Segreti a luci rosse (eLit): eLit
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Sarah Mayberry
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Anteprima del libro
Segreti a luci rosse (eLit) - Sarah Mayberry
successivo.
1
Elizabeth Mason sgranò gli occhi sulla lista nozze che stringeva in mano. Stampata sulla costosa pergamena, sotto il logo verde e oro di Harrods, faceva bella mostra di sé una sfilza di marche prestigiose, Villeroy & Boch, Royal Doulton, Lalique, Noritake, Le Creuset. L'elenco includeva due servizi da tavola, completi di stoviglie e posate, un secchiello per lo champagne, accessori per il bar, vassoi, tovaglie... e tanto altro ancora.
Se gli invitati avessero acquistato anche solo la metà degli articoli inseriti in quella lista, lei e Martin avrebbero iniziato la loro vita matrimoniale in una casa perfetta e curata in ogni dettaglio, circondati da oggetti raffinati e di gran classe.
Elizabeth si premette una mano sul petto, avvertendo il familiare senso di costrizione che la accompagnava da un po' di tempo a quella parte. Chinò il capo e si concentrò sulla respirazione.
Inspira, espira. Inspira, espira.
Un commesso le sfiorò il braccio, passandole accanto, mentre era diretto verso l'esposizione Royal insieme a una cliente. Sentì una gocciolina di sudore sulla fronte. Doveva trovare il modo di gestire quegli attacchi di panico. In fondo, era il momento più felice della sua vita, no? Stava per sposare l'uomo con cui era fidanzata da sei anni. Perché tutta quell'ansia?
«Guarda qui che bello, Elizabeth.»
Sollevò lo sguardo e vide la nonna con in mano un bicchiere della collezione Waterford Crystal. La luce si rifrangeva sulla superficie di cristallo del calice, che sembrava la copia esatta del servizio che la nonna aveva a casa.
«Bello, sì» commentò senza troppo entusiasmo. «Ma credo che Martin desideri qualcosa di più moderno. Gli piacciono molto i flûte della Riedel.»
Sentì una vampata di calore salirle su per le guance. Era sempre stata una pessima bugiarda. Era lei che preferiva un design più moderno. A Martin non importava un fico secco di piatti, bicchieri, posate e compagnia bella. Ma non era mai facile, per lei, esprimere con schiettezza la propria opinione e rischiare di entrare in conflitto con la nonna.
«Guardalo bene, prendilo in mano.»
Elizabeth schiuse la bocca per ribadire l'obiezione, poi lasciò perdere. Sapeva come sarebbe andata a finire se avesse manifestato il suo dissenso. La nonna non avrebbe detto nulla, perché non era nel suo carattere litigare platealmente, ma le avrebbe tenuto il muso per il resto della giornata. E non avrebbe pranzato con lei, tirando in ballo i suoi soliti problemi al cuore.
Un ricatto emotivo in piena regola. Qualcosa di cui la nonna era maestra.
Negli anni, aveva condizionato le scelte della nipote, importanti o no che fossero, con un semplice ondeggiare della mano, un gesto conclusivo con cui metteva a tacere ogni questione, accennando a un mal di testa o a una visita medica. Sebbene Elizabeth fosse consapevole di quella sua natura manipolatrice, aveva sempre ceduto, per quieto vivere.
In fondo, che importanza aveva se, alla fine della fiera, lei e Martin avrebbero bevuto in un bicchiere Waterford anziché Riedel, se la nonna era contenta?
Così, invece di imporre la propria opinione, la raggiunse e prese in mano il calice, concordando che aveva il giusto peso e che era perfetto per le grandi occasioni. Senza perdere tempo, la nonna braccò una commessa e la interrogò sulla manifattura, la possibilità di ordinare dei pezzi supplementari per sostituire, eventualmente, quelli rotti, e tutta una serie di altri quesiti.
Elizabeth se ne stava in disparte, con un sorrisetto di circostanza stampato sul viso. Attorno a lei, le commesse scivolavano tra gli espositori, discorrendo in tono sciolto e riverente. Ovunque guardasse, vedeva oggetti squisiti, fragili e preziosi, disposti in modo tale da attrarre anche l'occhio più refrattario.
Il suo sguardo si posò su un tavolo su cui erano poggiati dei decanter. Per un attimo, si vide mentre afferrava i bordi del ripiano e lo inclinava, mandando in frantumi i raffinati oggetti. Fu un'immagine così reale che le dita si curvarono, come se stessero davvero stringendosi attorno ai bordi del tavolo, e le parve quasi di sentire il rumore dei vetri infranti per terra e le grida delle commesse e dei clienti.
Mosse un passo all'indietro e incrociò le dita, sigillando una mano all'altra.
Ma non perché temesse di poter compiere veramente un'azione del genere. Non avrebbe mai osato.
Indietreggiò ancora.
Il classico nervosismo prematrimoniale, si disse. Nulla di cui preoccuparsi. Tutte le spose si sentono così prima delle nozze.
Solo che quello non era l'unico episodio di impulso anarchico che aveva dovuto reprimere ultimamente. Al pranzo della Royal Academy, la settimana precedente, avrebbe voluto urlare con tutto il fiato che aveva in gola quando l'anziano signor Lewisham si era avventurato in un noioso panegirico sulla qualità discutibile dei tovaglioli della caffetteria dell'Accademia e in una generale disquisizione sul declino del buon gusto anche nell'alta società. E il giorno prima era stata tentata a entrare in un negozio di tatuaggi vicino alla stazione di King Cross, attratta da una rosa tribale che serpeggiava sul braccio della ragazza dietro il bancone. Aveva addirittura messo un piede dentro il negozio, prima di essere fermata dal buonsenso.
«Elizabeth. Hai sentito che cosa ti ho detto?» le chiese la nonna.
Mise a fuoco l'immagine di fronte a sé e si accorse che la nonna e la commessa la stavano osservando, attendendo una risposta.
«Scusami, ero sovrappensiero.»
La nonna le diede un affettuoso colpetto sul braccio. «Andiamo a dare un'occhiata alla Wedgewood.»
Senza smettere di sorridere, Elizabeth annuì e si lasciò condurre dove voleva la nonna.
Era tardo pomeriggio quando tornò nella casa georgiana dei nonni a Mayfair. La nonna era rientrata dopo pranzo, per il consueto pisolino pomeridiano, lasciando che la nipote prendesse da sola l'appuntamento con il fiorista. Sulla via del ritorno, aveva fatto un salto al negozio della sua amica Violet a Notting Hill. L'orologio dell'ingresso segnava le sei quando varcò la soglia di casa. Lasciò scivolare la tracolla della borsa lungo il braccio e iniziò a sfilarsi sciarpa e guanti.
Era martedì, il che significava che Martin stava per arrivare. Cenava sempre da loro il martedì sera. Mercoledì, giocava a squash, mentre il venerdì la portava al ristorante. Se si sbrigava, avrebbe fatto in tempo a darsi una rinfrescata prima che arrivasse.
La governante aveva radunato ordinatamente la posta sulla console nel corridoio ed Elizabeth vi diede una fugace occhiata mentre girava l'angolo verso le scale. Una busta dall'aspetto ufficiale colpì la sua attenzione. Martin l'aveva pregata di richiedere una copia del certificato di nascita che serviva per la licenza matrimoniale, dal momento che non avrebbe potuto inoltrare la richiesta al posto suo. Aprì la busta ed ebbe la conferma che il documento era arrivato. Un'altra barra da apporre sulla lista delle cose fatte.
Stese il foglio ripiegato in due, controllando che fosse tutto a posto. Elizabeth Jane Mason, nata il 24 agosto 1980, nome della madre Eleanor Mary Whittaker, nome del padre...
Sciarpa e guanti le scivolarono dalle dita, gli occhi sbarrati sulla casella contrassegnata da nome e cognome del padre.
Sam Blackwell.
Chi diavolo è Sam Blackwell?
Suo padre era John Alexander Mason, nato il 16 gennaio 1942, deceduto nello stesso incidente aereo in cui aveva perso la vita sua madre.
Dovevano essersi sbagliati.
Elizabeth focalizzò lo sguardo sulla porta in fondo al corridoio. Si incamminò, certificato in mano, lo stomaco stretto in una morsa.
Udì una risata maschile echeggiare al di là dell'uscio chiuso dello studio del nonno e, per la prima volta in vita sua, entrò senza bussare.
«Ci deve essere un errore» proclamò, avanzando nella stanza.
«Elizabeth. Sei tornata, finalmente!» esclamò Martin. «Cominciavo a chiedermi che fine avessi fatto.»
Il fidanzato si alzò e si accostò per darle un bacio, socchiudendo gli occhi verdi mentre sorrideva. Come al solito, indossava un impeccabile completo tre pezzi e una cravatta dai colori classici e neutri, i capelli separati ordinatamente da una riga laterale.
Invece di offrirgli le labbra, Elizabeth gli sbatté davanti il certificato.
«Guarda. Hanno fatto un errore. Hanno sbagliato il nome di mio padre.»
Per una frazione di secondo, Martin rimase pietrificato. Poi, scoccò al nonno uno sguardo indecifrabile, prima di visionare il documento.
«Pensavo avessi chiesto di farmelo recapitare direttamente in ufficio, così da poter subito inoltrare la richiesta per la licenza matrimoniale» pronunciò Martin pacato, ma con una strana venatura di tensione nella voce.
Lei lo guardò, poi scrutò il viso attonito del nonno, e capì.
Non c'era nessun errore.
«Che sta succedendo?»
«Perché non ti metti seduta?» la invitò l'anziano Whittaker.
Elizabeth si fece accompagnare alle poltroncine di pelle nera di fronte alla sontuosa scrivania di mogano. Il nonno attese che anche Martin si fosse seduto, prima di parlare.
«Non c'è nessun errore. L'uomo che hai sempre conosciuto come tuo padre, John Mason, è in realtà il tuo patrigno. Ha sposato tua madre quando tu avevi due anni.»
Per un lungo istante, non si udì che il ticchettio del pendolo. Elizabeth schiuse la bocca per ribattere, poi si bloccò, non sapendo cosa dire.
La morte dei genitori era stata devastante per una bambina di soli sette anni. Dopo la tragedia, si era trasferita dai nonni e, per i primi mesi, si era addormentata piangendo tutte le sere. Custodiva gelosamente i pochi ricordi della sua infanzia, il vecchio orsetto di peluche che i suoi genitori le avevano regalato quando aveva compiuto quattro anni, le pietre fossili raccolte insieme durante una vacanza, la boccetta di profumo vuota di sua madre che custodiva ancora la sua fragranza preferita...
Ma ora il nonno le stava dicendo che i suoi genitori non erano morti entrambi, che era il suo patrigno ad aver perso la vita. Che il suo vero padre, lo sconosciuto il cui nome era riportato sul suo certificato di nascita, forse era ancora vivo da qualche parte del mondo.
«Perché nessuno me lo ha mai detto?»
«Perché non era necessario. Non voglio entrare nei particolari, ma Sam Blackwell non è una persona con cui vogliamo avere a che fare. John Mason è stato tuo padre a tutti gli effetti, per cui non abbiamo mai ritenuto opportuno riportare a galla una vecchia storia che era meglio per tutti restasse relegata al passato» spiegò il nonno.
Il fatto era che era stato deciso tutto al posto suo, senza che nessuno si fosse degnato di interpellarla.
Elizabeth serrò i pugni. «È vivo? Il mio vero padre, intendo.»
«Credo di sì.»
«Dove vive? Che lavoro fa? È a Londra? Come posso mettermi in contatto con lui?»
«Elizabeth, capisco sia uno shock per te, ma sono sicuro che, quando ci avrai riflettuto a mente fredda, ti renderai conto che questa notizia non aggiungerà e non leverà nulla alla tua vita» espresse Martin.
Elizabeth focalizzò lo sguardo sul fidanzato per la prima volta da quando era entrata in quella stanza. «Tu lo sapevi.»
«Me lo ha detto tuo nonno quando ho chiesto la tua mano.»
«Lo sai da sei mesi e non mi hai detto nulla?»
«Non essere in collera con Martin» interloquì il nonno. «Gli ho chiesto io di tacere. Non era il caso che ti agitassi per un nonnulla.»
Un nonnulla?
Martin si mosse sulla sedia a disagio. Il nonno poggiò le mani sulla superficie liscia della scrivania e la fissò con sguardo fermo.
«Abbiamo fatto ciò che ritenevamo fosse meglio per te.»
Il succo del discorso era sempre quello con i nonni. L'avevano accolta in casa loro quando i suoi genitori erano morti e avevano fatto di tutto per regalarle un'infanzia felice. L'avevano mandata nelle migliori scuole, erano stati presenti a ogni recita scolastica, incontro fra insegnanti e famiglie, l'avevano portata in vacanza in Francia e in Italia, nonostante la salute cagionevole della nonna. Elizabeth era cresciuta sentendosi perennemente in obbligo nei loro confronti e desiderava fare di tutto per non essere per loro un peso più di quanto già non fosse.
Si era quindi impegnata al massimo per conseguire risultati eccellenti a scuola, poi all'università. Non era mai rincasata tardi, così come non si era mai ubriacata. E non aveva mai avuto con un ragazzo un'avventura di una sola notte. Persino il futuro marito lo aveva scelto sapendo che sarebbe piaciuto a loro, soprattutto al nonno, dal momento che Martin lavorava nel suo studio legale e ne sarebbe ben presto diventato socio.
Doveva molto ai nonni, tutto, in realtà. Ma ciò non toglieva che quel che le avevano fatto non fosse sbagliato.
«Era una decisione che spettava a me. Non avevate alcun diritto di tenermi all'oscuro di tutto.»
Temendo di poter dire cose di cui si sarebbe poi