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Demon's passion (eLit): eLit
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Demon's passion (eLit): eLit
E-book386 pagine11 ore

Demon's passion (eLit): eLit

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Info su questo ebook

In una remota fortezza di Budapest, seducenti guerrieri immortali sono legati da un'antica maledizione che nessuno è mai riuscito a infrangere...
Un guerriero costretto a mentire...
Una donna disposta a tutto per averlo...
La verità è un lusso che Gideon non si può permettere. E che gli crea non pochi problemi con Scarlet, la bellissima custode del demone degli Incubi, che afferma addirittura di essere sua moglie. Lui non ricorda né lei né di essere stato sposato, anche se l'idea non gli dispiace affatto. Quella donna sensuale gli fa ribollire il sangue, ma lasciarla entrare nella sua vita potrebbe trasformarsi in un disastro di proporzioni epiche. Soprattutto ora che il nemico si avvicina, e la verità minaccia di distruggere tutto ciò che ha imparato ad amare.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2017
ISBN9788858973035
Demon's passion (eLit): eLit
Autore

Gena Showalter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Demon's passion (eLit) - Gena Showalter

    svegliarsi.

    1

    Qualche ora prima...

    Gideon percorreva deciso i corridoi della fortezza di Budapest, mentre il demone della Menzogna canticchiava allegro nella sua testa: Scarlet, la sua presunta moglie, piaceva a entrambi, anche se per ragioni diverse. Lui apprezzava il suo aspetto e la sua lingua tagliente e Menzogna... In realtà non ne era sicuro. Sapeva solo che faceva le fusa ogni volta che lei apriva bocca.

    Era una reazione riservata in genere ai bugiardi patologici, in realtà il demone non riusciva a capire se lei mentiva. Dunque, al di là di tutto quell’affetto per Scarlet, Menzogna si sentiva frustrato e rendeva un vero e proprio inferno la vita del suo custode. Ormai non poteva neanche più chiamare gli amici per nome.

    Insomma, lei era una bugiarda spudorata oppure no? Gideon era consapevole dell’ironia della situazione: non poteva mai dire la verità, eppure eccolo a lamentarsi di qualcuno che forse gli stava rifilando una menzogna colossale.

    Doveva assolutamente conoscere la verità, prima di impazzire a furia di interrogarsi su tutto ciò che lei gli aveva detto e tutto ciò che lui aveva fatto e pensato.

    La richiesta che Scarlet gli esponesse i fatti nudi e crudi era stata ignorata per l’ennesima volta.

    Forse fingere di liberarla dalle segrete l’avrebbe indotta a fidarsi di lui, ad aprirsi e a rispondere a tutte le sue domande.

    Forse... Ecco di nuovo la frustrazione.

    «Non puoi farlo, Gid.» Strider, custode del demone della Sconfitta, gli comparve accanto all’improvviso.

    Maledizione! Perché proprio lui...?

    Sconfitta non poteva perdere una sfida senza soffrire come accadeva a Gideon quando diceva la verità. Si proteggevano sempre a vicenda, quindi non avrebbe dovuto stupirsi che l’amico fosse là e cercasse di salvarlo da se stesso. Quello, però, non significava che fosse disposto a cedere.

    «È pericolosa» aggiunse Strider. «Come una lama sempre pronta a trafiggerti il cuore.»

    Era vero: Scarlet invadeva i sogni degli altri con le loro peggiori paure e si nutriva del loro terrore. Qualche settimana prima lo aveva fatto proprio con lui, che si era trovato alle prese con un’armata di terribili ragni. Rabbrividì al ricordo di quelle creature pelose che strisciavano sul suo corpo.

    Insomma, basta! Aveva affrontato senza batter ciglio spade roteanti e i mostri che le impugnavano. Cos’erano al confronto pochi ragnetti? Rivoltanti, pensò con un nuovo brivido. Ogni volta che lo guardavano, gli pareva di percepire il loro appetito.

    Perché, nonostante le minacce di massacrarli, Scarlet non aveva invaso i sogni degli altri guerrieri e delle loro donne? Gideon se lo chiedeva almeno quanto si interrogava sul loro matrimonio.

    «Maledizione, Gid, smettila di ignorarmi» sbottò Strider, frustrato. Prese a pugni una parete e vi lasciò un buco. «Sai che il mio demone non lo sopporta.»

    Risuonò uno scricchiolio e polvere e pezzetti di pietra offuscarono l’aria. Magnifico! Tra poco gli altri guerrieri sarebbero corsi a vedere cos’era successo. Oppure forse no: stavano cominciando ad abituarsi ai rumori inattesi e intensi che ormai risuonavano piuttosto spesso nella fortezza.

    «Senti, non mi dispiace.» Lanciò un’occhiata all’amico, osservando i capelli biondi, gli occhi azzurri e i tratti regolari che lo rendevano un beniamino delle donne. Quelle stesse donne che in genere evitavano di guardare Gideon, come se indugiare sui tatuaggi e i piercing che lo decoravano potesse annerire la loro anima. Per quel che ne sapeva, era proprio così. «Comunque hai ragione: non posso farlo.»

    Il che significava che Strider aveva torto e che Gideon poteva benissimo agire.

    Tutti gli abitanti della fortezza – il cui numero continuava a crescere, vista la quantità di anime gemelle che i suoi amici portavano a vivere là – conoscevano il suo modo di parlare e sapevano di dover credere l’opposto di qualsiasi cosa affermasse.

    «Certo che puoi, ma non lo farai» insistette Strider. «Sai che se porti quella donna fuori di qui mi verranno i capelli grigi per l’ansia, e tu non vuoi questo, vero?»

    «Stai cercando di indurmi a non affondare le dita nei tuoi riccioli?» lo punzecchiò Gideon.

    «Stronzo.» Il tono però era meno infuriato di prima.

    «Dolcetto mio» fu la replica sghignazzante.

    «Sai che odio quando fai il melenso.» Increspò le labbra.

    In realtà lo adorava, non c’erano dubbi.

    Svoltarono un angolo e oltrepassarono uno dei numerosi salotti della fortezza. Era deserto: così presto la maggior parte dei guerrieri era ancora a letto con la propria donna, oppure si stava armando.

    Per abitudine Gideon si guardò intorno: quel salotto aveva le pareti coperte di ritratti di uomini nudi. Tutte opere di Anya, il cui perverso senso dell’umorismo rivaleggiava con il suo. C’erano poltrone di cuoio rosso (Reyes, custode del Dolore, a volte doveva tagliarsi per acquietare il suo demone e così il rosso era un colore perfetto), scaffali pieni dei romanzetti preferiti da Paris, custode del demone della Promiscuità, strane lampade d’argento che si incurvavano sulle poltrone e vasi pieni di fiori freschi.

    Gideon inspirò a pieni polmoni il loro profumo e, come gli succedeva spesso negli ultimi tempi, provò un acuto senso di colpa: mentre lui si godeva quelle delizie, la sua supposta moglie marciva nelle segrete della fortezza. Prima ancora aveva passato migliaia di anni nel Tartaro, dunque lasciarla là sotto era una doppia crudeltà.

    Che razza d’uomo poteva permettere una cosa simile? Uno stronzo. Dopotutto, era pronto a riportarla là e a lasciarcela per sempre dopo aver ricevuto una risposta convincente alle sue domande, anche se lei era – o era stata – sua moglie.

    Sì, era proprio un uomo cattivo.

    Scarlet era troppo pericolosa perché fosse lasciata libera e la sua capacità di invadere i sogni era troppo distruttiva: chi moriva nel corso dei suoi incubi lo faceva davvero. Se avesse deciso di aiutare i Cacciatori, i guerrieri non avrebbero più potuto chiudere occhio. In effetti Gideon non dormiva da settimane.

    Rallenta. Stai andando troppo in fretta, proruppe il suo demone all’improvviso.

    In genere era una presenza nel fondo della mente. Si faceva vivo solo quando i suoi bisogni diventavano pressanti e diceva il contrario di quello che voleva: in quel caso desiderava che Gideon si sbrigasse a raggiungere Scarlet.

    Dammi delle ali e ti accontento, fu la replica, poi Gideon accelerò il passo. Non mentiva mai a se stesso o al demone in quei momenti privati, forse perché per assicurarseli aveva dovuto lottare in modo selvaggio.

    Dopo la possessione, infatti, Gideon si era ritrovato schiavo del suo demone, perso in un mondo caotico e oscuro: aveva tormentato gli umani solo per sentire le loro urla, bruciato case con intere famiglie dentro, ucciso in modo indiscriminato e schernito le sue vittime.

    Aveva impiegato secoli, ma alla fine era tornato alla luce. Ora aveva lui il controllo, era riuscito a domare il mostro dentro di sé. Quasi sempre, almeno.

    Il sospiro di Strider lo riportò al presente. «Gideon, amico, devi ascoltarmi. Te l’ho già detto e te lo ripeto: non puoi portare quella donna fuori da queste mura. Scapperà, lo sai, e i Cacciatori potrebbero catturarla e usarla contro di noi. E se lei si rifiutasse, potrebbero torturarla come hanno fatto con te.»

    Strider parlava come se l’amico non fosse in grado di tenersi stretta quella scaltra tentatrice per pochi giorni, o non fosse capace di riprenderla in caso di fuga.

    Forse aveva ragione, ma quello non attenuò l’improvvisa esplosione di collera di Gideon: magari non possedeva il fascino dell’amico, però non era del tutto sprovveduto con le donne.

    Inoltre Scarlet era una guerriera immortale, in grado di circondarsi di ombre impenetrabili: perderla sarebbe stato disastroso quanto lasciar fuggire un umano non addestrato.

    Lui comunque non l’avrebbe persa e lei non sarebbe fuggita. Era ben deciso a sedurla, in modo che non se ne sarebbe più voluta andare. Non sarebbe stato tanto difficile: dopotutto le piaceva abbastanza da averlo sposato, no...?

    Forse.

    «So cosa stai pensando: se scappa, la ritroverai» sospirò di nuovo Strider.

    «Sbagliato.»

    «Durante il giorno ha bisogno di protezione. Se non le starai sempre accanto, chi la proteggerà?»

    Maledizione! Aveva ragione. Scarlet non funzionava durante le ore del giorno e dormiva così profondamente che niente poteva svegliarla prima del tramonto. Gideon l’aveva scoperto dopo averle quasi causato dei seri danni, cercando invano di farla tornare in sé con violenti scossoni.

    Era rimasto a bocca aperta quando, alcune ore più tardi, lei aveva sgranato gli occhi e si era messa a sedere come se avesse schiacciato un pisolino.

    Il che sollevava altre domande: perché il suo demone dormiva durante il giorno, quando la gente intorno a lei era sveglia? E cosa succedeva quando viaggiava e il fuso orario cambiava?

    «Siamo stati fortunati con lei» riprese Strider. «Se non ci fosse stato l’angelo di Aeron, saremmo morti nel tentativo di catturarla. Lasciarla libera, non importa per quale ragione, è stupido, pericoloso e...»

    «Non l’hai mai detto.» In realtà l’aveva ripetuto infinite volte. «Inoltre Olivia non è con noi e non può aiutarci, in caso di bisogno.» Lo era e poteva farlo. «Ti odio, amico. Per favore, continua a parlare.» Ti voglio bene, ma chiudi il becco!

    Strider continuò a digrignare i denti frustrato, mentre scendevano di corsa i gradini che portavano alle segrete. I muri erano schizzati di rosso e l’aria pesante sapeva di sudore, urina e sangue. Scarlet non era infatti l’unica prigioniera: nelle celle c’erano anche vari Cacciatori in attesa di essere interrogati, ossia torturati.

    «E se ti avesse mentito?» Strider non mollava la presa: non poteva. Solo perché ne era consapevole Gideon non lo prese a pugni. «Se non fosse mai stata tua moglie?»

    «Mi sono dimenticato di dirtelo: distinguere il vero dal falso è difficile per me» fu la replica. In realtà con Scarlet lo era davvero, ma non aveva intenzione di toccare quell’argomento.

    «Lo so. Con lei però non ti riesce, me lo hai confessato tu stesso.»

    Maledizione, che memoria infallibile! «Non è possibile che sia stata mia moglie. Non devo fare questo.»

    Quando Scarlet si era insinuata nei suoi sogni, esigendo che andasse a trovarla nelle segrete, Gideon non aveva potuto far altro che obbedire. Era come se una parte di lui la riconoscesse a un livello che non capiva. Quando gli aveva lasciato intendere che si erano baciati, avevano fatto sesso e si erano perfino sposati, quella parte aveva esultato, anche se non riusciva a ricordare niente.

    Perché non si ricordava?, si domandò per l’ennesima volta.

    Aveva preso in considerazione diverse teorie.

    La prima: gli dei gli avevano cancellato la memoria. Per quale motivo? Perché non volevano che ricordasse sua moglie? E perché non avevano cancellato anche la memoria di Scarlet?

    La seconda: aveva soppresso da solo i ricordi. Perché e in che modo? C’erano moltissime altre cose che avrebbe preferito dimenticare.

    La terza: il suo demone aveva trovato il modo di cancellargli la memoria. Allora perché ricordava la vita nei cieli, quando era una guardia di Zeus, incaricata di proteggerlo in ogni momento del giorno?

    I due amici si fermarono davanti alla prima cella, dove Scarlet era rinchiusa da settimane. Come Gideon prevedeva, stava dormendo. E come gli succedeva sempre vedendola, trattenne il fiato: era così bella...

    Voleva davvero che fosse sua? No, certo che no. Un legame del genere avrebbe complicato troppo le cose. I suoi amici venivano per primi. Quel fatto non sarebbe mai cambiato.

    Almeno era pulita e ben nutrita: si era assicurato personalmente che avesse abbastanza acqua per lavarsi e bere e tre pasti per notte. E avrebbe fatto lo stesso dopo averla riportata là.

    Non sbrigarti!, urlò Menzogna frenetico.

    Chiudi il becco, amico. Lascia fare a me. Gideon però non riusciva a muoversi: attendeva quel momento da secoli, o almeno così gli pareva, e voleva crogiolarsi in quella delizia. Oh, maledizione, stava diventando una donnicciola!

    Distogli lo sguardo prima di avere un’erezione, si ammonì. Ecco, così era già più virile.

    Si girò deciso. I muri erano di pietra spessa e impenetrabile, dunque Scarlet non poteva vedere i Cacciatori imprigionati nelle altre celle. In realtà l’importante era che loro non vedessero lei.

    I Cacciatori notarono i guerrieri e si ritrassero nell’ombra, come se temessero di venire chiamati per un interrogatorio. Bene: a Gideon piaceva che i nemici avessero paura di lui. Ne avevano motivo.

    Quegli uomini avevano imprigionato e violentato donne immortali innocenti per creare bambini misti da allevare nell’odio per i guerrieri. Bambini che avrebbero dovuto aiutarli a trovare il vaso di Pandora prima dei Signori degli Inferi, nella speranza di usarlo per separare ogni demone dal guerriero che lo ospitava. Nessuno di loro sarebbe sopravvissuto a quella separazione, visto che il legame era irrevocabile, inscindibile.

    Anche quello faceva parte della punizione per aver aperto lo stupido vaso.

    Prese la chiave che apriva la cella di Scarlet. Le dita appena ricresciute erano rigide e tremanti.

    «Aspetta.» Strider gli posò una mano sulla spalla. Gideon avrebbe potuto liberarsi con uno strattone, ma preferì lasciargli l’illusione di aver vinto quello scontro di volontà. «Puoi parlarle, ottenere le risposte che vuoi da qui.»

    Lei però non si sarebbe mai rilassata con un pubblico e lui non intendeva toccarla e sedurla in una situazione del genere. E se non avesse potuto toccarla, come avrebbe fatto a convincerla? Dicendole quant’era brutta, o elencandole tutte le cose che non voleva farle?

    «Non mollare, amico. Come non ti ho già detto infinite volte, non ho intenzione di riportarla qui una volta scoperto quello che mi interessa. Okay?»

    «Se riuscirai a riportarla qui. Ne abbiamo già parlato, ricordi?»

    Difficile dimenticarlo. «Non starò attento. Non hai la mia parola. Non ho bisogno di fare questo. Non è importante per me.»

    Strider continuò a tenergli la mano sulla spalla. «Non è il momento di andartene: abbiamo tre oggetti magici e Galen è infuriato. Vorrà vendicarsi per quello che gli abbiamo portato via.»

    Galen, il capo dei Cacciatori, era a sua volta un guerriero posseduto da un demone, ma aveva un’aria celestiale ed essendo accoppiato al demone della Speranza i suoi seguaci umani lo credevano un angelo. I Cacciatori incolpavano i Signori degli Inferi di tutti i mali del mondo e lottavano contro di loro per ottenere un futuro migliore.

    La nuova donna di Aeron, Olivia, che era un vero angelo, gli aveva sottratto il terzo oggetto, il Mantello dell’Invisibilità. C’erano quattro oggetti: l’Occhio che Tutto Vede, la Gabbia della Costrizione, il Mantello dell’Invisibilità e la Verga Affilata. I primi tre erano già in mano ai Signori e il quarto era l’unico di cui non si conoscevano ancora i poteri; dunque Galen era ansioso di riprendersi il Mantello e di mettere le mani su tutti gli altri.

    Dunque la guerra tra loro stava raggiungendo il culmine.

    Non importava, comunque: niente avrebbe potuto distogliere Gideon dai suoi piani, anche perché gli pareva che la sua vita dipendesse da quello.

    «Amico.»

    «Meriteresti un bacio.» In realtà voleva dire una scarica di botte.

    Tra loro calò un silenzio pesante.

    «E va bene. Prenditela» cedette infine Strider sollevando le braccia in segno di resa.

    «Non volevo farlo, comunque grazie dell’approvazione.» Come mai il guerriero non era crollato a terra, dimenandosi per il dolore? In fondo aveva appena perso una sfida.

    «Quando tornerai?»

    Gideon si strinse nelle spalle. «Non pensavo a... una settimana.» Sette giorni erano un sacco di tempo per indurre Scarlet ad aprirsi e parlargli del loro passato, anche se ora pareva odiarlo. D’altra parte, sembrava attratta dagli uomini pericolosi – perché l’avrebbe sposato, altrimenti? – dunque lui poteva benissimo essere il suo tipo.

    «Tre giorni» replicò Strider.

    Ah, dunque voleva mercanteggiare! Per questo non era crollato a terra: non era sconfitto, stava solo provando un’altra strategia.

    Gideon poteva fare qualche concessione: l’idea di abbandonare gli amici nel momento del bisogno lo faceva sentire in colpa quanto quella di lasciare Scarlet in quella cella. Avevano bisogno di lui e, se fosse successo qualcosa mentre era via, non se lo sarebbe mai perdonato. «Non sto pensando a cinque» cedette.

    «Quattro.»

    «Niente da fare.»

    «Bene» ridacchiò Strider.

    Dunque aveva quattro giorni per ammorbidire Scarlet. Gideon aveva combattuto battaglie più difficili in meno tempo, ma in quel momento non riusciva a ricordarle.

    Forse aveva perso solo certi ricordi, legati alle battaglie e a Scarlet. Vista la sua prepotenza e la sua lingua tagliente, era probabile che avessero litigato molto.

    Gli sarebbe piaciuto ricordare il sesso con lei. Roba da mozzare il fiato, ne era sicuro.

    «Informerò gli altri, nel frattempo ti porto ovunque tu voglia andare con lei» riprese Strider.

    «Certo.» Gideon inserì la chiave e la porta della cella si aprì cigolando. «Non voglio guidare io. Voglio che tutti sappiano dove siamo diretti.»

    Si levò un ringhio di frustrazione e rabbia. «Sei proprio un testone. Ho bisogno di sapere che sei arrivato a destinazione sano e salvo, o non riuscirò a concentrarmi abbastanza da uccidere qualcuno. E tu sai che ho bisogno di far fuori almeno un Cacciatore al giorno.»

    «Per questo non riceverai una mia telefonata.» Si avvicinò alla figura addormentata.

    Scarlet non era più circondata da un’oscurità impenetrabile, come se adesso volesse farsi vedere da lui e fosse sicura che non le avrebbe mai fatto del male.

    O almeno era ciò che si era detto.

    La prese in braccio con delicatezza, sentì il suo sospiro e lo sfregamento della guancia contro il cuore, che ora batteva all’impazzata. Forse quel ritmo irregolare le piaceva, visto che gli si rannicchiò contro.

    Era alta uno e settantacinque contro il suo metro e novanta, snella ma muscolosa. Aveva rifiutato i vestiti che le aveva offerto e indossava ancora i jeans e la maglietta portati quando Aeron l’aveva trovata.

    Inspirò il suo profumo di fiori, questa volta senza sentirsi in colpa. Di cosa sapeva, quando si erano sposati, millenni prima? Di fiori come adesso, o forse emanava un profumo più esotico, oscuro e sensuale come lei? Qualcosa che gli sarebbe piaciuto sentire in bocca, mentre la leccava da capo a piedi?

    Maledizione, non era il momento di lasciarsi andare a simili fantasticherie.

    Si girò tenendola stretta al petto: era un tesoro che avrebbe protetto mentre si trovavano fuori dalle mura della fortezza. Perfino dai suoi amici. Era contraddittorio pensare a lei in quel modo, quando le sue intenzioni non erano onorevoli, ma non poteva farne a meno.

    Strider lo guardò rassegnato. «Va’. E sta’ molto attento.»

    Per gli dei, come amava i suoi amici! Lo sostenevano sempre, qualsiasi cosa facesse.

    «Sai una cosa? Sembri un gatto che ha appena trovato una ciotola di panna» aggiunse Strider scuotendo la testa. «Non è consolante: non hai idea del guaio in cui ti stai cacciando?»

    Forse no. Non si trovava in una situazione così intensa da tantissimo tempo e forse avrebbe dovuto muoversi con maggiore cautela, ma non gli andava di sentirselo dire. «Non ti sto mostrando il dito medio, lo sai?»

    «Sì, lo so. In realtà è l’indice e mi stai dicendo che sono il meglio.»

    Gideon scoppiò a ridere. Più o meno.

    «Quattro giorni. Se per allora non sarai tornato, verrò a cercarti.» L’amico sollevò gli occhi al cielo, quando lo vide mandargli un bacio con le dita. «Pregherò che tu ritorni vivo e con la ragazza. E che sia viva anche lei. Ah, spero anche che tu sia soddisfatto di quello che ti avrà detto e anche che ti soddisfi in altri modi, così la dimenticherai come hai fatto con le altre donne della tua vita.»

    Erano davvero molte preghiere. «Grazie mille. Da quando sei diventato un sacerdote? E quando mai gli dei non ci hanno risposto?» chiese Gideon ironico. Fino ad allora Strider non aveva mai perso tempo a pregare e gli dei avevano sempre ignorato le loro richieste.

    No, non era vero: Crono, il re appena incoronato, ora si dilettava a visitare la fortezza comparendo all’improvviso e senza alcun invito e dava ordini che tutti loro erano costretti a eseguire. Come uccidere degli umani innocenti, scegliere tra la salvezza della propria donna e quella di un caro amico, costringerli a implorarlo per sapere dov’era finito lo spirito di un compagno, la cui testa era stata staccata dal corpo.

    Era successo davvero: poco tempo prima Aeron era stato decapitato con una spada di fuoco da Lysander, un angelo guerriero, e Gideon aveva implorato Crono (a modo suo). In realtà tutti loro avevano implorato e pianto come bambini.

    Il re però era rimasto sordo ai loro disperati appelli, sostenendo che avevano bisogno di una lezione di umiltà.

    Alla fine Aeron era tornato vivo alla fortezza grazie all’aiuto di Olivia e aveva ripreso il suo corpo, tranne il demone.

    Gideon doveva ancora perdonare Crono per l’indifferenza verso le sue implorazioni, dunque in quel momento non aveva molta simpatia per le preghiere.

    «In effetti sono una specie di sacerdote» commentò con un sorrisino compiaciuto il custode del demone della Sconfitta. «Ho fatto varcare a moltissime donne le porte del paradiso.»

    Lo avevano fatto tutti e Scarlet non sarebbe stata diversa. Gideon scoppiò in una risatina e poi portò via la sua donna.

    2

    Come al solito, Scarlet si svegliò di soprassalto e si mise seduta, ansante e sudata, guardandosi intorno senza vedere davvero ciò che la circondava. Le urla che lei e il suo demone avevano provocato nelle vittime stavano già scemando, ma le immagini proiettate nelle loro menti addormentate restavano: fiamme guizzanti, carne bruciata, cenere nera che aleggiava nella brezza.

    Il terrore servito quella notte riguardava il fuoco.

    Scarlet non poteva controllare Incubi mentre dormiva, ma poteva suggerirgli di attaccare certe persone in un particolare modo. In genere veniva soddisfatta.

    Negli ultimi tempi, però, non gli aveva dato molte indicazioni: da quando i Signori degli Inferi l’avevano catturata, i suoi pensieri erano tutti concentrati su un guerriero stupendo, dai capelli tinti d’azzurro e dall’indifferenza che la faceva infuriare. Gideon.

    Perché non si ricordava di lei?

    Come al solito quell’amnesia selettiva la spingeva a serrare i pugni e i denti, consumata da un selvaggio bisogno di uccidere qualcuno.

    La rabbia non fa bene a chi ti circonda. Calmati. Pensa a qualcos’altro.

    Costrinse la mente a tornare al suo demone. Durante le ore di veglia – dodici ogni giorno, anche se non sempre le stesse – era lei a tenere il controllo, nonostante Incubi amasse incitarla con suggerimenti sanguinari. Spaventalo. Fallo urlare.

    Ora però sembrava contento. Siamo usciti dalle segrete, commentò soddisfatto.

    Scarlet si guardò intorno e constatò che era vero.

    Era rimasta rinchiusa per varie settimane. Gemiti e grida di dolore arrivavano fino a lei dalle altre celle, insieme a odori acri e pungenti.

    Ora invece l’ambiente era completamente diverso: carta da parati a fiori, tende di velluto, un lampadario di cristallo viola a forma di grappolo d’uva, sospeso sopra un enorme letto a baldacchino, con le colonne di legno intagliato e morbide lenzuola azzurre.

    La cosa migliore era il dolce profumo di uva, mele e vaniglia che aleggiava nell’aria. Lo inspirò a pieni polmoni. Come aveva fatto ad arrivare là?

    Semplice: qualcuno ve l’aveva portata mentre dormiva, una cosa che in genere odiava. In quel caso però, significava che era libera, proprio come sperava. Non voleva certo rimanere in quella cupa fortezza solo per stare vicina a Gideon.

    Mentre scivolava nei sogni altrui, con il suo demone che si godeva il tumulto e il terrore della vittima di turno, chiunque poteva attaccarla senza che lei fosse in grado di difendersi o fermarlo.

    In genere si proteggeva da quell’eventualità evocando ombre così fitte da renderla invisibile. Quando si era resa conto di trovarsi a casa di Gideon, però, aveva smesso di farlo.

    Forse sperava che, guardandola dormire, si ricordasse di lei e magari tornasse a desiderarla al punto da chiederle di fare di nuovo parte della sua vita. Che idiozia! Quel bastardo l’aveva lasciata a marcire nel Tartaro e lei avrebbe dovuto desiderare la sua rovina, non certo perdersi in ridicole fantasticherie.

    «Bene, bene. Mi dispiace proprio che tu ti sia finalmente svegliata.»

    Scarlet si irrigidì al suono della sua voce profonda, tornò a guardarsi intorno e quando lo vide le parve che il cuore si fermasse.

    Era sulla porta della camera da letto in una posa noncurante, smentita dalla luce ardente che gli brillava negli occhi.

    Gideon, un tempo amato marito, ora un miserabile degno solo del suo disprezzo.

    Scarlet sentì il cuore che batteva più forte e il sangue che scorreva più veloce nelle vene, la stessa reazione sperimentata la prima volta che l’aveva visto. Bello, pericoloso, affascinante.

    Portava una maglietta con la scritta Sai che mi desideri, pantaloni neri un po’ larghi e una cintura d’argento e aveva tre piercing al sopracciglio destro e uno nuovo sul labbro, un cerchietto d’argento simile alla cintura.

    Teneva al suo aspetto e non apprezzava punzecchiature al riguardo, un tratto morbido e vulnerabile che un tempo la divertiva.

    In quel momento lui sembrava un cioccolatino pronto da divorare, mentre lei probabilmente aveva l’aspetto di un topo di fogna. Era riuscita a malapena a lavarsi con l’acqua che le veniva portata in cella ogni sera, così i vestiti erano sporchi e spiegazzati e i capelli una massa arruffata.

    «Hai molto da dire, eh? Allora siamo sulla strada giusta» borbottò lui.

    Scarlet aveva ormai imparato a tradurre il suo linguaggio e capì che voleva indurla a parlare. Non doveva lasciargli intendere quanto la sua comparsa la turbasse, così gli lanciò uno sguardo indifferente. «Ehi, ti sei già ricordato di me?»

    I suoi occhi azzurri erano duri come diamanti. «Ma certo.»

    Dunque ancora amnesia. Bastardo. Riuscì a rimanere impassibile, decisa a nascondergli quanto quell’indifferenza la ferisse. «Allora perché mi hai portata fuori dalla fortezza?» Si passò un dito lungo il collo e tra i seni, chiedendosi se... Oh, sì! Il suo sguardo la seguì, avido. Una parte di lui la trovava ancora attraente? «In fondo dovresti sapere che sono una donna molto pericolosa.»

    «Non mi hanno già messo in guardia su questo. E non ti ho portata qui per parlare in privato.»

    Dunque voleva solo soddisfare la sua curiosità. La mano le ricadde in grembo. No, non era delusa: si era fatta forza tante volte per superare angoscia, amarezza e disinganni, dunque un’occasione mancata in più non avrebbe costituito una gran differenza.

    «Sei uno sciocco se pensi che un cambiamento di scenario mi scioglierà la lingua.»

    Gideon rimase in silenzio, ma un muscolo nella mascella prese a vibrare, segno che era turbato.

    Scarlet gli rivolse un sorriso zuccheroso, decisa a godersi quel momento. Era una bella soddisfazione lasciarlo all’oscuro, così come lui l’aveva lasciata a chiedersi per migliaia di anni dove fosse finito.

    Il ricordo di quell’angosciosa preoccupazione spense il suo sorriso.

    Tornerò da te, le aveva promesso una notte. Ti libererò, te lo giuro.

    No, non andare, Non lasciarmi qui. A quei tempi piagnucolava sempre, ma in fondo era prigioniera nel Tartaro e lui costituiva la sua unica luce.

    Ti amo troppo per restare a lungo senza di te, tesoro, lo sai. Ma devo far questo, per tutti e due.

    Naturalmente da allora non l’aveva più visto. Poi i Titani erano riusciti a fuggire dal Tartaro e a prendere il controllo dei cieli, rovesciando i Greci; a quel punto si era messa a cercarlo sulla terra e l’aveva trovato affamato di sesso in uno squallido night-club.

    Il ricordo le provocò di nuovo una rabbia accecante. Respirò piano, profondamente, fino a quando la furia scomparve.

    «Non otterrai quello che vuoi e non riuscirai certo a tenermi qui» lo avvisò.

    Gideon incrociò le braccia sul torace muscoloso e la maglietta aderente si tese sui pettorali possenti. «Sentiti pure libera di scappare da me. Non te ne pentirai.»

    Ossia, se fosse fuggita gliel’avrebbe fatta pagare cara. «Mi stiro un po’ e poi colgo al volo la tua offerta. Grazie del suggerimento, comunque; non ci avrei pensato da sola.»

    L’indifferenza sparì, inghiottita da un ringhio rabbioso e frustrato. «Sono stato crudele a portarti qui. Non mi devi un favore, dunque è meglio che tu non rimanga.»

    «Siamo d’accordo: sei crudele, non ti devo niente e non mi sento obbligata a rimanere.»

    Un altro ringhio. Scarlet si sforzò di non scoppiare a ridere: prenderlo in giro era ancora divertente.

    Divertente? L’ilarità svanì un’altra volta. Avrebbe dovuto odiare il suo linguaggio menzognero, non apprezzarlo. Quella lingua biforcuta aveva già spezzato una volta il suo fragile cuore.

    Un tempo l’aveva ritenuto speciale e invece si era dimostrato uguale a tutti gli

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