Un'avventura senza fine: Harmony Collezione
Di Miranda Lee
5/5
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Info su questo ebook
All'inizio, per Tara è stata un'avventura continua, piena di imprevisti, passione e divertimento. Poi, a mano a mano che sono trascorsi i mesi, la storia con Max Richmond, facoltoso imprenditore nonché suo principale, ha iniziato a confonderla. Forse perché lui, costretto per lavoro a viaggiare in continuazione, accetta di vederla soltanto quando si trova a Sydney. Combattuta tra il desiderio di non perderlo e la delusione per una relazione così provvisoria, alla fine Tara ascolta la voce del suo orgoglio, allontanandosi sempre più. Quando tutto sembra ormai perduto, però, Max si rende protagonista di un vero e proprio colpo di scena: come se niente fosse, va a trovare Tara e le comunica che lui...
Miranda Lee
Scrittrice romantica, e moglie fortunata di un uomo molto, generoso!
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Anteprima del libro
Un'avventura senza fine - Miranda Lee
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Magnate’s Mistress
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2004 Miranda Lee
Traduzione di Sonia Indinimeo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-500-2
www.harlequinmondadori.it
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1
Tre toni acuti in rapida sequenza segnalarono l’arrivo di un messaggio. Tara chiuse il libro che stava leggendo e si sporse per prendere il cellulare. Max! Doveva essere di Max. Ormai era il solo a mandarle messaggi.
Infatti!
Arrivo Mascot ore 15.30 volo QF310, lesse con il cuore in tumulto. Vieni a prendermi? Fammi sapere. Un’occhiata all’orologio le disse che era mezzogiorno. Max doveva già essere in volo.
Gli rispose immediatamente. Ci sarò.
La brevità e la totale mancanza di sentimento che caratterizzavano le loro comunicazioni le strapparono un sorriso amaro. Niente non vedo l’ora di abbracciarti, tesoro, e nemmeno mi sei mancato da morire.
Tutte cose banali.
E Max non era un uomo banale. Nella maggior parte dei casi. Non era banale a letto, soprattutto. Quel pensiero le fece scivolare lungo la schiena un lento, caldo brivido di piacere.
No. Non era per nulla banale in quelle occasioni. Guardò di nuovo l’orologio. Le dodici e dieci.
Non aveva molto tempo per prepararsi, prendere il treno, arrivare in città, recuperare la macchina di Max e raggiungere l’aeroporto. Doveva sbrigarsi.
Si alzò e ricordò all’improvviso il motivo per cui era rimasta a letto fino a tardi, quel sabato mattina. Una nuova ondata di nausea le sconvolse lo stomaco. Si precipitò in bagno giusto in tempo.
Dannazione! Perché stava così male proprio quel giorno? Era quasi un mese che non vedeva Max. La crisi del settore turistico lo teneva molto occupato e lo costringeva a continui viaggi, sempre più lunghi.
Hong Kong era una delle città dove si avvertiva maggiormente la crisi e lui era bloccato là da settimane. Ma quando Tara si era lamentata per telefono due sere prima, dicendo che faceva fatica a ricordarsi la sua faccia, Max le aveva promesso di fare un salto a trovarla, quel fine settimana. Aveva un appuntamento importante ad Auckland e prima di tornare a Hong Kong si sarebbe fermato a Sydney un paio di giorni.
Tara non aveva preso seriamente quella promessa. Non era abituata a sperare troppo per non correre il rischio di restare delusa. Comunque, sarebbe stato difficile godersi la compagnia di Max se quel dannato malessere non le avesse concesso una tregua.
Sospirò e aprì il rubinetto del lavandino per sciacquarsi il viso.
«Tutto bene, là dentro?» chiese sua madre, attraverso la porta.
«Sto bene» mentì Tara, facendo tesoro dell’esperienza. Sapeva che, se le avesse detto la verità, sua madre avrebbe cominciato ad agitarsi e l’ultima cosa che desiderava in quel momento era venire soffocata dalle sue attenzioni. Si guardò nello specchio, sconfortata. Doveva essere stata contagiata dal virus influenzale che imperversava nella zona di Sydney e causava terribili disturbi gastrici. Probabilmente glielo aveva attaccato sua sorella la settimana prima, in occasione del barbecue in famiglia.
Le sembrò di sentirsi molto meglio, ma forse una doccia fresca l’avrebbe rinvigorita, pensò aprendo il rubinetto e miscelando la temperatura dell’acqua.
Quando un’ora più tardi scese in cucina, con i soffici capelli lucidi e il viso truccato alla perfezione, sua madre l’accolse con una smorfia.
«Vedo che il tuo signore e padrone sta arrivando per una delle sue visite mordi e fuggi!» commentò aspra, tornando subito dopo a occuparsi della torta che stava preparando.
Il sabato di Joyce Bond era da sempre dedicato al forno, per quanto ricordasse Tara. Quel meticoloso rispetto della routine strideva col carattere ribelle di Tara. Aveva desiderato spesso che sua madre la sorprendesse facendo qualcosa di inconsueto, un sabato o l’altro! E avrebbe anche voluto che la sorprendesse con un atteggiamento diverso nei confronti di Max.
«Mamma, ti prego, no...» le rispose, infilando una fetta di pane nel grill elettrico. Il suo stomaco si era rimesso in sesto tanto da poter sopportare un toast integrale, ma non poteva certo dire di sentirsi bene.
Joyce si voltò e si appoggiò con la schiena alla credenza, per guardare sua figlia. La sua bellissima figlia.
Tara aveva ereditato la parte migliore dei suoi genitori. Era alta come suo padre e aveva gli stessi capelli biondi, la pelle chiara e grandi occhi verdi. Joyce aveva contribuito con uno splendido nasino, labbra carnose facili al sorriso e seno prorompente che faceva una figura migliore su Tara di quanto non facesse su di lei, bassa e cicciotella com’era.
Joyce non era rimasta sorpresa allorché il milionario Max Richmond, che possedeva tra l’altro l’esclusiva gioielleria in cui Tara lavorava, aveva iniziato a corteggiarla. Non si era sorpresa e nemmeno preoccupata più di tanto quando sua figlia le aveva confessato di non essere più vergine. Anzi, considerava già un piccolo miracolo che una ragazza come Tara fosse arrivata a ventiquattro anni senza aver fatto l’amore, circondata com’era da uno stuolo di uomini adoranti.
La figlia aveva sempre dichiarato di voler aspettare il principe azzurro. Era un’idealista, un’inguaribile romantica. Lettrice accanita, divorava libri su libri ma preferiva quelli a lieto fine, che narravano di bellissimi, invincibili eroi.
All’inizio Joyce aveva sperato che Max Richmond fosse il principe azzurro di sua figlia. Ne aveva tutti gli attributi. Era ricco, bello, e giovane. Quando avevano iniziato a frequentarsi lui aveva trentacinque anni splendidamente portati.
Poi, nel corso di quei dodici mesi, Joyce era stata costretta a rivedere la sua posizione sulla relazione della figlia col proprietario della più imponente e prestigiosa catena di alberghi del paese. Aveva capito che Max Richmond non avrebbe mai sposato la sua giovane, splendida amante.
La sua amante! Ecco cos’era diventata Tara. Non la sua fidanzata o la sua compagna, ma la sua amante. Una donna che doveva essere lì appena lui chiamava e non doveva fiatare allorché se ne andava via. Una sorta di schiava a cui si chiedeva tutto e alla quale non era dovuto nulla, a eccezione dei magnifici e preziosi regali che gli uomini ricchi solitamente fanno in questi casi: abiti firmati, gioielli, profumi, fiori.
Quando era lontano Max inviava ogni settimana un magnifico mazzo di rose rosse, ma... chi le ordinava?, si era chiesta spesso Joyce. Lui o la sua segretaria?
Se Tara fosse stata una ragazza facile, in grado di sopportare una relazione simile, Joyce avrebbe frenato la lingua. Ma sua figlia non era quel tipo di donna. Nonostante il suo algido aspetto sofisticato, aveva un animo dolce e sensibile. Era una brava ragazza. Un giorno Max Richmond si sarebbe stancato di lei, l’avrebbe lasciata e questo l’avrebbe distrutta.
Quei pensieri le procurarono un incontrollabile fremito di rabbia. «No, cosa?» strillò. «Non dire le cose come stanno? Non me ne starò qui a guardare in silenzio, Tara. Ti voglio troppo bene per poterlo fare. Tu stai sprecando la tua vita correndo dietro a quell’uomo. Non ti darà mai quello che desideri davvero. Ti sta solo usando!»
Tara strinse le labbra. Ma come? Non era proprio sua madre ad accusarla in continuazione di non sapere cosa desiderava davvero dalla vita?
Joyce aveva disapprovato la sua decisione di non usare il diploma preso al liceo artistico per trovare lavoro a Sydney. Aveva accettato a denti stretti che l’irrequieta Tara se ne andasse in Giappone per un paio d’anni a insegnare inglese, approfittando dell’occasione per viaggiare in gran parte dell’Asia. Quando era tornata a Sydney, diciotto mesi prima, Joyce si aspettava che cercasse un impiego come insegnante, ma Tara l’aveva sbalordita ancora una volta preferendo un lavoro come commessa da Whitmore Opals, una prestigiosa gioielleria, in attesa di decidere del proprio futuro. Alla fine, una Joyce ormai rassegnata aveva accolto con incredulità l’annuncio che Tara avrebbe ripreso l’università il prossimo autunno e avrebbe frequentato la facoltà di psicologia.
Forse da un certo punto di vista sua madre aveva ragione. Lei non aveva ancora le idee chiare sul suo futuro professionale. Ma sapeva bene cosa non voleva. Non voleva essere relegata in casa con uno stuolo di bambini, come sua sorella Jen. E non voleva passare tutti i sabati della sua vita infornando torte.
«Tu cosa pensi che io voglia davvero, mamma?» la provocò, curiosa di vedere cosa avrebbe tirato fuori dal cilindro questa volta.
«Quello di cui tutte le donne hanno bisogno. Una casa, dei figli e un marito, naturalmente!» sentenziò Joyce decisa.
Tara scrollò la testa. Sua madre era prossima alla sessantina e forse la sua età giustificava quella visione antiquata dell’universo femminile.
Ma la puntualizzazione sulla necessità di avere un marito era abbastanza curiosa, considerando la sua storia personale. Joyce era vedova da oltre vent’anni. Il padre di Tara, elettricista, era morto in un incidente sul lavoro quando lei aveva tre anni. Joyce aveva cresciuto le sue due figlie da sola lavorando sodo per provvedere a loro. Aveva risparmiato negandosi tutto, finché non era riuscita a comprare la loro casa. Non era certo una reggia ma era pur sempre una casa. Joyce non si era mai risposata. Non c’era stato nessun uomo nella sua vita dopo la morte del marito.
«Forse ti sorprenderà saperlo, mamma» disse Tara, mettendo il toast su un piattino. «Io non voglio niente di tutto questo. Non per ora, almeno. Ho solo ventiquattro anni. Ho un sacco di tempo davanti a me per pensare al matrimonio e ai figli. Mi piace la mia vita così com’è. Voglio tornare all’università, l’anno prossimo. Per il momento ho un lavoro interessante, buoni amici e un uomo favoloso.»
«Che non vedi quasi mai. E in quanto ai tuoi amici, dimmene almeno uno con cui sei uscita negli ultimi sei mesi!» la sfidò la madre con un lampo negli occhi.
Tara non poteva.
«Capisci cosa voglio dire?» Joyce la squadrò con uno sguardo d’accusa. «Non esci più con i tuoi vecchi amici perché sei costretta a tenerti libera nei fine settimana, nel caso in cui il signore decida di farsi vivo! Ma per favore, Tara! Tu credi davvero che lui passi da solo tutti i fine settimana in cui non torna a casa?»
Si pentì di ciò che aveva detto un istante dopo aver visto il bel viso di sua figlia impallidire.
Tara si afferrò con entrambe le mani al tavolo, cercando di ingoiare la bile che le era salita alla gola. «Tu non sai di cosa