Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il testimone perfetto
Il testimone perfetto
Il testimone perfetto
E-book293 pagine3 ore

Il testimone perfetto

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

«C’è tensione dalla prima all’ultima pagina.» Publishers Weekly

Voleva riconciliarsi con la sua migliore amica.
Invece si ritroverà a vivere un incubo.

Dall’autrice del bestseller Era una moglie perfetta

Marissa Parlette non vedeva la sua migliore amica da anni. Dopo il tradimento di Lauren, infatti, i loro rapporti si sono bruscamente interrotti, fino al giorno in cui non si sono rincontrate per caso e hanno deciso di mettere una pietra sul passato. Marissa pensava che invitarla alla sua festa di fidanzamento potesse essere il gesto necessario a dimenticare. Ma mentre tutti si godono la serata, Marissa si accorge che qualcosa turba l’amica. E il peggio deve ancora venire: il giorno dopo il corpo di Lauren viene ritrovato in fondo a una scogliera. Che cosa le è successo? Possibile che sia caduta? E se qualcuno l’avesse spinta? Alla disperata ricerca di risposte che possano spiegare il drammatico accaduto, Marissa comincia a scavare a fondo tra gli eventi che si sono susseguiti la sera prima. Ma quello che emerge porta con sé sinistre implicazioni… Più Marissa investiga, più si convince che tutto quello che credeva di sapere sui suoi amici, sull’uomo che ama e persino su sé stessa, potrebbe non essere vero.

Autrice bestseller di USA Today e Publishers Weekly

Guardati dagli amici con dei segreti...

«Inquietante e pieno di atmosfere affascinanti, questo libro vi terrà sulle spine fino allo straordinario finale. Lo consiglio!»
Barbara Taylor Sissel

«A.J. Banner ha la capacità di mantenere la tensione dalla prima all’ultima pagina.»
Publishers Weekly

«Un avvincente thriller psicologico con una suggestiva ambientazione.»
The Seattle Times

«Il testimone perfetto è un romanzo davvero agghiacciante... I personaggi ottimamente caratterizzati tengono il lettore inchiodato...»
New York Journal of Books

A.J. Banner
Nata in India e cresciuta in America del Nord, ha sempre sognato di scrivere storie in cui nulla è ciò che sembra. È cresciuta leggendo Agatha Christie, Daphne du Maurier, e altri maestri del mistero. Ha sottratto furtivamente tutti i thriller dalla biblioteca dei genitori, anche i libri proibiti, e questo materiale, dopo anni, ha fornito spunti e ispirazioni per i suoi thriller psicologici, Un vicino di casa quasi perfetto, diventato un bestseller, e Era una moglie perfetta.
LinguaItaliano
Data di uscita6 feb 2019
ISBN9788822730039
Il testimone perfetto

Correlato a Il testimone perfetto

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il testimone perfetto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il testimone perfetto - A.J. Banner

    Capitolo uno

    Lauren sta  con il mio fidanzato durante la cena che ho impiegato ore a preparare. Fa così quando beve troppo vino. Io non sono molto indietro rispetto a lei, sono già al secondo bicchiere di Merlot. Non so neanche perché sto bevendo, di solito non lo faccio. Ma stasera io e Nathan abbiamo intenzione di annunciare il nostro fidanzamento, e il nostro futuro insieme è appeso a un unico, sottilissimo filo: l’approvazione di sua figlia. Anna ha solo nove anni ed è molto leale nei confronti di sua madre. Nathan mi aveva promesso che avrebbe dato la notizia alla bambina in giornata, ma lei non mi ha detto niente. Al momento è impegnata a nascondersi le olive in grembo. Mi ero scordata che le odia nella pasta.

    E adesso Lauren. Non ce la posso fare. Suo marito, Jensen, fa finta di non vedere, ma la sua palpebra scatta ogni volta che lei batte le ciglia verso Nathan, che rimane calmo mentre la maggior parte degli uomini capitola in sua presenza. Non importa che abbia l’occhio destro storto e il naso inclinato a sinistra, Lauren trasuda un fascino strano e ipnotico. Il tubino nero le avvolge le curve mentre si sporge verso Nathan per riempirgli il bicchiere. Il suo seno sinistro gli sfiora il braccio e io avvampo. Scommetto che fa così anche con i pazienti: è l’infermiera che tutti sognano.

    In confronto a lei, mi sento sciatta con il mio vestito color lavanda, nonostante la seta mi snellisca i fianchi e il colore metta in risalto gli occhi castani. Mi pulisco la bocca con un tovagliolo di stoffa e guardo l’imbrunire di novembre, e l’oceano che luccica attraverso gli alberi. Una nave da carico lampeggia all’orizzonte, forse diretta a Seattle. Il buio delinea il nostro riflesso sulla finestra: Anna, bionda e minuta; Nathan, scompigliato in modo affascinante; Jensen, il vichingo, incantato dalla moglie sensuale; Lauren, che flirta come un’adolescente insicura. E poi ci sono io, la padrona di casa nervosa, che vacilla sulla sedia, con i capelli ricci lunghi fino alle spalle, il viso un ovale indistinto a parte gli occhi luminosi. Al tavolo rotondo, sotto un lampadario di legno grezzo, sembriamo un gruppetto felice, ma il comportamento di Lauren ci rende tutti nervosi. Forse non avrei dovuto invitarla, ma la conosco da sempre. Ci tengo alla nostra amicizia d’infanzia − due bambine che ridacchiavano sotto le coperte, confidandosi segreti quando dormivano l’una a casa dell’altra. Ma quel periodo è passato.

    Anna guarda Lauren di nascosto, copiando i movimenti, tenendo il suo bicchiere di succo di mela tra il pollice e l’indice. È tutta la sera che la imita. «Dove sono zio Keith e zia Hedra?». Anna guarda l’orologio appeso al muro. Sono appena passate le sette.

    «Probabilmente sono rimasti bloccati nel traffico», risponde Nathan deciso. Poi tracanna il vino.

    «Di nuovo? Sono in ritardo di un’ora». Anna si mette una ciocca bionda dietro l’orecchio. «Zia Hedra aveva promesso che mi avrebbe fatto vedere come mettere il rossetto…».

    «Vuoi una lezione?», interviene Lauren, lisciando il tovagliolo che ha sulle gambe. «Mi farebbe piacere insegnartelo…».

    «Anna è troppo piccola per truccarsi», la interrompe bruscamente Nathan, che poi si rivolge alla figlia. «Sii paziente, pasticcino. Arriveranno presto».

    Ma, come quella di Anna, anche la mia pazienza si sta esaurendo. Devo fare violenza su me stessa per evitare di strangolare Lauren. Vorrei che Julie, la mia migliore amica, non fosse partita per una conferenza. Ho bisogno delle sue rassicurazioni.

    «Bevi solo quello?». Lo sguardo di Lauren si posa sul bicchiere mezzo vuoto di Nathan. «Cosa ci vuole per farti sbronzare?».

    Non lo saprai mai, vorrei dirle. Tieni le mani a posto.

    «Non sono un gran bevitore», risponde lui, mangiando un altro po’ di pasta.

    «Forza, divertiti un po’. Magari Marissa riesce a convincerti». Mi fa un sorriso ambiguo. Potrei convincere Nathan a cacciarla fuori a calci, ma sono superiore. E dovrebbe essere Jensen a tenerla sotto controllo. Ma sta guardando fuori dalla finestra, con la mente lontana chilometri.

    «Da quanto hai detto che tu e Lauren vi conoscete?», chiede Nathan posando una mano sulla mia. Il calore del suo tocco mi dà sollievo.

    «Da quando avevamo cinque anni», risponde Lauren con la voce leggermente strascicata. «Marissa si era trasferita nella casa accanto, proprio prima dell’inizio della scuola, a settembre».

    «A Silverwood», dice Nathan.

    Lei sventola il cucchiaio avanti e indietro, come se stesse dirigendo un’orchestra. «Avresti dovuto vederla sull’altalena, credevo si sarebbe capovolta. Ed è stato allora che ho capito che saremmo diventate migliori amiche. Facevamo finta di essere sorelle».

    «Marissa non mi ha raccontato questo particolare», dice Nathan lanciandomi uno sguardo interrogativo. «La storia delle sorelle, intendo».

    «Mi è sfuggito», gli rispondo dolcemente e mi metto subito sulla difensiva. Non riesco a immaginarmi imparentata con Lauren, anche se da piccole indossavamo vestiti simili e ci spruzzavamo il profumo forte di sua madre. «Ora abbiamo lo stesso odore», diceva. «Come due gemelle». Da adulta, ha iniziato a usare la stessa fragranza nauseante.

    Allunga la mano e prende il bicchiere. «Alla fine ci siamo perse di vista. Capita. Ma l’anno scorso ci siamo incontrate per caso, e… be’, è stato bellissimo ritrovarci».

    Bellissimo. Non è la parola che userei per descrivere la nostra amicizia, stasera.

    «Mi fa piacere che parliate di nuovo». Nathan mi bacia la guancia, un tocco leggero che ha lo scopo di calmarmi. Riesce a capire quello che provo.

    «Serendipità», dice Lauren, dandogli una pacca sul braccio.

    Le sue dita restano lì più del necessario. Jensen fissa il suo piatto e stringe forte il coltello.

    Distolgo lo sguardo e faccio respiri profondi. Uno, due, tre. Diamole il beneficio del dubbio. Diamo la colpa al vino. O magari il profumo le sta annebbiando il cervello.

    Jensen spalma una quantità generosa di burro su un pezzo di pane, dà un morso e poi un altro, riempiendosi la bocca. Anna lo guarda leggermente disgustata. Ultimamente è fissata con le buone maniere.

    «Ai vicini». Nathan solleva il bicchiere e mi fa un sorrisetto asimmetrico, facendomi calmare i nervi. Lo stesso che mi aveva fatto quando l’ho conosciuto alla scuola di Anna. Nonostante fossi seduta di fronte a lei, la sua figlioletta timida che balbettava, riuscivo solo a guardare lui. A fissare quegli occhi scuri così intensi, i lineamenti rudi. Aveva un aspetto disordinato, grezzo. I suoi capelli non sono mai del tutto pettinati, la sua camicia non è mai abbottonata completamente.

    Non mi stupisce che Lauren sia così attratta da lui. Ma deve smetterla. Suo marito si irrigidisce per la rabbia repressa.

    «Forza», dice, sempre sporgendosi verso Nathan. «Non devi mica guidare. O stanotte devi lavorare?»

    «Stavolta no», le risponde educatamente.

    «Nessun salvataggio eroico?». Sventola la mano agitando le dita ingioiellate.

    «Non funziona così, di solito», risponde, e mangia una forchettata di pasta.

    «Sei troppo modesto. Hai un lavoro talmente romantico».

    Allunga la mano verso la bottiglia di vino, ma Jensen la ferma.

    «Vacci piano, Lauren». La sua voce è tagliente, ammonitrice.

    Già, vedi di andarci piano. Magari ora la fa alzare, la trascina a casa e la rimprovera per il suo pessimo comportamento. Invece si limita ad allontanare la bottiglia da lei.

    Cos’è successo alla Lauren che conoscevo? La ragazza che mi prendeva a braccetto, che aveva promesso che saremmo state migliori amiche anche quando i capelli ci fossero diventati grigi e avremmo perso tutti i denti? Dev’essere ancora lì, da qualche parte, che affoga in cinque litri di Merlot.

    «Perché dovrei andarci piano?». Solleva il bicchiere. «La vita è breve. Dobbiamo festeggiare l’amicizia». C’è una sfumatura amara nella sua voce. Tiene il bicchiere sollevato che oscilla leggermente. Le sue unghie, di solito ben curate, sono mangiucchiate.

    «Sì, festeggiamo», dice Anna, sollevando il suo bicchiere. Ma ha gli occhi adombrati dall’insicurezza. Nathan le ha dato la notizia?

    «Grazie, pasticcino», le sorride.

    Passo a Lauren il piatto con il pane, in modo che assorba tutto l’alcol che ha in corpo, almeno spero. «Ci sono ancora due portate», dico. «Questo è solo l’antipasto».

    «Ti sei superata con questa cena». Jensen mi guarda ammirato.

    «Sorpresa! Ho imparato a cucinare». E gli sorrido da dietro il bicchiere.

    Lauren gli lancia uno sguardo che potrebbe congelare tutta la sala.

    Jensen si rivolge a Nathan. «Prima di laurearci», dice, «Marissa aveva fatto del cibo da asporto una religione, ogni volta che andavo a casa loro».

    Nathan mi dà una leggera pacca sulla mano. «Davvero?». Non è sorpreso che frequentassi Jensen all’università. Noi tre – io, Lauren e Jensen – eravamo amici da molto prima che lo conoscessi.

    «Non ero una gran cuoca», sorrido mestamente.

    «Hai quasi incendiato la cucina», interviene Lauren, posando la forchetta nel piatto.

    Avvampo. Forse avrei dovuto dar fuoco a tutto l’appartamento con lei dentro. Perché avevo accettato di essere la sua coinquilina? Ha finito per rovinarmi la vita. Ma scaccio via questi pensieri vendicativi. Ora le auguro solo il meglio, no?

    «Hai fatto molta strada, tesoro», sta dicendo Nathan, portandosi la mia mano alla bocca e baciandomi le dita. «Ora sei la chef migliore del mondo».

    «Non direi», rispondo.

    Lauren prende la forchetta. «Non parliamo più di quel periodo, mi fa sentire vecchia».

    «Ora abbiamo diciassette anni di più», dico. È strano pensare che abbiamo entrambe trentasei anni. A diciannove ci sentivamo adulte, ma eravamo ingenue.

    «Hai l’età che ti senti di avere», commenta Nathan. «Giusto, tesoro?».

    Prima che riesca a rispondere, suonano alla porta. Mi alzo di scatto, grata di avere una scusa per allontanarmi dal tavolo, e corro ad aprire.

    Keith entra, portando una ventata di freddo autunnale, e posa il borsone nell’atrio. «Scusa il ritardo, ma mio fratello vive a Timbuctù». Vestito in modo impeccabile e curato, è la versione più alta e raffinata di Nathan ma con il viso più stretto, gli occhi dello stesso colore del cielo quando piove e senza un capello fuori posto.

    «Lo sai che Timbuctù esiste, vero?», dico. «Com’è andato il viaggio?»

    «Non male, appena abbiamo lasciato la città».

    «Ho sempre amato la tranquillità che c’è qui». Hedra è subito dietro di lui. Sembra una principessa delle favole venuta da un altro mondo: lineamenti perfetti e ciocche chiarissime che le svolazzano davanti al viso. Ma ha le occhiaie scure. Mi ricorda una versione esausta di Gwyneth Paltrow. Mi porge una bottiglia di vino.

    Ammiro l’etichetta. «Prosecco. Nathan sarà entusiasta».

    «Nathan non distingue il prosecco dal prosciutto», dice Keith togliendosi il cappotto. Ha un maglione di cachemire grigio e dei pantaloni neri perfettamente stirati, è elegante quasi come se avesse indossato uno smoking.

    «Oh, Keith, non iniziare». Hedra si toglie lo scialle su misura rivelando un vestito a maniche lunghe color smeraldo come i suoi occhi. Il raso le avvolge la figura snella. Ma Keith non la guarda, è già andato nella sala da pranzo e ha posato lo sguardo su Lauren. Lei gli sorride e mi si stringe lo stomaco. Per attirare gli uomini, le basta respirare. Anche con quello spazio tra gli incisivi. O forse proprio per quello.

    Hedra deve averlo notato, perché le compaiono due chiazze rosse sulle guance mentre ci accomodiamo a tavola.

    «È bello rivedervi», dice Jensen fissando Keith. «Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo cenato tutti insieme?»

    «Ad agosto, alla grigliata di quartiere», interviene Nathan gesticolando con la forchetta.

    «Giusto». Jensen beve il vino tutto d’un fiato. «Voi quattro non vi vedete più spesso?». Gli scappa un leggero accento del Sud, residuo della sua infanzia a Houston.

    «Io e Keith abitiamo a Bellevue», risponde Hedra educatamente, come se la cosa spiegasse tutto.

    Lauren infilza un’oliva con la forchetta. «Ma non siete mica a New York o in Europa. Potreste passare dopo l’ora di punta, no?»

    «Tanto ci vuole un attimo», dice Hedra con un sorriso canzonatorio. Lei e Nathan si scambiano uno sguardo, come se fossero d’accordo sulla stupidità di Lauren. Sento l’impulso di proteggerla.

    «Lavoro sei giorni a settimana», spiega Keith, «e sono spesso a disposizione».

    Hedra gli posa la mano sull’avambraccio. «La sua équipe è molto richiesta. Le sue operazioni…».

    «Non scendiamo nei dettagli», la interrompe Keith. «Ora siamo tutti insieme. Divertiamoci».

    «Sì, divertiamoci!», esclama Anna, ma è l’unica che sorride.

    Keith posa lo sguardo sul vestito di Lauren. Se lo sguardo potesse uccidere, Hedra lo starebbe trucidando. Probabilmente gliene dirà quattro nella stanza degli ospiti, più tardi. Se litigano, sarà meglio che siano silenziosi: Anna ha il sonno leggero. E in questo momento sta guardando il telefono posato sulle gambe e scrive di nuovo messaggi. Sinceramente, è troppo piccola per avere un cellulare, ma gliene serve uno per restare aggiornata su dove deve andare ogni settimana − qui a casa di Nathan o da sua madre.

    Lauren si incolla di nuovo a Nathan, che la scosta educatamente, beve un sorso di vino e guarda Hedra. «Che hai fatto al braccio?».

    Lei solleva la mano destra e la manica le scivola sul braccio, mostrando un livido sul polso. «La scorsa settimana ho fatto un servizio fotografico. Sono caduta dalla pedana perché il tacco si era impigliato nel tappeto».

    «Deve farti male», commento con una smorfia. «Sarà stata una bella caduta».

    Annuisce, con le guance che impallidiscono.

    Lauren si sporge per prenderle il polso delicato. «Il livido è ancora viola», dice. «L’emoglobina non è ancora entrata in azione».

    Guardo Lauren senza riuscire a nascondere la mia sorpresa. La confusione data dall’alcol è in parte sparita dai suoi occhi, ed evidentemente anche dal suo cervello.

    «Davvero? E cosa vuol dire?», chiede Hedra guardando Keith, ansiosa.

    Lui le prende il braccio ed esamina il polso. «Il servizio fotografico è stato due giorni fa, non la scorsa settimana, ti ricordi?». Le lascia il braccio.

    Hedra sbatte le palpebre, lo sguardo confuso. «Non ci sto più con la testa. Hai ragione, è stato solo due giorni fa».

    «Quello per il catalogo invernale, giusto?», chiede Nathan.

    Il suo sguardo si fa scuro per un attimo, poi sorride. «Tu e la tua memoria fotografica». Lancia un’altra occhiata a Keith, ma lui sta fissando Nathan e gli occhi gli brillano come gemme.

    «Ricordarmi tutto fa parte del mio lavoro», dice Nathan, evitando lo sguardo del fratello. «Non posso dimenticarmi una procedura né un dosaggio. Potrei finire nella merda».

    «Corri proprio dei rischi enormi», commenta Keith sarcastico.

    «Trasporto trentatré diversi farmaci. Potrei iniettarti qualunque cosa».

    Il sopracciglio destro di Keith si inarca. «Sei un paramedico o uno spacciatore?»

    «Sei un chirurgo o un pezzo di merda?»

    «Nathan!», esclamo, fingendo indignazione.

    Keith ride. «Questo pezzo di merda dà una seconda occasione ai pazienti moribondi. È gratificante sapere che sono quello che salva loro la vita».

    «E ti rende anche umile», ribatte Nathan.

    Il viso di Keith si rabbuia e segue un silenzio imbarazzante. Hedra si massaggia il polso con sguardo assente, Anna beve rumorosamente il suo succo e il viso di Lauren assume la stessa tonalità pallida delle pareti.

    Jensen si schiarisce la voce. «Che ne pensate della cucina di Marissa? Buonissima».

    «Ho preparato il minestrone alla ligure, come primo», dico, cercando di sembrare allegra.

    «Cos’è?», chiede Anna, arricciando il naso.

    «È una zuppa fatta con verdure, aglio…».

    «Prima di passare alla prossima portata», mi interrompe Nathan, «abbiamo un annuncio da fare». Mi fa alzare e mi guarda con occhi talmente innamorati che mi manca il respiro. Il cuore mi batte all’impazzata, mi gira la testa. Sverrò di sicuro. Lo sta per fare, ora, davanti a tutti.

    Si inginocchia e io avvampo. Tira fuori una scatolina di velluto nero dalla tasca e alza lo sguardo su di me. «La prima volta che ti ho vista alla scuola di Anna, mi sono innamorato. È stato amore a prima vista».

    «Anche per me», rispondo con le lacrime agli occhi. «Dalla prima volta che ti ho visto, intendo». Solo molto tempo dopo mi ha detto che aveva guardato me e Anna dal vetro del mio ufficio; e quando era entrato, fingendo di essere appena arrivato, i nostri sguardi si erano incatenati e quella notte l’avevo sognato. Mi è entrato in testa e non se n’è mai andato. Anche ora, mentre mi prende la mano, sento un legame etereo tra noi. La prima volta che mi ha toccata, la prima volta che mi ha baciata, la prima volta che mi ha avvolta tra le sue braccia e la nostra prima cenetta romantica qui, proprio in questa stanza – tutte le nostre prime volte si condensano in questo momento sorprendentemente intenso. Anche se mi ha già sussurrato all’orecchio «Sposami», in qualche modo il nostro fidanzamento non mi era sembrato reale fino a ora.

    «Marissa Parlette, vuoi passare il resto della tua vita con me?», chiede, con la voce roca per l’emozione. «Vuoi sposarmi?».

    Nella stanza regna il silenzio, tutti trattengono il fiato. Poi qualcuno sussulta. Lauren. Mi rendo conto che Anna scrive furiosamente sul telefono. Sorrido a Nathan e poi scoppio a ridere. Ho sempre voluto tutto questo, anche se sembra un cliché: la proposta in ginocchio, la dichiarazione d’amore. Eppure, è un momento perfetto. «Sì, ti voglio sposare», rispondo. «Sì».

    Mi infila al dito un anello d’oro filigranato, si alza e mi prende in braccio mentre gli ospiti urlano e fischiano. Mi mette giù e sollevo la mano alla luce, mettendo in mostra il mio nuovo anello. Con la coda dell’occhio, vedo che le spalle di Lauren sono incurvate e che sta impallidendo.

    «Congratulazioni, fratello», dice Keith sollevando il bicchiere. «Sposi una psicologa. Magari riesce a sistemarti il cervello».

    Pensa di essere divertente? Lancio uno sguardo a Nathan mentre ci sediamo, ma lui sorride ancora, non lasciando che il fratello rovini la serata. «Marissa può sistemare tutto», ribatte.

    «Non sono una psicologa vera e propria, sono una logopedista», dico. «Aiuto i bambini che hanno problemi di linguaggio».

    «Non sei una strizzacervelli», risponde Keith, trafiggendomi con lo sguardo. «Lo sapevo. Peccato, a Nathan servirebbe un po’ di terapia».

    «Keith!». Hedra mi lancia un’occhiata di scuse. «Siamo felici per voi».

    «Sì, grandi!», esclama Jensen, dando una pacca sulla schiena a Nathan. «Avete deciso la data?».

    Nathan mi guarda. «Pensavamo… in primavera?»

    «Il nostro primo appuntamento è stato a maggio, ci sposeremo a maggio», dico sorridendogli. La prima cosa che avevo notato una volta arrivata a casa sua era stata la maglietta al rovescio e i suoi capelli scompigliati. E l’espressione scioccata: ero in anticipo. Ma quell’espressione si era presto trasformata in gioia. Si sentiva l’aria salmastra dell’oceano e il suo profumo leggero si mischiava a quello di pino che veniva dal bosco. «Sto cercando di cucinare», aveva detto invitandomi dentro. «Spero di non farti venire il mal di pancia».

    «Fortunatamente, ho un medico a portata di mano», avevo risposto.

    «Non so più come si fa a frequentare qualcuno. È da tantissimo tempo che sono solo il padre di Anna».

    «Cucini per lei, vero?»

    «Maccheroni e formaggio, panini. Se vogliamo definirlo cucinare».

    Invece sapeva come si frequenta qualcuno. Gli era venuto naturale: la risata pronta, il modo in cui mi faceva il filo, con il suo sorriso e le storielle divertenti.

    «Niente matrimonio estivo per Nathan», sta dicendo Hedra. «Ribelle come sempre. Cosa indosserai? La divisa?»

    «Pensavo allo smoking», dice, facendomi l’occhiolino.

    «Io invece ho pensato a qualcosa di non convenzionale». Le faccio vedere una foto sul mio iPhone in cui indosso un elegante vestito lungo di seta azzurro chiaro, arricciato sulla vita, con la gonna larga e lo scollo rotondo che valorizza la mia figura. «Me l’ha dato Lauren all’università». Il suo ultimo regalo da vera amica.

    «È meraviglioso», commenta Hedra.

    Gli occhi di Lauren si illuminano. «Io e Marissa andavamo sempre alla ricerca di vestiti nei negozi dell’usato».

    «E questo l’avete trovato in un negozio dell’usato?», chiede Hedra sporgendosi.

    «È un reperto degli anni Ottanta», spiega Lauren.

    «Wow», interviene Anna, scrivendo furiosamente messaggi. «È un vestito da stella del cinema. Mia madre vende cose del genere nel suo negozio».

    Hedra sussulta. «È bellissimo».

    «Ci entravamo entrambe», dice Lauren, «ma stava meglio a Marissa».

    Sta mentendo: il vestito le stava alla perfezione, e l’ha anche indossato due volte prima di darmelo. Adorava l’azzurro lucido, le

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1