Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il mistero della cattedrale
Il mistero della cattedrale
Il mistero della cattedrale
E-book282 pagine4 ore

Il mistero della cattedrale

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un grande thriller

Una reliquia misteriosa
Una sfida per salvare il mondo

La cattedrale di Wells, nel sud-ovest dell’Inghilterra, custodisce un segreto. Tra le arcate, i pilastri e le trecento statue della facciata che accolgono i visitatori e hanno reso celebre l’edificio, deve esserci una preziosa reliquia, un’ampolla contenente il sangue di un sopravvissuto alla Morte Nera che flagellò l’Inghilterra a cavallo del 1665. Il professor Higgins, impegnato in alcuni lavori di restauro all’interno, è deciso a ritrovarla per sperimentare un vaccino rivoluzionario. Anche Elena Gallo, la giovane ricercatrice venuta dall’Italia, verrà suo malgrado coinvolta in un’avventura dagli esiti imprevedibili. Le intenzioni del professore si scontrano infatti con gli spietati interessi di un uomo avido di potere e di denaro, a capo di una multinazionale farmaceutica…

I commenti dei lettori:

«La storia mi ha preso fin dall’inizio. È come un film!»

«Ci sono molti colpi di scena che rendono la lettura piacevole e divertente.»
Miriam Briotti
è nata a Sondrio nel 1982. Laureata in Ingegneria meccanica ha iniziato a viaggiare per lavoro e non ha mai più voluto smettere. Racconta delle sue avventure e della sua passione per la scrittura nel suo blog Amareviaggiarescrivere
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2017
ISBN9788822706836
Il mistero della cattedrale

Correlato a Il mistero della cattedrale

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il mistero della cattedrale

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il mistero della cattedrale - Miriam Briotti

    Capitolo 1

    Un’ombra in movimento si allungava sopra le regolari lastre in pietra del selciato per sfumare sul muro del chiostro nel pallido sole del mattino. Elena Gallo camminava con decisione verso il suo primo giorno di lavoro. Attendeva questo momento fin da quando, seduta sui banchi di scuola dell’Istituto d’arte, consumava matite, colori e fogli bianchi sognando una carriera come restauratrice nel luogo dov’era nata, l’Italia. Oggi avrebbe dovuto trovarsi proprio lì e non a più di milletrecento chilometri di distanza nel Somerset inglese. D’altronde si era laureata in Conservazione dei beni culturali a Milano e, per il master in Restauro architettonico, ormai quasi concluso, le era bastato salire al piano superiore dell’edificio universitario. Forse un giorno avrebbe potuto trovare un’occupazione vicino a casa, ma adesso era impensabile potersi mantenere con un ridicolo rimborso spese che a mala pena copriva il costo dei mezzi pubblici. A Wells invece le avevano offerto un alloggio in un piccolo ma accogliente bilocale in Vicars’ Close, adiacente alla cattedrale, e uno stipendio decente con cui si sarebbe tolta, perché no, anche qualche sfizio.

    Elena conosceva il chiostro della cattedrale di Wells grazie a un esame sostenuto un anno prima sullo stile gotico inglese. Tuttavia attraversarlo era un’altra cosa. L’ampiezza dell’antico corridoio l’aveva colpita appena varcata la soglia così come la luce che, penetrando dalle arcate rivolte verso il giardino, ne disegnava a terra le sagome in una lunga successione. Nell’angolo nord-ovest del parco, circondato su tre lati dallo sviluppo del chiostro e chiuso dalla possente struttura a contrafforti della cattedrale, un pino secolare allungava i rami bitorzoluti sopra alcune lapidi che spuntavano dall’erba come fossero piccoli alberelli. L’alta torre centrale quadrata svettava col suo tripudio di guglie su tutta la costruzione. Elena la intravedeva attraverso i vetri delle arcate la cui superficie era suddivisa da eleganti intrecci verticali. Quello stesso disegno proseguiva sulla volta per estendersi fin sulla parete opposta al prato, nella quale sfilavano statue e vecchie targhe in spazi scanditi da pilastri dalle nervature tondeggianti.

    Elena colse i dettagli dell’architettura grazie al suo occhio allenato ma non rallentò l’andatura: a pochi metri c’era ben altro e lei non vedeva l’ora di dimostrare ciò che valeva.

    L’addetta agli ingressi vide il cartellino appeso al colletto della camicia color panna e la lasciò entrare senza farle domande.

    Quando Elena varcò la soglia del basso portone di legno scuro e ruvido lasciandosi inghiottire dalla penombra di quel luogo sacro, ci mise qualche secondo ad abituare le pupille al repentino cambiamento di luce. Solo dopo aver sbattuto ripetutamente le palpebre intravide un gruppo di quattro persone, in piedi, lungo la navata laterale destra della cattedrale. Il rumore sordo dei tacchi bassi e quadrati delle sue scarpe, che all’esterno sfumava nell’aria, qui echeggiava di arcata in arcata rimbalzando dalle robuste colonne alle volte a raggiera del soffitto.

    Un ragazzo dai capelli biondi si girò e, sfoggiando il suo miglior sorriso, le andò incontro. La capigliatura mossa lunga fino alle spalle accompagnava il movimento del corpo mettendo in risalto l’abbronzatura di un viso dai lineamenti decisi. Due occhi azzurri la stavano guardando con sfacciata sicurezza, fino a che giunse a un passo da lei. Una camicia firmata dalla classica fantasia a righe sui toni del grigio e un paio di jeans Armani ne testimoniavano la vanità a cui lui non rinunciava neppure per andare al lavoro, nonostante gran parte delle volte avrebbe dovuto mascherare l’abbigliamento costoso sotto una tuta bianca per niente glamour.

    «Eccoti qui, aspettavamo con ansia il tuo arrivo», disse con voce profonda e chinò la testa per baciarle una guancia mettendoci un po’ troppa passione. Una mano si posò sulla schiena di Elena sospingendola verso gli altri e lei dovette reprimere un brivido, lo stesso provato la prima volta che lui l’aveva sfiorata.

    Il ventottenne inglese Adam Murray non passava certo inosservato agli sguardi delle donne e lui lo sapeva bene. Sfruttava il suo fascino e il temperamento sfrontato per conquistare qualsiasi persona di genere femminile lo intrigasse, o semplicemente per vincere una stupida scommessa con i suoi amici. Pure Elena un anno prima era caduta nella sua rete.

    Si erano conosciuti durante uno stage estivo organizzato dall’università frequentata da Elena, dedicato al restauro di monumenti. Un componente della squadra di Higgins sarebbe dovuto intervenire a una delle lezioni previste in quanto esperto in materia. Adam Murray non aveva esitato a offrirsi volontario. Considerava l’Italia un terreno di caccia ideale. I suoi occhi avevano puntato Elena nel momento in cui lei si era alzata in piedi al centro dell’aula per rivolgergli una domanda. Da lì era cominciato qualcosa.

    Nonostante all’inizio se ne fosse pentita, poi Elena aveva convinto se stessa che non stava facendo nulla di male. Era giovane, libera, piacente e non voleva una relazione seria. In fondo non la infastidiva nemmeno sapere delle altre amanti di Adam.

    «Benvenuta signorina Gallo, è un vero piacere conoscerla. Adam mi ha parlato molto bene di lei. Spero sia contenta di entrare a far parte del mio team». Carlisle Higgins sorrise e le strinse energicamente la mano.

    «La ringrazio professore, per me è un onore poter lavorare con lei». Elena si sentì subito a proprio agio, scordandosi il brivido appena provato, per nulla professionale, e ricambiò la stretta entusiasta.

    L’espressione dell’uomo, a differenza di quella del ragazzo, non celava alcun tipo di malizia e il suo viso giovanile con solo qualche ruga riusciva a ingannare l’età anagrafica. Elena si chiese come mai se lo fosse immaginato più vecchio, in fondo aveva appena passato i cinquant’anni. Forse era stato il titolo di professore a trarla in inganno. Tutto, dall’abbigliamento casual, jeans, camicia e giacca senza cravatta, agli occhi brillanti color nocciola, fino ai corti capelli castani leggermente mossi contribuiva a farlo apparire più giovane di dieci anni.

    «Ti presento la precisina Abbey Brown, lavora nel team da quindici anni dopo essere stata stregata dalla mente di Carlisle quando ancora insegnava al King’s college di Londra», spiegò Adam in modo teatrale allargando le braccia verso una donna sulla quarantina dalla corporatura robusta e i capelli neri, tra i quali spuntavano diversi fili bianchi.

    Gli anni di lavoro passati a pulire e a recuperare bellezze artistiche del passato, in luoghi a volte torridi d’estate e gelidi d’inverno, le avevano inciso in modo indelebile il viso così come la pelle delle mani, perennemente screpolata. A lei comunque non sembravano interessare quei segni del tempo e non faceva nulla per attenuarli. Non si curava neppure dell’abbigliamento, visto il maglione blu più grande di due taglie che arrivava fino a metà cosce e i larghi pantaloni sintetici.

    «Piantala di fare il bamboccio», esordì Abbey fingendosi più rude di quello che in realtà era. I suoi occhi neri, se solo avessero potuto, avrebbero incenerito all’istante il ragazzo, ma alla nuova arrivata riservarono uno sguardo ben più amichevole. «Sbrigati con le conoscenze altrimenti facciamo notte», aggiunse rivolto ad Adam e lui inarcò divertito gli angoli della bocca passando a presentare Bryant Davies, trentaduenne di Edimburgo diplomato in restauro e dalle innate capacità pratiche e intuitive. Lui si lasciò scappare un abbozzo di sorriso a labbra chiuse e alzò la mano in un cenno di saluto.

    Bryant sembrava il classico tipo che riusciva a passare inosservato, ascoltava e apriva bocca solo se interpellato e pareva non curarsi troppo della nuova arrivata.

    «Ora conosce tutti, perciò possiamo raggiungere il luogo bisognoso delle nostre cure», annunciò Higgins con una battuta riportando l’attenzione su quello per cui erano stati ingaggiati.

    Il gruppetto percorse la navata laterale destra fino al punto in cui intersecava la crociera del transetto vicino agli imponenti archi a forbici, ovvero degli archi del tutto simili a quelli su cui poggiavano ma specchiati rispetto a essi. Erano stati ideati per sostenere l’enorme peso della massiccia torre centrale che s’innalzava sopra la volta. Da qui si lasciarono alla propria destra il coro attraversando la cattedrale per il lato corto fino alla navata laterale sinistra e arrivarono ai piedi di quella che era chiamata la scala del cielo. I bassi gradini in pietra, consumati dal passaggio di fedeli e canonici nel corso dei secoli, salivano per un breve tratto rettilineo e quindi si dividevano in due. I cinque scelsero la rampa che curvava dolcemente a destra rischiarata dalla luce naturale proveniente dalle ampie finestre di quello che sarebbe stato il loro luogo di lavoro: la celebre sala capitolare.

    Dal suo appartamento nel centro di Manhattan Eric Thompson poteva vedere ogni singola finestra della facciata sud dell’Empire State Building. Sembrava un’enorme cartella di battaglia navale dove le caselle spente corrispondevano agli uffici vuoti mentre in quelle illuminate ferveva ancora l’attività lavorativa. Sopra di esse una fontana di calda luce giallastra faceva da base all’alto zampillo della guglia e alla sottile sagoma dell’antenna.

    Erano le tre del mattino e non riusciva a dormire. Un pensiero insistente come il tamburellare di un martello pneumatico gli tormentava il sonno già da diverse notti. Nei panni di amministratore delegato delle Tacker pharmaceutical industries era abituato a sopportare enormi pressioni, affrontare crisi finanziarie e prendere decisioni drastiche. Aveva la convinzione che la vita non sarebbe mai più riuscita a stupirlo nel bene o nel male e invece, da quando aveva sfogliato quei vecchi fogli ingialliti apprezzandone l’accurata calligrafia, le emozioni avevano ricominciato a bussare. Da troppo tempo la sua anima era rimasta congelata, indifferente a qualsiasi sentimento umano, e solo la mente aveva continuato a girare somigliando sempre più a un calcolatore infallibile, uno di quei prototipi intelligenti progettati per sostituire in parte l’uomo. Si sentiva così, senza istinto né passione, gli anni passati erano un agglomerato di dati ordinatamente immagazzinati nel suo cervello ai quali lui accedeva a comando, facendo attenzione a non sentire nulla, almeno fino al mese scorso.

    Ora il suo sguardo scorreva su quelle lettere minuziosamente dipinte e indugiava sul disegno dell’oggetto che pareva un prezioso regalo da lista nozze. Fra le mani teneva solo delle copie. Per il timore di rovinarlo, l’originale l’aveva rinchiuso nella cassaforte del suo appartamento, luogo che considerava ancora più sicuro del caveau di una banca dato il sistema di sorveglianza e di allarme installato lì e nell’intero edificio. Inoltre, la sua fama di uomo con pochi scrupoli nel campo finanziario era ben nota non solo negli Stati Uniti ma anche oltreoceano dove sorgevano le diverse fabbriche della multinazionale. Solo chi non temeva pesanti conseguenze economiche e ricatti per sé e la sua famiglia poteva pensare di derubarlo, e poi per cosa? Per delle pagine ingiallite che senza uno studio adeguato apparivano ai più di nessuna importanza? Anche se fossero finite nelle mani di esimi professori, probabilmente sarebbero state snobbate.

    Eric Thompson se ne stava nel suo appartamento come il re in un castello circondato da possenti mura e soldati pronti a proteggerlo. Con la mente immaginava il momento in cui sarebbe diventato uno fra gli uomini più potenti della terra. I guadagni derivanti dalla scoperta, se tutto fosse andato secondo i piani, costituivano semplicemente uno sfizio. Non li disdegnava ma di soldi ne aveva già molti. A lui interessava il potere: il potere di riscrivere la storia, il potere di tenere in pugno politici e presidenti, il potere di decidere la sorte di milioni di persone, anche se a lui, molto tempo prima, sarebbe importato salvare una sola esistenza, quella della moglie. Lei era stata stroncata da una brutta malattia poco più che trentenne e da allora in Eric si erano spente le fiamme della passione e dell’entusiasmo. Aveva tentato il suicidio e, salvato in extremis dai medici, gli era mancato il coraggio di riprovarci. Buttarsi anima e corpo nel lavoro gli era sembrata la cosa più semplice da fare. Anno dopo anno aveva annientato ogni stimolo positivo che la vita gli potesse presentare vivendo come sott’acqua, dove i suoni, le luci e persino il bello e cattivo tempo appaiono distanti e ininfluenti.

    Adesso però il suo cuore aveva ricominciato a battere e a cinquant’anni trovare quell’oggetto rappresentava un nuovo obiettivo. Il più importante. Il desiderio di tenerlo fra le mani bruciava dentro di lui, provava la stessa impazienza di un bambino davanti ai regali non ancora scartati sotto l’albero di Natale.

    Esausto, si costrinse a staccare gli occhi dal disegno per rivolgerli all’Empire State Building illuminato.

    Capitolo 2

    Elena non riuscì a trattenere un’esclamazione di meraviglia. Si trovava lì dove un tempo i canonici inglesi si riunivano per decidere le sorti del proprio Paese, seduti in cerchio, così che nessuno potesse apparire in posizione predominante rispetto all’altro.

    Dalla parte superiore della grossa colonna centrale le dritte modanature si diramavano in tanti costoloni e poi curvavano dolcemente come fossero i rami di una palma, andando a disegnare un cono rovesciato sulle volte del soffitto. Tali decorazioni, sui toni dell’ocra, si univano armoniche agli otto pilastri nervati dislocati negli angoli dell’ampia sala ottagonale, eliminando così la distinzione fra i muri perimetrali e la copertura. La luce del giorno inondava la stanza penetrando dalle enormi vetrate finemente decorate con colonnine e intrecci dello stesso materiale delle modanature. Veniva in tal modo enfatizzata la bellezza e l’elegante dinamicità di quell’architettura in stile tardo gotico inglese. Anche il cordolo più basso delle pareti, poggiante su una doppia gradinata, era abbellito da pilastrini e stretti timpani intarsiati. Ciò rendeva completa la decorazione della sala, tanto da far dimenticare l’assenza di statue, marmi e simboli religiosi. Non si badava nemmeno alla pavimentazione un po’ sconnessa formata da povere lastre di pietra rettangolari di varie dimensioni. La magnificenza del resto sopperiva a quella semplicità. Non c’erano né banchi né sedie e il sole disegnava sopra di essa i profili allungati degli ornamenti delle finestre: sembravano punti luce messi lì apposta per vivacizzare l’ambiente.

    Qualcuno toccò la spalla di Elena facendola ridestare dalla contemplazione.

    «Anch’io ho avuto la stessa reazione quando da ragazzino ho visto per la prima volta la sala capitolare. Ci si abituerà, mi creda», la rassicurò il professor Higgins. «Lì ci sono tutti gli strumenti per iniziare il restauro. Oggi mi tratterrò anch’io, ma per qualsiasi esigenza in mia assenza si rivolga ad Abbey, è lei la responsabile di questo progetto».

    «Grazie, farò del mio meglio», rispose Elena con l’impazienza di chi non vede l’ora di mettersi all’opera.

    Alla loro destra, vicino a tre scale in alluminio chiudibili e a due ponteggi, c’era un tavolino su cui erano poggiati delle tute da imbianchino, delle scarpe di tela, diverse rasiere, spatole, sgorbie, pennelli e alcuni barattoli di stucchi decorativi e lucidanti. Elena s’infilò la divisa e aiutò Abbey a posizionare le tavole di legno sopra i due ponteggi in modo da creare un piano sul quale poter salire. Il suo compito era di ripulire il capitello del pilastro centrale. Iniziò con cura a stuzzicare con la punta della sgorbia gli stretti incavi delle decorazioni per rimuovere la sporcizia accumulata nei secoli. Per una persona esterna quell’azione poteva sembrare estremamente noiosa e apparentemente inutile, ma Elena amava ogni attimo di quel lavoro. Minuto dopo minuto vedeva rinascere sotto i suoi occhi una scultura che nel lontano passato mani esperte avevano creato e che, grazie alla paziente attività dei restauratori, sarebbe sopravvissuta in tutto il suo splendore anche nel futuro.

    Le ore di quella prima giornata corsero veloci. A parte una breve pausa per mangiare un panino seduta sui gradini che seguivano il perimetro della sala capitolare, Elena fu distratta solo dalla suoneria di un cellulare. Le cinque del pomeriggio erano passate da un pezzo quando quello squillo, reso ancor più irritante dal silenzio nella stanza, echeggiò prepotente rimbalzando dal pavimento sui muri spogli. Higgins si premette il palmo della mano destra sulla fronte leggendo il numero sul telefono e si lasciò scappare un accidenti, come se avesse ripensato improvvisamente a un impegno dimenticato. Rispose a monosillabi alla brevissima chiamata. Era chiaro che l’argomento lo infastidiva.

    «Mi hanno ricordato l’invito per il congresso di questa sera nel nuovo resort fuori città. Non sono un amante delle mondanità ma devo proprio andare. Mi spiace, ci vediamo domani», spiegò in modo sfuggente mentre aveva già messo piede sull’ultimo gradino della scala del cielo.

    «Non vai mica in guerra. Potresti mostrare un po’ di entusiasmo dato che mangerai gratis e passerai la notte in una di quelle camere con tanto di sauna e idromassaggio privati», finse di rimproverarlo Abbey.

    Nonostante Carlisle avesse ricoperto posizioni importanti durante la sua carriera lavorativa e fosse tuttora considerato uno degli storici più eminenti dell’intera Gran Bretagna, alla mondanità aveva sempre preferito la vita semplice e riservata. Fino a pochi anni prima la cattedra di Storia all’università di Londra era stata sua, poi vi aveva rinunciato per dedicarsi alle sue grandi passioni: il restauro e la ricerca di beni artistici. Ogni tanto partecipava a delle conferenze, più che altro per rivedere i pochi vecchi amici e ottenere finanziamenti da destinare a nuovi progetti. Non si era mai sentito un leader, ma più modestamente una persona tanto fortunata da trasformare i propri interessi in un’occupazione, e anche con i collaboratori preferiva approcciarsi come un loro pari. Forse per questo non sopportava più i modi arroganti di tanti colleghi che, nonostante non potessero vantare un curriculum come il suo, ostentavano la loro posizione sociale e il presunto sapere.

    Il professore resse per un attimo lo sguardo di Abbey, quindi cedette in un sorriso. Mentre scompariva nella penombra della scalinata alzò una mano salutandola di schiena.

    Abbey si voltò verso Elena, Adam e Bryant. «Adesso sono io il capo e stasera vi concedo di smontare prima», disse imitando un tono autoritario.

    «Ti ricordo che l’orario di lavoro è già finito da un pezzo ed è un nostro diritto andarcene, non una tua gentile concessione», la stuzzicò Adam.

    «Va bene, andiamo tutti a casa», tagliò corto Abbey. «Ci rivediamo qui domani mattina alle otto».

    Fuori dalla cattedrale di Wells, in Market Place, i lampioni illuminavano le bianche facciate degli edifici a tre piani, che parevano rispondere con le calde luci filtranti attraverso le tende delle finestre. Per strada non c’era quasi nessuno. Solo un ritardatario usciva frettolosamente dal supermercato e una coppia di turisti stava cercando un posto dove poter cenare. Elena camminava senza fretta, indugiando davanti alle vetrine dei negozi di vestiti e souvenir ormai chiusi.

    Quella prima giornata si era rivelata più impegnativa del previsto. Restaurare richiedeva un certo sforzo fisico e un alto livello di concentrazione, ma soprattutto aveva dovuto sostenere la tensione di non deludere le aspettative del nuovo team di colleghi stranieri. Tuttavia era ancora troppo felice per cedere alla stanchezza e voleva godersi fino in fondo la giornata. Si fermò davanti all’ingresso di un pub abbellito da due alberelli dalle piccole foglioline verde chiaro. Lesse velocemente il menù del giorno scritto col gesso su una lavagnetta appesa al muro, e in un attimo fu dentro.

    La sala era piena di gente di tutte le età. Sulla destra, dietro al lungo bancone in legno scuro, un giovane cameriere dai modi sciolti spillava pinte di birra per i clienti in piedi. Davanti una selva di tavolini rotondi riempiva l’ambiente. Adam le venne incontro sfoggiando il solito sorriso da dongiovanni e le fece strada fin sotto il palco dove si stava esibendo una band locale.

    «Alla fine sei venuta, cosa prendi?», le chiese mentre una ragazza di bella presenza con uno strofinaccio appeso alla cintura e un piccolo tablet tra le mani si stava avvicinando a loro.

    «Un fish and chips e una birra».

    Adam ripeté l’ordine alla cameriera ammiccando e concludendo la frase con grazie bellissima in un modo troppo confidenziale. Probabilmente erano intimi.

    «Come ti è sembrato il professor Higgins? Per me è un bacchettone che non sa godersi la vita», attaccò discorso Adam.

    Elena pensò a quanto fosse superficiale definirlo in quel modo, eppure non ribatté, sapeva sarebbe stato inutile. Preferì deviare il discorso su argomenti molto più frivoli nei quali il ragazzo sapeva dare il meglio di sé, risultando brillante e persino simpatico. D’altronde era questo che l’aveva avvicinata a lui e per divertirsi Adam era la persona adatta.

    Risero, ascoltarono musica e chiacchierarono di stupidaggini finché una chiamata costrinse il giovane a uscire. Era impossibile conversare al cellulare con quel trambusto.

    Elena sorseggiò un po’ di birra battendo le dita della mano libera dal boccale sul tavolino al ritmo della musica e attese il ritorno del suo accompagnatore.

    Tuttavia quando Adam si sedette di nuovo al tavolo con lei sembrava avesse fretta di concludere la serata. Alla sua domanda di chi fosse al telefono rispose con noncuranza che non era nessuno.

    Elena lo fulminò con i suoi occhi verde scuro senza nascondere l’irritazione per quella risposta. Lui finse di non accorgersene. Finì in

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1