Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La piccola pasticceria in fondo alla strada
La piccola pasticceria in fondo alla strada
La piccola pasticceria in fondo alla strada
E-book384 pagine5 ore

La piccola pasticceria in fondo alla strada

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La felicità può nascondersi in posti inaspettati

Dall'autrice del bestseller Una piccola libreria molto speciale

Fin da ragazzina, Roxanne Cartwright non ha fatto che attendere con ansia il giorno in cui avrebbe lasciato il paesino dello Yorkshire nel quale è cresciuta. Aveva sogni troppo grandi per un posto così piccolo. Adesso, trent’anni dopo, lavora per una rivista di moda a Londra e ha la vita brillante e glamour che ha sempre desiderato. Ma quando un uomo le spezza il cuore e tutto ciò che ha costruito minaccia di crollare, Roxanne ritorna nel piccolo villaggio da cui era fuggita. E Burley Bridge è tranquillo come lo ricordava, anche se la libreria aperta da sua sorella Della ha portato una ventata di aria fresca, accendendo nuovi entusiasmi. Però spesso non c’è molto da fare, a parte passeggiare. Proprio passeggiando, Roxanne scopre cose che non aveva mai notato prima: le persone, ad esempio, sono davvero persone, ben diverse dai personaggi del jet set cui è abituata, eppure tutt’altro che noiose. La loro gentilezza pian piano la conquista, in particolare quella di Michael, affascinante padre single che si occupa della pasticceria del paese. Basterà un po’ di dolcezza a far capire a Roxanne che la felicità può nascondersi nei posti più inaspettati?

Preparatevi a innamorarvi del piccolo paese di Burley Bridge

«Un romanzo confortante come una fetta di torta di mele fatta in casa.» 
Red

«Romantico, divertente, toccante.»
The Daily Mail«Brillante, una finestra aperta sulla vita familiare.»
Chick Lit Reviews
Ellen Berry
È giornalista e scrittrice. Originaria della campagna del West Yorkshire, vive a Glasgow con il marito e tre figli. Quando non scrive, adora cucinare una delle ricette dei suoi innumerevoli libri di cucina, che sono l’ispirazione per i suoi romanzi. La Newton Compton ha pubblicato Una piccola libreria molto speciale e La piccola pasticceria in fondo alla strada.
LinguaItaliano
Data di uscita23 lug 2018
ISBN9788822723994
La piccola pasticceria in fondo alla strada

Correlato a La piccola pasticceria in fondo alla strada

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La piccola pasticceria in fondo alla strada

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La piccola pasticceria in fondo alla strada - Ellen Berry

    EN.jpg

    Indice

    Prologo

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Capitolo ventuno

    Capitolo ventidue

    Capitolo ventitré

    Capitolo ventiquattro

    Capitolo venticinque

    Capitolo ventisei

    Capitolo ventisette

    Capitolo ventotto

    Capitolo ventinove

    Capitolo trenta

    Capitolo trentuno

    Capitolo trentadue

    Capitolo trentatré

    Ringraziamenti

    narrativa_fmt.png

    1982

    Della stessa autrice:

    Una piccola libreria molto speciale


    Questo libro è un’opera di finzione. Ogni riferimento

    a fatti o persone realmente esistiti è puramente casuale

    Titolo originale: The Little Bakery on Rosemary Lane

    Copyright © 2017 Ellen Berry

    Ellen Berry asserts the moral right to be identified as the author of this work

    All right reserved

    Traduzione dall’inglese di Silvia D’Ovidio

    Prima edizione ebook: agosto 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2399-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma

    Ellen Berry

    La piccola pasticceria

    in fondo alla strada

    OMINO.jpg

    Newton Compton editori

    A Tania,

    con amore, abbracci e un sacco di moine

    Prologo

    A Marsha Kennedy era successa una cosa singolare.

    Si era ritrovata direttrice della rivista di moda più famosa d’Inghilterra. Certo, aveva già collaborato con diverse pubblicazioni, ma sempre nel campo della dieta e del fitness: riviste che promettevano corpi sodi e chili persi in fretta. Non sapeva quasi niente di moda, e gliene importava ancora meno.

    «Tu non ti preoccupare», aveva detto Rufus quando le aveva suggerito di accettare l’incarico. «Anzi, guarda il lato positivo. Hai una mentalità commerciale, Marsh, sai come si vendono le copie, ed è proprio questo che serve a quella gente. Un calcio nel sedere, una bella sveglia. Sono rimasti seduti sugli allori anche troppo a lungo. Si sono accontentati di restare a galla con le loro… foto carine».

    In qualità di editore della Walker Media Inc., Rufus era a capo di tutta una serie di riviste, e mentre pronunciava le parole foto carine, Marsha aveva avuto l’impressione di vedergli dilatare le narici dal disprezzo. Non aveva alcun interesse per l’aspetto creativo, lui: il suo lavoro era fare in modo che le riviste rastrellassero il massimo dei profitti. Era il diretto superiore di Marsha, nonché suo amante. Era sposato, e la loro relazione clandestina era piuttosto frenetica.

    «Dobbiamo prendere misure drastiche se vogliamo che la rivista sopravviva», aveva aggiunto, trasalendo mentre Marsha gli passava un dito tra la peluria rossiccia e sudata sulla pancia leggermente arrotondata.

    Erano distesi su dei lettini di plastica sul rettangolo di erba sintetica che copriva il suo terrazzo esposto a sud a Dalston, East London. Avevano passato la maggior parte di quella giornata di aprile particolarmente calda a spalmarsi a vicenda la protezione solare. Rufus aveva mugugnato che avrebbe dovuto farsi una doccia per lavarla via, per non tornare a casa da sua moglie con addosso quello stucchevole odore di burro di karité. La scottatura sarebbe stata un problema più complicato, aveva pensato guardandosi il petto con preoccupazione. In teoria era nella casa di cura a Stroud, a far visita a sua madre. Come spiegare il suo petto color bacon?

    «Voglio che te ne occupi tu», aveva detto. «Ti sparo là come un missile. Se c’è qualcuno in grado di sistemare le cose sei tu, Marsh, tesoro».

    «Lo pensi davvero?». Si era intrecciata i capelli castani lunghi fino alle spalle in quella che sperava fosse una treccina carina.

    «Certo, perché no?»

    «Perché non è il mio settore, tesoro».

    «Ma piantala. Lo so come sei. Puoi fare qualsiasi cosa se te la metti in testa». Le aveva fatto l’occhiolino e lei si era messa a ridere. «E credimi», aveva aggiunto, stringendola al petto sudaticcio, «farò in modo che ne valga la pena».

    Ed era stato di parola, sia sotto il profilo economico che sotto altri aspetti più immediati. Marsha era a capo della più amata rivista di moda d’Inghilterra da due settimane. Anche se le vendite erano calate negli ultimi due anni, era sicura che il vento sarebbe cambiato presto. Rufus aveva ragione: certo che era capace di gestire una rivista patinata di moda. Doveva soltanto spaventare a morte tutti quanti. E finora stava funzionando a meraviglia.

    Tanto per cominciare, aveva fissato l’inizio dell’orario d’ufficio alle nove, invece della vecchia, rilassante entrata alle dieci. Aveva introdotto delle lezioni di yoga, che si tenevano sulla moquette grigia e ruvida dell’ufficio. «È facoltativa, naturalmente», aveva spiegato, mostrando ai dipendenti i denti bianchissimi, «ma credo che vi farà molto bene e sarò molto delusa se non farete almeno un tentativo». Jacqui, l’assistente personale che Marsha aveva voluto portarsi dietro a tutti i costi, aveva ordinato tappetini e cuscini e aveva prenotato due insegnanti per fare lezione a giorni alterni. Marsha, che era in grado di condurre un’importante telefonata di lavoro mentre faceva la verticale, trovava molto divertente guardare le smorfie dei membri meno flessuosi del team.

    Per esempio, Roxanne Cartwright, la fashion director e impiegata più anziana, che era appena entrata tutta trafelata bevendo caffè da asporto. Tipico, pensò Marsha. Tutti gli altri erano già pronti a iniziare la sessione con le gambe incrociate e gli occhi chiusi.

    «Scusate il ritardo», balbettò Roxanne, appoggiando il caffè sul bordo della scrivania di Zoe, la responsabile della sezione bellezza. Il bicchiere rimase per un attimo in bilico su un ombretto prima di rovesciarsi. «Oh Dio!», disse Roxanne, correndo in cucina e tornando con un mucchio di tovaglioli di carta. «Mi dispiace tanto, Zoe», aggiunse.

    «Rox, va tutto bene», mormorò Zoe dal suo tappetino sul pavimento. «Calmati, tesoro…».

    Ma per come la vedeva Marsha non andava bene proprio per niente. Sospirò irritata quando Roxanne, dopo aver tamponato il lago di caffè, corse a cambiarsi in bagno per mettersi in tenuta da yoga. A quanto pareva non ce la faceva proprio a prepararsi già a casa come tutti gli altri. Finalmente pronta per la lezione, nell’ufficio principale, Roxanne assunse la posizione adatta sul tappetino accanto a Marsha. Stranamente quel posto era sempre l’ultimo a venire occupato.

    Mentre fingeva di aver raggiunto uno stato di perfetta meditazione zen, Marsha sbirciò Roxanne che ansimava ancora un po’. L’aveva osservata a lungo nelle ultime due settimane. Era sempre di corsa, aveva notato: correva agli appuntamenti e alle sessioni fotografiche, le guance arrossate, i capelli per aria, il telefono incollato all’orecchio. E quella mattina era in uno stato pietoso. Aveva le guance rosso fuoco, lo chignon si stava sciogliendo, ciocche di capelli chiari le sventolavano sul viso. Per quanto le pesasse ammetterlo, Marsha doveva riconoscere che Roxanne era ancora molto bella per la sua età (quando hai appena trentatré anni, gli anta ti sembrano un’età geriatrica), e il suo fascino naturale era incantevole. Magnifici occhi celesti, una delicata struttura ossea che le conferiva un alone di eleganza e dignità.

    Oltretutto, Roxanne aveva uno stile casual che Marsha sperava di poter emulare: come diavolo faceva a mettere insieme un outfit tanto perfetto, apparentemente senza alcuno sforzo? Ogni volta che Marsha ci provava, l’accessorio originale, fosse anche un’innocua sciarpa indiana, stonava come se un passante gliela avesse gettata addosso per farle uno scherzo crudele. Di conseguenza Marsha tendeva ad andare sul sicuro, con camicette attillate color crema o bianche e pantaloni neri; un’uniforme che le risparmiava la seccatura di pensare ogni mattina a cosa mettersi. Rufus le aveva assicurato che il compito di una direttrice di una rivista di moda era assicurarsi che le vendite andassero bene, non avere l’aria di una top model appena scesa dalla passerella.

    Marsha aveva notato anche un’altra cosa di Roxanne, a parte la bellezza naturale e lo stile innato (accidenti a lei): aveva un entusiasmo infantile che attirava e ispirava una lealtà inattaccabile in chi le stava vicino. Marsha aveva già tenuto dei colloqui informali con Zoe e gli altri capi reparto, e tutti loro erano stati gradevolmente favorevoli alla nuova direzione che voleva far prendere alla rivista. Con Roxanne, invece… sospettava che le cose non sarebbero state altrettanto semplici. Marsha voleva limitare la magnifica fotografia di alta moda per cui la rivista era tanto rinomata, e proporre invece centinaia di outfit dozzinali che promettessero prodigi in termini di rimodellamento della figura. Mutande miracolose, pantaloni che sfinano, reggiseni antigravitazionali: queste erano le cose che voleva vedere Marsha. Ovviamente Roxanne si sarebbe infuriata. Il nuovo corso avrebbe fatto a cazzotti con la sua estetica romantica fatta di ragazze meravigliose in groppa a stupendi destrieri, avvolte in nubi di chiffon, ma chi se ne importava? Il lavoro di Marsha era vendere più copie, invertire il declino della distribuzione e massimizzare il profitto. Questo le avrebbe assicurato non solo un enorme bonus, ma avrebbe potuto rappresentare la spinta decisiva perché Rufus lasciasse la sua orrenda moglie, e diventasse davvero suo. Lo amava profondamente, e il suo passatempo preferito era immaginarsi con lui – la coppia più potente dei media londinesi – a fare incetta di tutti i premi possibili e immaginabili del loro settore.

    In perfetta posizione del cane a testa in giù, Marsha guardò i suoi collaboratori. Stavano tutti facendo del proprio meglio, anche se notò qualche sguardo ansioso diretto all’orologio sulla parete. Il povero Tristan, l’art director, tremava visibilmente, con una vena rigonfia sul collo. Sentì odore di sigaretta: proveniva da Grace, l’assistente del settore beauty. Kate, l’assistente dell’area moda, emetteva flebili gemiti.

    Marsha rimaneva perfettamente immobile – i muscoli tesi, il sedere marmoreo in alto – mentre osservava la sua responsabile del settore moda, il suo potenziale problema. Avrebbe dovuto usare il pugno di ferro con lei, ma quella prospettiva non la spaventava. In tutti gli ambiti della sua vita, che si trattasse di raggiungere un corpo scolpito o uno stratosferico successo lavorativo, aveva sempre tenuto a mente l’obiettivo finale. Occhi fissi sul traguardo. Non avrebbe certo permesso a Roxanne Cartwright di sbarrarle la strada.

    Capitolo uno

    Sciogliete dolcemente il burro, lo zucchero e la melassa in una padella piccola…

    Sembrava abbastanza facile. Era un libro di cucina per bambini, un regalo della sorella maggiore, Della. Le aveva fatto uno scherzo, in teoria. Roxanne non sapeva cucinare. Non vedeva la ragione di mettersi a infornare qualcosa che si poteva comprare tranquillamente da qualche parte. Ma se era in grado di farcela un bambino di sette anni, di sicuro Roxanne a quarantasette sarebbe riuscita a seguire una semplice ricetta passo dopo passo senza dare fuoco alla cucina, giusto?

    Aveva deciso di preparare i brandy snaps, croccanti di melassa, ispirata dalla fotografia nel libro. Era la fashion director di «YourStyle» e le piaceva che le cose fossero belle da guardare, e cosa c’era di più gradevole all’occhio di biscottini arricciati che parevano fatti di pizzo? Aprì il frigorifero, distogliendo lo sguardo dalla busta di cavolo nero che aveva comprato con l’intenzione di buttarlo nei frullati – per ottenere una sferzata di energia e accendere una luce interiore – e che ora stava lentamente appassendo mentre aspettava che lei prendesse una decisione sul suo destino. Gettarlo nel cestino, come l’ultima volta, e sopportare l’ondata di inquietudine che ne sarebbe sicuramente conseguita? (Non sono capace neppure di finire un cavolo!). O lasciarlo semplicemente lì, a marcire in silenzio? Decise di ignorare la sua esistenza. Prese il burro, controllò la data di scadenza e chiuse il frigo. Era ancora commestibile, per poco. Roxanne viveva da sola e un pacchetto poteva durare settimane.

    Non possedendo una bilancia da cucina, andò a occhio, immaginando lo sguardo di sorpresa e delizia di Sean quando sarebbe passato da lei, più tardi. Un dono d’amore commestibile per il suo cinquantesimo compleanno! Non era una cosa dolcissima? In quei nove mesi insieme non gli aveva mai preparato niente di più elaborato di un toast, un caffè o un gin tonic. «La mia dea selvaggia», la chiamava con affetto, prendendola spesso in giro per le provviste di cavolo nero. «Perché non la smetti e basta di comprare quella maledetta roba?». Be’, sarebbe stata la scelta più logica, in effetti, ma avrebbe sottolineato la sua disfatta nel campo dell’auto miglioramento. Sarebbe stato come ammettere che non sarebbe mai più rientrata in quei jeans taglia 38 abbandonati in fondo al cassetto e donarli in beneficenza.

    Meglio metterli via. Non si sa mai. Un ragionamento che ogni donna conosce bene.

    Comunque ora non aveva importanza. Con tutto quello sciroppo e i grassi, i brandy snaps erano ben lontani dal rappresentare una forma di nutrimento salutare, ma se non altro la sua piccola cucina strapiena di roba si stava colmando di un aroma delizioso e inebriante.

    Anche se Roxanne non si sentiva propriamente rischiarata da una luce interiore – una successione di notti brave con Sean aveva offuscato i suoi occhi celesti e la pelle chiara –, sentiva comunque un fremito di impazienza per la serata che la aspettava. Spostò indietro i lunghi capelli color miele e rifletté con un sorriso su quell’evento improbabile: Roxanne Cartwright che prepara dei dolci! Possedeva una sola casseruola, una padella per friggere e un unico cucchiaio di legno mezzo spaccato. Da bambine, sua sorella Della spignattava felice con sua madre in cucina, e adesso possedeva una pittoresca bottega nel paesino della loro infanzia, nello Yorkshire, in cui vendeva soltanto libri di cucina. Inizialmente rifornito con la collezione della madre, il negozietto ora prosperava, un vero punto di aggregazione della comunità molto unita e compatta di quelle parti. Per Roxanne però la cucina del Rosemary Cottage non era mai stata accogliente. Quando provava a dare una mano, combinava dei pasticci e la madre si innervosiva. «Per l’amor del cielo, Roxanne, sarà così difficile tritare un po’ di cipolle? Dammi quel coltello. Tanto vale che faccia da sola!». Quando sentiva una bicicletta che si avvicinava sul sentiero di ghiaia, Kitty si illuminava. «Ah, è tornata Della. Grazie a Dio qualcuno che è in grado di aiutarmi. Fila via, Roxanne. Mi stai solo tra i piedi…».

    Mi stai solo tra i piedi. Quelle parole si erano impresse in profondità. Allora me ne vado, si era ripromessa Roxanne. Mi tolgo di mezzo il prima possibile. Si era costruita sogni di fughe avventurose, fantasticava di salire su un treno diretto a Londra e non guardarsi più indietro. Un giorno la madre l’aveva colpita sul braccio nudo con un filetto di pesce: «Va’ via, fila, non vedi che ho da fare?». Era stata l’ultima goccia.

    A diciotto anni Roxanne era approdata lì a North London, riuscendo a infilarsi nell’umile posizione di fashion junior in una rivista femminile. Aveva dei risparmi, perché in paese faceva l’edicolante, il sabato, e quindi si era potuta permettere il biglietto del pullman notturno per Victoria station, riuscendo così ad andare al colloquio senza dover chiedere soldi alla madre. Kitty aveva una pessima opinione della capitale e immaginava che lì accadessero le peggiori nefandezze che si potessero immaginare. «Ah, Londra», diceva sempre con un sospiro. La direttrice della rivista era così chic che metteva soggezione: non riusciva a credere che una teenager dalla faccia pulita proveniente da un sonnacchioso paesino del West Yorkshire morisse dalla voglia di imparare e ardesse di passione per la fotografia e la moda. Aveva osservato piena di meraviglia quella ragazzina entusiasta che spargeva i suoi bozzetti e i ritagli sulla scrivania. L’incidente del filetto di pesce aveva spinto Roxanne all’azione, e per fortuna la direttrice le aveva offerto subito il lavoro. Ed era ancora lì, in una rivista diversa, ora a capo del settore moda, con quasi trent’anni di esperienza sulle spalle, duramente accumulata. Non che stesse pensando alla moda in quel momento. Non aveva neppure pensato a cosa mettersi quella sera per la cena con Sean. Era solo concentratissima sulle operazioni in corso: Scottate appena, poi setacciate lo zenzero grattugiato e la farina. Aggiungete il succo di limone. Mettete un foglio di carta pergamena sulla teglia e disponete con il cucchiaio il composto…

    Carta pergamena? Cos’era, una ricetta dell’antico Egitto? Ma no, probabilmente intendevano carta da forno. Se la ricordava dalla cucina di sua madre. Visto che non aveva niente del genere – e Sean sarebbe arrivato da lì a un’ora – si arrangiò imburrando la sua unica teglia, poi ci rovesciò l’impasto e la ficcò in forno. Gettò nel lavello gli utensili da cucina che aveva usato e ci lanciò sopra uno strofinaccio per nasconderli. In fondo non era stato tanto difficile, rifletté con un sorriso. Davvero, aveva solo mischiato un po’ di ingredienti e via. E la gente parlava della pasticceria come se fosse chissà quale arte misteriosa! Nel suo bagno privo di finestre, con la ventola che girava rumorosamente, Roxanne si sfilò l’abitino a trapezio color indaco con il colletto Peter Pan fatto all’uncinetto che aveva indossato al lavoro e la semplice biancheria nera. Si infilò sotto il debole getto della doccia, si insaponò, poi si avvolse in un asciugamano ruvido prima di entrare in camera. Lì passò in rassegna il suo enorme armadio antico in stile francese.

    Era opinione comune che una donna nella sua posizione dovesse vivere in una casa bellissima, degna di essere immortalata da un nugolo di fotografi come le modelle che si avvicendavano nel suo ufficio per i casting dei servizi.

    Tuttavia, forse perché Roxanne viveva solo in funzione del suo lavoro, aveva mostrato sempre poco interesse verso il posto in cui abitava. Quasi tutti i suoi mobili erano scheggiati, dato che li aveva trasportati di appartamento in appartamento, e più adatti ai tempi in cui era una fashion junior spiantata. Invece di un comodino come si deve, aveva ancora una cassa.

    In effetti quell’armadio era l’unico elemento della sua casa a cui teneva davvero. Quattro ante, decorato con incisioni sfarzose, linee rococò e angioletti intagliati e dorati. Era proprio stravagante, una follia pomposa infilata a forza in un attico minuscolo di un edificio vittoriano a tre piani a Islington. Sarebbe stato più adatto a una casa di campagna francese, una magione con le persiane azzurro polvere e il giardino pieno di lavanda. Era del proprietario precedente dell’appartamento, e quando Roxanne ci aveva messo gli occhi sopra non era riuscita a concentrarsi su nient’altro. Come poteva formulare domande sensate su caldaie e bollette quando si era pazzamente innamorata di un mobile? «In effetti hanno detto che sarebbero molto lieti di venderlo», aveva spiegato l’agente immobiliare, accorgendosi che Roxanne se lo mangiava con lo sguardo. «È stato un incubo farlo entrare, a quanto pare hanno dovuto issarlo dalla finestra con una gru. Sul lato sinistro c’è una piccola tacca. È dove ha urtato la finestra». Povero piccolo armadio ferito. Non sopportava il pensiero di farlo calare giù di nuovo. Magari sarebbe stato abbandonato da qualche parte. No, doveva averlo lei.

    Con i capelli avvolti in un asciugamano, Roxanne indossò la sua migliore lingerie – pizzo, color indaco – e un semplice abito di lino antracite con un taglio obliquo. Si asciugò i capelli a testa in giù per donare un effetto volume, anche se in realtà stava diventando sempre più difficile ottenerlo. Dove andava a finire tutta la vaporosità? Era forse arrivato il momento di prendere in considerazione delle extension? Il suo parrucchiere, Rico, gliele aveva già suggerite, con un tono che lo faceva sembrare un esperimento divertente, non una misura d’emergenza per compensare l’assottigliamento dovuto all’età. «Nessuna donna a quarant’anni ha lo stesso volume di quando ne aveva venti», aveva cinguettato.

    Adesso, trucco veloce, occhi naturali e rossetto rosso aggressivo: il suo look di sempre. Quarantasette anni non erano poi così tanti, si rassicurò. Era solo il mondo patinato in cui viveva a venerare la giovinezza, e a volte la faceva sentire piuttosto anziana. Ragionando nei termini della moda, probabilmente aveva già qualcosa come 167 anni. Comunque faceva ancora la sua figura con la luce giusta, e il ristorante che aveva scelto aveva una penombra che l’avrebbe valorizzata. La settimana precedente lei e Isabelle, la sua vicina settantacinquenne del piano terra, erano andate a pranzo nello stesso ristorante italiano che aveva prenotato per quella sera, ed erano riuscite a malapena a consultare il menu – meglio così, in realtà. Anche se avevano dovuto chiedere alla cameriera di leggere ad alta voce le parti in piccolo.

    Mentre tamponava le labbra con un fazzolettino per rimuovere il rossetto in eccesso, suonò il citofono. Era già Sean? Roxanne guardò il telefono. Il tempo era volato, erano le 20:26 e aveva prenotato il tavolo per le 20:30. Corse in corridoio per andare ad aprire. Non lo vedeva da due giorni, non di più, ma dentro sentì un pizzicorino frizzante come un bicchiere di champagne quando udì il rumore del portone che si apriva due piani più giù. Nessuno le aveva mai fatto quell’effetto prima. Tutti quei fidanzati terribili… i bugiardi compulsivi, gli ubriaconi e i narcisisti (alcuni degli amanti di Roxanne, incredibilmente, riuscivano a riunire in sé tutte e tre le qualità). Ah, che bellezza essersene liberata.

    Una volta sua sorella Della l’aveva presa in giro per il suo talento nello scegliere partner che svolgevano delle attività che andavano descritte tra virgolette: deejay, produttore discografico, consulente di design. Il fondo l’aveva toccato con un socialite, pomposa definizione per un tizio che usciva tutte le sere e si faceva vedere in giro con le narici spolverate di cocaina, spalmato addosso a qualche modella. Ma Roxanne si era rassicurata dicendosi che se non altro erano uomini interessanti, e in fondo che c’era di tanto bello nel sentirsi al sicuro, amate e coccolate? Chi vuole davvero un uomo che cucina e ti abbraccia quando ti senti triste? Che si presenta puntuale agli appuntamenti e non va a letto con nessun’altra? Davvero, che c’è di tanto bello in questo?

    Il padre di Roxanne, William, aveva ingoiato e sopportato ogni affronto per anni, prima di lasciare sua madre dopo aver scoperto che aveva una relazione con un pittore di Maiorca. In più pochi anni prima era venuto fuori che l’artista, tale Rafael, era il vero padre di Della. Era stato scioccante, ma la rivelazione aveva se non altro spiegato le continue tensioni tra la madre e William al Rosemary Cottage, quando i tre fratelli Cartwright erano piccoli, e l’incontestabile fatto che Della, con la sua pelle scurissima, non somigliava affatto a Roxanne e a suo fratello Jeff, pallidi e con gli occhi blu.

    Per Roxanne l’aspetto più sconvolgente di tutta quella storia era che William aveva sempre saputo chi fosse il vero padre di Della e aveva deciso di nascondere la testa nella sabbia. Roxanne non avrebbe mai voluto un uomo del genere. Era attratta da tipi fieri e irresponsabili, come Ned Tallow – un organizzatore di feste – che una volta si era perso un pasto pronto nel forno perché l’aveva lanciato dentro con una forza tale che si era capovolto e si era incollato sul fondo. Aveva sempre trovato quasi impossibile resistere al fascino degli uomini squilibrati, fuori di testa e pieni di glamour, che per lei erano il simbolo dell’eccitante vita londinese, in totale contrasto con i tranquilli e affidabili tizi dello Yorkshire che aveva conosciuto quando era ancora a Burley Bridge.

    Comunque con Sean aveva finalmente scoperto la meraviglia di stare con un uomo adulto che la emozionava e allo stesso tempo teneva sinceramente a lei. Era in gamba, aveva una vita stabile e una carriera di successo come fotografo di moda freelance (in altre parole, aveva un lavoro vero, che non aveva bisogno di virgolette). Intelligente, spiritoso e affascinante, stava benissimo con dei completi su misura e jeans vecchi e sbiaditi. L’unica coca con cui aveva a che fare era quella nella lattina rossa.

    Il viso bello e sorridente di Sean comparve all’ultima rampa di scale. Era il suo cinquantesimo compleanno, e Roxanne era decisa a renderlo memorabile.

    Capitolo due

    «Ciao tesoro. Scusa, ho fatto un po’ tardi…».

    «Non fa niente. Buon compleanno, amore». Lo baciò sulle labbra, e lui le fece scivolare un braccio dietro la schiena per stringerla a sé. I baci di Sean O’Carroll erano così belli. Fece un passo indietro e sorrise, ancora un po’ frastornata dalla passione della sua bocca.

    «Grazie, Rox. Sei stupenda. Bello il vestito…», abbassò lo sguardo. «Ma non stai dimenticando qualcosa?»

    «Ah sì». Si guardò i piedi scalzi e si mise a ridere, chiedendosi se quel leggero accento di Dublino avrebbe mai smesso di piacerle così tanto. Aveva i capelli neri tagliati corti con delle striature argentate sui lati, e il sorriso aperto e fiducioso illuminava il tetro androne. Indossava jeans eleganti, una maglietta bianca immacolata e una giacca grigio scuro.

    Lo lasciò ad aspettare nel soggiorno e corse in camera, decidendo che le scarpe che aveva pensato di indossare – delle stringate eleganti – erano troppo tozze per l’eleganza semplice del suo abito. Si inginocchiò a rovistare nel mucchio di scarpe sparse sul fondo dell’armadio, scavando sempre più in profondità, finché non riportò alla luce un sandalo scamosciato vintage, come un prezioso fossile. Continuò a frugare tra le ballerine, gli stivaletti alla caviglia, quelli al ginocchio, i mocassini, i tacchi a spillo, le scarpe aperte sul tallone, le décolleté, i tacchi bassi, le espadrillas, gli zoccoli – sì, veri zoccoli di legno; li aveva messi una volta sola ed era quasi finita all’ospedale – e ogni genere immaginabile di sandali finché non trovò il compagno di quello scamosciato. Roxanne non era una di quelle donne organizzatissime che conservavano le scarpe nella scatola originale con una foto incollata sul coperchio.

    «Non stiamo facendo tardi?», domandò Sean dall’altra stanza.

    «No», mentì rovistando nel groviglio di borse appese sul pomello del letto e localizzando quella perfetta – una vera bellezza di morbida pelle color caramello. Si mise la giacca nera e tirò fuori un sorriso di scuse mentre uscivano.

    «Allora, dove andiamo?», le chiese mentre scendevano.

    «Te l’ho detto, è una sorpresa».

    «E dai, tesoro. Prendiamo un taxi?».

    Gli sorrise. «Non ce n’è bisogno».

    Sean la guardò incuriosito. In effetti c’erano così tanti ristoranti raggiungibili a piedi da casa sua che spesso passavano mezza serata a dibattere su dove andare. «È quel posto libanese?», domandò.

    «No…».

    «Manny’s? Nonna’s? Lol’s Kitchen?».

    Lei scosse la testa.

    «Non sarà quel posto degli hamburger?».

    Si riferiva al nuovo, gettonatissimo ristorante alla stazione Angel, dove non si poteva prenotare e bisognava fare la fila fuori per circa cinquanta minuti e poi – oltre al danno la beffa – quando finalmente ti lasciavano entrare non potevi neppure sederti ma ti toccava ingurgitare il tuo disco di manzo gocciolante in piedi al bancone. Roxanne si sentiva troppo vecchia per cenare in piedi. «Aspetta e basta», lo stuzzicò.

    «O quel posto nordico dove ti servono tutto su una lastra di roccia?». I suoi occhi limpidi e verdi luccicavano divertiti.

    «Ah no, non commetteremo per due volte lo stesso errore…».

    «E non ti danno nemmeno la tua roccia personale», continuò. Adesso ci aveva preso gusto. «La devi pure condividere. In pratica è un unico lastrone da cui mangiano tutti. Se vuoi la mia opinione, è tutta colpa di Jaime Oliver».

    Roxanne si mise a ridere prendendogli la mano. «Non puoi dare a Jaime Oliver la colpa di tutto».

    «Certo che sì, invece. Nel suo ultimo libro tutti i piatti erano presentati su lastre di pietra. Ha rovinato l’industria della ceramica, praticamente. Sei stata nel reparto porcellane di John Lewis di recente?». Lei scosse la testa. Non era un posto che frequentava di solito. «Sembra il relitto del Titanic», aggiunse sorridendo.

    «Sono sicura che sarà una moda passeggera», suggerì. «La pietra, il legno…».

    «Lo spero, ma poi cosa arriverà? Mattoni? Tegole?».

    Roxanne ridacchiò. «Non ti devi preoccupare, perché stiamo andando in un posto all’antica dove non si sognano neanche di servirti la cena in qualcosa di diverso da un caro vecchio piatto».

    «Oh, dove?». La sua punta di cinismo evaporò immediatamente. Malgrado la sua raffinatezza snob per quanto riguardava il mondo della moda, Sean odiava gli orpelli quando si trattava di mangiare. Era una delle innumerevoli cose che Roxanne amava di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1