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La mia storia sbagliata con il ragazzo giusto
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E-book305 pagine4 ore

La mia storia sbagliata con il ragazzo giusto

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Info su questo ebook

Autrice bestseller di New York Times e USA Today

Con l’arrivo del suo trentesimo compleanno, Emma Harrison ha scoperto di desiderare un figlio. Peccato che non ci siano principi azzurri all’orizzonte. E quando il suo migliore amico si tira indietro come possibile donatore, le opzioni scarseggiano. C’è sempre la banca del seme, ovviamente, ma Emma vorrebbe sapere qualcosa di più del padre di suo figlio. Aidan Fitzgerald è noto per essere un donnaiolo. È raro che gli venga rifiutato qualcosa, specialmente in camera da letto. Ma quando Emma si fa beffe delle sue avance alla festa di fine anno dell’ufficio, si scopre più attratto da lei di quanto vorrebbe ammettere. Si presenta così alla sua porta con un’offerta vantaggiosa per entrambi: sarà lui il padre del bambino se Emma acconsentirà a concepirlo naturalmente. L’accordo è bizzarro, ma Aidan, dopotutto, ha un certo fascino ed Emma è tentata di accettare. Riuscirà a mantenere gli incontri  con Aidan su un piano puramente fisico? E frequentare Emma servirà a smussare il carattere di un insopportabile dongiovanni?

Una sola notte d'amore può diventare per sempre?

«Ho divorato questo romanzo. Magnifico! Emozionante ed eccitante insieme. Yeah! Katie Ashley è proprio una maga.»

«Katie Ashley merita cinque stelle. Aspetto con ansia il secondo libro. Questo l’ho riletto due volte di fila!»

«Non credevo che un romanzo potesse sorprendermi a tal punto. Il perfetto mix di dolcezza e romanticismo, scene hot e intesa elettrizzante, che piacerà a tutti. Volete un consiglio? Accendete il condizionatore: queste pagine bruciano!»
Katie Ashley
è autrice bestseller di «New York Times», «USA Today» e Amazon. Vive vicino Atlanta, in Georgia, con la figlia Olivia e due cani molto viziati. Ha insegnato inglese per anni e ha smesso nel 2012 per dedicarsi alla scrittura. La Newton Compton ha pubblicato L’amore ha il tuo sorriso, L’amore ha i tuoi occhi, Vorrei averti qui per sempre e La mia storia sbagliata con il ragazzo giusto.
LinguaItaliano
Data di uscita17 ott 2018
ISBN9788822726469
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    Anteprima del libro

    La mia storia sbagliata con il ragazzo giusto - Katie Ashley

    Capitolo uno

    Emma Harrison fece un passo indietro per ammirare il frutto del suo duro lavoro e un sorriso soddisfatto le affiorò sul volto. In qualche modo era riuscita nell’impresa quasi miracolosa di trasformare una squallida sala conferenze al quarto piano in un delizioso sogno rosa. Ne era particolarmente fiera, considerando che gli addobbi e l’organizzazione delle feste non erano esattamente il suo forte. Ovviamente, dovendo ricreare l’ambiente che ogni futura madre avrebbe voluto per la propria baby shower , la sua posizione in una delle agenzie pubblicitarie più prestigiose di Atlanta le era tornata utile. Con il capo inclinato, notò che il festone con la scritta è una bambina pendeva leggermente verso sinistra. Dopo averlo sistemato, lisciò con le dita la tovaglia rosa chiaro ricoperta di bevande e regali colorati per l’imminente nascita della piccola.

    Soffiò via dalla faccia una ciocca di capelli ramati e provò a sistemarla nello chignon sulla nuca. "Sì, vorrei proprio una baby shower così… se mai ne avrò una". Una fitta di dolore le colpì il cuore prima di attraversarle il petto. Era una sensazione ormai troppo familiare per lei, con il trentesimo compleanno che incombeva come una nube nera mentre la maternità continuava a sfuggirle – insieme all’Uomo Perfetto. Non avere né marito né figli le faceva ancora più male dopo la morte dei suoi genitori. Dopo aver perso la madre due anni prima, aveva giurato di rimpiazzare l’amore perso trovandosi un marito e facendo un figlio. Purtroppo, la sua vita sembrava non voler seguire i piani che si era prefissata.

    Scacciando via quei pensieri, lanciò uno sguardo all’orologio – quello che le aveva lasciato la madre – per controllare l’ora. Mancavano solo quindici minuti prima che gli ospiti, perlopiù suoi colleghi, iniziassero ad arrivare. Okay, Em, è ora di entrare in azione. Devi dirigere i giochi, non puoi lasciarti consumare da quel mostro verde di invidia che ti farà impazzire, ribaltare i tavoli e lanciare i regali a destra e a manca, in preda alla rabbia come Hulk! Datti una calmata!

    Il discorso d’incoraggiamento non riuscì a calmare le emozioni che le ribollivano dentro mentre stringeva il bordo del tavolo fino a far diventare bianche le nocche. Quando le lacrime silenziose cominciarono a scivolarle sulle guance, le asciugò velocemente. Alzando gli occhi verdi verso il soffitto, pensò: Per favore, aiutami a superarlo.

    «Sai, ho una lima per le unghie nel cassetto della scrivania, se mai volessi tagliarti le vene. Sarebbe un metodo molto più veloce di quello che stai usando ora».

    Emma sobbalzò, afferrandosi il petto. Si voltò di scatto e vide la sua migliore amica, Casey, con un ghigno stampato in faccia. Si asciugò freneticamente le lacrime dagli occhi con il dorso della mano. «Santo cielo, Case, mi hai spaventata a morte».

    «Scusa. Immagino fossi troppo presa dalla tua autocommiserazione per sentirmi quando ti ho chiamata».

    Abbassando la testa, Emma rispose: «Non so di cosa parli. Stavo solo controllando che tutto fosse in ordine prima che cominci ad arrivare la gente».

    Casey alzò gli occhi al cielo. «Em, a cosa pensavi quando hai accettato di occupartene? Ti stai suicidando emotivamente».

    «Come potevo dire di no? È stata Therese a farmi entrare qui. Mi ha insegnato tutto ciò che so. Ha provato la fecondazione assistita tre volte. Se c’è qualcuno che si merita una baby shower, quella è lei».

    «Sì, ma non dovevi essere tu a organizzarla. Voglio dire, avrebbe compreso – specialmente dopo tutto quello che è successo con Connor di recente».

    Il cellulare di Emma vibrò sul tavolo. Lesse il nome sullo schermo e fece una smorfia. «Parli del diavolo».

    «Continua a chiamarti e a scriverti?», le domandò Casey.

    «Già. Che fortunata che sono».

    «Fammi rispondere. Dirò a quello stronzo che richiederai un ordine restrittivo o una roba simile».

    «È innocuo, Case».

    «Devi solo dirgli di fare l’uomo, di tirar fuori gli attributi e donarti dello sperma».

    Emma si lasciò scappare una risatina. «Per quanto possa essere allettante, farei meglio a rifiutare. Tutto questo casino è nato con la storia dello sperma e del bambino».

    Casey borbottò. «Il fatto che stai considerando una donazione di sperma è ridicolo». Posò le mani sulle spalle di Emma. «Sei troppo bella, dolce e meravigliosa per rinunciare a frequentare qualcuno per fare un figlio».

    «Bella idea quella di usare così tanti complimenti. Hai mai pensato di lavorare nel reparto pubblicità?», rifletté Emma.

    «Ah ah, simpatica. Non avevo intenzione di venderti nulla; è solo la verità. Chissà quando comincerai davvero a crederci. Ma soprattutto, voglio sapere quando gli uomini di questa città si toglieranno le bende dagli occhi e inizieranno a vederlo anche loro».

    Emma alzò le mani, esasperata. «Case, considerando che il mio orologio biologico si sta inceppando, penso che sia un po’ troppo tardi».

    «Ma non hai nemmeno trent’anni», protestò Casey.

    «Questo lo so, ma è da quando avevo vent’anni che voglio un figlio. Voglio – no, ho bisogno di tornare ad avere una famiglia. Ho perso i miei e non ho fratelli o sorelle…». La voce le si smorzò in gola, sopraffatta dall’emozione.

    Casey accarezzò la schiena di Emma in modo compassionevole. «Hai ancora tempo per fare figli, e un marito potrebbe ancora arrivare».

    Alzando gli occhi al cielo, Emma disse: «Devo forse ricordarti della parata di idioti che ho avuto la sfortuna di incontrare negli ultimi sei mesi?»

    «Oh, dài, non erano così male».

    «Ti basi su dei parametri estremi o cosa? Innanzitutto, c’è stato Andy il commercialista…», fece il gesto delle virgolette con le dita, «praticamente separato la cui moglie ci ha seguiti durante l’appuntamento e si è scatenata contro di lui in mezzo alla Cheesecake Factory».

    «Merda, ora me lo ricordo. Qualcuno ha anche chiamato la polizia?»

    «Oh, sì. Ho dovuto chiamare Connor per farmi venire a prendere perché entrambi sono stati arrestati per disturbo della quiete pubblica».

    «Era solo una mela marcia», ribatté Casey.

    «Poi c’è stato il becchino che per tutta la durata dell’incontro mi ha intrattenuto con i retroscena dell’imbalsamazione, per non parlare del fatto che penso che avesse un attaccamento piuttosto morboso nei confronti di alcuni dei suoi cari clienti defunti».

    Casey fece un suono disgustato. «Okay, ammetto che la necrofilia potrebbe far passare a tutti la voglia di uscire con qualcuno per un po’».

    «Per un po’? Che ne dici di una vita, Case?». Emma rabbrividì. «Grazie a Dio è stato un solo appuntamento e non mi ha mai toccato».

    «Due mele marce, allora. C’è un’intera città piena di uomini là fuori, Em».

    Emma si mise le mani sui fianchi. «E immagino che la tua amnesia selettiva ti abbia fatto dimenticare di Barry il dentista?».

    Casey fece una smorfia come se provasse dolore. «È ancora in carcere per quelle accuse di voyeurismo?».

    Emma annuì. «Per fortuna, questo stato è piuttosto severo con i viscidi che nascondono le telecamere negli spogliatoi degli uomini in palestra!».

    «Be’, questi sono casi estremi».

    «Alcune ragazze nel nostro reparto pensano che dovrei scrivere un libro sulle mie brutte esperienze con gli uomini».

    «Aspetta un secondo, sei uscita anche con tipi decenti».

    Emma sospirò. «E non appena hanno capito che non sarei andata a letto con loro, ancor prima che arrivassero gli antipasti, se la sono data a gambe. Quelli con cui sono riuscita ad arrivare fino alla fine della cena sono scappati fiutando il mio disperato desiderio di un matrimonio e di un bambino».

    Casey fece un sorriso. «Vedi, la stai prendendo per il verso sbagliato. Devi arrenderti all’idea di gettare alle ortiche la prudenza e di fare sesso col solo scopo di concepire».

    «Non credo». Emma scosse la testa. «Solo perché Connor ha bocciato l’idea della donazione di sperma non vuol dire che io abbia intenzione di rinunciarci. In qualche modo, prima o poi, farò un figlio da amare».

    Aidan Fitzgerald si strofinò gli occhi azzurri. Sbirciò fra le dita l’orologio sullo schermo sfocato del computer. Dannazione, erano già le sette passate. Nonostante volesse terminare il progetto, il suo cervello era ormai fritto. Riusciva a malapena a distinguere le parole che aveva davanti. Spense il computer, certo che la sua recente promozione come vicepresidente del settore vendite gli garantisse la sicurezza di poter attendere il mattino seguente senza essere accusato di battere la fiacca.

    Brontolando, Aidan si alzò dalla sedia e stiracchiò le braccia. Prese la borsa e andò verso la porta. Spegnendo la luce nell’ufficio, gli brontolò lo stomaco. Probabilmente a casa non aveva nulla da mangiare, perciò avrebbe avuto bisogno di comprare qualcosa lungo la strada. Per un breve istante, desiderò avere una donna che lo attendesse a casa con la cena pronta. Scacciò subito via il pensiero. Un paio di pasti non valevano la scocciatura di una relazione a lungo termine. Alla fin fine, era più che felice di elemosinare la cena a una delle sue sorelle sposate – almeno finché queste non avessero cominciato a fargli la ramanzina per essere ancora scapolo a trentadue anni, considerando che il tempo di sistemarsi e mettere su famiglia era arrivato.

    «Cazzate», borbottò sottovoce al pensiero. L’attraente donna delle pulizie in fondo al corridoio sollevò la testa.

    Gli rivolse, quindi, un sorriso allettante. «Buonanotte, signor Fitzgerald».

    «Buonanotte, Paula», rispose lui. Premette il bottone dell’ascensore, combattendo contro il desiderio di colmare la distanza fra loro due e di iniziare la conversazione. Si passò una mano fra i capelli biondo sabbia e scosse la testa. Parlare con Paola molto probabilmente avrebbe portato a una qualche tresca nel ripostiglio, e per quanto gli sarebbe piaciuto, si stava facendo un po’ troppo vecchio per quel genere di incontri.

    L’ascensore lo portò al piano terra, dove fu accolto da voci animate, facendolo borbottare. L’ultima cosa di cui aveva bisogno dopo aver lavorato fino a tardi ed essere stato provocato dalla donna delle pulizie era ritrovarsi nel mezzo di una qualche disputa familiare e, a giudicare dal tono delle voci dell’uomo e della donna, era proprio di quello che si trattava.

    «Connor, non posso credere che tu mi abbia braccata anche qui al lavoro», sibilò la donna.

    «Che avrei dovuto fare? Non rispondi alle chiamate né alle e-mail. Dovevo accertarmi che stessi bene».

    «Ti ho detto di lasciarmi in pace, ed ero seria».

    «Ma io ti voglio bene, Em. Non voglio perderti».

    Si sentì il suono di qualche passo, e la donna alzò la voce di un’ottava. «Fermo! Non osare toccarmi!».

    Il lato protettivo di Aidan si risvegliò sentendo il tono della donna, e lo fece precipitare dietro l’angolo. «Ehi! Toglile quelle dannate mani di dosso!», tuonò.

    La coppia fu colta di sorpresa vedendolo. Il volto segnato dalle lacrime della donna divenne paonazzo, e lei chinò il capo per evitare lo sguardo intenso di Aidan. Lui la riconobbe immediatamente: Emma Harrison, ufficio pubblicità al quarto piano, la stessa donna che aveva cercato di portarsi a casa senza successo dopo la festa aziendale di Natale. Dal modo in cui lei si rifiutava di incrociare il suo sguardo, sapeva che anche lei l’aveva riconosciuto.

    Aidan rivolse l’attenzione all’uomo, Connor, che aveva gli occhi spalancati dalla paura. Questi lasciò cadere rapidamente le mani dalle spalle di Emma e fece diversi passi indietro. Connor sembrava esser pronto a darsi alla fuga il prima possibile. Aidan si rese conto di quanto doveva sembrare minaccioso con i pugni stretti ai fianchi, la mascella serrata. Provò a rilassare la posa, ma sentiva il sangue scorrergli ancora così velocemente che non ci riuscì.

    Connor sollevò le mani in gesto di resa. «Non so cosa pensi stesse succedendo, ma stavamo solo parlando».

    Aidan strizzò gli occhi. «Stava piangendo e ti stava implorando di smettere di toccarla, penso che parlare sia un eufemismo». Fece per chiedere a Emma se andava tutto bene, ma lei lo superò di corsa e scappò in bagno. Lui tornò a fissare torvo Connor.

    «Senti, amico, hai capito male. Non…».

    «Cosa c’è da capire? È ovvio che non riesci a lasciar perdere la tua ex, fidanzata o moglie che sia, nonostante lei non sopporti che tu la tocchi».

    Connor scoppiò a ridere nervosamente. Si zittì non appena vide Aidan sollevare le sopracciglia e avvicinarsi a lui. «Fidati, non hai capito proprio niente. Emma non è la mia ex».

    «Allora qual è il problema?».

    Connor si schiarì la gola. «Va bene, vuoi la verità? Eccola. Sono gay, ed Emma è la mia migliore amica dai tempi delle scuole medie».

    Aidan rimase a bocca aperta. «Davvero?»

    «Già».

    «Huh… allora ammetto di essermi sbagliato. Ti chiedo scusa».

    Connor fece spallucce. «Non fa niente. Probabilmente avrei fatto la stessa cosa se avessi avuto ragione di pensare che qualche stronzo stesse importunando una donna. Be’, se fosse stato della tua stazza, forse no». Lanciò uno sguardo al bagno alle spalle di Aidan e fece una smorfia. «Dannazione, odio quando ce l’ha con me. Non credo di averla mai vista così arrabbiata o ferita. Non so proprio che fare per sistemare le cose, sai?».

    Aidan si sentì a disagio, percependo che la conversazione era diretta verso il territorio emotivo, cosa che cercava di evitare a ogni costo. Sollevò una mano. «Senti, non sono affari miei». Ma non appena ebbe pronunciato quelle parole, si rese conto che sarebbero state ignorate. L’espressione angosciata di Connor gli confermò che non sarebbe riuscito a farla franca senza aver prima sentito l’intero dramma, a meno di non provare a darsela letteralmente a gambe.

    Con un sospiro, Connor si passò la mano fra i capelli scuri. A voce bassa disse: «È fissata con i bambini, e il suo orologio biologico ticchettava da almeno due anni. Dato che le voglio un mondo di bene, le avevo promesso che sarei stato io il padre e che sarei stato io il donatore».

    Okay, forse non era questa la storia che Aidan si era aspettato di sentire. «Non dirmi che ti sei tirato indietro quando si trattava di venire al sodo?».

    Connor gli lanciò un’occhiataccia. «Ah ah, stronzo, proprio divertente. Per tua informazione, saremmo passati per una clinica».

    «E dove sta il divertimento?», domandò Aidan con un sorriso scaltro.

    «Ehi, sono gay, ricordi?»

    «Scusa». Per ragioni che non riusciva nemmeno a immaginare, Aidan era così intrigato dalla storia che sentì il bisogno di spingere Connor a continuare. «Quindi che è successo?»

    «Il mio compagno non è pronto ad avere figli. Gli ho giurato che Emma non mi ha chiesto di essere coinvolto, ma lui non molla. È una situazione di merda quella in cui devo scegliere fra l’uomo che amo e la mia migliore amica».

    «Perché non va direttamente a una banca del seme?».

    Connor ridacchiò. «Emma si è fissata con l’idea che qualcuno farà una terribile confusione e lei finirà con lo sperma donato da un serial killer invece di quello dell’uomo perfetto che aveva scelto».

    Aidan sorrise. «Credo di capire il suo punto di vista».

    Il cellulare di Connor gli vibrò in tasca. Lo tirò fuori e borbottò leggendo il display. «Merda, è Jeff. Mi farà il culo a strisce per essere venuto qui a parlare con Emma. Devo davvero andare». Tornò a guardare la porta del bagno. «Odio doverla lasciare così, però…»

    «Vai pure. L’accompagno io alla macchina».

    «Davvero? Sarebbe magnifico». Gli porse la mano. «È stato un piacere conoscerti…».

    «Aidan. Aidan Fitzgerald».

    «Connor Montgomery». Dopo una stretta di mano, Connor sorrise. «Grazie per l’aiuto e per aver completamente frainteso la situazione».

    Aidan rise. «È stato un piacere prenderti quasi a calci in culo».

    «Ehi, andiamo», replicò Connor. Quando gli squillò il cellulare, trasalì e lo salutò velocemente con una mano prima di rispondere. «Tesoro, sì, scusami, non ho letto i messaggi. Sto tornando a casa ora». Aprì le porte a vetri e scomparve nella notte.

    Scuotendo la testa, Aidan attraversò l’atrio, diretto verso il bagno. Bussò alla porta. Emma gridò con voce stridula: «Vattene via, Connor. Non ho più niente da dirti. Per non parlare del fatto che mi hai fatto fare una figuraccia davanti a uno degli stronzi più grandi dell’azienda!».

    «Uno degli stronzi più grandi, eh?», mormorò lui sottovoce. Non era un titolo di cui andava fiero, specialmente se detto da una donna. Era abituato a sentire descrizioni molto più lusinghiere da parte loro – be’, almeno all’inizio, prima di voltare loro le spalle. Era da quel momento che le cose si facevano più spiacevoli.

    «Non uscirò dal bagno finché non saprò che te ne sei andato».

    Aidan sospirò. Era una donna determinata, questo era ovvio, e per di più testarda. Gli ritornò in mente quanto fosse bella e sexy alla festa di Natale, con il vestito verde attillato che le segnava le curve, rendendola irresistibile. Quando l’aveva notata dall’altra parte della sala, circondata da amiche, si era ripromesso di portarsela a letto. I suoi sorrisi timidi e le occhiate che gli lanciava lo avevano spinto a colmare quel poco spazio che c’era fra loro. Ovviamente, una volta arrivato al suo fianco, le sue amiche ficcanaso l’avevano già informata della sua discutibile reputazione da rubacuori e donnaiolo seriale.

    «Donne», borbottò aprendo la porta del bagno. Emma era accasciata sul divanetto con un fazzoletto di carta bagnata sugli occhi. La gonna le si era arricciata da un lato quasi fino al fianco, donandogli così una vista favolosa della coscia e delle gambe. Al suono dei passi, Emma brontolò. Frustò l’aria di fronte a sé con il dito indice puntato. «Giuro che se non mi lasci in pace ti do un calcio nelle palle così forte da far sparire ogni dubbio riguardo alla tua capacità di farmi fare figli!».

    Aidan ridacchiò. I capelli rosso rame rispecchiavano il suo carattere impetuoso – carattere che aveva tirato fuori alla festa di Natale. Tutta la sua riservatezza era evaporata in un istante quando gli aveva detto senza mezzi termini di non avere alcun desiderio di essere una delle sue conquiste o una scappatella.

    «Veramente non sono Connor».

    Al suono della voce di un estraneo, Emma si tolse il fazzoletto dagli occhi. Un’espressione di orrore le riempì il volto quando vide Aidan in piedi di fronte a lei. Si sistemò velocemente la gonna e si passò una mano fra i capelli scompigliati. «Non mi aspettavo di vederti, Fitzgerald», disse docilmente.

    Un sorriso gli scivolò sulle labbra. «No, immagino che aspettassi di riuscire a castrare Connor».

    Le guance e il collo di Emma divennero del colore dei suoi capelli. «Mi dispiace per la scenata, e mi dispiace che ti sia dovuto intromettere nella discussione. Per quanto fosse – sia – imbarazzante, apprezzo ciò che hai cercato di fare».

    Lui alzò le spalle. «Felice di aiutarti».

    «Be’, te ne sono grata, e mi dispiace averti rovinato la serata».

    Incapace di farsi sfuggire l’occasione, Aidan sorrise. «Non mi hai rovinato la serata. Al contrario, la notte è ancora giovane, quindi che ne dici se ti offrissi qualcosa da bere?».

    Lei accartocciò il fazzoletto di carta fra le mani prima di gettarlo nel cestino. «Ehm, è gentile da parte tua, ma è stata una giornata lunga. Forse è meglio che torni a casa».

    «Potremmo andare da O’Malley dall’altra parte della strada». Vedendo la sua esitazione, fece una risata. «Ti prometto che l’offerta non ha il doppio fine di rimpinzarti di alcol per farti venire a casa con me». Privatamente, sperava che un bicchiere o due riuscissero a sciogliere quella barriera di ghiaccio e dargli la possibilità di passare all’attacco.

    Non rimase sorpreso dallo shock che si riversò nell’espressione di Emma. «Davvero?».

    Si disegnò una croce sul cuore. «Parola di scout», mentì.

    Gli angoli della bocca di lei si sollevarono come se stesse tentando di nascondere un sorriso. «Va bene, allora. Dopo la giornata che ho passato, un bicchiere mi farà bene». Lanciò un’occhiata allo specchio. «Oh, sono un disastro. Mi daresti qualche minuto per sistemarmi?»

    «Certo. Ti aspetto qui fuori».

    Capitolo due

    Quando Aidan si chiuse la porta alle spalle, Emma lasciò andare il fiato che aveva trattenuto con un sospiro lungo ed esagerato. Avvilita, si appoggiò al ripiano del lavandino. Una bevuta con Aidan Fitzgerald – sei impazzita?. Tutte le donne in quell’ufficio conoscevano la sua reputazione da una-botta-e-via e, a meno di non volere il proprio cuore spezzato, era meglio tenersene alla larga. Le tornò in mente il loro incontro alla festa di Natale, i cui ricordi, come una tempesta di fulmini, le imperversavano nella mente.

    Essendo nuova nell’azienda, aveva tenuto gli occhi aperti per scovare qualsiasi uomo potenzialmente single. Dopo averlo colto a guardarla più e più volte, aveva chiesto innocentemente a Casey chi fosse. Lei aveva scosso la testa tanto velocemente che Emma era sicura che le si sarebbe strappato un muscolo. «È il sesso fatto persona, Em, quindi faresti meglio a stargli lontana a meno che tu non voglia essere usata!», le aveva risposto.

    Le altre erano intervenute descrivendo nel dettaglio alcune delle note avventure di Aidan con diverse donne dell’azienda. Perciò quando lui si era avvicinato con quello sguardo sensuale e l’andatura spavalda, lei l’aveva allontanato mandandolo via con la coda tra le gambe a causa del suo duro rifiuto.

    Ripescò l’astuccio del trucco

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