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Tutte le avventure di Arsenio Lupin
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E-book5.208 pagine72 ore

Tutte le avventure di Arsenio Lupin

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Info su questo ebook

A cura di Gabriel-Aldo Bertozzi
Edizioni integrali

Nel 1905 l’editore Pierre Lafitte, colpito dal successo del celebre detective inglese Sherlock Holmes, chiese all’amico scrittore Leblanc di creare un personaggio francese da contrapporgli. Così, con il racconto L’arresto di Arsène Lupin, subito dopo inserito con altri in volume, iniziò il ciclo. Nello stesso periodo si parlò molto in Francia delle avventure del celebre anarchico Alexandre Marius Jacob, che rubava ai ricchi e donava ai poveri, al quale pare si sia ispirato Leblanc.
Che sorta di “ladro” è Arsène Lupin? “Ladro gentiluomo” è la definizione, coniata dall’autore stesso, dell’affascinante e irraggiungibile Lupin, amato dalle donne, ammirato dagli uomini, idolatrato dai giovani. Tale definizione, già presente nel titolo del primo volume del ciclo, Arsène Lupin, gentleman cambrioleur, divenne presto molto popolare e segnò la nascita di un mito cui il suo creatore dedicò la produzione raccolta in questo volume.
L’affascinante Arsène è anche conosciuto come “il Robin Hood della Belle Époque”, e l’abbinamento è legittimo, tranne che per un particolare: Lupin non ha armi se non la propria intelligenza, perspicacia, intuizione. Perfino i rappresentanti della giustizia, che pure non vedono l’ora di catturarlo, sono fermamente convinti che un delitto non potrebbe mai essere opera sua.
Si traveste continuamente e interpreta con maestria moltissimi personaggi, emulando in questo il suo grande ispiratore londinese; tra le sue più riuscite interpretazioni c’è quella del detective, con la quale conduce il lettore nel territorio della legalità per poi riserbargli, ovviamente, un finale a sorpresa.
Con l’espandersi del mito, Lupin ha dato vita, senza soluzione di continuità, oltre che a un’ampia serie di saggi, alle più varie forme di rappresentazione: cinema, serie TV e radiofoniche, composizioni musicali, fumetti e perfino gadget.


Maurice Leblanc
nacque in Normandia, a Rouen, l’11 novembre 1864, secondogenito di un italiano, naturalizzato francese col nome di Émile Leblanc. Trasferitosi a Parigi, frequentò l’intellighenzia del tempo: Maurice Maeterlinck, che si unirà sentimentalmente con la sorella Georgette, il conterraneo Alphonse Allais, l’autore del manifesto simbolista Jean Moréas, il parnassiano Leconte de Lisle e il diabolico Maurice Rollinat. Ma gli autori cui egli teneva di più furono Flaubert, di Rouen come lui, e Maupassant, che ritenne suo maestro e dal quale fu sostenuto. Nel 1905, spinto dall’amico editore Pierre Lafitte, pubblicò senza alcuna convinzione L’arresto di Arsène Lupin. Il successo immediato lo portò a continuare le avventure dello straordinario ladro gentiluomo, divenuto celeberrimo, con una incessante, felicissima produzione che durò fino al 1941, anno della sua morte. La sua casa nella splendida località di Étretat (Senna Marittima, sulla Manica), luogo privilegiato per le avventure del suo eroe, è oggi divenuta il museo Le Clos Arsène Lupin.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854151642
Tutte le avventure di Arsenio Lupin
Autore

Maurice Leblanc

Maurice Leblanc (1864-1941) was a French novelist and short story writer. Born and raised in Rouen, Normandy, Leblanc attended law school before dropping out to pursue a writing career in Paris. There, he made a name for himself as a leading author of crime fiction, publishing critically acclaimed stories and novels with moderate commercial success. On July 15th, 1905, Leblanc published a story in Je sais tout, a popular French magazine, featuring Arsène Lupin, gentleman thief. The character, inspired by Sir Arthur Conan Doyle’s Sherlock Holmes stories, brought Leblanc both fame and fortune, featuring in 21 novels and short story collections and defining his career as one of the bestselling authors of the twentieth century. Appointed to the Légion d'Honneur, France’s highest order of merit, Leblanc and his works remain cultural touchstones for generations of devoted readers. His stories have inspired numerous adaptations, including Lupin, a smash-hit 2021 television series.

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    Anteprima del libro

    Tutte le avventure di Arsenio Lupin - Maurice Leblanc

    394

    Prima edizione ebook: gennaio 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-541-5164-2

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Maurice Leblanc

    Tutte le avventure

    di Arsenio Lupin

    A cura di Gabriel-Aldo Bertozzi

    Edizioni integrali

    La casa di Maurice Leblanc a Étretat, in Normandia, oggi divenuta il museo Le Clos Arsène Lupin (© Gabriel-Aldo Bertozzi, 2012).

    Arsène Lupin o il mito del ladro con monocolo e marsina

    Ladro gentiluomo è la definizione di Arsène Lupin, dell’affascinante e irraggiungibile Lupin, amato dalle donne, ammirato dagli uomini, idolatrato dai giovani. Il binomio, coniato dallo stesso autore, Maurice Leblanc, nel titolo del volume Arsène Lupin, ladro gentiluomo¹, sarà in seguito accolto e ripetuto da tutti.

    Se per il gentiluomo non può esservi che il più ampio tributo di consensi, come mai anche il ladro suscita entusiasmi? Sono sentimenti malsani? Agiscono contro la morale? Il successo sarebbe comunque così grande? Come si risolve questa dicotomia tra bene e male?

    Dapprima occorre quindi precisare quale sorta di ladro sia Arsène Lupin. Chiamato pure il Robin Hood della Belle Époque, la comparazione è legittima, ma non esaustiva: Lupin non ha armi se non la propria intelligenza, perspicacia, intuizione. Più astuto di Ulisse, le sue mani non si macchiano mai di sangue e perfino i difensori, i rappresentanti della giustizia, che pur vagheggiano la sua cattura, sono fermamente convinti che un delitto non potrebbe mai essere opera di Lupin.

    Già questo suscita il favore del pubblico, ma resta appunto la componente del furto, se di ladro si tratta. In realtà, è un singolare outlaw che giunge a impossessarsi di ingenti somme di danaro o di oggetti preziosi, togliendoli ai ricchi, o meglio ai mal arricchiti, dopo aver compiuto un atto di giustizia verso le vittime di turno, pure queste ampiamente risarcite. Sarebbe dunque un fuorilegge filantropico!

    Nelle sue innumerevoli interpretazioni e travestimenti² si presenta spesso, tra l’altro, nel ruolo del detective, conducendo il lettore nell’ambito della legalità per poi regalargli, ovviamente, un finale a sorpresa.

    Per esemplificare, ricordo il volume L’Agenzia Barnett & C., insieme di otto capitoli che costituiscono otto racconti. Qui, Lupin/Barnett ricopre appunto il ruolo di un detective privato cui il commissario Béchoux ricorre per risolvere casi difficili. La sede dell’agenzia è indicata dalla seguente iscrizione:

    AGENZIA BARNETT & C.

    Aperta dalle due alle tre.

    Informazioni gratuite.

    E gratuiti rimanevano, parola di Lupin, i casi risolti, ma alla fine lui trovava il modo di autoricompensarsi.

    Per usare le stesse parole di Leblanc: «perché si paga da solo per i servizi che offre ai clienti»³ (nel caso, si parlerebbe dunque di un’autofilantropia del tutto speciale!).

    Sempre con danaro od oggetti preziosi? No, a volte gli bastava che l’avventura gli portasse tra le braccia una bella donna. Come quando si ripagò partendo per un dolce viaggio con l’ex-moglie di Béchoux, dopo aver posto sull’ingresso dell’agenzia il cartello:

    Chiuso a causa di flirt. Riapertura dopo la luna di miele.

    Questa avventura, narrata in L’Agenzia Barnett & C., viene ricordata pure in Lo smeraldo a cabochon:

    Ecco, questo mi ricorda quello che mi hanno raccontato, e cioè che una volta, non avendo raccolto niente, rubò la moglie al suo debitore e fece una crociera con lei. Che piacevole modo di ricompensarsi, Olga, e che corrisponde bene al profilo e al carattere dell’uomo che ci hai mostrato!

    Qualcosa di analogo avviene nell’intricatissimo giallo Victor, della Brigade mondaine su cui non posso soffermarmi per non svelare al lettore l’epilogo dell’avventura.

    Ma i travestimenti, i ruoli sono talmente tanti nel ciclo Lupin, creato da Leblanc in trentasei anni di attività intensa, che un’immagine del personaggio non può essere che approssimativa, tuttavia credo che gli esempi forniti siano sufficienti per indicare quale sia l’etica Lupin.

    A latere resta l’attrazione per quelle forme che Apollinaire chiamava malsane e che si riscontrano in Baudelaire o meglio quelle che in letteratura francese sono note soprattutto attraverso il trio maledetto Baudelaire/Verlaine/Rimbaud. Non hanno in sostanza a che fare con Lupin, ma sono comunque insidiose.

    La letteratura e il male non è certo quella che in modo dilettantesco e con esempi poco significativi e soprattutto limitati ci presentò Georges Bataille. Coglie invece nel segno Walter Benjamin quando afferma che l’uomo è più libero nel male, portando gli esempi letterari di Dostoevskij e Lautréamont, cui fa seguire le teorie del Surrealismo. Perché il maggior ingegno l’uomo lo riserva, a torto, per le azioni condannabili e non per le opere morali ed edificanti.

    Comunque sia, vi sono azioni legate alla natura umana che una civiltà può contribuire a ridurre anche enormemente, ma mai a estirpare del tutto. Fra queste il furto. Nonostante siano colpe, e come tali condannabili, per talune, condotte ad arte, resta e sempre resterà il fascino esercitato dai loro autori, tratti da una realtà quasi sempre romanzata o dalla letteratura, fin dai tempi più remoti, perfino nelle religioni che precedono il mito: Ermes, per esempio, era un truffatore e un ladro. E, come sopra ho accennato, Ulisse non fu forse, come Lupin, psicologo e ladro senza esserlo, quando riuscì a rubare con l’inganno le armi di Achille che spettavano ad Aiace? E se giungiamo a tempi più recenti e sostituiamo cortese con gentiluomo non troviamo forse il romagnolo Passator Cortese, cantato perfino dal Pascoli?

    Le esemplificazioni potrebbero procedere, ma è sufficiente ricordare che il cinema propone ogni giorno tali personaggi destinati a tener desta l’attenzione dello spettatore. In più – il rincaro è alto – Lupin, come abbiamo visto, ricopre spesso il ruolo del detective invadendo, secondo il suo stile, l’area dei polars, dai classici Sherlock Holmes, Hercule Poirot ai recenti miti nazionali e soprattutto d’importazione. E se Indiana Jones giunge a rubare per impossessarsi di documenti che lo condurranno a trovare un tesoro, così pure Lupin è capace di simili avventure.

    Ma per tutti questi personaggi, associabili e nello stesso tempo ben distinguibili per i loro tratti personali, per le notevoli capacità creative degli autori, occorre una copertura etica oserei dire perfino ideologica, che tranquillizzi le buone coscienze.

    Lo stesso Leblanc cercò di spiegare la creazione di Lupin:

    Ho dovuto fare d’Arsène Lupin un doppio protagonista, un uomo che sia al tempo stesso un bandito e un ragazzo simpatico (perché non si può avere come protagonista di un romanzo qualcuno che non sia simpatico). Bisognava dunque aggiungere alla mia narrazione un elemento umano per far accettare i suoi furti come cose facilmente perdonabili, addirittura naturali. Innanzitutto, lui ruba molto più per il piacere che per l’avidità. Poi, non spoglia mai le persone simpatiche. Si mostra perfino talvolta molto generoso.

    Alla fine, le sue prodezze disoneste sono spesso spiegate in parte da impulsi sentimentali che gli danno l’occasione di far prova di bravura, di devozione e di spirito cavalleresco⁵.

    Il ladro, il truffatore dunque non deve compiere le sue avventurose imprese per bassi fini, per tornaconti meschini, anzi, talvolta, ribaltando l’azione truffaldina in atto di generosità, toglie ai cattivi ed elargisce ai buoni, che sarebbero i bisognosi o, più spesso, coloro che hanno subito un grave torto.

    Insomma, Lupin ristabilisce un equilibrio. La maggior parte delle volte inoltre, l’enjeu, lo scopo, non è il danaro, l’oro, i gioielli, ma il successo dell’impresa. Questo è da considerarsi il vero tesoro da raggiungere al termine dell’avventura. E agisce pure come una sorta di catarsi che monda dall’illecito.

    Insomma, ci deve essere una morale, un’eleganza, una geniale disinvoltura. E l’eleganza non manca a Lupin! Eccolo, sembrerebbe la figura smagliante di luce nera del conte di Lautréamont, se questi non fosse cruento e non turbasse gli animi buoni.

    Così lo presenta il suo storiografo fin dall’inizio:

    Il suo ritratto? Come potrei farlo? Venti volte ho visto Arsène Lupin, e venti volte è apparsa davanti a me una persona diversa o, piuttosto, la stessa persona di cui venti specchi mi avrebbero rinviato altrettante immagini deformate [...].

    «Io stesso», mi disse, «non so più bene chi io sia. In uno specchio non mi riconosco più». [...]

    E precisa, con una punta d’orgoglio:

    «Tanto meglio se non si può mai dire in tutta certezza: Ecco Arsène Lupin. L’essenziale è che si dica senza timore di sbagliare: Arsène Lupin ha fatto questo»⁶.

    Affidiamolo allora a uno stilista mondano e presentiamolo innanzitutto come un grande dandy della Belle Époque, di volta in volta ladro e inquisitore, giovane, bello, adorato dalle donne quasi quanto il contemporaneo Rodolfo Valentino, audace, ottimista, impertinente, beffardo, carismatico, geniale, calcolatore.

    Per fare un esempio, ricordo che in Lo smeraldo a cabochon non solo fa in modo che una seducente principessa ritrovi il proprio preziosissimo anello di smeraldo, che credeva di aver perso, ma, sensibile al fascino femminile, le fa pure recapitare uno stupendo cesto di fiori.

    Aggiungerò ora altre chiavi di accesso per entrare nell’universo lupiniano. La Normandia innanzitutto, poi il tempo che è principalmente quello della Belle Époque, ma, senza soluzione di continuità, anche degli Anni Folli, quindi la psicologia, l’intuizione, il calcolo geniale. Inoltre, con la difficoltà di procedere con ordine d’importanza, la raffinatezza, la distinzione, la disinvoltura, l’eleganza di modi e d’aspetto; il trasformismo. Un insieme governato dalla tecnica narrativa di Leblanc con risultati di valore letterario.

    La Normandia è la regione natale di Leblanc e di questa terra sono i miti letterari di cui si nutre: Flaubert, di Rouen come lui, Maupassant, che ritenne suo maestro e dal quale fu sostenuto. La sorella Georgette scriverà infatti: «Frequentava i grandi uomini della capitale. Maupassant lo proteggeva». Fu in quelle alte terre bagnate da fiumi e oceano che cominciò a scrivere, fu a Étretat che, raggiunto il successo, acquistò la bella casa dove soggiornò alternativamente con Parigi, oggi divenuta museo Maurice Leblanc, col nome di Le Clos Lupin. È in questo Pays de Caux che si svolgono molte delle avventure del celebre ladro.

    Étretat merita una nota del tutto particolare. Innanzitutto occorre dire che è una delle località più suggestive e piacevoli di Francia. Anche Maupassant vi soggiornò e Le Clos Lupin si trova proprio al numero 15 di rue Guy de Maupassant. Oggi è indicata pure come l’ultima località a nord della Route des maisons d’écrivains (Strada delle case degli scrittori) che partendo dall’Île-de-France, quasi costeggiando la Senna, giunge appunto nella Seine-Maritime, dipartimento della Haute-Normandie, e precisamente nel Pays de Caux. Per ricordare alcuni nomi di illustri abitanti delle dimore vicino a Rouen, ricordo, oltre Leblanc, Flaubert e Maupassant, anche Hugo, Corneille e Michelet.

    Se si visita il sito www.arsene-lupin.com, si può leggere nel benvenuto della nipote Florence Boespflug-Leblanc: «Mio nonno ha abitato questa casa per circa 20 anni. È qui che ha scritto la maggior parte delle opere su Arsène Lupin». Poi prosegue:

    Questa dimora ha avuto un posto essenziale nell’opera di mio nonno, nella sua vita e in quella della nostra famiglia. Maurice Leblanc l’ha comprata nel 1918 e l’ha immediatamente ribattezzata Clos Lupin [Recinto Lupin]. Ha scritto la sua opera ispirandosi ai recessi della casa, ai suoi innumerevoli locali e porte nascoste per dipingere le avventure e le peripezie del suo protagonista. D’altronde, non si sa se sia stato Maurice Leblanc o Arsène Lupin a vivere di più in questa casa, entrambi sicuramente!

    A Étretat troviamo pure la famosa Aiguille, un bianco faraglione a punta che esce dalle acque marine. Definita «punto nodale del mito di Arsène Lupin», si trova proprio accanto alla Falaise d’Arval, un arco sul mare, sporgenza estrema della costa con alte pareti rocciose, luogo d’eccezione che ritroviamo in opere pittoriche di Delacroix, di Courbet, e in pagine di Flaubert e Maupassant. Ma è con Leblanc che l’elemento paesaggistico si volge al mito per averlo inserito in uno dei suoi più celebri e riusciti romanzi, Il faraglione cavo.

    A Étretat, lungo la costa, vi sono altre falesie incavate, ad arco sul mare, quali la Falaise d’Amont e la Monneporte che offrono una vista del paesaggio del tutto singolare, ma l’unico scoglio che invece non si offre creux alla vista, cioè forato o vuoto, cavo all’interno, come ha voluto Leblanc è proprio l’Aiguille. Lupin avrebbe nascosto lì immense ricchezze, tesori dei potenti della storia, da Cesare a Carlo Magno, fino a Luigi xiv.

    Così viene descritto in Il faraglione cavo:

    [...] quasi all’altezza della falesia, in pieno mare, si ergeva una roccia enorme, alta più di ottanta metri, obelisco colossale, saldo sulla sua larga base granitica, che si scorgeva a fior d’acqua per assottigliarsi poi fino alla cima, come il dente gigantesco di un mostro marino. Bianco come la falesia, di un bianco-grigio e sporco, lo spaventoso monolito era striato da linee orizzontali di selce, dove si scorgeva il lungo lavoro dei secoli per l’accumulo degli strati, gli uni sugli altri, di calcare e di pietra ¹⁰.

    Del Pays de Caux, regione della Normandia nella Senna Marittima, Raoul d’Avegnac, alias Arsène Lupin, ne parla in questo modo: «L’estuario della Senna, le pays de Caux! Tutta la mia vita è là», indice di una forte componente autobiografica di Leblanc. Altri luoghi della Normandia vanno ricordati, segnatamente la badia di Jumièges dove il giovane Maurice andava frequentemente a trovare gli zii materni, Charles ed Ernestine Brohy. Dalla loro casa di mattoni rossi, poteva contemplare l’ansa della Senna e le rovine della badia che si trova proprio di fronte, dall’altro lato della strada. Questo luogo è al centro del mistero de La contessa di Cagliostro¹¹. In una grande lapide infatti, posta sulla facciata che volge alla badia, si legge:

    MAURICE LEBLANC

    1864-1941

    abitò questa casa durante i suoi

    soggiorni a Jumièges che gli ispirarono

    LA COMTESSE DE CAGLIOSTRO

    «Tutta la bellezza della natura che si

    confonde con le rovine, e del passato che

    si allaccia al presente, mi fu rivelata.»

    Associazione degli amici d’Arsène Lupin

    Quest’ultima frase virgolettata («Tutta la bellezza [...]») è tratta da uno scritto di Leblanc pubblicato in «Les Artistes Normands»¹² che così continuava:

    Ognuno di noi ha nella vita un certo numero di visioni che comandano tutte le nostre emozioni estetiche. Da parte mia non ho, nella mia più profonda sensibilità, un’immagine più splendida e imperiosa di quella delle rovine di Jumièges.

    Ricordo inoltre il castello di Tancarville, pure questo lungo la Senna ormai vicina al suo vasto estuario sulla Manica, luogo di convegno di Lupin e della sua banda.

    E aggiungo infine Saint-Wandrille, nel Pays de Caux, dove Leblanc passò diverse estati con la sorella Georgette e Maurice Maeterlink, ricordato con Jumièges in apertura del racconto Arsène Lupin in prigione e tre volte in La contessa di Cagliostro. Immersa nel verde è questa una piccolissima località, nobilitata da una notevole abbazia benedettina e, oggi, vicina al grande Pont de Normandie che attraversa la Senna.

    Se questi luoghi furono sempre nel suo cuore e li ricordò nei suoi scritti, va precisato che ebbe pure un rapporto stretto con Parigi dove, fin da giovanissimo, volle andare per frequentare gli ambienti letterari della capitale. Una targa commemorativa posta in uno stabile del 16° arrondissement ricorda: «Qui visse durante quindici anni alla fine del xix secolo Maurice Leblanc, Storiografo di Arsène Lupin, Ladro Gentiluomo». Da sempre poi vi lavorò a contatto con scrittori, editori, giornali, riviste. D’altronde Lupin, come abbiamo già accennato, è una creatura della Parigi della Belle Époque.

    Alla ribalta di quel periodo occorre mettere la ricerca del lusso, della vita mondana. Anche gli splendori del Titanic, interrotti tragicamente dall’affondamento, oggi illustrati ed esaltati da cinema e riviste, erano di quegli anni (1912). Nel retroscena, grandi miserie le cui ombre sparivano alla luce della buona società immersa nel consumo, nell’euforia e nella frivolezza.

    In quel periodo, che va dalla fine dell’Ottocento alla Grande Guerra, tra futilità, champagne, salotti, boudoirs, esotismo, passeggiate a piedi o in carrozza, che diventavano sfilate di moda, si svolsero a Parigi eventi di enorme rilevanza, non solo nel mondo della letteratura e dell’arte, ma pure della scienza. Si assistette alla nascita e all’evolversi dei grandi movimenti o delle grandi correnti che annunziarono e caratterizzarono il Novecento: dagli epigoni naturalisti e simbolisti all’Impressionismo, Art Nouveau, Astrattismo, Cubismo, Futurismo. Sembrava che tutti i protagonisti del secolo vi si fossero dati appuntamento: Maurice Maeterlinck, Amedeo Modigliani, Ardengo Soffici, Pablo Picasso, Filippo Tommaso Marinetti, Guillaume Apollinaire, Blaise Cendrars, Max Jacob e tanti altri ancora occorrerebbe aggiungere per completare un elenco prestigioso. Per la tecnologia basterebbe ricordare la radio, l’automobile, l’aeroplano, il cinema, la radioattività.

    Quando iniziò il nuovo secolo, Parigi volle celebrarlo con l’Esposizione Universale, un’incredibile mostra nella quale venivano esposte tutte le innovazioni più recenti. E all’inizio del Novecento appare pure, con successo, Arsène Lupin di Leblanc. Il ladro gentiluomo approfitta pienamente dei progressi tecnologici del proprio tempo. Scopre le gioie della velocità, del telegrafo, del disco. È l’immagine romanzata del francese di quel periodo esuberante e inventivo.

    Chi avrebbe potuto immaginare allora l’immensa tragedia della Grande Guerra? Leblanc così adeguò discretamente il suo eroe alla nuova situazione. Lupin diventa allora un patriota esaltato e si arruola nell’aviazione. Pubblica dodici Racconti eroici¹³ in «Le Journal» e il romanzo patriottico La scheggia d’obice, mentre nello stesso anno (1915) in Il triangolo d’oro evoca sì la Parigi del 1915, ma solo nell’ultima parte del libro.

    Nel romanzo La scheggia d’obice aveva offerto una pagina davvero forte e ispirata dall’orgoglio di essere francese e dal profondo disprezzo per il nemico:

    Paul, mi diceva [mio padre], non ho dubbi che un giorno o l’altro ti troverai di fronte allo stesso nemico che io ho combattuto. Fin da ora, e malgrado tutte le belle frasi rassicuranti che potrai sentire, detestalo con tutto il tuo odio, questo nemico. Qualsiasi cosa si dica, è un barbaro, un bruto orgoglioso, un sanguigno predatore. Ci ha vinti una prima volta, non smetterà finché non ci avrà sconfitti ancora e definitivamente. Quel giorno, Paul, ricordati ognuna delle tappe che stiamo percorrendo insieme. Quelle che seguirai saranno tappe di vittoria, ne sono certo. Ma di queste non dimenticare per un solo istante i nomi, Paul, e che la tua gioia di trionfatore non cancelli mai quei nomi di dolore e umiliazione che sono: Frœschwiller, Mars-la-Tour, Saint-Privat e tanti altri! Non dimenticarlo mai, Paul... ¹⁴.

    Questi ultimi nomi sono, per la storia, celebri località di confine tra Francia e Germania. E si pensi che Leblanc assisterà pure al conflitto franco-tedesco della seconda guerra mondiale.

    Nel dopoguerra, negli Anni Folli, i cui protagonisti delle lettere e delle arti non furono certo da meno, specie con l’avvento del Surrealismo, il personaggio Lupin ritorna sostanzialmente a essere il ladro disinvolto e l’avventuriero mondano conosciuto nella Parigi della Belle Époque.

    Se il successo immediato del personaggio Lupin si deve all’inventiva, alla penna di Leblanc, questi tuttavia deve molto all’editore Pierre Lafitte, suo amico, il quale capì bene cosa volesse leggere il gran pubblico.

    Leblanc, al contrario, senza Lafitte avrebbe inseguito le sue chimere letterarie di tutt’altra impostazione. Scrisse:

    Mi ero allora rinchiuso in un ambito di romanzi di costume e di avventure sentimentali che mi avevano procurato qualche successo, e collaboravo in modo costante al «Gil Blas».

    Un giorno, Pierre Lafitte, col quale ero molto legato, mi domandò un racconto di avventure per il primo numero di «Je sais tout» che stava per lanciare. Non avevo ancora scritto niente del genere, e mi preoccupava molto provarci¹⁵.

    Questa sua reticenza pare fosse proprio convinta, infatti nonostante il primo inatteso successo di Lupin, dirà:

    Tuttavia, quando Lafitte mi domandò di continuare, rifiutai: in quel momento, i romanzi di mistero e polizieschi erano molto mal classificati in Francia¹⁶.

    Valutazione veramente errata, Leblanc in teoria non aveva colto il colore del tempo. Si pensi, per esempio, che poco dopo (1907) Gaston Leroux diede vita con successo a un altro eroe della stessa vena, Joseph Josephin, soprannominato Rouletabille¹⁷ a causa della forma piccola e rotonda della sua testa (se, in francese, dividiamo il soprannome Rouletabille, otteniamo: roule ta bille, alla lettera in italiano rotola la tua biglia) e nel 1910 proprio Lafitte pubblica dello stesso autore Il Fantasma dell’Opera¹⁸ confermando il consenso di un gran pubblico di lettori. Non solo, ma nel 1909, Pierre Souvestre e Marcel Allain, per mettersi in concorrenza con Lupin, creano, con grande trionfo, Fantômas, il bandito mascherato.

    Anche gli intellettuali, gli scrittori, i poeti, i protagonisti dell’avanguardia soprattutto contribuirono all’affermazione di Rouletabille e di Fantômas. Rouletabille ispirerà i surrealisti, Fantômas raggiungerà i vertici della gloria: Blaise Cendrars scrisse sulla rivista d’Apollinaire, «Les Soirée de Paris» («Le Serate di Parigi»): «Fantômas è l’Eneide dei tempi moderni» e Apollinaire, Max Jacob, Jean Cocteau e Robert Desnos seguito dai compagni surrealisti, si unirono al coro plaudente. Gloria che Umberto Eco sembra sottovalutare in termini reazionari, facendo di Fantômas solo un «assassino impunito, sadico e spietato»¹⁹.

    Oggi si assiste però a un’inversione di gusto. Anche le punte più avanzate dell’avanguardia, e non solo loro, si rivolgono a Lupin e non a Fantômas²⁰, ciò che permetterebbe di dire: «Lupin è l’Odissea del mondo contemporaneo!».

    Così, Arsène giunge a creare l’effetto dell’ossimoro nell’unire da una parte lo spirito d’avanguardia, dall’altra il gusto del retro. Ma l’avanguardia è capace di simili exploits; si pensi a Picabia in area dadaista e a Dalí in quella surrealista.

    Nel 1905, dunque, Lafitte pubblicò, sul suo periodico mensile «Je sais tout» («So tutto»), la prima avventura del ladro gentiluomo. Era un editore giovane, emergente, brillante, appassionato di bicicletta come Leblanc²¹. Colpito dal successo del celebre detective inglese, Sherlock Holmes, chiese all’amico scrittore di creare un personaggio francese da contrapporgli. Con il racconto L’arresto d’Arsène Lupin²² iniziò così il ciclo. L’entusiasmo del pubblico confermò la validità della scelta e Lafitte riuscì a convincere l’amico a proseguire, ma con qualche difficoltà, come s’è visto, poiché Leblanc avrebbe piuttosto voluto seguire gli esempi e la carriera di un Flaubert o di un Maupassant. Da quella data i lettori seguirono con assiduità le prodezze di Lupin pubblicate a puntate. Nel 1907, i nove primi racconti furono riuniti nel volume Arsène Lupin, ladro gentiluomo.

    Il merito del successo fu dovuto pure al fatto che l’autore non si perse nelle elucubrazioni più o meno acute del detective, ma puntò sulle avventure più intriganti, più divertenti del ladro. Inoltre l’inizio fu contrassegnato da una scelta piuttosto originale: al contrario degli scrittori che lo avevano preceduto, Leblanc fece iniziare le avventure con l’arresto del suo eroe, Lupin.

    Un personaggio sorprendente, elegante sì nell’immagine più nota, ma quando occorre riesce pure a diventare goffo e a usare la parlata di quartiere come in Il dente d’Hercule Petitgris²³:

    Era [questo Lupin travestito] un essere mingherlino e pietoso, di cui il viso triste, i capelli, i baffi, il naso, le guance magre, gli angoli della bocca cadevano malinconicamente. Le braccia scendevano con stanchezza lungo un soprabito verdastro che sembrava non stargli sulle spalle. Si esprimeva con voce desolata, non priva di ricercatezza, ma deformando talvolta certe sillabe, come la gente del popolo. Pronunciava «Signò minì [per Signor Ministro]... lu commè [per il suo commesso²⁴.

    Ci sarebbe da chiedersi come un giovane vigoroso, formatosi alle arti marziali, riuscisse ad apparire mingherlino e con le spalle strette, spioventi! Si capirebbe il contrario! Ma questo fu uno dei sistemi di Leblanc per sviare prima, sorprendere poi il lettore. Nel caso specifico però occorre dire che il racconto divenne lupiniano solo in un secondo momento, riadattando il finale e cambiando il titolo: Il soprabito di Lupin, così come appare in questa edizione Newton.

    Lupin è comunque un virtuoso dell’inganno, un cesellatore di astuzie, di trucchi inattesi, e il suo autore, così, riesce a stimolare l’attenzione del lettore che, talvolta, per diverse pagine, si chiede quando finalmente apparirà il suo eroe, mentre invece era già presente con identità diversa.

    Leblanc con vera arte riesce a stillare, carta dopo carta, come in una ipotetica partita di poker, le risposte canoniche al chi, cosa, quando, dove e perché, per mostrare infine al suo appassionato pubblico una scala reale. È la lingua, lo stile ovvero la tecnica narrativa di Leblanc, che lui stesso mette bene in evidenza al termine della sua carriera, nel romanzo I miliardi di Arsène Lupin. Qui vi si narra che il direttore di un periodico, dopo aver parlato di faccende e problemi molto personali con la sua collaboratrice, le dice:

    Supponiamo, per assurdo, che io, Mac Allermy, implicato in qualche losco affare, stanotte sia assassinato. Ebbene, se per caso lei fosse incaricata di raccontare questa notizia di cronaca nera, il racconto dovrebbe evidenziare il nostro colloquio e dargli un’impronta patetica, per far pregustare al lettore l’inevitabile epilogo. L’intensità della scrittura dovrebbe andare in crescendo fino all’ultima riga. Tutta l’arte del giornalista e del romanziere consiste nella preparazione del dramma, nella sua messa in scena, nell’indicazione delle prime peripezie, in qualcosa che catturi subito il lettore. Catturato da cosa? Non glielo so dire. È il segreto del talento. Se lei non possiede la vocazione segreta di carpire l’attenzione attraverso le parole, faccia vestiti o corsetti, ma non romanzi o articoli ²⁵.

    Vediamo pure come l’immaginario collettivo della Belle Époque vagheggia il personaggio. La raffigurazione canonica è proprio quella del geniale Léo Fontan (1884-1965), apparsa sulla copertina delle Avventure straordinarie d’Arsène Lupin: Il tappo di cristallo²⁶. Vi troviamo il ritratto di un uomo giovane, ma non giovanissimo, dall’aspetto molto virile e dai tratti del viso marcati (labbra, naso, occhi grandi, mascelle volitive). Porta un cappello a cilindro, un monocolo sull’occhio destro, una camicia bianca da sera con collo alto senza risvolti²⁷, gemelli rossi ai polsini, una cravatta a farfalla bianca, un fiore bianco all’occhiello di un abito nero che è facile immaginare sia una marsina²⁸.

    È la classica immagine del re di cuori della Belle Époque e degli Anni Folli.

    Pure in Italia, una canzone del periodo, intitolata appunto Re di cuori, così iniziava:

    Son io che con monocolo e marsina

    discendo tra la folla ultramondana [...]²⁹.

    Oggi, nelle varie canzoni a lui dedicate, il ritratto del personaggio viene confermato. Questa la prima parte di Gentleman cambrioleur (Ladro gentiluomo) cantata da Jacques Dutron:

    È il più grande dei ladri,

    Sì, ma è un gentiluomo,

    Si impossessa dei vostri valori,

    Senza minacciarvi con un’arma.

    Quando rapina una donna,

    Le fa portare fiori.

    Gentiluomo ladro

    È un gran signore³⁰.

    In un’altra canzone, Complainte d’Arsène Lupin (Cantilena d’Arsène Lupin), di Jean Marcland, così viene descritto:

    Con la sciarpa di seta bianca e il bastone d’avorio

    Con i guanti bianchi, il monocolo e il mantello di seta nera

    Manda in bestia gli agenti e fa piangere dolorosamente

    Molte signore [...].

    In alcune illustrazioni dello stesso autore, come quella riportata sulla copertina del primo volume, Arsène Lupin, ladro gentiluomo, lo vediamo infatti pure con un bastone da passeggio dal pomo d’avorio e guanti bianchi. Fontan non fu un illustratore qualsiasi (si pensi alla Faunesse! nuda, alla copertina de «La Vie Parisienne» del 13 febbraio 1916 e altre notevoli illustrazioni del tempo). Lafitte, che lo scelse, dimostrò grande intuito perché quelle immagini attrassero molto.

    Si capisce che se può piacere al lettore l’immagine classica di un detective con la lente, quella di un ladro con monocolo non riscuote certo meno successo ed è sicuramente più originale.

    Ecco una delle descrizioni per la quale occorre sottolineare gli aggettivi usati per gli occhi e per la gaiezza:

    Gli occhi freddi e beffardi, dietro un monocolo che metteva indifferentemente a destra o a sinistra, si animavano di una gaiezza giovanile³¹.

    L’uso del monocolo, inoltre, come quello del bastone da passeggio, passati di moda, aggiungono quella patina di raffinata eleganza che solo alcuni rari dandy³² recuperano dal colore del tempo passato. E comunque, se questi utensili del dandy sono desueti, a loro dispetto Lupin non invecchierà mai.

    Nel romanzo Victor, della Brigade mondaine, viene descritto giovane, elegante, fine, agile, distinto, affascinante.

    Traggo da Lo smeraldo a cabochon un paio di passi che aiuteranno ad arricchire la rappresentazione del personaggio. Nel primo, Lupin, sotto mentite spoglie, si presenta così:

    Permette che mi presenti? Barone d’Enneris, esploratore e, quando se ne dà l’occasione, detective dilettante. Il mio amico Barnett mi riconosce certe qualità d’intuizione e di chiaroveggenza, che mi diverto a coltivare.

    Il secondo passo è il seguito immediato della presentazione appena citata. È una principessa che racconta alle sue amiche l’incontro con Lupin:

    Questo fu detto con buona grazia e con un sorriso così seducente che mi sarebbe stato impossibile rifiutare la sua assistenza. Non era un detective che mi proponeva i suoi servizi, ma un uomo di mondo che si metteva a mia disposizione. E quell’impressione fu così forte in me che avendo acceso macchinalmente una sigaretta, secondo la mia abitudine, feci l’incredibile atto di offrirgliene una, dicendo:

    «Lei fuma?».

    Naturalmente, la fumatrice è una splendida principessa (descritta in precedenza come una donna misteriosa, dall’ardente bellezza, dai capelli biondi e dai dolci occhi blu) perché Lupin, sebbene eserciti il suo fascino anche sulle domestiche, sartine, fanciulle e signore borghesi, è attratto soprattutto da principesse, contesse, ricche dame della più alta società o in ogni caso da donne eccezionali, alcune delle quali, con uno sconfinamento nella fantastoria ³³, capaci pure di modificare gli eventi, come la contessa figlia del grande alchimista:

    Figlia di Cagliostro, la conosco. Giù la maschera! Napoleone i le dava del tu... Ha tradito Napoleone iii, servito Bismarck e fatto suicidare il bravo generale Boulanger! Fa il bagno nella fontana dell’eterna giovinezza. Ha cent’anni... e la amo³⁴.

    Rimanendo invece nella realtà, una realtà comunque dorata, la donna che dovette molto ispirare Leblanc fu proprio la sorella Georgette, celebrata pure da Mallarmé in «La Revue Blanche». I due furono molto legati. Fu lui a parlarle, per la prima volta, quando era ancora bambina³⁵, dell’uomo che divenne suo compagno per venti anni, Maurice Maeterlinck, drammaturgo, poeta, saggista belga di lingua francese, insignito del premio Nobel nel 1911, un maestro indiscusso nella sua epoca e di cui lei divenne celebre interprete teatrale non solo certamente per essere la sua compagna. Nelle memorie dimenticate di un italiano del tempo, così ci viene presentata:

    La rivedo in un pomeriggio quieto di giugno, nella solitudine imponente dell’antica abbazia³⁶ [...] aveva sugli indomabili capelli dorati un ampio cappello di paglia. Maurizio Maeterlinck ed io la seguivamo a una trentina di passi [...]. Guardavo la donna alta, agile, fine, che camminava dinanzi a me [...]. E ammiravo in lei qualcosa di indefinibile di imponderabile che non avrei saputo né potuto precisare. Era la sua bellezza o la sua grazia o il fascino violento di quel rosso ardente che si muoveva lento fra i tronchi arbusti? Maurizio Maeterlinck, come per una divinazione del mio stupore, mi disse:

    – Quella donna dovrebbe chiamarsi Armonia.

    Fu la rivelazione del mistero³⁷.

    La critica non ha omesso di notare, curioso caso oggettivo, che sia il fratello, sia il compagno si chiamavano Maurice. Personalmente, mi hanno più colpito, fra l’altro, le date molto ravvicinate della loro morte avvenuta nel 1941: Georgette il 28 ottobre³⁸ a Cannet, Maurice il 5 novembre a Perpignan.

    Sul piano dell’aspetto fisico, viene pure spontaneo chiedersi se si possa cogliere una certa rassomiglianza tra l’autore, Leblanc, e il suo personaggio, Lupin. Tenendo conto che per il secondo interviene necessariamente la stilizzazione di un mito e che quindi un notevole scarto debba essere considerato, si può senz’altro affermare che in una delle più note fotografie di Leblanc, del 1907, dunque proprio nei primissimi anni dell’invenzione Lupin, è dato cogliere una certa somiglianza tra i due. Soprattutto nell’eleganza, ma pure per i forti lineamenti del viso. In questa fotografia Leblanc porta un cappello di feltro a tesa larga, una camicia bianca con colletto tondo, sotto panciotto e giacca.

    La nipote, madame Florence Boespflug-Leblanc, così si esprime in merito: «Mio nonno si vestiva come un dandy con un collo duro e una cravatta a fiocco, ma era un uomo dolce, molto discreto e sognatore. Lupin era forse quello che avrebbe sognato di essere»³⁹.

    A parte, desidero invece aggiungere che in quel ritratto vediamo Leblanc con enormi baffi alla francese⁴⁰, come i suoi maestri Flaubert e Maupassant.

    Certo, con gli anni, si cambia e di Leblanc abbiamo in seguito immagini molto meno intriganti, specie quando lo vediamo senza cappello e molto stempiato.

    Ma è davvero esistito Arsène Lupin⁴¹? Paradossalmente direi che forse è più lecito chiedersi se sia mai esistito Maurice Leblanc! È impossibile ignorare il nome d’Arsène Lupin, mentre, obiettivamente, solo una cerchia ristretta di lettori o di studiosi, rivolta a settori specifici (segnatamente: romanzo poliziesco, romanzo d’avventure, letteratura francese moderna e contemporanea), conosce o si ricorda il nome del suo autore. François-George Maugarlone, filosofo e studioso di Sartre, di Lacan, di fenomenologia esistenziale, in un recente studio giustamente scrive e cita:

    La gloria del personaggio che ha creato non gli lascia che una notorietà minore e derivata, Maurice Leblanc si presenta a noi come un uomo cancellato – da quell’Arsène Lupin di cui diceva: «Io non sono altro che la sua ombra», e ancora: «Dal 1903, lui comanda e io ubbidisco, è lui che si siede alla mia scrivania»⁴².

    Per poi chiedersi:

    Nessuno dimentica che dietro Jean Valjean vi è Victor Hugo, dietro Don Chisciotte Cervantes, o dietro il duca di Guermantes Proust. Perché questa volta va in modo diverso? [...] Leblanc è il fondatore, l’apostolo e il primo martire della chiesa lupiniana⁴³.

    Osservazione interessante, ma un po’ troppo lacaniana, se si pensa che qualcosa di analogo, sia pure in misura diversa, è accaduto anche per Conan Doyle e Sherlock Holmes. Il grande pubblico, infatti, conosce il celebre detective e perfino il suo collaboratore Watson, più che l’autore. Diciamo dunque semplicemente (Leblanc scriverebbe: «Mais c’est l’enfance de l’art!», «Ma è una cosa elementare!») che quando si crea un eroe da leggenda, e ben ci si riesce, il risultato non può essere diverso ⁴⁴.

    Nel caso specifico voglio poi aggiungere che Maurice Leblanc ha indubbiamente indovinato il personaggio, ma la penna che ne descrive le avventure non sempre è all’altezza che meriterebbe Arsène Lupin!

    Soffermandoci ancora sul suo ritratto, occorre pur dire che Leblanc non descrive mai precisamente il suo volto: una pennellata qui, una là, secondo la necessità del ruolo interpretato nel caso specifico dal suo eroe.

    Sappiamo invece che è un esteta, un amante dell’arte, di oggetti preziosi. Nasconde nel faraglione cavo la Gioconda di Leonardo, quadri di Botticelli e di Rembrandt. Ogni suo furto è sia una sfida, sia un vero capolavoro di rapina. Si potrebbe dire quindi che possiede nel gusto alcuni tratti del Des Esseintes di Huysmans, se quest’ultimo non vivesse in una dimensione solitaria e di nevrosi. Al contrario, Lupin frequenta gli ambienti dell’aristocrazia per godere del lusso dell’alta società. Si profuma, e ogni venerdì si reca al bagno turco per mantenersi in forma. Conduce le sue conquiste al Ritz o al Danieli di Venezia.

    E quella sua repulsione per il delitto, la sua generosità cavalleresca suscitano, come dicevo, l’ammirazione dei lettori. I suoi mezzi, ripeto, sono lo spirito brillante, la battuta facile, la sicurezza, l’agilità. Duro comunque quando occorre esserlo, può giungere a soffrire come per la morte di Raymonde de Saint-Véron in Il faraglione cavo:

    Spettacolo pietoso! Beautrelet non ne avrebbe mai dimenticato l’orrore tragico, lui che conosceva tutto l’amore di Lupin per Raymonde, e tutto quello che il grande avventuriero aveva sacrificato per animare il viso della sua diletta con un sorriso⁴⁵.

    Il lettore delle straordinarie avventure di Lupin potrà stupirsi nell’apprendere che non mancano coloro, ingenui o esaltati, i quali credono che il ladro gentiluomo sia davvero esistito e che talvolta, mescolando la figura fisica con quella patafisica, abbiano pure cercato di dimostrarlo. Altro conto è invece considerare che Leblanc si sia ispirato alle avventure di un personaggio realmente esistito, l’anarchico militante Alexandre Marius Jacob (1879-1954). Costui finanziava i suoi programmi politici derubando i ricchi, svaligiando banche e chiese. La sua biografia è davvero eccezionale e si comprende facilmente come uno scrittore abbia potuto esserne colpito: imbarcato come mozzo a dodici anni, il marsigliese Jacob solca i mari, poi diserta e diventa pirata. Ritornato nella sua città natale, all’età di diciotto anni circa, inizia la sua militanza anarchica lavorando nello stesso tempo come operaio tipografo. Perseguitato dalla polizia, non potendo più lavorare, mette a segno imprese fruttuose che all’epoca divertirono la Francia: travestitosi lui da commissario e i suoi compagni da ispettori di polizia, si recarono da un agente del Monte di Pietà, prelevarono il bottino dopo averlo inventariato, poi, processato l’agente, lo portarono ammanettato al Palazzo di giustizia. Arrestato nel 1899, evase poco dopo. Fu capo della banda dei Travailleurs de la nuit (Lavoratori della notte). Abilissimo scassinatore di casseforti e serrature, questo Robin Hood metropolitano rubò unicamente ai ricchi consegnando una parte dei danari ai poveri. Firmò le sue imprese lasciando, come Lupin, un biglietto da visita (firmato «Attila»). Passò 19 anni della sua esistenza nel bagno penale delle Îles du Salut (Isole della Salvezza), facenti parte della municipalità della Caienna. «La sua forza di carattere è la ragione della sua resistenza», ha scritto un suo biografo ⁴⁶.

    Fu un ladro che, secondo le sue idee, lottò contro il furto che, nella visione anarchica, era quello operato dal capitalismo.

    Non abbandonò mai l’impegno ideologico anarchico e partecipò pure alla guerra di Spagna, tra i Republicanos ovviamente. Morì suicida.

    A Reuilly (Indre) dove Marius Jacob visse dal 1939 fino alla sua morte nel 1954 gli è stata dedicata una via: Impasse Marius Jacob, inoltre:

    Nel cimitero del comune, un’associazione per la salvaguardia e la manutenzione del patrimonio locale aveva fatto apporre, qualche anno fa, un pannello «Tomba d’Arsène Lupin». Poco tempo dopo scomparve, segno della volontà di qualcuno di non fare di Jacob una semplice attrazione turistica. Oggi una targa ha sostituito il detto pannello. «Qui riposa: Marius Alexandre Jacob forse Arsène Lupin»⁴⁷.

    Non tutti gli studiosi ritengono valida questa fonte d’ispirazione⁴⁸. Personalmente mi affido a questa semplice deduzione: Leblanc aveva assistito al processo di Marius Jacob nel 1905 (quello che gli procurò la condanna alla Caienna). E questa data è molto significativa perché segna la nascita di Lupin con la pubblicazione di L’arresto d’Arsène Lupin. Insomma, mi pare evidente la sua forte attrazione per l’anarchia, sicuramente sin dal 1886, quando frequentò a Rouen i futuri scrittori Henri Allais e Louis Faubert. Ritengo quindi molto pertinente la brillante definizione di Pierre Lazareff:

    [Lupin] non è un aristocratico che vive come un anarchico, ma un anarchico che vive come un aristocratico [...]⁴⁹.

    D’altronde, se pensiamo che la parola anarchia deriva dal greco ajnarciva che significa «contro il potere», da an- «senza» e ajrchv «comando», ci verrà spontaneo da considerare che tutto il ciclo Lupin è rivolto senza aggressività, ma con coerenza, contro ogni forma di potere.

    Contrari alla mia interpretazione, preceduti o seguiti da Florence Boesp­flug-Leblanc, non mancano, dicevo, coloro che non vedono il rapporto tra Arsène Lupin, gentlemen cambrioleur (ladro gentiluomo) e Alexandre Jacob, honnête cambrioleur (ladro onesto), nonostante le due definizioni⁵⁰ siano significative. Come la nipote Florence, si sostiene che nulla prova che Leblanc abbia assistito al processo Jacob. Pur se così fosse, cambierebbe qualcosa, visto che tutta la Francia si appassionò alla vicenda? Lo stesso ultimo esegeta di Jacob, Jean-Marc Delpech, non avvalora il rapporto, cadendo però in una lunga serie di contraddizioni. Scrive infatti:

    Il suo processo [era] ultra divulgato attraverso i media [...]⁵¹.

    E aggiunge:

    il cronista mondano Leblanc non può sfuggire, anche nell’atmosfera felpata dei salotti parigini, né al fantasma dell’ordine pubblico del suo tempo, né alla straordinaria copertura mediatica del processo Jacob. Possiamo anche avanzare l’idea che possedesse una conoscenza ultra specializzata dei diversi fatti [...]⁵².

    Altrove è ancora più preciso:

    Più di tremila soldati sono mobilitati per contenere una folla che si ammassa ai bordi del palazzo di giustizia di Amiens e per evitare lo scandalo che produrrebbe un’evasione molto ipotetica, un improbabile gesto spettacolare anarchico⁵³.

    È che ognuno dei due partiti, lupiniani⁵⁴ e anarchici, prende parola in modo del tutto partigiano, o, se si vuole, ortodosso. I primi non vogliono mescolarsi con uno che ha realmente svolto azioni criminose ed è stato condannato ai bagni della Caienna; i secondi vedono svilito l’impegno politico, la reale lotta contro il potere, la fame spesso sofferta nel perseguire un ideale. Ed entrambi, uscendo dal seminato, non arrivano a cogliere quella misura che non si trova nel mezzo, ma oscilla di volta in volta seguendo lo spirito altamente creativo di Leblanc.

    La cultura generale o generalizzata è forse il maggior pregio di Umberto Eco, ma nell’affrontare i testi di Leblanc, questa gli fa enormemente difetto. Non si pone certo i problemi appena accennati né dimostra di conoscere a fondo le problematiche della Belle Époque (es.: l’uso dei termini gentleman e cambrioleur in quel periodo). Il massmediologo, lì come altrove, pone in contrasto significante con significato. Ed esprime i soliti giudizi a effetto (quelli che suscitano l’ammirazione delle masse incolte), come quando paragona Lupin ad Andreotti⁵⁵. Da sapere pure che l’anarchico conobbe perfettamente l’esistenza del suo alter ego letterario, e ne apprezzò le avventure, sebbene da buon pragmatico, ne rifiutasse il confronto⁵⁶.

    Per il nome, si racconta invece che Leblanc si sia ispirato a un altro personaggio, meno interessante, un rappresentante di quell’inestinguibile specie di ladri oggi estremamente attiva: Arsène Lopin, un consigliere municipale di Parigi, noto per le sue sottrazioni di danaro pubblico. Ma quest’ultimo protestò, così fu apportata una leggera modifica al cognome.

    Meno convincente appare invece la scelta ispirata alla pianta del lupino, quella ricordata pure da Zola (altro importante autore/esempio per Leblanc) in La Faute de l’abbé Mouret: «lupini blu s’innalzavano in colonnine esili», anche se mi risulta che proprio il lupino blu attecchisce nell’Alta Normandia. Di questo avviso non sembra la nipote Florance Boespflug-Leblanc che ha scritto: «Per l’aneddoto, ho provato a piantare lupini qui [nel giardino del Clos Lupin a Étretat], ma non hanno attecchito»⁵⁷.

    Comunque sia, Maurice Leblanc amava la pianta di lupino, come rivela la seguente descrizione:

    Ma il suo sforzo è dedicato ai grandi fiori che fioriscono in estate. A luglio e ad agosto i due terzi del suo giardino, tutti gli orli del suo orticello ne sono colmi. Superbe piante ornamentali, diritte come aste di bandiere, portano orgogliosamente delle spighe incrociate tra loro, dai colori azzurro, violetto, rosa, bianco, e giustificano il nome che ha dato alla sua proprietà, il Chiostro dei lupini.

    Vi si trovano tutte le varietà del lupino: il lupino di Cruikshanks, il lupino odorante, e, l’ultimo comparso, il lupino di Lupin. Vi sono tutti, magnifici, stretti gli uni contro gli altri come soldati di un esercito, e sembra che ciascuno si sforzi di dominare e di offrire al sole la spiga più abbondante e più sfolgorante. Vi sono tutti, e sulla soglia del viale che conduce al loro campo multicolore, una banderuola reca un verso di un magnifico sonetto di José-Maria de Hérédia: «E nel mio orto freme il lupino» ⁵⁸.

    Per l’analisi delle sue opere, oltre a quanto già detto a proposito del romanzo I miliardi di Arsène Lupin⁵⁹, si può dire che queste vengono generalmente classificate come letteratura popolare⁶⁰, senza che l’aggettivo popolare diminuisca il valore di letteratura. D’altronde vi sono grandi capolavori della letteratura che così vengono definiti. L’esempio che fornisce lo stesso Leblanc è quello del Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes⁶¹. Ma, vista la varietà, altre classificazioni sono lecite, come romanzo poliziesco, romanzo di avventura, romanzo storico, romanzo fantastico (o fantasy), romanzo feuilleton, romanzo thriller e tanti altri generi e, talvolta, sottogeneri o filoni. Perfino romanzo pedagogico, con l’ultima opera ritrovata.

    Per l’autore, sempre spinto da ambizioni di scrittore, quello che portava un «romanzo d’avventure poliziesche» (così lui lo definisce) a livello di Letteratura (aggiungo la maiuscola) sono la trattazione di fatti contemporanei il cui enigma poggi su avvenimenti storici come nell’opera L’isola delle trenta bare. Insomma per raggiungere l’arte – come già fece Edgard Allan Poe⁶² – occorre che l’avventura poliziesca diventi pure misteriosa. E crei pathos.

    Anche la figura del narratore cambia da un’opera all’altra, ma spesso è lo stesso Lupin, facendo in modo però che il lettore lo scopra solo alla fine come nel racconto L’arresto d’Arsène Lupin⁶³.

    Tra finzione o diegesi e narrazione la scelta privilegiata di Leblanc cade sulla prima, ma pure qui i limiti sono incerti. Nella scelta del modo narrativo viene esclusa la mimesi ovvero quando la storia sembra raccontare se stessa. Il narratore infatti è, come si dice, omodiegetico.

    Esuberante è la ricchezza del dialogismo.

    Si può invece escludere l’attenzione della lingua nella mise en texte per le numerose ripetizioni, per l’uso talvolta arbitrario e contraddittorio dei tempi e dei modi, la sintassi delle frasi talvolta contorta, i numerosi puntini di sospensione, la punteggiatura troppo disinvolta (ciò che, tra l’altro, mette in crisi i traduttori). Però non si può dire che manchi di spontaneità, che il suo non sia uno style relâché. È chiaro comunque che alcuni romanzi articolano i differenti livelli in modo senz’altro originale.

    GABRIEL-ALDO BERTOZZI

    _____________________________________________________

    Tutte le traduzioni in italiano dal francese contenute in questo saggio sono del curatore, salvo diversa indicazione.

    ¹Arsène Lupin, gentleman cambrioleur, Éditions Pierre Lafitte, Paris 1907. L’opera riprende, con numerose varianti, i racconti precedenti tranne La Dame blonde. Leblanc infatti fece nascere il suo personaggio due anni prima, nel 1905. Sulla felice definizione Maurice Leblanc scrisse: «L’epigrafe Arsène Lupin, ladro gentiluomo mi è venuta in mente solo nel momento in cui ho voluto riunire in volume i primi racconti, e che per questi occorreva un titolo generale» (Qui est Arsène Lupin?, in «Le Petit Var», 11 novembre 1933). Umberto Eco avrebbe giustamente rilevato (ho usato il condizionale) che «cambrioleur vuol dire piuttosto svaligiatore, scassinatore», ma in realtà la sua non è altro che un’osservazione pedante, perché se Lupin è pure uno scassinatore, nell’insieme delle opere è piuttosto un ladro, col risultato che la definizione italiana sarebbe migliore di quella francese. Per la precisione si veda pure la definizione del noto dizionario francese Grand Robert che riporto nella Nota biografica pubblicata in questo volume. (Cfr. Umberto Eco, Il superuomo di Massa. Retorica e ideologia del romanzo popolare, prima edizione digitale 2012, da terza edizione Tascabili Bompiani aprile 2005, p. 88).

    ² Lupin è il principe Sernine in «813», Don Luis Perenna in I denti della tigre, Raoul d’Andrézy in La contessa di Cagliostro, Jim Barnett in L’Agenzia Barnett & C. e ancora tanti altri personaggi.

    ³ Da Lo smeraldo a cabochon.

    ⁴ Cfr. Gabriella Giansante, La Letteratura e il Male, in Philippe Soupault di qua e di là dal Surrealismo e altri saggi di letteratura d’avanguardia, Edizioni Scientifiche Italiane («Lutetia», 11), Napoli, 2003, pp. 113-118.

    ⁵ Maurice Leblanc, Qui est Arsène Lupin, cit.

    ⁶ «L’Arresto d’Arsène Lupin», in Arsène Lupin, ladro gentiluomo (traduzione di François Proïa).

    ⁷ Georgette Leblanc, Souvenirs (1895-1918), Grasset, Parigi 1931, p. 83.

    ⁸ Che ho avuto il piacere di conoscere.

    ⁹ André-François Rouard, Les nombreuses vies d’Arsène Lupin, Les moutons électriques, Lione 2008, p. 4.

    ¹⁰ Trad. di Giovanni Dotoli.

    ¹¹ Idea geniale quella di Leblanc di scegliere come personaggio una discendente del celebre Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, alchimista e fondatore di una loggia massonica, sia perché i francesi sono sempre stati attenti all’alchimia e alla massoneria, sia perché il celebre conte sembra talvolta uscito dalle avventure di Lupin. Divenne infatti figura nota alla corte di re Luigi xvi, a Parigi, dove fu coinvolto nel cosiddetto scandalo della collana di diamanti, nel 1785, e imprigionato alla Bastiglia. Probabilmente Leblanc preferì scegliere come protagonista un’appartenente alla famiglia Cagliostro perché lui, Giuseppe Balsamo, era già stato celebrato da Alexandre Dumas padre nel suo Joseph Balsamo (1846-1848).

    ¹² N. 8, gennaio-febbraio 1933.

    ¹³ Contes héroïques.

    ¹⁴ Trad. di Erica D’Antuono.

    ¹⁵ Maurice Leblanc, Qui est Arsène Lupin?, cit.

    ¹⁶ Ibidem.

    ¹⁷ Uno studio comparativo apprezzabile Lupin/Rouletabille è stato prodotto nel volume di Jean-Claude Vareille, Filatures. Itinéraire à travers les cycles de Lupin et Rouletabille (Presses Universitaires de Grenoble, Grenoble 1980). L’autore peraltro non ha trascurato, nella stessa opera, un raffronto con Holmes e Fantômas («Rimes et échos: Holmes et Fantômas», pp. 203-213), «per non abbracciare un corpus troppo esteso» e limitarsi ai «cicli contemporanei di Lupin e Rouletabille, che sono quelli di Holmes (1887-1927) e di Fantômas (1909-1914)» (p. 203).

    ¹⁸ Le Fantôme de l’Opéra.

    ¹⁹ Umberto Eco, op. cit., p. 91.

    ²⁰ Va ricordato comunque, di là dall’avanguardia, una commedia poliziesca francese, il film Fantomȃs del 1964, noto soprattutto per la presenza di Louis De Funès, nel ruolo del commissario Juve.

    ²¹ Si veda, in questo volume, la nostra nota biografica di Maurice Leblanc.

    ²² L’Arrestation d’Arsène Lupin.

    ²³ La Dent d’Hercule Petitgris, divenuto poi Le pardessus d’Arsène Lupin.

    ²⁴ Trad. d’Enrica Di Martino.

    ²⁵ Trad. di Marisa Ferrarini.

    ²⁶ Aventures extraordinaires d’Arsène Lupin: Le bouchon de cristal.

    ²⁷ Faux col, in italiano solino o colletto inamidato, è spesso ricordato da Leblanc. Nel Clos Arsène Lupin, a Étretat, è perfino incorniciata e appesa alla parete una pagina tratta da un catalogo che illustra tutti i faux-cols dell’epoca.

    ²⁸ L’abito di Lupin è infatti più suggerito che descritto. In Le Bouchon de cristal comunque viene descritto con un frac o marsina. Quello più ricordato da Leblanc per i vari personaggi e per i travestimenti di Lupin è invece la redingote.

    ²⁹ Re di cuori, tango, versi di B. Cherubini, musica di L. Schor, Casa Editrice Musicale C. A. Bixio, Milano 1928.

    ³⁰ Questa canzone francese di cui abbiamo riprodotto l’inizio in traduzione italiana è molto nota e diffusa in Francia. Fra i vari dischi cd si segnala: Best of Jacques Dutronc, 3 cd, Sony Music Entertainment 2009. La canzone Gentleman cambrioleur è la quinta del terzo cd.

    ³¹ L’Agence Barnett et Cie (trad. di Gabriella Giansante).

    ³² Come, non a caso, Pierre-Antoine Dumarquez, presidente dell’Associazione degli Amici d’Arsène Lupin (Association des Amis d’Arsène Lupin).

    ³³ Leblanc impiegò tutti gli ingredienti del romanzo d’avventure per raccontare le imprese del suo eroe. Non si peritò neppure di scomodare la storia per risolvere enigmi come quello della scomparsa della collana di Maria Antonietta.

    ³⁴ La Comtesse de Cagliostro, capitolo v (trad. di Marisa Ferrarini).

    ³⁵ Georgette Leblanc, op. cit., p. 11.

    ³⁶ Abbaye Saint-Wandrille. L’autore, Niccodemi (v. nota seguente), non indica la data, ma questo incontro deve essere avvenuto nel 1909 perché è in quella data che Georgette recita nel Macbeth tra le rovine di Saint-Wandrille.

    ³⁷ Dario Niccodemi, Tempo passato. Con 17 ritratti, Fratelli Treves Editori, Milano 1929, pp. 90-91. Nel ritratto di Georgette, pubblicato in questo volume, si nota, con un pizzico di stupore, che Maurice Leblanc non viene mai nominato.

    ³⁸ Il 27 ottobre per altri biografi.

    ³⁹ Florence Boespflug-Leblanc, Mon grand-père, un dandy rêveur, in «Paris-Normandie», 17 luglio 2009.

    ⁴⁰ I grandi baffi, senza barba, vogliono essere in Francia, per molti, un segno distintivo dell’essere francese, dell’essere Gaulois. Per questo non si troveranno mai raffigurazioni di Vercingétorix (Vercingetorige), il primo che tentò l’unificazione della Gallia, senza enormi baffi, nonostante gli storici abbiano affermato che il giovane capo degli arverni, qualora sia davvero esistito, non avrebbe mai avuto i baffi, secondo il costume del tempo. Una conferma di questa tradizione reinventata ci giunge dalle immagini di Astérix e Obélix, entrambi baffuti.

    ⁴¹ Arsène Lupin è esistito solo grazie alla penna di Leblanc, ma alcuni pazienti studiosi hanno ricostruito, attraverso i vari scritti dell’autore, la vita dell’avventuriero, si sono fatti cioè storiografi seri di un personaggio immaginato, con una meticolosità molto spesso non riservata a reali personaggi, scrittori, pittori, musicisti, politici, generali e in misura minore... avventurieri.

    ⁴² François-George Maugarlone, La loi et le phénomène suivi par les preuves de l’existence d’Arsène Lupin, Christian Bourgois, Paris 2010, p. 13.

    ⁴³ Ivi, p. 14.

    ⁴⁴ Non mi sembra il caso che, in questa sede, debba soffermarmi su questioni di letteratura che porterebbero molto lontano e richiederebbero piuttosto un saggio inerente la teoria del romanzo. Ricordo infatti che il vero protagonista (non il personaggio principale) di un romanzo è talvolta qualcosa di più profondo cui tutta l’opera mira.

    ⁴⁵ Trad. di Giovanni Dotoli.

    ⁴⁶ Jean-Marc Delpech, Alexandre Jacob, l’honnête cambrioleur. Portrait d’un anarchiste (1879-1954), Atelier de création libertaire, Lion 2008, p. 333.

    ⁴⁷ Id., Pour en finir avec Jacob..., in «L’Aiguille Preuve», n° 14, maggio-giugno 2012. L’esperienza mi insegna che quando uno scritto s’intitola Per finirla con... significa proprio il contrario, ovvero che l’argomento sarà continuamente dibattuto!

    ⁴⁸ Per esempio Jacques Derouard, che per altre ricerche su Maurice Leblanc apprezzo molto, scrive: «Si dice che Maurice si ispirò ad Alexandre Jacob, ladro e anarchico, condannato al bagno penale nel marzo 1905. Non è assolutamente vero», in Maurice Leblanc: Arsène Lupin malgré lui, Séguier, Paris 2011, p. 137.

    ⁴⁹ Pierre Lazareff, «Préface» a Maurice Leblanc, Arsène Lupin, gentleman cambrioleur, Le Livre de Poche, Paris 2010, p. 8.

    ⁵⁰ Jean-Marc Delpech, Alexandre Jacob, l’honnête cambrioleur. Portrait d’un anarchiste (1879-1954), cit.

    ⁵¹ Ivi, p. 516.

    ⁵² Ivi, p. 518.

    ⁵³ Jean-Marc Delpech, Pour en finir avec Jacob..., cit.

    ⁵⁴ Autori, studiosi di Leblanc/Lupin indipendenti e altri autodefinitisi in Francia lupiniens, in parte riuniti dall’aaal (Association des Amis d’Arsène Lupin).

    ⁵⁵ Cfr. Umberto Eco, op. cit., p. 89.

    ⁵⁶ Cfr. Jean-Marc Delpech, op. cit., p. 520.

    ⁵⁷ Cfr. Florance Boespflug-Leblanc, op. cit.

    ⁵⁸ Maurice Leblanc, Les dents du tigre (trad. di Francesca Bonadonna). V. pure Violaine Brochier, Les racines de Lupin, in «L’Aiguille Preuve», n° 14, maggio-giugno 2012.

    ⁵⁹ V. nota 25, supra.

    ⁶⁰ Umberto Eco, come abbiamo visto, le classifica nel «romanzo popolare» (op. cit.).

    ⁶¹ Maurice Leblanc, Qui est Arsène Lupin?, cit.

    ⁶² V. la Nota biografica di questo volume. Ricordo inoltre che Poe viene ricordato pure in La Barre-y-va.

    ⁶³ L’Arrestation d’Arsène Lupin.

    Nota biografica

    Breve premessa sulle presunte origini italiane di Maurice Leblanc

    La critica francese, fino a oggi, ha evitato di segnalare le possibili origini italiane di Émile Leblanc, padre di Maurice, inventore di Arsène Lupin, per cui credo sia opportuno soffermarcisi.

    Tre infatti sono le ipotesi sulle origini del padre. La prima, quella più convincente a prima vista, ma la meno documentata scientificamente, lo vorrebbe come un Lo Bianco di origine messinese, e si fonderebbe sulla costatazione che nella città siciliana vivono molte famiglie che portavano (e che portano) questo cognome. Inoltre, nelle opere di Maurice Leblanc, la città dello Stretto e la Sicilia vengono nominate con particolare amore, come indicherò più avanti (ma ricordo pure l’Avenue de Messine in Arsène Lupin contre Herlock Sholmès e Les milliards d’Arsène Lupin, romanzo pubblicato da un editore siciliano col titolo Arsène Lupin contro la mafia; la città di Palermo in Les dents du tigre).

    La seconda ipotesi si basa su una dichiarazione della sorella dello scrittore, Georgette, che leggiamo nei suoi Souvenirs (1895-1918), pubblicati da Grasset nel 1931. Nel parlare del fratello Maurice negli anni della giovinezza, così lo descrive: «Era un giovanotto dalla carnagione dorata e dagli occhi che ricordavano l’Italia», aggiungendo poi in nota: «Nostro padre, italiano, si era fatto naturalizzare francese». Per lei dunque il padre dapprima si chiamò Emilio Bianca ed era originario di Venezia. Questa origine italiana viene però considerata una leggenda propagata da Georgette che amava – qualcuno dice – diffondere false notizie, e questa l’avrebbe diffusa perché lei adorava Venezia, come Gabriele D’Annunzio che fu un tempo suo amante.

    Infine la terza ipotesi, la più documentata, vuole che Émile Leblanc fosse nipote di Philippe Leblanc, tagliapietre già abitante nella rue Martainville, in un quartiere popolare di Rouen, e figlio di Thomas Leblanc e di Désirée Sentier, che si sposarono a Rouen nel 1816 e nel 1830 lo diedero alla luce.

    Comunque sia, o per amore o per origine, i due celebri Leblanc, Maurice e Georgette (per Georgette si veda l’Introduzione) ebbero sicuramente un penchant per l’Italia (sembra pure che un loro antenato, Sébastien Leblanc, fosse stato tagliatore di marmo in Toscana).

    Nota biografica

    Maurice Leblanc nacque in Normandia, a Rouen, l’11 novembre 1864, alle quattro di mattina, al numero 2 di rue de Fontanelle, secondogenito di Émile Leblanc e di Blanche Brohy.

    Il medico che operò il parto fu Achille Flaubert, fratello dello scrittore. Ebbe due sorelle, una maggiore, Jéhanne, nata nel 1863, l’altra minore, Georgette, nata nel 1869.

    Nel 1970, la famiglia si trasferì al numero 87 della rue de l’Impératrice, oggi rue Jeanne-d’Arc.

    Il piccolo Maurice venne educato presso una istituzione privata, la pensione Patry, poi, dal 1875 al 1882, frequentò il liceo Corneille rivelandosi un ottimo allievo.

    Nonostante gli interessi pratici del padre, commerciante di carbone (poi anche armatore), il mondo dell’arte, del teatro, delle lettere attrasse subito sia lui, sia la sorella Geor­gette, vocazione che porterà entrambi alla gloria, lui come creatore d’Arsène Lupin, lei come celebre attrice, compagna e interprete di Maurice Maeterlinck, uno dei maggiori poeti dell’epoca (e premio Nobel). Georgette fu pure scrittrice: dedicò al fratello il volume di Souvenirs (1895-1918), in cui figura anche «Maurice Leblanc», ottavo paragrafo del primo capitolo¹.

    Sulla scelta dei suoi maestri, Leblanc scrisse molti anni dopo:

    «Gli autori che hanno potuto influenzarmi sono piuttosto quelli delle mie letture di bambino: Fenimore Cooper, Assolant, Gaboriau, e più tardi Balzac, di cui il Vautrin mi ha molto colpito. Ma quello a cui devo di più, e per molti versi, è Edgar Poe. Le sue opere sono, secondo me, i classici dell’avventura poliziesca e dell’avventura misteriosa. Quelli che poi vi si sono dedicati non hanno fatto che riprendere la sua formula... per quanto sia possibile riprendere la formula di un genio! Perché lui sapeva, lui, come nessun altro aveva mai tentato prima, creare intorno al proprio soggetto un’atmosfera ricca di pathos.

    D’altronde, quelli che sono venuti dopo non l’hanno generalmente seguito in queste due strade, mistero e polizia; si sono orientati soprattutto verso la seconda. Così Gaboriau, Conan Doyle e tutta la letteratura che hanno ispirato in Francia e in Inghilterra»².

    Preciso che Émile Gaboriau ispirò anche Conan Doyle e che Vautrin, personaggio di Honoré de Balzac, era un vecchio forzato. Occorre poi aggiungere altre letture: Walter Scott, Alexandre Dumas père, Victor Hugo, Jules Verne, ma lo scrittore cui dovette di più, come abbiamo letto, fu Edgar Allan Poe, in particolare ne L’Homme à la peau de bique.

    Molto legato alla sua terra, la Normandia, trascorreva le vacanze sulla costa di Étretat o dagli zii materni a Jumièges, luoghi che ritroviamo nelle avventure d’Arsène Lupin (a Étretat, località immortalata pure dai pittori Eugène Boudin, Gustave Courbet e Claude Monet e dagli scrittori Gustave Flaubert e Guy de Maupassant, si può oggi visitare Le Clos Arsène Lupin. Maison Maurice Leblanc che l’autore comprò dopo la prima guerra mondiale).

    All’inizio del 1888, conobbe a Parigi Marie-Ernestine Lalanne, di cui s’innamorò. Alla fine dell’anno, si trasferì definitivamente nella capitale. Una parte dell’eredità ricevuta da sua madre gli permise d’inseguire, senza preoccupazione pecuniarie, il suo vero obiettivo, che fu quello di dedicarsi alla carriera letteraria. Ma andò nella Ville Lumière pure per vivere col suo primo amore, Marie-Ernestine, di un anno più giovane di lui, che era stata sposata con un altro uomo fino all’anno prima.

    Frequentò il celebre Chat noir, feconda officina di molti artisti e intellettuali, sede di quei fermenti che annunciarono le avanguardie del Novecento. Trovò un alloggio non lontano dal celebre cabaret, al numero 6 della rue de Calais, vicino pure al Moulin-Rouge, nel quartiere di Montmartre, sede di artisti e scrittori.

    Frequentò il conterraneo Alphonse Allais (di Honfleur), conobbe l’autore del manifesto simbolista, Jean Moréas, il parnassiano Leconte de Lisle e il diabolico Maurice Rollinat.

    Nel gennaio 1889 sposò con rito civile Marie-Ernestine. Stupendo viaggio di nozze in Sicilia di quindici giorni durante i quali s’innamora di «Messina, Palermo, Siracusa, e la straordinaria Taormina, e l’indispensabile Agrigento». Visitò Selinunte «il più prodigioso ammasso di rovine che si possa sognare», «E Segesta... Ah! Quel tempio greco in quel circo di montagne aride! Quelle linee pure in quell’aspra solitudine. Vi è da piangere di gioia e di ammirazione!».

    La Sicilia viene pure ricordata nelle avventure di Lupin come isola ideale per trascorrervi la luna di miele. Nel racconto Gants blancs... Guêtres blanches..., settimo capitolo de L’Agence Barnett et Cie, scrive:

    «[...] a diverse riprese, Béchoux [il commissario] ricevette [da Lupin] cartoline illustrate e annotate con un entusiasmo delirante:

    Ah! Béchoux, un chiaro di luna a Roma! Béchoux se mai dovessi amare, vieni in Sicilia...»³.

    Ricordi ben diversi da quegli accenni alla Sicilia apparsi in Les Milliards d’Arsène Lupin; lì dimostrò comunque una certa conoscenza della mafia, dalle sue origini, quando limitava il «proprio ruolo allo scopo magnifico prefissato dai suoi dirigenti, cioè la lotta contro il male», fino alla sua degenerazione e diramazione (mafia americana, mafia mondiale) del tutto malavitosa.

    Nello stesso anno, passò

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