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Follia (eLit): eLit
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E-book214 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Colby Agency 3

Jolie Randolph si sveglia in una stanza che non conosce, nuda. E non sa come è arrivata lì. È forse impazzita? Simon Rhul indaga per la Colby Agency su problemi interni alla banca dove Jolie lavora. Non sa se sospettare di lei o sedurla...
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788858988985
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    Anteprima del libro

    Follia (eLit) - Debra Webb

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Contract Bride

    Harlequin Intrigue

    © 2002 Debra Webb

    Traduzione di Letizia Montanari

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-898-5

    Prologo

    Victoria Colby guardò fuori dalla finestra del suo ufficio al quarto piano, cercando di non pensare al passato. Negli ultimi tempi aveva trovato sempre più difficile metterlo da parte. E non era da lei indugiare su ciò che non poteva essere cambiato.

    Sfortunatamente, le stava risultando sempre più difficile fare quello in cui una volta era stata abilissima. Dimenticare.

    Anche se fosse vissuta mille anni, non sarebbe mai riuscita a scordare l’uomo che aveva tanto amato, James Colby. Lui era stato la sua vera anima gemella, un uomo d’onore, leale e coraggioso. Ormai ne esistevano così pochi al mondo in giorni come quelli. I suoi pensieri volarono subito a Lucas Camp. Sì, c’era un altro uomo molto simile a ciò che era stato James. Lucas era l’esempio del paladino buono e retto.

    Una parte di lei desiderava in maniera spasmodica condividere con Lucas il resto dei suoi giorni sulla terra, soprattutto dopo essere stata così vicina a perderlo, alcuni mesi prima. Victoria rabbrividì al pensiero di quell’isola e di quelle lunghe ore, quando era stata all’oscuro del fatto se Lucas fosse vivo o morto. Tuttavia qualcosa l’aveva sempre trattenuta quando era arrivato il momento di prendere un impegno, costringendola ad ascoltare quello che le suggeriva il cuore. Amava Lucas, era inutile negarlo. Eppure, c’era qualcosa che le aveva impedito di ricominciare a vivere una vita veramente piena in tutti quegli anni.

    James Colby Jr. Suo figlio.

    Sbatté le palpebre, tenendo a bada le lacrime che non mancavano mai di affiorare quando pensava a quel bambino perduto. A che cosa sarebbe servito piangere? Quel bambino non esisteva più. Anche se fosse stato vivo, ormai sarebbe stato un uomo adulto. Si chiedeva se somigliasse ancora tanto al padre. Se fosse altrettanto coraggioso e retto. Se fosse felice. Se la sua fosse una vita piacevole.

    Ammesso che fosse ancora in vita.

    Aveva atteso tutti quegli anni nella speranza di ritrovarlo e che non avesse dimenticato lei e quanto fosse stata felice la loro famiglia. Sperando che un giorno

    o l’altro potesse tornare.

    Un pesante sospiro le sfuggì dalle labbra. Molto probabilmente non avrebbe mai saputo nulla e lui non sarebbe tornato, ma niente avrebbe potuto impedirle di continuare a sperare.

    «Volevi vedermi, Victoria?»

    Il suono della voce profonda di Simon Ruhl fece trasalire Victoria, riportandola di colpo alla realtà. Respirò a fondo e si ricompose prima di voltarsi. Era la proprietaria dell’agenzia, aveva molti uomini alle sue dipendenze, il meglio di quanto si potesse trovare sul mercato in fatto di investigatori.

    Era subentrata al comando dell’agenzia aperta da suo marito e l’aveva portata all’apice dell’efficienza. Be’, era già qualcosa. Non aveva tempo per piangersi addosso.

    Quella consapevolezza la galvanizzò, aiutandola a bandire i pensieri negativi. Avevano un nuovo caso per le mani. Un caso perfetto per Simon Ruhl.

    Victoria gli restituì il sorriso e assunse un’aria professionale. «Ti prego, accomodati, Simon. Abbiamo un nuovo incarico di cui discutere.»

    Quando si furono seduti, Victoria iniziò senza indugiare.

    «Jason Hodges è a capo del consiglio di amministrazione della First International Bank di Atlanta.» Allungò una cartelletta a Simon. «Come ti accorgerai leggendo i documenti qui contenuti, lui e la sua banca sono molto quotati.»

    Victoria fece una pausa mentre l’agente esaminava il contenuto della cartelletta, poi sorrise quando lui alzò lo sguardo chiedendole: «Qual è il problema?».

    A Simon non sfuggiva mai nulla. Come ex agente dell’FBI era stato sottoposto a un allenamento proprio per casi del genere. Lui sicuramente sapeva che per quanto pulite e innocenti potessero apparire le cose in superficie, sul fondo potevano nascondersi molteplici problemi. I suoi modi raffinati e la sua educazione universitaria erano perfetti.

    «Il signor Hodges ha parecchi amici importanti, inclusi alcuni contatti con la divisione di Atlanta del Federal Bureau of Investigation. Uno dei suoi contatti gli ha fatto arrivare l’informazione che la sua banca è sulla lista degli istituti che saranno indagati per riciclaggio di denaro sporco.»

    «Mi viene subito in mente Raymond Brasco» disse Simon con espressione pensierosa.

    Victoria annuì. Come aveva immaginato, Simon aveva mantenuto la sua prontezza di giudizio ed era anche molto informato riguardo ai nomi più importanti della malavita organizzata. Era l’uomo giusto per quell’incarico.

    «Il signor Hodges vorrebbe determinare se sussiste un problema e, in tal caso, risolverlo prima che diventi oggetto d’indagine federale. Ha ingaggiato una squadra di revisori dei conti. Mentre loro controllano le operazioni della banca, tu valuterai gli impiegati. Come copertura, fingerai di far parte della squadra dei revisori.»

    Simon chiuse la cartelletta e rifletté sulle sue parole. «Hodges sospetta di qualcuno?»

    «Non esattamente» rispose Victoria scrollando le spalle. «Almeno, non ha ammesso di sospettare di qualcuno in particolare. Tuttavia, pensa che la base più plausibile per un’attività illegale potrebbe trovarsi nel reparto internazionale. Proprio da lì vorrebbe che iniziassi tu. La dirigente del reparto è una giovane di nome Jolie Randolph.» Victoria rivolse un cenno del capo verso la cartelletta. «C’è una foto della donna insieme agli altri impiegati in occasione di una festa del-l’anno scorso. La terza da sinistra nella fila davanti.»

    Simon prese la foto e localizzò la donna. «È più giovane di quanto avrei pensato per essere la dirigente di un reparto.»

    «Secondo me, la sua giovinezza potrebbe averla resa vulnerabile» dichiarò Victoria. «Credo che...» Prima di riuscire a impedirselo, il pensiero che se suo figlio fosse stato vivo avrebbe avuto più o meno quell’età si presentò inaspettato alla sua mente. Sbatté le palpebre, poi lottò per scacciare quell’idea dalla testa. «Sì, credo che potrebbe essere un buon punto di partenza» concluse.

    Lo sguardo intenso di Simon incrociò quello di Victoria. «Sono d’accordo» disse, come se fosse pienamente concentrato sulla conversazione, ma lei si era accorta del suo esame. Simon aveva intuito il suo turbamento.

    Seccata, rafforzò la propria determinazione. Doveva tenere le emozioni sotto controllo. «Bene.»

    «Mi metterò subito al lavoro. C’è altro di cui vorresti discutere?»

    «No, è tutto» si affrettò ad assicurargli lei.

    Simon le rivolse un breve cenno del capo e uscì dal-l’ufficio.

    Victoria abbatté il pugno sulla scrivania con un gesto frustrato. Non aveva tempo per cose del genere. Doveva dirigere l’agenzia. Non aveva tempo per il passato. Ciò che era stato non poteva essere cambiato e lei doveva accettare la realtà.

    Nessuna forza al mondo avrebbe potuto riportare indietro suo figlio.

    1

    La consapevolezza tornò lentamente. Jolie si sentiva la testa pesante ed era stordita. L’istinto l’avvertì che se si fosse mossa o avesse aperto gli occhi la conseguenza sarebbe stata il dolore. Tuttavia doveva svegliarsi, doveva mettersi in moto. Doveva riprendere coscienza, fare qualcosa di diverso dal dormire. Se solo fosse riuscita a svegliarsi!

    Gradualmente, le sue palpebre si sollevarono: le sbatté più volte per difendersi dalla luminosità della stanza. A poco a poco riuscì a mettere a fuoco fino a potersi rendere conto di quanto la circondava. Il sole che stava sorgendo oltre la linea dei grattacieli di Atlanta si riversava attraverso la fila delle finestre che si trovavano di fronte a lei, diffondendo luce e calore. Jolie inarcò le sopracciglia mentre il suo cervello si impadroniva delle immagini che vedeva. Era a letto, sentiva le lenzuola lisce e fresche sulla pelle. Confusa, si chiese che ore fossero.

    Lottando contro la pesantezza che avvolgeva le sue membra, si mise a sedere schiarendosi la gola e scostandosi i capelli dal viso. Il dolore le esplose nella testa. Gemette tenendosi il capo tra le mani fino a quando quella penosa sensazione di pulsazione non si affievolì un poco. Un istinto atavico cominciò a tormentarla, sollecitando la risposta a una minaccia che lei non poteva ancora comprendere. Inumidì le labbra aride e fece una smorfia. Aveva in bocca un sapore amaro. Aveva disperatamente bisogno di bere un sorso d’acqua.

    Con uno sforzo ciclopico spostò il lenzuolo che la copriva e posò pesantemente i piedi sulla folta moquette. Subito rimpianse la mossa: la stanza prese a girarle vorticosamente attorno per un paio di secondi. Santo cielo, sembravano i postumi di una sbronza! Si immobilizzò. Da quel che ricordava non si era ubriacata.

    Che giorno era? Si accigliò e osservò con attenzione l’enorme stanza arredata lussuosamente. Dalle eleganti tende frangiate, scostate per lasciare intravedere le grandi finestre, al mobilio delicato disposto ad arte nella camera, quel posto trasudava ricchezza, ma non le forniva alcuna chiave per capire dove diavolo si trovasse o come fosse arrivata fino a lì. Una sensazione di allarme la invase, ma il suo cervello, ancora stordito, non riuscì a elaborare una reazione adeguata.

    Si alzò sulle gambe tremanti e gemette di nuovo per la pulsazione che le martellava in mezzo agli occhi. Rabbrividì senza riuscire a controllarsi, poi rimase come paralizzata. Con lentezza, mentre un grido silenzioso risuonava nel suo cervello già martoriato dal dolore, Jolie abbassò lo sguardo su se stessa.

    Era nuda.

    Un’ondata di panico le si diffuse nelle vene. Tornò a scrutare la stanza. Dove si trovava?

    Soffocata dalla paura, si voltò di scatto, cercando di discernere un particolare... uno qualsiasi... che le fornisse uno straccio di prova sul luogo dove si trovava.

    Niente.

    La ricca tappezzeria dei muri e la moquette si abbinavano con grazia al mogano scuro del mobilio. Le grandi finestre erano l’unica cosa che impediva alla stanza di assumere un aspetto lugubre. Un paio di poltrone imbottite occupavano un angolo come sentinelle al posto di guardia. Quadri bellissimi adornavano le pareti, ma nessuno di loro le sembrava familiare. Doveva essere a casa di amici, ragionò stordita dalla paura. L’alternativa era inimmaginabile. Tremò davanti alla conclusione che si presentò alla sua mente confusa.

    Oh, Dio! Deglutì convulsamente. Non era a casa di amici! Lei non aveva tempo per frequentare molti amici. Lavorava tante ore in banca. Aveva una sola, vera amica, Erica. E quello non era sicuramente il suo appartamento.

    Il cuore di Jolie cominciò a battere sempre più in fretta e il sangue scorse veloce, procurandole un ronzio alle orecchie. Il desiderio di scappare adesso era così intenso da lasciarla senza fiato. Dove si trovava? Com’era arrivata lì? Si sentiva così confusa e smarrita...

    E terrorizzata.

    Il suono di acqua che scrosciava attrasse la sua attenzione. Sbalordita, si volse verso la fonte del rumore. Una porta socchiusa le rivelò quello che sembrava un bagno adiacente. I piedi l’avevano già trasportata a metà della stanza prima ancora che la decisione penetrasse la coltre spessa che le ovattava il cervello. Jolie rimase immobile sulla soglia del lussuoso bagno. L’aria fumante di vapore conteneva un’innegabile e molto piacevole fragranza maschile. Poi, il suo sguardo venne attirato dalla cabina doccia. Incredula e confusa, Jolie sbarrò gli occhi. Un uomo si trovata sotto il getto della doccia, circonfuso da una nuvola di vapore. Capelli scuri, spalle larghe, schiena muscolosa. Jolie arretrò di un passo, quindi si voltò di scatto, allontanandosi con gambe tremanti.

    Scosse il capo. Lo stomaco le si rivoltò mentre il respiro le rimaneva strozzato in gola. Non era mai andata a casa di uno sconosciuto.

    Mai. Mai. Mai.

    I vestiti. Aveva bisogno dei suoi vestiti. L’adrenalina si riversò nelle sue vene con un fiotto ardente. Doveva trovare i suoi vestiti e andarsene di lì in fretta. Quell’uomo non sarebbe rimasto sotto la doccia in eterno! Doveva sbrigarsi!

    Dopo una ricerca frenetica, Jolie trovò i suoi vestiti disseminati su una chaise longue, le scarpe e la borsa accanto, sul pavimento. Infilò le mutandine e subito dopo il vestito che aveva indossato a cena la sera prima. Cena. Le mani si bloccarono sulla cerniera lampo sulla schiena. Lampi di memoria si accesero in lei, lasciandola di nuovo stordita. La cena con Erica da Carlisle’s. La musica. Le risate. La gente che andava e veniva.

    Jolie frugò nel ricordo, lottò per rammentare. Che cosa era accaduto dopo? Perché non riusciva a ricordare di aver lasciato il ristorante? Un nuovo pensiero le fece torcere lo stomaco per l’ansia. La cena con Erica era stata domenica sera. Perciò adesso era lunedì mattina. Abbassò lo sguardo sul polso sinistro sul quale portava un orologio d’oro da cui non si separava mai. Le otto e venti. Provò un tuffo al cuore. Aveva quaranta minuti per arrivare al lavoro. E non sapeva neppure dove si trovasse o come fosse arrivata fino a lì...

    O insieme a chi.

    Il silenzio riportò di schianto Jolie al presente. Il dolce scroscio dell’acqua si era interrotto. Una paura mai provata in vita sua sembrò strangolarle il respiro in gola. Infilò le scarpe, afferrò la borsetta e, senza guardarsi indietro, uscì di corsa dalla stanza.

    Simon guardò dai finestrini oscurati della sua auto mentre Jolie Randolph saliva di corsa i gradini dell’ingresso della First International Bank di Atlanta. La corta gonna verde del suo abito da lavoro metteva in mostra gambe troppo belle per lasciarlo indifferente. La giacca attillata metteva in risalto la sua figura snella. E quei capelli biondi che si spargevano come un manto di seta sulle spalle gli fecero provare l’irrefrenabile voglia di passarvi le dita attraverso. A quel pensiero si sentì invadere dal desiderio. Un muscolo si tese sulla sua mascella. Non appena Jolie fu scomparsa oltre le grandi porte, lui riportò l’attenzione sul cellulare.

    «È appena entrata.» Ascoltò la voce seccata del suo cliente all’altro capo della linea. «No, non metterò a rischio l’indagine» ribatté impaziente Simon, mentre il suo umore già cattivo peggiorava. «Jolie è l’anello debole. Adesso ne sono sicuro.» Si sistemò il nodo della cravatta scura. «Ho un appuntamento con il presidente della banca a mezzogiorno. Da quel momento in poi comincerò a esercitare una certa pressione.»

    Sollevò lo sguardo verso il secondo dei quattro piani che formavano l’edificio, individuando la finestra dell’ufficio di Jolie Randolph. «Non si preoccupi, ho tutto sotto controllo.» Simon chiuse la comunicazione, poi accese il motore. Lanciò un altro sguardo indagatore alla banca e le sue labbra assunsero una linea dura. Se Jolie Randolph pensava di non avere un problema, avrebbe presto cambiato idea. Simon era certo che fosse coinvolta fino al collo in quella vicenda. Anche se aveva qualche dubbio, incertezze che lo tormentavano, lei era senz’altro in cima alla lista dei sospettati. Però non era sola in quella lista.

    Un senso di ansia completamente illogica lo punzecchiò una volta ancora. Doveva trovare il modo di mantenere l’obiettività in quel caso. Aveva aspettato per quattro lunghi anni quell’opportunità. Che la signorina Randolph lo sapesse o meno, i suoi incubi erano appena iniziati.

    «Signorina Randolph?»

    Jolie trattenne il fiato mentre interrompeva la sua precipitosa ritirata dalla sala delle conferenze in cui si era effettuato l’incontro dirigenziale di quella mattina. Nonostante tutti i suoi sforzi, era arrivata con quindici minuti di ritardo e aveva colto l’occhiata preoccupata che il signor Knox, il presidente della banca e suo capo, aveva lanciato verso di lei. Trattenne un sospiro di sfinimento. Ostentando il suo sorriso più smagliante, si voltò per affrontare l’uomo che l’aveva chiamata.

    «Sì, signor Knox?» Incontrò il suo sguardo penetrante. «Doveva parlarmi di qualcos’altro?»

    Il suo capo trasse un respiro profondo, incrociò un braccio sul petto e vi appoggiò sopra l’altro gomito, in modo da avere la possibilità di strofinarsi il mento con la mano. Jolie provò l’improvviso e tremendo impulso di allentare il colletto della camicetta. Stava ancora tremando per l’episodio di quella mattina. Tre tazze di

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