Un ultima notte col milionario: Harmony Collezione
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Un ultima notte col milionario - Clare Connelly
successivo.
Prologo
Sei anni prima
«La vedi, Matteo?»
I giornali amavano dire che Matteo Visconti non aveva un cuore, be', si sbagliavano.
Osservare il nonno, pallido e debole, disteso sulle lenzuola bianche del letto d'ospedale gli stringeva dolorosamente quell'organo. La certezza che gli restavano solo poche ore di vita glielo lacerava.
«Vedere cosa, nonno?»
«Nonno?» Alfonso Visconti sorrise, ma il dolore trasformò quella risposta istintiva in una smorfia. «Non mi chiami così da molto tempo.»
Matteo non rispose. I suoi occhi si posarono sulle mani del nonno. Mani che avevano plasmato un impero commerciale, mani che erano state al comando durante la sua cessione. Distolse lo sguardo, concentrandosi sulla vista dei sobborghi di Firenze.
«Vedi l'acqua? Hai sempre amato il modo in cui il sole vi si rifletteva, no?»
Matteo chiuse gli occhi. Nonostante fossero in una stanza d'ospedale, immaginò ciò che vedeva il nonno... Il panorama dalla terrazza del Grande Fortuna, l'hotel che un tempo avevano posseduto a Roma, che dominava il Tevere in una direzione e il Vaticano nell'altra.
La collera, una reazione familiare quando pensava all'hotel, gli scombussolò lo stomaco. In quel momento era così intensa da togliergli quasi il respiro.
«Sì. È bellissima.»
«Di più. È perfetta.» Alfonso sospirò, poi qualcosa gli illuminò il viso, un attimo di lucidità che portò con sé il dolore. «È stata colpa mia.»
«No, nonno.» Matteo non nominò quel bastardo di Johnson. Era inutile ferirlo alla fine della sua vita.
Era lui l'uomo da biasimare, la causa della tristezza di Alfonso. Lui e il suo ostinato rifiuto di rivendere l'hotel. Un rifiuto che aveva portato con sé nella tomba.
Matteo, però, poteva sistemare le cose.
Le avrebbe sistemate.
«Lo riavrò indietro per te» proferì con voce determinata e così sommessa che forse Alfonso non lo sentì nemmeno. Ma non aveva importanza.
Una promessa che faceva a se stesso e al nonno.
A qualunque costo, avrebbe restituito l'hotel alla famiglia.
Sì. A qualunque costo.
1
«Ha un appuntamento?»
Un appuntamento? Con il proprio marito? Skye strinse la borsetta, pensando ai documenti del divorzio che conteneva. Goccioline di sudore le corsero fra i seni e si mosse a disagio. Nonostante l'aria condizionata del lussuoso atrio, sudava da quando era atterrata all'aeroporto Marco Polo nelle prime ore del mattino. La stanchezza del viaggio unita allo sfinimento che la perseguitava da quando aveva lasciato Matteo le causavano un'opprimente disperazione per il compito che l'aspettava.
«Il signor Visconti è occupato tutto il pomeriggio, mi dispiace» mormorò freddamente l'impiegata della reception.
La voce di Skye era debole per la difficoltà di ciò che doveva affrontare. Il divorzio era essenziale, e doveva avvenire subito. Avrebbe fatto qualunque cosa per convincere Matteo ad accettare. Aveva bisogno della sua firma sui documenti per potersene andare dall'Italia. Prima che lui scoprisse la verità.
«Se dirà a Matteo che sono qui, annullerà qualunque impegno.»
Il volto dell'impiegata dissimulò a stento il disprezzo. «Signorina...?»
Il sorriso di Skye rifletté il sentimento dell'altra donna. Era un errore comune. Skye aveva solo ventidue anni e le dicevano spesso che ne dimostrava di meno. Con il trucco sciolto dal sudore, si sentiva fuori posto in quell'ambiente lussuoso quanto lo era stata nel matrimonio. Tuttavia, aveva tutto il diritto di trovarsi lì.
E una ragione.
Sollevò il mento, fissando la ragazza come se quello non fosse il peggiore dei suoi incubi.
«Signora» la corresse. «Signora Skye Visconti.»
Ebbe la soddisfazione di vedere la sorpresa dipingersi sul volto della donna, che tuttavia si riprese subito e prese il telefono. Il suo sguardo si posò sul dito di Skye, che fu lieta di avervi infilato di nuovo, per quel giorno, il solitario da dieci carati. «Mi dispiace, signora Visconti» mormorò, premendo un pulsante e aspettando la risposta. «Non avevo idea che il signor Visconti fosse sposato.»
Skye annuì con indifferenza, tuttavia le parole la colpirono nel profondo. Perché quella donna avrebbe dovuto conoscere lo stato civile del suo capo? Non erano sposati da molto. Skye l'aveva lasciato dopo poco più di un mese. Un mese di troppo.
Come aveva potuto farsi ingannare da lui anche per quel breve periodo? E perché l'aveva sposato?
Be', a quella domanda era facile rispondere. Un'immagine sgradita di Matteo le passò per la mente, ricordandole com'era stato la sera del loro primo incontro. Così bello e affascinante nell'abito da cocktail, così deciso a sedurla. E lei si era lasciata sedurre facilmente.
Il destino, si era detta allora. Bugie, aveva scoperto più tardi. Tutte.
Sentì la conversazione in rapido italiano senza capirla.
Il suo sguardo era fisso sul panorama di Venezia, una città che un tempo aveva amato con tutta se stessa. Una città dove aveva pensato di trascorrere il resto della vita. Indurì il cuore al suo fascino, ignorando le gondole che scivolavano, eleganti e orgogliose, sull'acqua, i ponti, gli antichi edifici, l'azzurro abbacinante del cielo. Era bellissima, tuttavia non era più per lei.
Skye si girò, lieta di voltare le spalle al panorama, anche se questo significava guardare di nuovo l'impiegata.
La donna si alzò e andò a piazzarsi di fronte a lei.
«Il signor Visconti la riceverà subito. Gradisce qualcosa? Dell'acqua? Una soda?»
Vodka, pensò Skye con un sorriso sardonico.
«Dell'acqua minerale andrà bene... Grazie» dichiarò, non volendo sembrare scortese. Ora era concentrata su ciò che l'aspettava. L'impresa più difficile della sua vita. Convincere Matteo a firmare quei dannati documenti così da poter andare avanti... lontana da lui.
«Certo, signora. Da questa parte.» L'impiegata la precedette, ondeggiando i fianchi, e per un attimo Skye provò una fitta d'invidia per le sue curve. Era sempre stata snella, ma aveva desiderato avere un seno e fianchi più generosi. «Ecco.» L'altra donna sorrise, assai più calorosa ora che sapeva con chi stava parlando, e si fece da parte. «Lui l'aspetta.»
Perché questo evocava l'immagine di un lupo?
Perché Matteo era un predatore. Un predatore forte, spietato, senza cuore.
E lei era stata la sua preda.
Be', non era più così ormai.
Raddrizzò le spalle, facendosi forza, e inspirò nella speranza che questo le desse coraggio. Tuttavia nulla avrebbe potuto prepararla per quel momento, quando la porta si aprì e vide Matteo.
Niente.
L'aria fu risucchiata, lasciandola in un vuoto. Uno spazio privo di ossigeno, di gravità. Erano solo lei e Matteo, suo marito. Quel marito bellissimo, virile, bugiardo, infedele.
Skye aveva la gola secca e i nervi frementi.
Dannazione alla forza.
Voleva correre da lui. Per baciarlo? O per cavargli gli occhi? Probabilmente la prima cosa, pensò con una stretta al cuore. Voleva gettargli le braccia al collo e posare le labbra sulle sue, salutarlo come se credesse ancora nell'amore e in un felice futuro.
Per puro caso, indossava il completo che aveva sempre amato, quello blu scuro che attirava l'attenzione sulle spalle ampie e la carnagione abbronzata.
Skye spostò lo sguardo sul suo viso: la mascella quadrata con la crescita della barba, che non aveva niente a che fare con la moda ma con la sua impazienza per qualcosa di così noioso come radersi, le labbra generose e il naso patrizio, gli zigomi alti che rivelavano determinazione, gli occhi così scuri che sembravano quasi neri, a parte le pagliuzze dorate che luccicavano nel profondo.
Occhi che in quel momento la fissavano, che accarezzavano il suo corpo con la passione che un tempo aveva trovato affascinante. Occhi a cui non sfuggiva nulla, dalle scarpe con i tacchi a spillo, alle gambe affusolate, al vestito fluttuante che la copriva come una nuvola giallo chiaro. Quando notò la fede nuziale, fece una smorfia.
Bene!
Che provasse l'imbarazzo della situazione.
Lui la scrutò, cercando forse dei cambiamenti?
Non ce n'erano molti.
In realtà, Skye pensava di avere lo stesso aspetto di cinque settimane prima, quando se n'era andata di casa. I cambiamenti erano interiori. A parte la frangetta che aveva tagliato una settimana prima. Un segno esteriore che non era più la stessa donna.
Era cresciuta, e parecchio, in quel breve lasso di tempo. Riconosceva a stento la donna che era stata, così ingenua, stupida e troppo fiduciosa!
«Grazie di avermi ricevuta.» Skye infranse il silenzio, lieta di aver pronunciato chiaramente ogni sillaba. «Non ti ruberò molto tempo.»
Ah, come lo conosceva bene! Vide la luce beffarda nei suoi occhi e provò risentimento. Per la sua capacità di farla sentire sciocca e immatura.
Tuttavia, lui non proferì una parola, ma si spostò per lasciarla entrare nell'ufficio.
Skye lo fece senza alcun piacere.
C'era già stata prima e il suo sguardo si posò sul tavolo, notando il posto dove era stata seduta e aveva iniziato a firmare i documenti. Documenti che erano stati l'inizio della fine...
«Tu non mi ami, vero?» Fissò i documenti e poi il marito mentre i pezzi del puzzle si ricomponevano. «L'ho chiesto al mio avvocato. Mi ha detto tutto. Tu. Mio padre. L'intera sordida storia. È per questo che mi hai sposata!» La sorpresa di lui era evidente e fece infuriare Skye. «Non pensavi che l'avrei scoperto?» Agitò il contratto. «Riguarda solo questo dannato hotel, vero? Un hotel che mio padre ha acquistato da tuo nonno. Un hotel che cerchi di riacquistare da quindici anni. Mio Dio! Il nostro matrimonio è solo questo.»
Il silenzio si protrasse fra loro. Un silenzio che tirava e tirava tutte le sue terminazioni nervose finché non si spezzarono.
«Dovremmo parlarne più tardi» ribatté lui in tono serio. «Firma i documenti e usciremo a cena stasera.»
Skye sbatté la mano sul tavolo.
«Non osare trattarmi da bambina! Merito la verità. Voglio sentirla dalle tue labbra. Questo hotel è il motivo per cui sei venuto a Londra. Per cui mi hai incontrata. Giusto?»
Lui socchiuse gli occhi e per un attimo Skye si chiese se avrebbe detto qualcosa per migliorare la situazione, per alleviare il dolore che le spezzava l'anima.
«Sì.»
Skye si sentì mancare il cuore. S'aggrappò allo schienale della sedia per sostenersi. «Ed è per questo che mi hai sposata?»
Lui tacque per un lungo momento, un silenzio che la lacerò.
Poi fece un semplice cenno del capo, che fu la campana a morto per le fragili speranze che Skye nutriva ancora.
I ricordi turbinavano nella sua mente, minacciando di riportarla indietro nel tempo, ma lo scatto della porta che si chiudeva la fece tornare al presente.
Erano soli.
«Be', Skye, questo è... inaspettato.»
Il cuore le martellò dolorosamente nel petto. Oddio, il suo accento. Come aveva potuto dimenticare il fascino sensuale della sua voce roca e profonda?
Sii forte. Presto sarà tutto finito.
«Dovevi sapere che prima o poi sarei tornata» ribatté, scrollando le spalle esili, lieta che le parole risuonassero sicure, anche se le tremavano le dita.
«Non sapevo niente del genere» replicò lui. Il suo accento era più forte, segno della sua collera. Succedeva solo in momenti di forte stress emotivo. «Sei sparita nel nulla dopo aver lasciato il mio ufficio, senza nemmeno la cortesia di dire addio.»
Lei sgranò gli occhi color caramello. «Cortesia? Vuoi parlare di cortesia?»
«Voglio parlare di dove sei stata.»
«Come se t'importasse.»
«Mia moglie è scomparsa, senza lasciare un modo per contattarla. Credi che non m'importi?»
«Riguarda solo l'acquisizione e la proprietà per te, vero? Tua moglie.» Skye scosse la testa. Stava combattendo una battaglia persa. «Ero in Inghilterra» aggiunse con un sospiro.
«Non a casa tua» ribatté lui, e per un attimo le si strinse il cuore. Perché era la prova che l'aveva cercata. Che aveva tentato di trovarla.
«No.»
Skye rifiutò quella tenerezza. Sapeva perché l'aveva cercata, e non c'entrava niente con il loro finto matrimonio. Doveva essere