Le geometrie imperfette dell'amore
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Anteprima del libro
Le geometrie imperfette dell'amore - Francesca Borrione
omaggiarlo.
MERCOLEDÌ
"Ev’ry so often we long to steal
To the land of what-might-have-been
But that doesn’t soften the ache we feel
When reality sets back in"
Elphaba, I’m not that girl (Wicked, The musical)
Stella andava alla pensione The Lake da anni. Stessa stagione, stessa stanza. E lì incontrava Scott e insieme passavano una indimenticabile settimana. Quell’inverno non faceva differenza.
Il tempo di Stella in attesa di partire era trascorso con la medesima frenetica lentezza, con gli occhi e la mente fissi altrove, a desiderare che i minuti si affrettassero a farsi ore e le ore giorni. Stella detestava ogni istante di solitudine lontano da Scott. Per questo non vedeva l’ora che il momento di ritrovarlo arrivasse.
Le piaceva il lago. E quell’inverno, in particolare.
Non appena scese dal taxi, davanti alla pensione, rivolse uno sguardo al panorama. Era lì a due passi. Si poteva quasi toccare. Il lago, non placido, ma teso e glaciale come una stoffa tirata con forza ai quattro angoli. Stella pensò che potesse essere il risultato della magia di una qualche fata.
Era stato Scott a parlarle delle fate, l’anno prima. Sua figlia le adorava, ecco perché lui ne aveva un’approfondita conoscenza.
No. Stella rimosse immediatamente quel particolare. Scott poteva essere sposato a un’altra, ma quella settimana voleva disperatamente che appartenesse soltanto a lei. Chiuse gli occhi ed emise un lungo sospiro, poi inspirò a fondo l’aria. Le sembrò quasi di sentire il profumo di Scott. Tra poco si sarebbero riabbracciati. Ovvio che tutto intorno fosse pregno della sua presenza. Stella viveva di questo.
Le suggestioni create dall’immaginazione. Ma con Scott stava per trascorrere il tempo migliore. Quello ancora da venire. Insieme. Era per questo che valeva la pena aspettare.
Stella ritrovò una parvenza di buonumore, caricò la sacca in spalla ed entrò al The Lake. Fu immediatamente avvolta da un senso di familiarità e calore. La gratificava il fatto che anche i locali, in città, non cambiassero mai. La cittadina sul lago era una fotografia. Rimaneva perfetta, costante, immobile come l’acqua ghiacciata. Entrarci dentro era come portare vita a un sogno, come tornare al passato, come vivere e rivivere un ricordo. Così perfetto, quasi intangibile.
Linda Paulson era l’unica proprietaria della pensione. Una donna aggraziata e caparbia per la quale cortesia e sincerità avevano ancora un valore. Aveva l’abitudine di inviare gli auguri di Natale e Pasqua alla clientela. Stella era l’unica a rispondere e questo gliel’aveva resa particolarmente cara. La loro corrispondenza era iniziata così, per uno scambio di gentilezze.
Quando Linda riconobbe la figura dimessa di Stella, la abbracciò, come se fosse una vecchia e familiare conoscenza.
«Che piacere rivederti!».
«Grazie per le tue mail. Sei sempre così carina».
Linda finse di non badare ai complimenti, ma arrossì contenta.
«I capelli ti sono cresciuti tantissimo, dall’ultima volta,» osservò. «Sono bellissimi!».
Stella sapeva che il motivo era che aveva semplicemente smesso di curarli. I capelli richiedevano troppa attenzione. Un impegno gravoso. Così, aveva preso la decisione di lasciarli liberi di crescere. E ora erano una selva di riccioli selvaggi. Abitualmente Stella li raccoglieva in una coda o crocchia ordinata. Ora però si trovava nella città sul lago, per stare con Scott, e non doveva più nascondersi.
«Che invidia», aggiunse Linda, toccandosi il caschetto ramato. Era tra le poche conoscenti di Stella a potersi permettere un taglio così sfilato e particolare. Aveva un ovale molto classico, ma i lineamenti del viso erano decisi e gli occhi attenti come se volessero esplorare ogni cosa. Linda Paulson non invidiava nulla di Stella, che richiamava la famosa omonima di Tennessee Williams solo nel nome. Non aveva mai fatto qualcosa degno di nota, non sapeva se per mancanza di mezzi, fiducia in se stessa o semplice sfortuna. Non si era nemmeno sposata, e non aveva avuto figli. E di certo non si era mai tagliata i capelli per farsi notare. Ogni azione, al contrario, pareva votata all’intenzione opposta.
«Ti accompagno in camera», disse Linda, invitando l’amica a seguirla. «Ti ho lasciato la solita stanza», aggiunse, salendo le scale che portavano al piano delle camere. Quella di Stella era l’ultima in fondo al corridoio. Finestra con vista sul lago.
«Il tuo Scott quando arriva?» chiese Linda.
Stella trasalì. Non era abituata a parlare di lui. La loro era una storia clandestina vissuta tra ombre e silenzi, un amore colpevole che Stella subiva cinquantuno settimane l’anno, come una tragedia senza spettatori. Era un dolore lancinante e costante, che non si placava mai. Era un sibilo, una fitta nel cuore ogni qualvolta Stella incrociava quel tipo in caffetteria. Scott Brown, l’affidabile assicuratore. Marito. Padre di famiglia. Nessuna macchia sulla sua reputazione impeccabile. Stella si impegnava perché rimanesse tale. Solo un saluto formale, a volte, e al termine del casuale incontro, lo strascico delle emozioni represse si impadroniva della donna, oscurandone la giornata. Non poteva parlarne e non voleva. Non aveva il diritto di raccontare la sua storia d’amore e, come la custodiva in segreto, così era disabituata a viverla alla luce del sole. Ma quella settimana sul lago rendeva tutto possibile.
Nemmeno il nome di Scott riusciva a trovare voce, sulle labbra di Stella.
«Penso che verrà tra un paio di giorni», rispose distratta. «Ma in realtà mi farà bene, ho bisogno di tempo per pensare».
«Ancora nessuna offerta?» chiese Linda, timorosa di affrontare l’argomento.
Stella scosse la testa senza mostrarsi affranta.
«Ma un lavoro qualsiasi salterà fuori. Non è un problema».
O era davvero un’incurabile ottimista, o si sforzava con successo di esserlo. Linda ammirò il sorriso consapevole sul viso affaticato di Stella. Quella strana serenità di fronte alle avversità a lei mancava. Lasciata Stella a prendersi il meritato riposo dopo il lungo viaggio, Linda scese a svolgere le faccende di proprietaria di una piccola ma adorata attività, spaventata all’idea di cosa avrebbe fatto lei, se avesse perso tutto.
***
Stella aveva un rapporto disfunzionale con il suo telefono. Non poteva farne a meno. Lo sfogliava. Lo consultava come un giornale, lo leggeva come fosse il suo libro preferito e, quando non ci giocava, lo teneva accanto a sé, a portata di mano. Era il cellulare, dopotutto, che le permetteva di comunicare con Scott. Di stargli vicino, in qualunque modo fosse. Ammesso che attendere all’altro capo di un telefono che non suonava mai potesse intendersi come stare vicino a qualcuno. Ma a Stella non importava. Leggeva e rileggeva i messaggi di Scott e si faceva bastare quelle poche parole, ravvivando le emozioni vissute di entusiasmo per l’incontro. Anche il pranzo al The Lake non fece eccezione. La sala era già frequentata, quando Stella scese. Non era nemmeno mezzogiorno.
Linda stava finendo di servire ai tavoli. Solo tre erano occupati, dei dodici disponibili. Sorrise all’indirizzo di Stella. Poté concederle non più di uno sguardo fugace, eppure notò immediatamente che era dimagrita molto, rispetto all’anno precedente: i jeans le scivolavano sui fianchi e anche il golf nero con il collo altissimo sembrava che le fosse accidentalmente caduto addosso. I capelli legati alla buona, al contrario, le davano un’aria timida ma intrigante. Forse erano i riccioli che saltavano fuori dalla morsa della pinza.
Stella si accomodò al tavolo indicatole da Linda che la raggiunse pochi minuti dopo, sedendosi. I clienti già intenti a pranzare erano stati una benedizione per