoforte», 1926.

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